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Cina

Spia russa: attacco all’Ucraina ha fermato invasione cinese di Taiwan

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.

 

 

 

Era prevista il prossimo autunno. Xi Jinping avrebbe bisogno di una «piccola vittoria» per assicurarsi il terzo mandato al potere. Taipei non può confermare l’autenticità del documento, che secondo un noto giornalista investigativo è però credibile. Dopo invasione dell’Ucraina, taiwanesi più pronti a combattere.

 

 

Xi Jinping progettava di invadere Taiwan il prossimo autunno, ma l’attacco della Russia all’Ucraina, e le difficoltà militari emerse dal campo di battaglia, avrebbero dissuaso il presidente cinese dal lanciare l’impresa. È quanto afferma Vladimir Osechkin, a capo del gruppo umanitario Gulag Net, citando fondi di intelligence russa di cui sarebbe entrato in possesso.

 

Su Facebook Osechkin ha pubblicato materiale datato 4 marzo che lui attribuisce a un’analista dell’FSB, i servizi segreti interni di Mosca.

 

Secondo il documento, Xi preparava la riconquista di Taiwan perché «ha bisogno della sua piccola vittoria per assicurarsi il terzo mandato» al potere. L’assalto all’isola era previsto alla vigilia del 20° Congresso del Partito comunista cinese per rafforzare la posizione di Xi, mentre all’interno della leadership cinese si consuma una «colossale» battaglia di potere.

 

Il presunto analista dell’intelligence russa sostiene che gli eventi in Ucraina «hanno chiuso la finestra di possibilità» per attaccare Taiwan.

 

Ciò avrebbe dato agli Stati Uniti l’opportunità di «ricattare Xi come di negoziare con i suoi avversari a termini vantaggiosi».

 

Secondo la spia di Mosca, l’invasione russa dell’Ucraina ha attivato un «meccanismo-trappola» per Pechino.

 

Sull’autenticità della fonte, in un post su Twitter il giornalista investigativo Christo Grozev scrive che due suoi contatti all’FSB hanno fornito una conferma: «Senza dubbio [il rapporto] è stato scritto da un collega».

 

Stamane il ministro taiwanese degli Esteri Joseph Wu ha detto che al momento non può confermare la veridicità della rivelazione, ma che Taipei sta monitorando con attenzione le mosse di Pechino.

 

In precedenza Wu ha dichiarato che il governo cinese guarda con attenzione a quello che sta accadendo in Ucraina, soprattutto alla risposta compatta dell’Occidente e ai problemi incontrati dai russi nella campagna militare.

 

Dopo il blitz armato della Russia in Ucraina, Taiwan ha alzato il livello d’allerta militare. In questi giorni sue unità navali compiono esercitazioni militari nelle acque dell’isola di Dongyin, a pochi km dalla provincia cinese del Fujian.

 

La Cina considera Taiwan una «provincia ribelle», e non ha mai escluso di riconquistarla con l’uso della forza. L’isola è di fatto indipendente da Pechino dal 1949; all’epoca i nazionalisti di Chiang Kai-shek vi hanno trovato rifugio dopo aver perso la guerra civile sul continente contro i comunisti, facendola diventare l’erede della Repubblica di Cina fondata nel 1912.

 

Dopo l’invasione dell’Ucraina, i taiwanesi si mostrano più disposti a combattere per difendere il proprio Paese da un attacco cinese.

 

Un sondaggio pubblicato ieri dalla Taiwan International Strategic Study Society rivela che il 70,2% degli intervistati è pronto a imbracciare le armi contro un’aggressione di Pechino: in un’indagine di dicembre era solo il 40,3%.

 

 

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Cina

I «10 comandamenti» di Pechino sulla morte e successione del Dalai Lama

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Vietate foto, immagini o attività che possano minare «l’unità nazionale» o promuovano una «ideologia separatista». Il governo cinese da tempo vuole controllare la scelta del futuro leader spirituale tibetano. In risposta, l’88enne Tenzin Gyatso fa sapere di godere di buona salute e voler «vivere per più di 100 anni». Il mistero irrisolto della sorte del Panchen Lama.

