Cina
Xi Jinping «piange» la scomparsa di Abe, ma a Pechino è più probabile si festeggi
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Con le sue posizioni, soprattutto sulla difesa di Taiwan, l’ex premier era visto come un avversario dai cinesi. L’India perde un alleato nella costruzione di un fronte anti-cinese. Anche i russi non possono essere così dispiaciuti. Per il sud-est asiatico, Abe era un promotore del multilateralismo regionale.
Insieme agli altri leader mondiali, il presidente cinese Xi Jinping ha offerto le proprie condoglianze per l’assassinio dell’ex premier nipponico Shinzo Abe. A Pechino è più probabile però che si festeggi la scomparsa di uno statista che ormai era percepito come un avversario, se non un nemico.
Un nazionalista che voleva cambiare la Costituzione pacifista del Giappone, eredità della Seconda Guerra Mondiale, Abe ha tentato di migliorare i rapporti con la Cina, ma in larga parte la sua politica estera è stata una sfida all’ascesa geopolitica del dragone cinese.
Il governo taiwanese lo sa bene, ed è a Taipei dove il rammarico per la morte del politico nipponico è più forte. Dopo le sue dimissioni da premier nel 2020, l’opposizione di Abe alle mire della Cina su Taiwan si è accentuata. Abe ha invocato un aumento del budget nazionale per la difesa fino al 2% del PIL anche per dissuadere la Cina dall’usare la forza contro Taiwan.
Secondo l’ex primo ministro di Tokyo, gli Usa dovrebbero rivedere la propria «ambiguità strategica» verso Taipei e chiarire il proprio impegno per la difesa dell’isola. Di recente Abe ha ricordato che un eventuale attacco cinese agli USA durante una crisi lungo lo Stretto di Taiwan potrebbe rappresentare una «minaccia esistenziale» per il Giappone. In tal caso Tokyo dovrebbe esercitare il diritto di «autodifesa collettiva» – adottato dal suo governo nel 2015 – e intervenire in quanto alleato di Washington.
A Pechino ricordano bene anche che Abe è stato un fautore del rilancio del Quad (Quadrilateral Security Dialogue), un forum di discussione tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India che la leadership cinese vede come l’embrione di una NATO asiatica. Grazie al Quad, Abe e il premier indiano Narendra Modi hanno cementato ancor di più i rapporti tra i loro Paesi in chiave anti-cinese.
Tutto ciò senza dimenticare la diatriba sulla sovranità delle Senkaku/Diaoyu nel Mar Cinese orientale, isole amministrate dal Giappone, ma che la Cina rivendica come proprie: nei fatti una potenziale miccia per un futuro scontro militare tra i due Paesi.
Nonostante il dispiacere espresso pubblicamente da Vladimir Putin, anche al Cremlino devono avere la percezione di aver guadagnato qualcosa dalla scomparsa di Abe. Il defunto leader nipponico era un fautore della linea dura contro l’invasione russa dell’Ucraina e usava la questione per promuovere il rafforzamento militare del Giappone.
È da ricordare che Mosca e Tokyo non hanno mai trovato un accordo sulle isole Curili, che la Russia amministra, ma che il Giappone rivendica in parte.
Nei Paesi del sud-est asiatico la sensazione è con ogni probabilità di segno opposto: quella di avere perso un punto di riferimento. Abe ha promosso sforzi multilaterali per avvicinare le economie dell’Asia-Pacifico.
Egli ha rilanciato – con successo – la Trans-Pacific Partnership (TPP) voluta dall’ex presidente Usa Barack Obama, l’accordo di libero scambio che doveva contrastare l’avanzata cinese, poi abbandonato da Trump.
Dal 2018 è in vigore una versione del patto senza l’adesione di Washington, la Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTPP), di cui fanno parte Giappone, Australia, Brunei, Canada, Cile, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam.
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Immagine di 内閣官房内閣広報室 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0); immagine modificata
Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
Il dipartimento della Difesa statunitense ha reso noto di aver autorizzato la prima cessione di armamenti a Taiwan dall’insediamento del presidente Donald Trump a gennaio. Pechino, che rivendica l’isola autonoma come porzione del proprio territorio, ha tacciato l’iniziativa come un attentato alla sua sovranità.
Il contratto in esame prevede che Taipei investa 330 milioni di dollari per acquisire ricambi destinati agli aeromobili di produzione americana in dotazione, come indicato giovedì in un comunicato del Dipartimento della Difesa degli USA.
Tale approvvigionamento dovrebbe consentire a Formosa di «preservare l’operatività della propria squadriglia di F-16, C-130» e altri velivoli, come precisato nel documento.
La portavoce dell’ufficio presidenziale taiwanese, Karen Kuo, ha salutato la decisione con favore, definendola «un pilastro essenziale per la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica» e sottolineando il rafforzamento del sodalizio di sicurezza tra Taiwan e Stati Uniti.
