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Economia

Ecco lo spot della birra vaccinale

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E fu così che vedemmo anche questa: la birra vaccinale.

 

Quando pensavate di aver toccato il fondo, sia per il mondo pubblicità che per il mondo moderno in sé, ecco che troviamo chi è disposto a scavare.

 

Un noto marchio di bionda olandese, con un bello stellone a cinque punte in evidenza, è sceso in campo nella campagna vaccinale anti-COVID.

 

Un noto marchio di bionda olandese, con un bello stellone a cinque punte in evidenza, è sceso in campo nella campagna vaccinale anti-COVID

Stiamo parlando della famosa birra amatissima dai giovani , anche grazie a campagne martellanti e mega-concerti estivi, che nel suo ultimo, a dir poco discutibile, spot pubblicitario inneggia ad una più duratura e felice vita per coloro che si sottopongono al vaccino.

 

Lo spot dal titolo «The night is young» («La notte è giovane») è ambientato in una sorta di discoteca della terza età. Come protagonisti vediamo vecchietti scatenati che ballano a ritmo di You make me feel. Nel finale la scena si sposta in spiaggia dove gli impavidi, dopo i festeggiamenti, si tuffano in mare per il bagno di mezzanotte

 

Il tutto si conclude con la sibillina frase «The night belongs to the vaccinated. Time to join them» («La notte appartiene ai vaccinati. È ora di unirsi a loro»).

 

In questo spot di propaganda sfacciata, il vaccino viene spacciato per un siero di felicità, un elisir di eterna giovinezza che aprirebbe le porte ad un fantomatico divertimento, anzi, più tecnicamente ad una forma di «libertà» esclusiva, riservata agli eletti obbedienti, dalla quale i non vaccinati sono esclusi

In questo spot di propaganda sfacciata, il vaccino viene spacciato per un siero di felicità, un elisir di eterna giovinezza che aprirebbe le porte ad un fantomatico divertimento, anzi, più tecnicamente ad una forma di «libertà» esclusiva, riservata agli eletti obbedienti, dalla quale i non vaccinati sono esclusi.

 

Ci chiediamo, visto che riportiamo i casi di reazioni avverse mortali da un bel po’ (ricordiamo come in Norvegia, vista la strage di vaccinati nelle Case di Riposo, hanno parlato addirittura della possibile correlazione) quanti di questi vecchietti rampanti in realtà vedono vedere l’alba del giorno dopo, come nella réclame? La risposta possiamo darla noi: meno del 100%. Qualcuno, dopo la punturina, magari muore.

 

In quel caso diciamo che la notte non è giovane: la notte è eterna.

 

Colpisce come la classe manageriale del grande marchio possa aver accettato una simile proposta, che pensiamo non possa che essere venuta da pubblicitari  (il tocco lo si riconosce). Non capiamo davvero, perché la birra è un prodotto mass market, e il marchio non dovrebbe avere interesse ad alienarsi i clienti «vaccino-esitanti» (come si dice oggi), i quali, ricordiamolo, potrebbero essere una percentuale a doppia cifra.

Colpisce come la classe manageriale del grande marchio possa aver accettato una simile proposta, che pensiamo non possa che essere venuta da pubblicitari  (il tocco lo si riconosce). Non capiamo davvero, perché la birra è un prodotto mass market, e il marchio non dovrebbe avere interesse ad alienarsi i clienti «vaccino-esitanti» (come si dice oggi), i quali, ricordiamolo, potrebbero essere una percentuale a doppia cifra

 

Quindi, perché molestarli? Perché perdere clienti? La risposta sta nell’insipienza conformista dei pubblicitari, che negli ultimi anni (altro che provocazioni…) sono divenuti maggiordomi del potere costituito più ancora degli intellettuali. Cosa aspettarsi da loro? Il loro conformismo è visibile ad occhio nudo (avete presente il taglio di capelli, l’occhiale spesso, baffetto e barbetta, ciabatta firmata, abbonamento a Repubblica o a Internazionale – se leggessero) e già lo avevamo visto all’opera in un inspiegabile campagna pubblicitaria di tre anni fa. A

