Cina
Xi ha esortato l’esercito cinese a prepararsi per una guerra con l’Occidente «in declino»

Il presidente cinese Xi Jinping ha detto ai leader militari in una riunione nel 2020 che con il suo Paese «in ascesa» e l’Occidente «in declino», Pechino doveva prepararsi per una guerra tra entrambe le parti, secondo quanto riportato lunedì dal giapponese Kyodo News.
Citando i documenti di un incontro del dicembre 2020 tra Xi e la Commissione militare centrale del Partito Comunista Cinese, l’organo di stampa giapponese ha affermato che Xi ha dichiarato che «l’Oriente sta crescendo e l’Occidente sta diminuendo».
In mezzo a questo mutevole equilibrio di potere, Xi ha predetto che un conflitto localizzato potrebbe scoppiare e allargarsi, anche se presumibilmente ha escluso la possibilità di una Terza Guerra Mondiale. Non è chiaro dove Xi abbia visto l’origine di un tale conflitto, ma Kyodo News ha suggerito di vedere Taiwan come un probabile punto critico.
Secondo quanto riferito, i documenti sono stati scritti dopo l’incontro del 2020 e consegnati ai comandanti cinesi e ai funzionari del partito la scorsa estate. A quel punto, la Russia stava combattendo quella che il presidente Vladimir Putin ha definito «l’intera macchina militare occidentale» in Ucraina, e le tensioni tra Stati Uniti e Cina su Taiwan avevano raggiunto un punto di ebollizione a causa della ripetuta insistenza del presidente degli Stati Uniti Joe Biden sul fatto che avrebbe difeso con la forza militare l’isola rivendicata dai cinesi.
Al momento dell’incontro di Xi, mancava ancora più di un anno all’operazione militare della Russia in Ucraina, e sebbene l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump stesse conducendo una guerra commerciale contro Pechino, le relazioni tra le due superpotenze non avevano ancora raggiunto il punto più basso che avrebbero raggiunto sotto l’amministrazione Biden.
Indipendentemente da ciò, secondo quanto riferito, Xi ha sottolineato la necessità per l’esercito cinese di «prepararsi allo scoppio di una guerra e alle sue reazioni a catena» e ha ordinato ai comandanti di «essere costantemente pronti a combattere» per difendere la sovranità e l’interesse nazionale della Cina.
I commenti di Xi sono avvenuti a porte chiuse, ma il leader cinese fa spesso dichiarazioni simili in pubblico. Ha incaricato le truppe di «rafforzare in modo completo l’addestramento militare in preparazione alla guerra» durante una visita a un centro di comando lo scorso anno, e ad aprile ha detto ai soldati di concentrare il loro addestramento sul «combattimento reale» in difesa della «sovranità territoriale e degli interessi marittimi» della Cina.
Sebbene Xi abbia anche definito l’Occidente «in declino» in precedenza, durante l’incontro del 2020 avrebbe avvertito che il suo vantaggio militare «rimane sostanzialmente invariato».
L’anno scorso Xi Jinping, indossando una simbolica giacchetta alla Mao, aveva annunciato solennemente nel suo discorso per il centenario del Partito Comunista Cinese la volontà di «riunificare» la Cina, cioè invadere quella che definisce una «provincia ribelle». Le tensioni nell’area riguarderebbero ovviamente anche il Giappone, il cui ingresso nella «NATO cibernetica» ha profondamente contrariato la Cina. Il Giappone, con gli USA, starebbe accumulando missili nelle isole meridionali in previsione del conflitto.
L’attacco a Formosa da parte di Pechino sarebbe il colpo di grazia per l’economia mondiale, che è totalmente dipendente dalla manifattura dei microchip made in Taiwan. Ciò è definito lo «scudo dei microchip»: fino a che Taipei avrà la primazia sui microprocessori, sarebbe improbabile un attacco della Cina, che spingerebbe gli USA, che dipendono grandemente dai chip cinesi, ad intervenire.
La preparazione al conflitto parrebbe investire ambo i lati dell’Oceano, sia militarmente che politicamente. Il Taiwan Policy Act approvato dalla commissione per le relazioni estere del Senato USA l’anno scorso pare una legge in preparazione alla guerra contro la Cina.