Secondo il ministero della Difesa di Taipei, l’erogazione dei componenti aeronautici americani «diverrà operativa» entro trenta giorni.
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Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso in un briefing il «profondo rammarico e l’opposizione» di Pechino alle forniture belliche USA a Taiwano, che – a suo dire – contrastano con gli interessi di sicurezza nazionali cinesi e «inviano un messaggio fuorviante alle frange separatiste pro-indipendenza taiwanesi».
La vicenda di Taiwan costituisce «la linea rossa imprescindibile nei rapporti sino-americani», ha ammonito Lin.
Formalmente, Washington aderisce alla politica della «Cina unica», sostenendo che Taiwan – che esercita de facto l’autogoverno dal 1949 senza mai proclamare esplicitamente la separazione da Pechino – rappresenti un’inalienabile componente della nazione.
Ciononostante, gli USA intrattengono scambi con le autorità di Taipei e si sono impegnati a tutelarla militarmente in caso di scontro con la madrepatria.
La Cina ha reiterato che aspira a una «riunificazione pacifica» con Taiwan, ma non ha escluso il ricorso alle armi se l’isola dichiarasse formalmente l’indipendenza.
A settembre, il Washington Post aveva rivelato che Trump aveva bloccato un’intesa sulle armi da 400 milioni di dollari con Taipei in vista del suo colloquio con l’omologo Xi Jinpingo.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del mese, in un’intervista al programma CBS 60 Minutes, Trump aveva riferito che i dialoghi con Xi, tenutisi a fine ottobre in Corea del Sud, si sono concentrati sul commercio, mentre la questione taiwanese «non è stata toccata».
In settimana la neopremier nipponica Sanae Takaichi aveva suscitato le ire di Pechino parlando di un impegno delle Forze di Autodifesa di Tokyo in caso di invasione di Taiwano.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
Apple elimina le app di incontri gay dal mercato cinese
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Cina
Test dimostrano che i veicoli elettrici possono essere manipolati a distanza da un produttore cinese
I test di sicurezza sui trasporti pubblici in Norvegia hanno rivelato che i produttori cinesi possono accedere e controllare a distanza gli autobus elettrici.
Una compagnia di autobus norvegese ha condotto dei test segreti confrontando autobus realizzati da produttori europei e cinesi per scoprire se i veicoli rappresentassero una minaccia per la sicurezza informatica.
Non sono stati segnalati problemi con l’autobus europeo, ma si è scoperto che il veicolo cinese, prodotto da un’azienda chiamata Yutong, poteva essere manipolato a distanza dal produttore.
Questa manipolazione includeva la possibilità di accedere al software, alla diagnostica e al sistema di batterie dell’autobus. Il produttore cinese aveva la possibilità di fermare o immobilizzare il veicolo.
Arild Tjomsland, un accademico che ha collaborato ai test, ha sottolineato i rischi: «l’autobus cinese può essere fermato, spento o ricevere aggiornamenti che possono distruggere la tecnologia di cui l’autobus ha bisogno per funzionare normalmente».
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Tjomsland ha poi aggiunto che, sebbene gli hacker o i fornitori non siano in grado di guidare gli autobus, la capacità di fermarli potrebbe essere utilizzata per interrompere le operazioni o per esercitare un’influenza sul governo norvegese durante una crisi.
Le preoccupazioni sui veicoli cinesi sono diffuse. I think tank hanno lanciato l’allarme: i veicoli elettrici potrebbero essere facilmente «armati» da Pechino.
Le aziende cinesi hanno testato su strada i loro veicoli negli Stati Uniti, raccogliendo dati, tra cui roadmap, che gli esperti ritengono potrebbero rivelarsi di utilità strategica.
I risultati dei test sono stati ora trasmessi ai funzionari del ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni in Norvegia.
La militarizzazione dei prodotti cinesi importati in gran copia non riguarda solo le auto.
Come riportato da Renovatio 21, mesi fa è emerso che sono stati trovati dispositivi «non autorizzati» trovati nascosti nei pannelli solari cinesi che potrebbero «distruggere la rete elettrica».
Una trasmissione giornalistica italiana aveva dimostrato che nottetempo le telecamere cinesi usate persino nei ministeri italiani inviavano dati a server della Repubblica Popolare.
Il lettore di Renovatio 21, ricorderà tutta la querelle attorno al decreto del governo Conte bis, in piena pandemia, chiamato «Cura Italia» (da noi ribattezzato più onestamente «Cina Italia»), che in bozza conteneva concessioni a produttori di IT di 5G cinesi come Huawei che, secondo alcuni, mettevano a rischio la sicurezza del nostro Paese e del blocco cui è affiliato.
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