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Civiltà

«Vediamo i sommi sacerdoti prostrarsi dinanzi agli idoli infernali del Nuovo Ordine Mondiale»: omelia di mons. Viganò nella Domenica di Pasqua

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Renovatio 21 pubblica l’omelia di monsignor Carlo Maria Viganò per la domenica di Pasqua 2024.

 

ADHUC TECUM SUM

Omelia nella Domenica di Pasqua

 

Resurrexi, et adhuc tecum sum.
Sono risorto, e sono ancora con te.

Salmo 138

 

Hæc dies, quam fecit dominus. Questo è il giorno che ha fatto il Signore. Sono le parole che la divina Liturgia ripeterà durante tutta l’Ottava di Pasqua, per celebrare la Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, trionfatore della morte. Permettetemi tuttavia di fare un passo indietro, al Sabato Santo, ossia al momento in cui le spoglie del Salvatore giacciono nel Sepolcro senza vita e la Sua anima scende negl’inferi per liberare dal Limbo coloro che morirono sotto l’Antica Legge aspettando il Messia promesso. 

 

Una settimana fa il Signore era acclamato Re d’Israele ed entrava trionfalmente in Gerusalemme. Pochi giorni dopo, appena celebrata la Pasqua ebraica, le guardie del tempio Lo arrestavano e con un processo farsa convincevano l’autorità imperiale a metterLo a morte per esserSi proclamato Dio.

 

Abbiamo accompagnato il Signore nel pretorio; abbiamo assistito alla fuga dei Discepoli, alla latitanza degli Apostoli, al rinnegamento di Pietro; Lo abbiamo visto flagellare e coronare di spine; Lo abbiamo visto esposto agli insulti e agli sputi della folla sobillata dal Sinedrio; Lo abbiamo seguito lungo la via che porta al Calvario; abbiamo contemplato la Sua crocifissione, ascoltato le Sue parole sulla Croce, udito il grido con cui spirava; abbiamo visto oscurarsi il cielo, tremare la terra, strapparsi il velo del Tempio; abbiamo pianto con le Pie Donne e San Giovanni la Sua Morte e la deposizione dalla Croce; abbiamo infine osservato la pietra sepolcrale chiudere la Sua tomba e la guarnigione delle guardie del tempio sorvegliare che nessuno vi si avvicinasse per rubarne il corpo e dire che Egli era risorto dai morti. Tutto era già scritto, profetato, annunciato.

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Le parole dei Profeti non erano bastate, nonostante esse annunciassero – insieme alla dolorosissima Passione del Salvatore – anche la Sua gloriosa Resurrezione. Sembrava tutto finito, tutto vano: le speranze di tre anni di ministero pubblico, di miracoli, di guarigioni sembravano dissolversi dinanzi alla cruda realtà di una morte tremenda e infame, con cui veniva a chiudersi definitivamente la vita del figlio di un falegname della Galilea. 

 

Questo è ciò che abbiamo dinanzi in questa fase cruciale della Storia dell’umanità: un mondo che per secoli ha costruito una civiltà – anzi: la civiltà – sulle parole di Cristo, riconoscendoLo Re come fece il popolo di Gerusalemme, e che nell’arco di qualche generazione Lo rinnega, Lo tortura, Lo uccide con il più infame dei supplizi e Lo vuole seppellire per sempre.

 

E se non siamo ancora giunti alla fine di questa passio Ecclesiæ – ossia al completamento della Passione di Cristo nelle Sue membra, il Corpo Mistico – sappiamo che questo è comunque ciò che presto accadrà, perché il servo non è superiore al padrone.

 

Il mondo contemporaneo ha assistito alle manovre del Sinedrio, che in tre secoli ha compiuto sulla Santa Chiesa ciò che in tre giorni aveva fatto al suo Fondatore; in quel Sinedrio abbiamo potuto annoverare non solo re e principi, ma anche sacerdoti e scribi, per i quali la Redenzione minacciava un’usurpazione ai danni di un popolo ingannato dai suoi stessi capi. Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia (Mt 27, 18). 