Un altro Paese che si sta preparando per la guerra totale con Pechino è l’Australia, Paese con cui il Dragone ha continue frizioni diplomatiche e con cui si consumano provocazioni militari. Gli australiani stanno preparando sciami di microdroni suicidi per contrastare un’invasione dell’Esercito di Liberazione del Popolo; a sua volta Pechino – che vuole implementare militarmente robot killer già nel prossimo conflitto – ha inaugurato per il Pacifico un catamarano portaerei di soli droni. Un senatore australiano è arrivato a preconizzare una guerra tra USA e Cina entro il 2025.
Il vicedirettore della CIA David Cohen aveva affermato che Xi lancerà l’annessione di Taiwan entro il 2027, data condivisa dall’importante accademico cinese Jin Canrong. I Taiwanesi, a loro volta, anticipano di due anni la previsione di tale evento.
Come riportato da Renovatio 21, il blocco sul silicio imposto da Biden in queste settimane è considerabile sostanzialmente come un atto di guerra economica.
Considerando, tuttavia, i legami occulti di possibile corrutela tra il clan Biden e Pechino (e forsanche lo stesso giro di Xi) – di cui il presidente USA è considerato una marionetta – la tensione Washington-Pechino potrebbe essere, in fondo, un’immane, crudele scenata, che pure potrebbe portare ad un conflitto a bassa intensità – chi ricorda la guerra in Kosovo magari non ricorda che fu fatta nei giorni dello scandalo Lewinsky, cui i bombardamenti NATO-USA tolsero pressione su Clinton.
Immagine di UN Geneva via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)
Cina
La Cina espelle 9 generali di alto rango, tra cui due dirigenti del Partito Comunista, in una purga radicale

In una delle più significative operazioni di epurazione degli ultimi decenni, il presidente cinese Xi Jinping ha avviato una nuova ondata di licenziamenti ai vertici delle forze armate. Il Partito Comunista Cinese (PCC) ha infatti espulso nove generali di alto rango, in quella che gli analisti definiscono una mossa dettata non solo da motivazioni disciplinari, ma anche da logiche di lealtà politica.
Secondo una dichiarazione del ministero della Difesa pechinese, i nove ufficiali sarebbero sotto inchiesta per «grave illecito finanziario». A rendere il caso ancora più insolito è il fatto che la maggior parte di loro erano generali a tre stelle e membri del potente Comitato Centrale del Partito.
Non si è trattato di semplici retrocessioni: la maggior parte dei militari è stata completamente espulsa dalle forze armate. Nella nota ufficiale, il ministero ha accusato i generali di aver «gravemente violato la disciplina di partito» e di essere «sospettati di gravi reati connessi al servizio, che coinvolgevano una quantità di denaro estremamente elevata, di natura estremamente grave e con conseguenze estremamente dannose».
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Le autorità cinesi hanno sottolineato che gli ufficiali «saranno puniti legalmente e militarmente» a seguito dell’indagine, definita «un risultato significativo nella campagna anticorruzione del partito e dell’esercito».
La figura più illustre tra gli epurati è il generale He Weidong, fino a poco tempo fa vicepresidente della Commissione Militare Centrale (CMC) e membro del Politburo, l’élite di 24 dirigenti che guidano il Paese. He era considerato il secondo uomo più potente dell’apparato militare dopo Xi Jinping stesso, che presiede la CMC.
Negli ultimi mesi si erano diffuse voci secondo cui il generale He si fosse scontrato con Xi e con la leadership del Partito. Da marzo, infatti, non era più apparso in pubblico, circostanza che aveva alimentato le speculazioni su una possibile inchiesta interna.
Secondo il Wall Street Journal «il generale He è l’ufficiale militare in servizio attivo più anziano che Xi abbia mai epurato, e il primo vicepresidente in carica della Commissione Militare Centrale a essere estromesso in quasi quarant’anni». Il quotidiano statunitense ricorda inoltre che il 68enne He è «il primo membro in carica del Politburo a essere indagato dal 2017».
L’ultima volta che la Cina aveva assistito a un’epurazione di vertici militari di simile livello risale a circa un decennio fa, quando furono espulsi due vicepresidenti in pensione della CMC per corruzione, durante il primo mandato di Xi Jinping.
Segnali di una possibile purga erano già emersi a luglio, quando la Commissione Militare Centrale aveva emanato nuove linee guida che invitavano a eliminare «l’influenza tossica» nelle forze armate e a seguire «regole ferree» per gli ufficiali di alto grado.