 

All’altezza del governo Salvini-Di Maio, un brand di succhi dell’Alto-Adige cominciò a canzonare pesantemente il reddito di cittadinanza, proponendo il «succhino di cittadinanza» a chi rispondeva su una pagina web a delle domande concepite platealmente per prendere per i fondelli l’elettore M5S (in una delle domande, se ricordiamo bene, si parlava anche di terrapiattismo). Chi sui social protestava veniva ulteriormente canzonato dal social media manager.

 

Renovatio 21, che è contraria al reddito di cittadinanza ed ancora più contraria al M5S, rimase interdetto. Chi ha concepito una simile idea di marketing suicida? Come possono pensare che le persone contro cui i pubblicitari fanno propaganda politica molesta tornino ad acquistare i loro prodotti?

 

Su Renovatio 21 abbiamo discusso varie volte del fenomeno di sacrificio demografico dei social: Facebook e Twitter, che censurano un segmento non indifferente dei loro utenti scontentandoli, hanno probabilmente in mente di farne a meno – facendo due calcoli, possono continuare ad esistere e prosperare sedendo unicamente sull’utenza bovina, quella che vota Biden e PD e non si pone problemi di alcun tipo (il vaccino fa veramente bene? La Cina è un Paese amico? etc.)

Chi ha concepito una simile idea di marketing suicida? Come possono pensare che le persone contro cui i pubblicitari fanno propaganda politica molesta tornino ad acquistare i loro prodotti? Una manovra senza cervello, un marketing che, al contrario, impoverisce: del resto, una società di poveri dementi è quello a cui si vogliono conformare.

 

Abbiamo il dubbio che i pubblicitari che ci alienano per sempre l’acquisto di certi succhi e certe birre questo calcolo da guerra civile non sanno nemmeno cosa sia – e abbiamo certezza che non lo possono fare, perché queste operazioni altro non possono fare che far perdere clienti.

 

Una manovra senza cervello, un marketing che, al contrario, impoverisce: del resto, una società di poveri dementi è quello a cui si vogliono conformare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Economia

Le Filippine approvano una nuova criptovaluta per agevolare le rimesse dall’estero

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

La Banca Centrale delle Filippine ha dato l’approvazione per il lancio di PHPC, una stablecoin agganciata al peso filippino in modo da ridurne la volatilità. La piattaforma Coins.ph punta a raggiungere tra i 20 e i 30mila utenti nel primo mese. Sono circa 10 milioni i lavoratori all’estero che con la nuova moneta digitale sperano di abbattere i costi di transazione.

 

Le Filippine hanno approvato l’emissione di un nuovo tipo di criptovaluta, una stablecoin (letteralmente: «moneta stabile») chiamata PHPC che sarà ancorata al peso filippino. Una risorsa che potrebbe abbattere i costi di transazione nell’invio delle rimesse da parte dei filippini che vivono all’estero.

 

A differenza delle criptovalute «tradizionali», infatti, il valore delle stablecoin è legato a quello di un asset di riserva stabile. In questo modo la volatilità è ridotta, o meglio, è più prevedibile e misurabile. (…)

 

Dopo aver ricevuto il via libera dalla Bangko Sentral ng Pilipinas – la Banca centrale – la principale piattaforma di blockchain del sud-est asiatico, Coins.ph, ha annunciato di essere pronta a emettere la criptovaluta PHPC entro l’inizio di giugno per provare a raggiungere, nel primo mese, dai 20 ai 30mila utenti.

 

Uno degli utilizzi principali per cui è stata pensata la nuova moneta digitale è l’invio di rimesse da parte dei filippini che vivono all’estero, pari a circa 10 milioni in tutto il mondo. Rispetto agli altri canali, come le banche o i cosiddetti «pera padala», enti finanziari locali, l’invio di rimesse tramite criptovalute è più economico e disponibile 24 ore su 24.