 

Noi stiamo osservando: increduli che tutto questo possa accadere di nuovo, questa volta coinvolgendo l’intero corpo ecclesiale e non solo il suo Capo divino.

 

Alcuni con il timore di vedere fallito un programma politico di rivolta, altri sgomenti e incapaci di comprendere come le parole del Signore possano realizzarsi, quando tutto lascia temere il peggio.

 

Alcuni si svelano nel loro considerare il Signore come un’opportunità per trarne un vantaggio personale e quindi pronti a tradirLo, altri continuano a credere, apparentemente contro ogni ragionevolezza. 

 

Vediamo i sommi sacerdoti inchinarsi al potere temporale, prostrarsi dinanzi agli idoli del globalismo e della Madre Terra – infernale simulacro del Nuovo Ordine Mondiale – per quello stesso terrore di vedersi sottrarre un potere usurpato, di essere scoperti nelle loro menzogne, nei loro inganni.

Tradimenti, fornicazioni, perversioni, omicidi, corruzione mettono a nudo un’intera classe politica e religiosa indegna e traditrice. E quello che gli scandali portano alla luce è ancora nulla rispetto a ciò che presto verremo a conoscere: l’orrore di un mondo sommerso, in cui coloro che dovrebbero esercitare l’autorità di Cristo Re nella sfera civile e di Cristo Pontefice in quella religiosa sono in realtà adoratori e servi del Nemico, né più né meno di ciò che erano i sacerdoti mostrati dal Signore al profeta Ezechiele (Ez 8), nascosti nei penetrali del Tempio e intenti ad adorare Baal.

 

Su di loro la collera di Dio si scatena mediante l’azione punitrice dei nemici: ieri Nabucodonosor o Antioco Epifane, Diocleziano o Giuliano l’Apostata; oggi le orde dell’Islam invasore, i Black Lives Matter, i seguaci dell’ideologia LGBTQ, i tiranni del Nuovo Ordine Mondiale e dell’OMS. E come i precursori dell’Anticristo hanno creduto di poter vincere Cristo e sono morti, così moriranno anche i servi dell’Anticristo e l’Anticristo stesso, sterminati dalla destra di Dio. 

 

Quanto sangue sparso! Quante vite innocenti stroncate, quante anime perdute per sempre, quanti Santi strappati al Cielo! Ma quanti Martiri silenziosi, quante conversioni sconosciute, quanto eroismo in tante persone senza nome. E tra costoro non possiamo non annoverare i Dottori della Chiesa – ossia quei Vescovi rimasti fedeli all’insegnamento del Signore – e i dottori del popolo, ossia quei campioni della Verità cattolica contro l’Anticristo. Sì, cari amici e fratelli, perché ci saranno anche loro: E i dottori del popolo illumineranno molta gente, e correranno incontro alla spada, e alle fiamme, e alla schiavitù, e allo spogliamento delle sostanze per molti giorni (Dan XI, 33).

 

Questo titolo di dottore, giusta ricompensa dell’ingegno unito al lavoro, lo Spirito Santo lo attribuisce egualmente, e con infinita giustizia, a poveri popolani che la grandezza della loro Fede ha trasformati in apostoli. Apostoli intrepidi delle Verità cristiane, essi le faranno risuonare nelle officine, nelle botteghe, nelle strade, per le campagne, su internet.

 

Anche l’Anticristo li avrà in odio, considerandoli come uno dei più grandi ostacoli all’instaurazione del suo regno tirannico e li perseguiterà ferocemente; perché proprio quando egli crederà di aver sotto controllo i pulpiti e i parlamenti, sarà anche grazie ad essi se la fiamma della Fede non si spegnerà e se il fuoco della Carità accenderà tanti cuori sino ad allora tiepidi.

 

Guardiamoci attorno: la furia montante di tanti crimini esecrandi e di tante menzogne sta svegliando molte anime, scuotendole dal loro torpore per farne anime eroiche pronte a combattere per il Signore.

 

E quanto più nelle ultime fasi, la battaglia si farà feroce e spietata, tanto più determinata e coraggiosa sarà la testimonianza di persone sconosciute e umili. 