 

I 10 comandamenti di Pechino per la morte del Dalai Lama. Una lista di direttive emanate dalla leadership comunista cinese e indirizzata a monaci e abitanti della regione tibetana, in previsione del decesso della massima guida spirituale (e fra i nemici giurati del dragone).

 

Sono contenute in un cosiddetto «manuale di comportamento» che sta iniziando a circolare sulle chat e i social della Cina. Un vademecum di «cose da non fare», per soffocare sul nascere manifestazioni di dissenso – non sono rari i casi di auto-immolazioni di monaci e cittadini della regione come avvenuto anche nel recente passato – o manifestazioni di larga scala pro democrazia, diritti e libertà religiosa.

 

In caso di morte del Dalai Lama, dunque, i monaci buddisti non potranno mostrare foto o immagini del loro leader spirituale, così come – usando una definizione quantomeno vaga – non potranno svolgere «riti o attività religiose illegali».

 

A darne notizia è Radio Free Asia (RFA), che rilancia testimonianze interne al Tibet secondo le quali le autorità hanno distribuito questo «manuale di condotta» nei monasteri della provincia di Gansu, nel nord-ovest del Paese. Del decalogo di condotta ne parla anche l’ex prigioniero politico, ora in esilio, Golok Jigme il quale sottolinea che queste norme guardano anche oltre l’attuale leadership, perché mirano a “interrompere il processo di riconoscimento” della reincarnazione e futura guida.

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Il Dalai Lama e il dragone

La Cina, che ha annesso il Tibet nel 1951, governa la regione autonoma occidentale con il pugno di ferro e afferma che solo Pechino può scegliere il successore e prossimo leader spirituale dei buddisti tibetani, come stabilito dalle stesse leggi interne al Paese.

 

Di contro, i tibetani ritengono che sia lo stesso Dalai Lama a scegliere il corpo in cui reincarnarsi, processo che si è verificato 13 volte dal 1391 quando nasce la prima guida.

 

A inizio mese l’attuale leader, l’88enne Tenzin Gyatso si è rivolto a centinaia di fedeli che gli offrivano una preghiera di lunga vita dicendo di godere di buona salute e di essere «determinato a vivere per più di 100 anni». In più occasioni ha sottolineato che il successore – che i tibetani vogliono determinare per reincarnazione, come stabilisce la loro fede, mentre Pechino vuole controllare mediante selezione – sarebbe venuto da un Paese libero, senza interferenze cinesi.

 

Del resto egli stesso è dovuto fuggire dal Tibet durante la fallita rivolta del 1959 contro il dominio cinese e da allora vive in esilio a Dharamsala, in India, dove è diventato nel tempo il leader spirituale più longevo della storia della regione di origine.

 

Ad aprile, inoltre, secondo calendario dovrebbero ricorrere i 35 anni del «numero due» del buddismo tibetano, quel Panchen Lama rapito dalle autorità comuniste cinesi in Tibet quando era solo un bambino: Gedhun Choekyi Nyima fu catturato con la sua famiglia dalle autorità cinesi il 17 maggio 1995, tre giorni dopo essere stato riconosciuto come Panchen Lama dall’attuale Dalai Lama, Tenzin Gyatso.

 

Per il buddismo tibetano, il Panchen Lama è importante perché ha il compito di riconoscere la nuova rinascita del Dalai Lama, dopo la sua morte. Anche questo è un segno di come la Cina stia cercando di assicurarsi la scelta del prossimo Dalai Lama dopo la sua morte.

 

In risposta all’ingerenza di Pechino, Tenzin Gyatso in passato ha teorizzato che egli potrebbe essere l’ultimo Dalai Lama o la reincarnazione scelta da una sorta di «conclave» composto dai maggiori abati buddisti della diaspora.