 

La diaspora filippina ha finora utilizzato le stablecoin agganciate al dollaro statunitense, dovendo quindi pagare una serie di tariffe per la conversione in pesos. Con la PHPC questi costi di transazione verrebbero eliminati: «il parente che riceve il denaro non dovrà più convertire i dollari in pesos», ha commentato Wei Zhou, amministratore delegato di Coins.ph, spiegando che da circa un anno il progetto era in discussione con la Banca centrale delle Filippine.

 

Zhou ha aggiunto che la nuova stablecoin delle Filippine verrà resa disponibile anche in altri exchange di criptovalute (le piattaforme online per il trading), in modo che diventi accessibili anche su altri mercati e permetta l’invio di rimesse da tutto il mondo.

 

«Si può immaginare che se la PHPC è quotata sui nostri exchange di criptovalute partner, ad esempio in Australia, o a Singapore, o negli Stati Uniti, allora i nostri familiari e possono acquistare la PHPC e inviarla direttamente ai portafogli di Coins.ph», ha commentato Zhou.

 

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Immagine di jopetsy via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Alimentazione

La sinistra tedesca vuole un tetto massimo per il prezzo del kebab

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Die Linke, il partito della sinistra tedesca ha proposto allo Stato di sovvenzionare i kebab con quasi 4 miliardi di euro all’anno. Negli ultimi anni l’inflazione e l’aumento dei costi energetici hanno quasi raddoppiato il prezzo dello popolare panino turco. Sono i grandi temi della sinistra moderna.   In un documento politico visionato dal tabloid tedesco Bild e riportato domenica, Die Linke ha proposto di limitare il prezzo di un doner kebab a 4,90 euro o 2,50 euro per studenti, giovani e persone a basso reddito. Con un costo medio di un kebabbo pari a 7,90 euro, il resto del conto sarà a carico del governo, si legge nel documento.   «Un limite di prezzo per il kebab aiuta i consumatori e i proprietari dei negozi di kebab. Se lo Stato aggiungesse tre euro per ogni kebab, il prezzo massimo del kebab costerebbe quasi quattro miliardi», scrive il partito sul giornale, spiegando che ogni anno in Germania si consumano circa 1,3 miliardi di kebabbi.   «Quando i giovani chiedono: Olaf, riduci il kebab, non è uno scherzo su Internet, ma un serio grido d’aiuto», ha detto alla Bild la dirigente del partito di sinistra Kathi Gebel, riferendosi al cancelliere tedesco Olaf Scholz. «Lo Stato deve intervenire affinché il cibo non diventi un bene di lusso».   Introdotto in Germania dagli immigrati turchi negli anni ’70, il doner kebab è diventato in pratica la forma di fast food preferito dalla nazione già teutonica, tracimando anche nel resto d’Europa, come in Italia, dove più che turchi i kebabbari sono nordafricani o talvolta pakistani.