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In questa grande Parasceve dell’umanità, che volge ormai al termine e prelude alla vittoria della Resurrezione, le grida oscene e le vili crudeltà della folla ci atterriscono e ci fanno pensare che tutto sia perduto, specialmente nel contemplare quanti Hosanna si sono mutati in Crucifige.

 

Ma così non è, cari fratelli!

 

Al contrario: se siamo giunti al Venerdì di Passione, sappiamo che è imminente il silenzio del Sabato, che presto sarà squarciato dal suono non più delle campane a festa, ma dalle trombe del Giudizio, dal ritorno trionfale del Signore glorioso. 

 

A chi per primo si mostra il Salvatore risorto?

 

Non si mostra a Erode, né a Caifa, né a Pilato, ai quali pure avrebbe potuto dare una bella lezione apparendo sfolgorante nella Sua veste candida come la neve.

 

Non si mostra agli Apostoli, fuggiti e ancora nascosti nel Cenacolo.

 

Non si mostra a Pietro, che ancora piange amaramente il suo rinnegamento.

 

Si mostra invece alla Maddalena, che inizialmente crede si tratti di un ortolano: a colei che la mentalità del mondo di allora avrebbe considerato insignificante, ma che era stata – con la Maria Santissima e le Pie Donne – ad accompagnare il Signore al Calvario, e che ora si preoccupava di lavarne e imbalsamarne il corpo.

 

Questa delicatezza del Redentore verso la Maddalena sia dunque una promessa per il giorno glorioso del Suo ritorno, quando saranno altri Cattolici senza nome, rimasti fedeli nell’ora della Passione, a meritare di veder sorgere ad Oriente il Sole di Giustizia che non conoscerà tramonto.

 

E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

31 Marzo 2024
Dominica Paschatis, in Resurrectione Domini

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Immagine: Jacopo Robusti detto Tintoretto (1518-1594), La resurrezione, Gallerie dell’Accademia, Venezia 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia 

 

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Civiltà

Charlie Kirk e la barbarie social

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Charlie Kirk è stato brutalmente ammazzato durante uno dei suoi comizi in un campus universitario. Le immagini del momento in cui il proiettile gli ha perforato la gola hanno fatto il giro del mondo e sono raccapriccianti.   Questo assassinio porterà con sé implicazioni politiche enormi e imprevedibili. Kirk è uno dei principali artefici della vittoria elettorale di Trump, era in grado di spostare valanghe di voti perché in qualche suo modo calamitava e trascinava i più giovani, era un fenomeno generazionale imponente. Tant’è che la notizia dell’attentato ha colpito in primo luogo i ragazzi: i boomer delle colonie non lo conoscevano nemmeno, era fuori dal loro radar e lambiva solo tangenzialmente le loro stupide bolle algoritmiche.   Al di là di tutte le analisi che ora si ricameranno sul fatto, qui si vuole soltanto mettere in luce una cosa. Preme segnalare il punto di non ritorno a cui è giunta la fu-civiltà occidentale, intesa non nel senso dei Grandi Cattivi accomodati nella cabina di regia a godersi lo spettacolo di cui essi stessi muovono i fili, ma nel senso del resto del mondo: della moltitudine di comparse che quello spettacolo inscenano ogni giorno, per lo più inconsapevoli, obbedienti, passivi, acefali, rimbambiti.