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L’accusa di separatismo

Gruppi attivisti e ong pro-diritti umani affermano che il manuale, distribuito nella Prefettura autonoma tibetana di Kanlho, nella regione storica di Amdo, sarebbe solo l’ultimo sforzo di Pechino per reprimere la libertà religiosa del popolo tibetano. Inoltre, esso sarebbe «parte dei tentativi sistematici di rendere i buddisti tibetani più fedeli al Partito comunista cinese e alla sua agenda politica più che alla dottrina religiosa», come ha dichiarato Bhuchung Tsering capo dell’unità di ricerca e monitoraggio della Campagna Internazionale per il Tibet a Washington. «Questo – ha spiegato a RFA – va contro tutti i principi della libertà di religione del popolo tibetano, accettata a livello universale e che la Cina dice di sostenere».

 

La Cina ha imposto diverse misure per costringere i monasteri a sottostare ad una rieducazione politica e ha vietato severamente ai religiosi e alle persone comuni di avere contatti con lo stesso Dalai Lama o altri tibetani in esilio, che il dragone accusa apertamente di «separatismo».

 

Negli ultimi anni Pechino ha intensificato la repressione nella regione e in altre aree del Paese popolate da tibetani, come sta avvenendo nello Xinjiang con la minoranza musulmana uiguri. «Le ultime campagne governative contro il Dalai Lama e le pratiche religiose dei buddisti tibetani nella provincia di Gansu – dichiara Nury Turkel, della Commissione bipartisan USA per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) – rappresentano un altro tentativo del governo cinese di interferire nel processo di reincarnazione del Dalai Lama».

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La repressione cinese

Il manuale-decalogo intima ai monaci di evitare qualsiasi attività che possa minare l’unità nazionale, danneggiare la stabilità sociale in nome della religione o che possa implicare la collaborazione con gruppi separatisti al di fuori del Paese. Nessuna organizzazione o istituzione illegale potrà accedere ai monasteri e il sistema educativo dei monaci stessi dovrà evitare di accogliere o promuovere elementi che sostengono una «ideologia separatista».

 

Infine, le norme proibiscono anche la diffusione di «propaganda separatista» via radio, internet e televisione o con altri mezzi, e potranno punire ogni «inganno» sotto forma di frode, aperta o nascosta.

 

Golog Jigme, imprigionato nel 2008 e torturato dalle autorità cinesi per aver co-prodotto un documentario sulle ingiustizie subite dai tibetani sotto il dominio di Pechino accusa: «mentre il governo cinese mette in atto diverse attività di educazione politica e attività rivolte ai tibetani, l’obiettivo principale sembra essere quello di sradicare l’identità tibetana attraverso lo smantellamento della religione e della cultura».

 

Oggi egli vive in Svizzera, è un apprezzato attivista e si batte per far conoscere le violazioni ai diritti umani e alla libertà religiosa. Anche nelle province cinesi confinanti con il Tibet, in cui vi sono 10 prefetture autonome tibetane tra cui quelle di Gansu, Sichuan, Qinghai e Yunnan, dove vivono molti tibetani etnici.

 

La prefettura autonoma tibetana di Kanlho, nella provincia di Gansu, dove le autorità hanno distribuito i manuali, ospita circa 415mila tibetani che parlano il dialetto Amdo.

 

La provincia ha circa 200 monasteri grandi e piccoli sotto la sua amministrazione. Durante una visita a due contee della prefettura autonoma tibetana di Kanlho, a marzo, He Moubao, segretario del Comitato del Partito di Stato cinese, ha sottolineato la necessità per i tibetani di «sinicizzare» la religione e di attuare la politica del partito, avvertendo che i monaci «vanno guidati» in questo senso per «mantenere l’unità nazionale e la stabilità sociale».