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I nove ufficiali epurati sono He Weidong (vicepresidente della Commissione Militare Centrale, CMC); Miao Hua (direttore del dipartimento di Lavoro Politico del CMCM), He Hongjun (vicedirettore esecutivo del Dipartimento di Lavoro Politico del CMC); Wang Xiubin (vicedirettore esecutivo del Centro di Comando delle Operazioni Congiunte del CMC; Lin Xiangyang (comandante del Teatro Orientale); Qin Shutong (commissario politico dell’Esercito); Yuan Huazhi (commissario politico della Marina); Wang Houbin (Comandante delle Forze Missilistiche); Wang Chunning (comandante della Forza di Polizia Armata).
Secondo osservatori interni, potrebbero esserci ulteriori epurazioni nelle prossime settimane. I licenziamenti, infatti, sono stati annunciati alla vigilia del conclave annuale a porte chiuse del Comitato Centrale del Partito Comunista, in programma dal 20 al 23 ottobre a Pechino, durante il quale si discuterà il prossimo piano quinquennale.
Wen-Ti Sung, analista del Global China Hub dell’Atlantic Council, ha commentato la notizia ai media statunitensi affermando: «Xi sta sicuramente facendo pulizia. La rimozione formale di He e Miao significa che potrà nominare nuovi membri della Commissione Militare Centrale, che è rimasta praticamente mezza vuota da marzo, durante il Plenum».
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Immagine di China News Service via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported
Cina
Trump: «gli Stati Uniti sono in guerra commerciale con la Cina». E spinge l’UE a imporre dazi del 500% su Pechino

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Cina
Pechino dichiara guerra al fumo

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La Cina è il primo produttore e consumatore di tabacco, con 300 milioni di fumatori e oltre un milione di morti l’anno. Decine di divisioni provinciali hanno già stretto le norme e il piano «Healthy China 2030» punta a ridurre al 20% i fumatori adulti. Shanghai da mesi sta sperimentano i divieti anche all’aperto in aree sensibili. Intanto cresce l’attivismo civico e anche gli studenti spingono per campus liberi da fumatori.
In Cina è guerra aperta contro il vizio del fumo. Si tratta di un problema molto serio per un Paese considerato il maggiore produttore e consumatore di tabacco al mondo, con oltre 300 milioni di fumatori e più di un milione di persone che muoiono ogni anno per malattie legate ad esso.
Già nella prima metà dello scorso anno, 24 divisioni provinciali avevano introdotto normative locali per contrastare il consumo di tabacco. Mentre da tempo è in vigore l’iniziativa nazionale «Healthy China 2030», che mira a ridurre al 20% la percentuale dei fumatori dai 15 anni in su entro il 2030.
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Pioniera nel controllo del tabacco in Cina è stata la città di Shanghai, avendo istituito per prima il divieto di fumo nei locali pubblici al chiuso nel 2010. Da allora chiunque venga sorpreso accendersi una sigaretta all’interno di ambienti come scuole, ospedali, mezzi pubblici e ristoranti, riceverà prima un avvertimento e poi una multa da 50 a 200 yuan (da 6 a 24 euro circa), in caso di resistenza.
Nel tentativo di compiere un ulteriore sforzo per ridurre la dipendenza da tabacco, a marzo di quest’anno la città ha lanciato un programma pilota per combattere il fumo anche negli spazi pubblici all’aperto. Secondo le linee guida pubblicate dalle autorità locali, siti turistici, scuole, ristoranti e bar in tutta la città sono tenuti ad apporre cartelli antifumo nelle aree di attesa e a formare il personale per scoraggiare il vizio. I cittadini possono segnalare le violazioni chiamando un numero verde governativo. I trasgressori individuali rischiano multe fino a 200 yuan (circa 24 euro), mentre i locali possono essere multati fino a 30.000 yuan (circa 3.600 euro).
L’iniziativa sembra essere stata molto apprezzata dai residenti. Rispondendo a un sondaggio condotto dagli enti di regolamentazione sanitaria della città, oltre il 90% degli intervistati ha ammesso di non tollerare di essere costantemente esposto al fumo passivo mentre cammina per strada.
Tra di loro vi è anche Zhang Yu, impiegato finanziario di professione e fervente influencer antifumo. Alcuni video apparsi sui social media cinesi mostrano Zhang mentre affronta con modi gentili ma decisi coloro che violano il divieto di fumo nei centri commerciali, nei condomini, negli ospedali e in altri spazi pubblici di Shanghai, esortandoli a «spegnere la sigaretta o andarsene».