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Tuttavia, mentre Die Linke descrive il panino con l’agnello carico di salsa come un alimento base quotidiano per alcune famiglie, la maggior parte dei medici e dei nutrizionisti ne consiglierebbe il consumo solo come spuntino occasionale.   Uno studio scozzese del 2009 ha rilevato che il doner kebab medio conteneva il 98% dell’assunzione giornaliera raccomandata di sale di un adulto e il 150% dell’assunzione raccomandata di grassi saturi, scrive RT.   Per anni in Germania il prezzo di un doner kebab si è aggirato intorno ai 4 euro. Tuttavia, l’aumento dei costi energetici e l’inflazione che hanno seguito la decisione di Scholz di mettere l’embargo sui combustibili fossili russi hanno costretto i venditori ad aumentare i prezzi.   «Siamo stati costretti ad aumentare i prezzi a causa dell’esplosione dei prezzi degli affitti, dell’energia e dei prodotti alimentari», ha detto al giornale britannico Guardian un gestore di uno stand di kebabbi a Berlino. «La gente ci parla continuamente di “Donerflazione”, come se li stessimo prendendo in giro, ma è completamente fuori dal nostro controllo».   Molti tedeschi accusano lo Scholz di averli privati ​​della kebbaberia a buon mercato, una catastrofe che li spinge verso prospettive di pacifismo sul fronte russo. «Pago otto euro per un doner», ha urlato un manifestante a Scholz nel 2022, prima di implorare il cancelliere di «parlare con Putin, vorrei pagare quattro euro per un doner, per favore».   «È sorprendente che ovunque vada, soprattutto tra i giovani, mi venga chiesto se non dovrebbe esserci un limite di prezzo per il doner», ha osservato lo Scholzo in un recente video su Instagram. Tuttavia, il cancelliere ha escluso una simile mossa, elogiando invece il «buon lavoro della Banca Centrale Europea» nel presumibilmente tenere l’inflazione sotto controllo.   Kebabbari, kebabbani e kebabbati non sono gli unici tedeschi a soffrire sotto Scholz. Il mese scorso, il più grande produttore di acciaio tedesco, Thyssenkrupp, ha annunciato «una sostanziale riduzione della produzione» nel suo stabilimento di Duisburg, licenziando 13.000 dipendenti. L’azienda ha attribuito il calo di produttività agli «alti costi energetici e alle rigide norme sulla riduzione delle emissioni».   Meno di una settimana dopo l’annuncio dei tagli da parte della Thyssenkrupp, il Fondo monetario internazionale ha rivisto le prospettive di crescita economica della Germania dallo 0,5% allo 0,2% quest’anno. Secondo i dati, nel 2024 la Germania dovrebbe registrare la crescita più debole tra tutti gli stati appartenenti al gruppo G7 dei paesi industrializzati.   Riguardo al kebab, da decenni circola tra i giovani tedeschi la leggenda metropolitana secondo la quale in un singolo panino kebap sarebbe stata rivenuta una quantità di sperma da uomini differenti, a indicazione, secondo il significato certamente xenofobo della storia, del disprezzo degli immigrati per i cittadini tedeschi.

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Economia

La Turchia sospende ogni commercio con Israele

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Il governo turco ha sospeso tutti gli scambi con Israele in risposta alla guerra di Gaza, ha dichiarato il Ministero del Commercio di Ankara in una dichiarazione pubblicata giovedì sui social media.

 

La Turchia è stato uno dei critici più feroci di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. La sospensione di tutte le operazioni di esportazione e importazione è stata introdotta in risposta all’«aggressione dello Stato ebraico contro la Palestina in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani», si legge nella dichiarazione.

 

Ankara attuerà rigorosamente le nuove misure finché Israele non consentirà un flusso ininterrotto e sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, aggiunge il documento.

 

Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di ostacolare la consegna degli aiuti nell’enclave. I funzionari turchi si coordineranno con l’Autorità Palestinese per garantire che i palestinesi non siano colpiti dalla sospensione del commercio, ha affermato il ministero.

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La sospensione totale fa seguito alle restrizioni imposte il mese scorso da Ankara sulle esportazioni verso Israele di 54 categorie di prodotti tra cui materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia aveva precedentemente smesso di inviare a Israele qualsiasi merce che potesse essere utilizzata per scopi militari.

 

Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti.

 

In risposta alle ultime restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la leadership turca di «ignorare gli accordi commerciali internazionali». Giovedì il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X che «bloccando i porti per le importazioni e le esportazioni israeliane», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si stava comportando come un «dittatore». Israele cercherà di «creare alternative» per il commercio con la Turchia, concentrandosi sulla «produzione locale e sulle importazioni da altri Paesi», ha aggiunto il Katz.

 

 

Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».

 

Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UEa Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».

 

Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.

 

Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza.

 

Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas.

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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported 

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