 

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Cina, avvisi e blocchi online sui testi su Lutero e Calvino

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   La denuncia dell’ong evangelica China Aid: a un cristiano cinese che utilizzava il traduttore automatico per leggere informazioni sulla Riforma protestante è arrivato un duro avviso dell’ente per la gestione di internet sulla «necessità di adattare qualsiasi religione al socialismo cinese». Un volto digitale della repressione contro le «chiese domestiche» che non sottostanno al movimento patriottico.   Anche i sistemi on line di traduzione automatica in Cina stanno diventando una nuova frontiera della «sinicizzazione delle religioni», la politica nazionalista imposta da Xi Jinping. A rivelarlo è una denuncia rilanciata da China Aid, organizzazione evangelica attiva sul tema della libertà religiosa in Cina, con un’attenzione particolare alla dura repressione che colpisce le «chiese domestiche», cioè quelle comunità protestanti che non sottostanno alla politica imposta dal Movimento delle Tre Autonomie, l’organizzazione patriottica «ufficiale» controllata dal Partito comunista cinese.   In questi giorni China Aid ha raccontato la storia di un cristiano cinese che ha tentato di utilizzare un motore di ricerca online per tradurre contenuti relativi alla Riforma protestante, in particolare alle figure di Martin Lutero e Calvino. Ma ha ricevuto un avvertimento dall’organizzazione cinese per la gestione delle informazioni sulla rete Internet che lo informava che, quando si traduce un contenuto, bisogna attenersi ai valori fondamentali del socialismo.   «Quando traducono qualsiasi contenuto, i cinesi devono attenersi rigorosamente alle leggi e ai regolamenti nazionali, aderire ai valori socialisti fondamentali, diffondere attivamente l’energia positiva e salvaguardare la sicurezza culturale e ideologica del Paese. Per quanto riguarda i contenuti religiosi, dobbiamo sostenere uno spirito e un atteggiamento scientifico, rispettare la storia e la libertà di credo in contesti culturali diversi».

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«Allo stesso tempo – si legge ancora nell’avvertimento – dobbiamo anche riconoscere con sobrietà che qualsiasi religione deve adattarsi alla società socialista cinese. In Cina, incoraggiamo i gruppi religiosi e i credenti ad amare il proprio Paese e la propria religione, a guidare attivamente le religioni ad adattarsi alla società socialista e a contribuire alla promozione dell’armonia sociale, dell’unità nazionale e della prosperità culturale».   Va sottolineato che il contenuto che il cristiano cercava di tradurre non riguardava affatto questioni legate alla sicurezza nazionale. Si trattava semplicemente di un testo su Martin Lutero (1483-1546), che ne ripercorreva i dubbi personali e le lotte spirituali che portarono a invocare la riforma della Chiesa cattolica, fino ad arrivare alle sue famose tesi. Sembra quindi che il semplice uso di parole come «sfida», «lotta», «riforma» e «autonomia» in un passaggio relativamente breve abbia fatto scattare l’allarme rosso delle parole sensibili negli strumenti di traduzione cinesi.   Inoltre «ci sono tre interi capitoli relativi a Calvino che non possono essere tradotti, con un avviso di rischio di contenuto», ha riferito ancora il cristiano citato da China Aid, il cui nome è stato omesso per evidenti ragioni di sicurezza. In questo caso il sistema ha bloccato completamente la traduzione del contenuto, mostrando un messaggio che diceva: «Errore: Impossibile recuperare i dati dall’interfaccia del motore di traduzione». Anche in questo caso il contenuto della traduzione in questione riguardava una presentazione della vita di Calvino.   In Cina diversi pastori delle «chiese domestiche» che aderiscono alle comunità della Riforma sono attualmente detenuti nelle carceri. Il caso più famoso è quello del pastore Wang Yi della Early Rain Covenant Church di Chengdu, arrestato nel 2018 e condannato a nove anni di carcere.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Cina

La Svezia espelle una giornalista cinese

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La Svezia ha invocato motivi di sicurezza nazionale per deportare un cittadino cinese che viveva nel Paese da 20 anni, ha detto lunedì ai giornalisti il ​​suo avvocato.