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Tra loro, svettano sì gli scribacchini servi, coi loro inestirpabili automatismi verbali, che si precipitano a descrivere la vittima come putiniano, negazionista climatico, sostenitore della disinformazione sul COVID. Giusto per far intendere al lettore diffuso, già indottrinato a puntino, che quella fatta fuori, in fondo, non era una gran bella persona e dunque pazienza.   E il bravo cittadino progressista, russofobo, superinoculato, raccoglitore differenziato e guidatore di auto elettriche, recepisce la notizia e la archivia senza soverchi traumi.    Ma svettano ancor più quelli che si sentono in dovere di esprimere sui social la propria esultanza, protetti dallo scudo dell’anonimato di qualche nickname improbabile. Sono parecchi gli ellegibittì a fare festa, anche perché guarda caso la pallottola è andata a segno proprio quando Kirk aveva appena finito di rispondere a una domanda sugli stragisti trans.   Subito dietro, i pro-pal pavloviani, che saltellano felici per la morte violenta di un filoisraeliano. Ce ne sono tanti, tantissimi, a commentare in modo indicibile. Da quello che «uno sporco sionista in meno, avanti così»; a quell’altro che si guarderebbe «all’infinito in loop il video dell’attentato». Fino alla maestrina finto-moderata che spiega come Kirk ritenesse che i bambini palestinesi sono massacrati da Hamas e che Israele ha il diritto di difendersi. E dunque – ipertesto – tutto sommato questa morte ci sta, a parziale compensazione della strage della Striscia.    Ecco emergere dall’etere il sottoprodotto deteriore della polarizzazione ideologica indotta. Scatta in automatico la furia disumana e codarda dei tastieranti compulsivi, parassiti attempati con voluttà di orrore praticato per interposta persona. Schiumano rabbia e se ne vantano, sghignazzano e gioiscono alla vista di un giovane uomo che muore. Nessuna differenza dai soldati israeliani che riprendono le torture ai palestinesi e gli spari alla folla, e ridono roboticamente dei propri misfatti.   Tutto questo fa veramente orrore. Vedere i pochi secondi in cui da un ragazzo, padre di famiglia, fluisce via la vita, senza scampo, in un fiotto inarrestabile di sangue, evoca alla mente la morte di Ettore, colpito alla gola, «mortalissima parte», dalla lancia di Achille.   Ma lì c’era il combattimento, il corpo a corpo della battaglia finale tra uomo e uomo narrata dal bardo antico e tramandata ai posteri con la forza didascalica dell’epos: qui, nella confusione ormai piena tra il virtuale e il reale, il vile attacco a una persona inerme schizza in mondovisione come un qualsiasi trailer hollywoodiano.   E, barbarie nella barbarie, quell’atto infame scatena l’esaltazione isterica dei belluini sedentari, pronti ad applaudire la soppressione di un proprio simile che non la pensa come loro. Homo homini lupus, i barbari del terzo millennio vogliono così, sostenuti dalla potenza di fuoco dell’intermediario informatico che sa moltiplicare all’infinito e senza rete l’ebbrezza della ferocia più abietta e sanguinaria.

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La sparata assassina non la fai più al bar, dove qualcuno ti vede in faccia, la butti in pasto al popolo smanettatore e perdigiorno, e ti godi l’approvazione dei compagni d’asilo e del suo gestore, che ti premia perché la violenza tira.   Sarebbero dunque questi, i saggissimi antisistema? Quelli che dovrebbero insegnare alle nuove generazioni a pensare con la propria testa e a vivere da persone libere?   Sono relitti senza pietas, senza onore, senza dignità. Liquidatori delle ultime vestigia di una civiltà.    L’assassinio di Charlie Kirk sta aprendo un altro abisso di male, e di vergogna. Forse era proprio quello l’intento di chi lo ha voluto.   Elisabetta Frezza

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic  
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Civiltà

La Civiltà è amare i nostri nonni

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Francesco Rondolini è collaboratore e «complice» di Renovatio 21 da tantissimi anni. Francesco in questi giorni ha perso la nonna – a lui vanno le nostre più sentite condoglianze. Ci ha mandato questo testo sull’importanza dei nostri vecchi. Lo ripubblichiamo pensando a quanto sia vero, e giusto: il valore dei nonni – loro che hanno curato noi, noi che ora curiamo loro – non va dimenticato. Mai. Perché la Civiltà stessa dipende dall’amore che abbiamo per loro, e loro per noi.

 

Da sempre ho vissuto con i nonni e i genitori accompagnandoli fino all’ultimo giorno nelle loro rispettive sofferenze. Oggi siamo rimasti io e mia mamma.