«Fumare è una questione molto personale, ma quando danneggia gli altri, diventa una cosa davvero brutta», ha dichiarato a Sixth Tone. Ha aggiunto, inoltre, che la maggior parte dei suoi interventi si risolve senza grossi intoppi e che solo in rari casi, trovandosi di fronte a dei fumatori ostinati, è stato costretto a chiamare la polizia. Sui social il sostegno a Zhang è pressoché unanime: in molti dichiarano di aver iniziato a seguire il suo esempio e lo incoraggiano a «continuare così».
Tra le fila dei paladini antifumo vi è anche Xu Lihong, operatrice sanitaria 26enne di Chengdu con oltre 5.600 follower su Xiaohongshu. «Non chiediamo ai fumatori di smettere definitivamente, ma crediamo che la libertà di fumare non debba andare a discapito del diritto altrui a evitare il fumo passivo», ha affermato Xu, autoproclamandosi «ambasciatrice del controllo del tabacco».
Per rendere più efficaci le misure antifumo nella sua città, l’attivista suggerisce di distinguere in modo inequivocabile le aree dove è consentito fumare da quelle dove invece non lo è. Ha notato infatti che quando i cartelli che indicano il divieto sono chiaramente visibili, le persone sono molto più propense ad accondiscendere ai suoi richiami.
Secondo Xu, inoltre, le sanzioni previste per chi viola la normativa sono troppo blande e per questo inefficaci. Nonostante le difficoltà, la giovane è ferma nel suo impegno e ha costruito una rete con altri attivisti antifumo per condividere esperienze e offrire supporto. «Spero in un futuro in cui tutti gli spazi pubblici siano liberi dal fumo passivo», ha affermato.
Zhang Ruicong, studentessa universitaria della provincia dello Zhejiang, ha raccontato di essere stata aggredita verbalmente dopo aver chiesto a una persona di smettere di fumare su una scala mobile della stazione ferroviaria. Le è capitato anche di vedere diversi uomini in un ristorante che continuavano a fumare accanto a dei bambini, nonostante i ripetuti solleciti a smettere.«Molte persone considerano il fumo una cosa normale o temono di causare problemi parlandone», ha affermato, sottolineando i radicati atteggiamenti sociali in Cina nei confronti di questa abitudine. Ha aggiunto che persino sua madre considera la sua posizione «estrema».
Nonostante tutto la giovane resta ottimista. Crede che a guidare il cambiamento su questo tema siano soprattutto le giovani generazioni e, citando la campagna «campus senza fumo» della sua università, ha ribadito come secondo lei «gli studenti siano catalizzatori del progresso sociale».
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Il cambiamento di atteggiamento nei confronti del fumo si riflette anche nella cultura popolare. Recentemente, diversi comici hanno incorporato una sorta di «propaganda antifumo» nei loro spettacoli, incontrando il favore del pubblico a livello nazionale.
Particolarmente indicativa è una vicenda accaduta lo scorso agosto a Shaoxing, città natale di Lu Xun (1881-1936), uno dei principali intellettuali della Cina moderna. Un murale raffigurante il famoso scrittore che fuma, situato presso il memoriale a lui dedicato, è stato al centro di un acceso dibattito dopo la denuncia di un visitatore, preoccupato per l’influenza negativa che l’immagine avrebbe potuto avere sui giovani. L’uomo, un certo Sun, non ha esitato a presentare un reclamo tramite la piattaforma governativa della provincia di Zhejiang, ritenendo che l’opera rischiava di rendere il fumo un’abitudine affascinante per gli adolescenti.
L’opinione pubblica si è quindi divisa tra i sostenitori di Sun, convinti che gli spazi pubblici dovrebbero evitare immagini che tendono a normalizzare il fumo, e i suoi oppositori, secondo cui rimuovere o apportare modifiche all’iconico ritratto avrebbe causato solo uno spreco di risorse pubbliche. Per questi ultimi, inoltre, agire in tal senso avrebbe significato compiere una distorsione storica, dal momento che all’epoca di Lu Xun il fumo non era considerato un vizio, né era condannato come un pericolo per la salute pubblica. Alla fine ha prevalso il secondo fronte: le autorità culturali locali hanno deciso di preservare il murale, in quanto ritenuto parte dell’immagine storica di Lu Xun.
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