 

La donna, 57 anni, lavorava come giornalista e, secondo l’emittente pubblica svedese SVT, avrebbe avuto contatti con l’ambasciata cinese e con «persone legate al governo cinese».

 

«La polizia di sicurezza ha sostenuto che si può presumere che il mio cliente possa rappresentare una seria minaccia per la sicurezza», ha detto alla testata l’avvocato Leutrim Kadriu. «È difficile per me entrare nei dettagli esatti, dato che molto è avvolto nel segreto, poiché si tratta di una questione di sicurezza nazionale».

 

La cliente di Kadriu è stata arrestata in ottobre e un tribunale ha ordinato la sua deportazione la settimana scorsa, ha detto all’emittente. L’Agenzia per l’Immigrazione e il Tribunale per l’Immigrazione concordano con il governo svedese nel ritenere che la donna costituisca un rischio per la sicurezza nazionale, anche se ha trascorso due decenni nel paese, ha sposato un uomo svedese e ha avuto figli con lui, ha aggiunto.

 

Il ministro della Giustizia Gunnar Strommer ha detto alla Reuters che la donna ha perso il suo appello contro la deportazione «ai sensi della legge sul controllo speciale di alcuni stranieri». Un portavoce del servizio di sicurezza svedese (SAPO) ha affermato che le sue azioni sono in linea con la missione dell’agenzia «proteggere la Svezia e la democrazia».

 

La giornalista cinese ha negato tutte le accuse e sostiene di non rappresentare una minaccia alla sicurezza.

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Secondo SVT, l’ambasciata cinese a Stoccolma avrebbe pagato la donna per alcuni articoli pubblicati sul suo sito web. Aveva anche ospitato funzionari e uomini d’affari cinesi in visita in Svezia e aveva cercato di organizzare incontri per loro con funzionari svedesi.

 

Commentando la controversia, l’ambasciata cinese ha affermato che Pechino ha sempre chiesto ai cittadini cinesi di rispettare le leggi e i regolamenti dei paesi ospitanti, aspettandosi che la Svezia «garantisca che i diritti e gli interessi legittimi dei cittadini cinesi in Svezia non vengano violati».

 

«Ci opponiamo a causare problemi diffondendo voci, ci opponiamo all’ideologizzazione, ci opponiamo ad accuse infondate e calunnie contro la Cina», ha aggiunto l’ambasciata.

 

I due Paesi hanno avuto negli ultimi anni vari episodi con tensioni diplomatiche anche gravi, con ampia probabilità a causa dell’appoggio di Stoccolma alla dissidenza cinese, come quella dei piccoli editori di Hong Kong che fino a pochi anni fa pubblicavano salaci resoconti riguardo la politica pechinese.

 

La politica di silenziamento della dissidenza nell’era Xi è arrivata senza problemi anche al rapimento al di fuori dei confini cinesi. Il fenomeno è stato chiamato Causeway Bay Disappeareance, dal nome della zona di Hong Kong dove i microscopici librai si concentravano.

 

Gui Minhai, editore, fu arrestato («rapito») nel gennaio 2018 sul treno per Pechino mentre era in compagnia di alcuni diplomatici di Stoccolma. Imprigionato chissà dove, l’editore rese una confessione e accusò la Svezia, suo Paese adottivo.

 

La Svezia ha abbandonato la sua politica di neutralità bicentenaria nel 2022, citando il conflitto in Ucraina come ragione per entrare nella NATO. È diventato membro del blocco militare guidato dagli Stati Uniti il ​​mese scorso, dopo aver subito ritardi dovuti a controversie politiche con la Turchia (il cui assenso potrebbe essere stato comprato con l’offerta a Erdogan da parte di Biden di 11 miliardi del FMI) e l’Ungheria.

 

Come riportato da Renovatio 21, la militarizzazione antirussa era già partita nelle isole baltiche svedesi subito dopo l’inizio dell’operazione militare speciale russa in Ucraina.

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Immagine di Andrzej Otrębski via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 

 

 

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