 

Mia nonna, ultima rimasta, all’alba dei quasi cento anni se n’è andata serenamente. D’ora in poi mancherà quella routine giornaliera fatta di faccende domestiche in compagnia dei miei cari fino all’ultimo dei loro giorni, di concerto con il mio lavoro. Accudire e coccolare una persona anziana e bisognosa, è stato un privilegio raro che mi obbliga a ringraziare Dio ogni giorno per il miracolo che mi ha concesso di poterci convivere per oltre quarant’anni.

 

Un tempo speso per accumulare tradizione, sapienza, affetto, amore, coccole, gioie, ma anche dolori e difficoltà. La missione che mi sono trovato è stata senza apparente scelta: rimanere al fianco delle persone a me più care.

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Dopo la perdita di mia nonna, molte cose sono cambiate in un attimo, primo fra tutte, la fine di un’era della vita. Gli scherzi, i dialoghi mattutini dicendosi sempre le stesse cose, il prendersi cura, l’affetto reciproco, davano quello che è l’essenza stessa della vita, ossia la vicinanza sentimentale, la presenza, la condivisione di un qualcosa che con altri è impossibile condividere.

 

Una ricorrenza edificata dagli stessi gesti che dettano le giornate e danno un senso profondo alla quotidianità. Il valore prezioso dei nonni, tanto più se vivono nella stessa casa, è incommensurabile. La crescita, l’educazione impartita, in taluni casi persino il lavoro in condivisione, sono tasselli che si aggiungono ad una crescita formativa e spirituale.

 

In una società utilitaristica come quella in cui viviamo, troppe volte gli anziani appaiono come un peso, un ostacolo ai nostri desideri, un impiccio alla soddisfazione dei nostri effimeri egoismi. L’egoismo come ragion d’essere; «io voglio vivere la mia vita», «pretendo di vivere la mia vita», oscurati da qualsiasi afflato di bontà e carità verso il prossimo.

 

La disumanità che ci vede lasciare «i fragili» abbandonati a loro stessi, senza una telefonata, senza una visita, senza una carezza, senza una parola di conforto. Tutto questo in una società «moderna e inclusiva» è del tutto inaccettabile, ma evidentemente l’inclusività non deve ledere la mia libertà personale, le mie abitudini, la mia palestra, i miei aperitivi, le mie notti in discoteca, perché «ho bisogno dei miei spazi e devo godermi la vita».

 

L’effimero che sovrasta il sacrificio della sostanza, un vizio perverso di questo secolo.

 

Nella «demenza pandemica» dei distanziamenti sociali ci hanno detto che per preservare i nostri nonni dovevamo stargli lontano, isolarli, come dichiarò il capo della sanità dello Stato australiano del Queensland ha detto ai nonni di «non avvicinarsi ai propri nipoti».

 

Come aveva riportato questo sito, in Giappone uno studio accademico aveva registrato un omicidio ogni otto giorni, spesso accompagnato dal suicidio dal coniuge o del figlio che forniva assistenza domiciliare all’anziano. L’isolamento da COVID portò all’esplosione del problema. Il nodo della carenza di personale qualificato in grado di offrire sostegno, ha sottolineato la difficoltà nel reperire badanti o personale disposto ad aiutarci nella gestione dei nostri cari. 

 

 

 

Mi aveva impressionato, sempre su Renovatio 21, la storia di Yusuke Narita, assistente professore di economia a Yale , che ha lanciato una sua proposta per risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione giapponese: bassissimo tasso di nascite (come l’Italia) e il più alto debito pubblico nel mondo sviluppato portano il Paese alla prospettiva di non poter reggere il peso delle pensioni. «Sento che l’unica soluzione è abbastanza chiara. Alla fine, non può essere il suicidio di massa e il seppuku di massa degli anziani?»

 

Il Seppuku è un atto di sventramento rituale che era un codice tra i samurai disonorati nel XIX secolo. Per qualche ragione, in occidente lo chiamiamo harakiri, parola che è scritta con gli stessi ideogrammi ma è di letta in altro modo: il significato è lo stesso, il taglio della pancia, l’autosbudellamento rituale, quello che un po’ in tutto il mondo si conosce come peculiarità del Giappone con i suoi infiniti sensi del dovere.

 

Sempre qui abbiamo parlato degli abusi e delle violenze tanto che secondo una ricerca dell’Australian Institute of Family Studies (AIFS), quasi un anziano australiano su sei (14,8%) riferisce di aver subito abusi negli ultimi 12 mesi e solo circa un terzo di loro ha cercato aiuto.

 

L’utilitarismo nel tempo pandemico è arrivato al punto da sostenere che a fronte di un lieve aumento dei casi COVID, in Svizzera – in cui il suicidio assistito è cosa possibile – si tornò a parlare del protocollo medico per affrontare un eventuale sovraffollamento delle terapie intensive. Tale procedura avrebbe provveduto, in caso di scarsità di posti letto, che il medico competente poteva decidere di non accogliere «persone che avevano un’età superiore agli 85 anni» e persone con un’età superiore ai 75 anni che presentavano una di queste patologie: cirrosi epatica, insufficienza renale cronica al 3º stadio, insufficienza cardiaca di classe NYHA superiore a 1 e un tempo di sopravvivenza stimato meno di 24 mesi.

 

La solitudine e l’abbandono degli anziani è un altro annoso problema. I dati ufficiali del governo canadese mostrano che circa la metà delle persone che non sono malati terminali, desideravano porre fine alla propria vita tramite il suicidio assistito di Stato

 

L’Europa, l’ex culla della civiltà e della cristianità, per bocca del presidente del più grande fondo sanitario belga, Christian Mutualities (CM), ha chiesto una soluzione radicale al problema dell’invecchiamento della popolazione. Il politico Luc Van Gorp dichiarò ai media belgi che alle persone stanche della vita dovrebbe essere permesso di porvi fine.

 

La chiesa, la quale dovrebbe difendere e diffondere certi valori che inneggiano alla vita, spesso è assente e conforme allo spirito del tempo, anzi, a volte pare complice di certe «pratiche necroculturali» tanto che il Vaticano sembra aver spalancato definitivamente le porte all’eutanasia.

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Fortunatamente non tutti i porporati sono silenti su tali argomenti. L’arcivescovo Nikola Eterovic, nunzio apostolico in Germania, ha messo in guardia dal «suicidio» dell’Europa dovuto alla promozione dell’aborto, dell’eutanasia e dell’ideologia di genere. Monsignor Eterovic ha lanciato l’allarme durante un sermone nel suo paese d’origine, la Croazia, in merito alla grave crisi demografica che sta attraversando la civiltà occidentale, aggiungendo che l’Europa è afflitta da una «Cultura della morte» dovuta all’aborto e all’eutanasia. Vede il crollo demografico nella maggior parte dei paesi europei come un «segno di suicidio».

 

«La morte, preceduta dai dolori della malattia e dagli spasimi dell’agonia, è la separazione dell’anima dal corpo. Con la morte cessa il tempo della prova e comincia l’eternità», ci ricorda il bellissimo catechismo di San Pio X.

 

La vita è anche sofferenza e dolore. Non lasciamo i nostri anziani nel dolore dell’animo e della solitudine, non macchiamoci del peccato dell’indifferenza e dell’abbandono.

 

Io, con la mia nonna, ho fatto quanto dovevo – e non è stato nemmeno un sacrificio. Perché, in ultima, è facile capirlo: la civiltà si fonda davvero sull’amore. Anche quello per i nostri nonni.

 

Francesco Rondolini

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Civiltà

Professore universitario mette in guardia dall’«imperialismo cristiano europeo» nello spazio

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La preside di scienze sociali della Wesleyan University Mary-Jane Rubenstein, una «filosofa della scienza e della religione» (che è anche affiliata al programma di studi femministi, di genere e sessualità della scuola), afferma di aver notato come «molti dei fattori che hanno guidato l’imperialismo cristiano europeo» siano stati utilizzati in «forme ad alta velocità e alta tecnologia».   La Rubenstein si chiede se «pratiche coloniali» come «lo sfruttamento delle risorse ambientali e la distruzione dei paesaggi», il tutto «in nome di ideali quali il destino, la civiltà e la salvezza dell’umanità», faranno parte dell’espansione dell’uomo nello spazio.   Lo sfruttamento degli altri corpi celesti, quantomeno nel nostro sistema solare, è stata considerata in quanto vi è una ragionevole certezza che su altri pianeti vicini non vi sia la vita, nemmeno a livello microbico. Quindi, che importanza ha se aiutiamo a salvare la Terra sfruttando Marte, Mercurio, la fascia degli asteroidi, per minerali e altre risorse?

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Rubenstein nota che il presidente della Mars Society Robert Zubrin ha sostenuto esattamente questo. In un editoriale del 2020, Zubrin ha attaccato un «manifesto» da un gruppo NASA DEI (diversità, equità e inclusione) che aveva sostenuto «dobbiamo lavorare attivamente per impedire l’estrazione capitalista su altri mondi».   Ciò «dimostra brillantemente come le ideologie responsabili della distruzione dell’istruzione universitaria in discipline umanistiche possano essere messe al lavoro per abortire anche l’esplorazione spaziale», ha scritto lo Zubrin.   Lo Zubrin ha osservato che poiché il gruppo DEI non ha alcun senso su base scientifica, deve ricorrere a «una combinazione di antico misticismo panteistico e pensiero socialista postmoderno» – come affermare che anche se non ci sono prove nemmeno dell’esistenza di microbi su pianeti come Marte, «danneggiarli sarebbe immorale quanto qualsiasi cosa sia stata fatta ai nativi americani o agli africani».   Tuttavia la Rubenstein afferma che varie credenze indigene «sono in netto contrasto con l’insistenza di molti nel settore sul fatto che lo spazio sia vuoto e inanimato».   Tra questi vi sono un gruppo di nativi australiani che affermano che i loro antenati «guidano la vita umana dalla loro casa nella galassia» (e che i satelliti artificiali sono un pericolo per questa «relazione»), gli Inuit che sostengono che i loro antenati vivono in realtà su “corpi celesti” e i Navajo che considerano sacra la luna terrestre.   «Gli appassionati laici dello spazio non hanno bisogno di accettare che lo spazio sia popolato, animato o sacro per trattarlo con la cura e il rispetto che le comunità indigene richiedono all’industria», afferma la Rubenstein.   In effetti, in una recensione del libro di Rubenstein Astrotopia: The Dangerous Religion of the Corporate Space Race, la testata progressista Vox ha osservato che «in effetti, alcuni credono che questi corpi celesti dovrebbero avere diritti fondamentali propri».   Quindi, l’ordine degli accademici è che gli esseri umani dessero priorità alle credenze dei nativi nell’esplorazione dello spazio rispetto a quelle dei cristiani europei?   Dovremmo rinunciare all’estrazione di minerali preziosi da asteroidi, comete e pianeti vicini, perché hanno tutti una sorta di Carta dei diritti «mistica panteistica»?   I limiti posti ai programmi di esplorazione spaziale sono da sempre legati a movimenti antiumanisti che odiano la civiltà – in una parola alla Cultura della Morte.

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Lo stesso Zubrin, ex dipendente NASA frustrato dalla mancanza di un programma per la conquista di Marte e il suo terraforming, ne ha scritto in libri fondamentali come Merchants of Dispair (2013), dove spiega come la pseudoscienza e l’ambientalismo siano di fatto culti antiumani.   Lo Zubrin era animatore della Mars Society, un’associazione dedicata alla promozione dell’espansione su Marte, quando nei primi anni Duemila si presentò ad una serata del gruppo uno sconosciuto, che alla fine lasciò in donazione un assegno con una cifra inusitata per la Society, ben 5.000 dollari: si trattava di Elon Musk.   Il quale, marzianista convinto al punto da realizzare razzi che dice ci porteranno sul pianeta rosso tra quattro anni, è anche uno dei più accesi nemici del politicamente corretto, della cultura woke e soprattutto dell’antinatalismo, oltre che una persona che attivamente, negli anni – lo testimonia la sua costante attenzione per la storia della Roma antica – ha dimostrato di aver compreso il valore, e la fragilità, della civiltà umana.

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