Politica
Prodi e i capelli della giornalista: il video definitivo. Perché questo nervosismo?

Un filmato andato in onda in TV ieri sera mostra come l’ex primo ministro italiano e presidente della Commissione Europea Romano Prodi abbia di fatto preso in mano una ciocca di capelli della giornalista Lavinia Orefici.
A mandarlo in onda è stata la trasmissione de La 7 Di Martedì – programma giornalistico che, come tutto quello che va in onda sul canale di Cairo, non è tacciabile di simpatie sovraniste. Presente in studio Massimo Giannini, il direttore de La Stampa elkanniana, coautore dell’ultimo libro di Prodi, a latere della cui presentazione è accaduto il fatto, cagionato da una domanda sul Manifesto di Ventotene.
Il video visto in precedenza aveva lasciato spazio a dubbi: la mano del professore emiliano andava fuori dall’inquadratura, quindi era possibile speculare sul gesto, oppure addirittura negare, come aveva fatto lo stesso Prodi, che aveva detto di averle messo una mano sulla spalla – già questo un gesto che, come abbiamo detto, oggi in vari contesti può essere visto come molto grave.
Ora non pare più possibile negare: le immagini sembrano parlare chiaro.
“Non le ho tirato i capelli, le ho solo messo una mano sulla spalla”.
Falso.
Quello delle sedute spiritiche.
Quello dell’IRI.
Quello dell’euro.
Sempre lui, Romano Prodi che mette le mani addosso ad una donna, una professionista, una giornalista, colpevole di avergli fatto una… pic.twitter.com/OoOPkAa8G0— Rossano Sasso (@roxsasso) March 25, 2025
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A nostro personale parere, non si tratta di un gesto particolarmente rilevante, anche se fatto con una certa aggressività. Tuttavia la Orefici se ne era detta «turbata». Secondo le logiche femministoidi filtrate nella sensibilità pubblica e nella giustizia, dal #MeToo alla legge sul femminicidio, è facile capire che i goscisti dovrebbe tirare fuori la parola «patriarcale» immantinente, e magari procedere pure ufficialmente.
Invece, commentatori di sinistra si sono precipitati a minimizzare o perfino a prendere in giro, dicendo che la giornalista non ha urlato dal dolore. La stessa ha dovuto poi difendersi dalle accusa sulla sua professionalità di giornalista, con insinuazioni rispetto al fatto che fosse una bugiarda.
Colpisce più che altro l’evidente menzogna della versione data subito da Prodi: dopo che era circolato il filmato, aveva dichiarato di averle messo la mano sulla spalla.
Poi si era sentito anche di canzonare l’accaduto: ad un altra presentazione di libro a Bologna a cui aveva partecipato successivamente era stato avvicinato da una giornalista che gli chiedeva della polemica in corso. «Figurati se parlo con una giornalista, dopo dicono che l’ho stuprata» aveva replicato Prodi. Una battuta, considerando la sensibilità della società sul tema femminile in questi anni, decisamente poco opportuna.
La bugia di #Prodi finisce così. Non solo ha scatenato le truppe #Pd, con la storiella che la #Orefici si fosse inventata la tirata dei capelli e che lui le ha solo toccato la spalla. Ma non si è degnato neppure di chiedere scusa del suo gesto irrispettoso, umiliante e molesto. pic.twitter.com/0waQd1Ywbe
— Rita Cavallaro (@Rita_Cavallaro) March 25, 2025
Non è chiaro perché Prodi abbia insistito così, specie considerando che il fatto con la Orefici era avvenuto dinanzi a un muro di giornalisti con telecamere e telefonini puntati: non è escluso che ora escano altri video, infatti.
Tuttavia, Renovatio 21 vuole ricordare, come già fatto, qualche retroscena rispetto al nervosismo di Prodi e di tutta la sinistra su Ventotene.
Secondo una ricostruzione de La Verità, il culto di Ventotene, e quindi di Altiero Spinelli, fu architettato da un’élite goscista che nei primi anni Duemila gestiva la comunicazione della UE. In cerca di «padri fondatori» per il blocco transnazionale, sarebbe stata avviata una «operazione Spinelli», con tanto di nuovo palazzo eurogovernativo dedicato (il «bâtiment Spinelli»), scartando invece le proposte di quanti puntavano su un riconoscimento come fondatore per Gaetano Martino (1900-1967), animatore dei Trattati di Roma (che hanno di fatto gettato le basi dell’Europa unita) epperò padre di un pluriministro berlusconiano, Antonio Martino (1942-2022).
Ora, non bisogna dimenticare chi era in quegli anni il presidente della Commissione Europea: sì, Romano Prodi. Cacciato dal colpo di palazzo di Bertinotti nel 1999 che portò al governo Massimo D’Alema (con il semaforo verde a NATO e USA di bombardare la Serbia partendo dalle nostre basi), si era riciclato immediatamente nello scranno più alto di Bruxelles.
Succede così, a Bruxelles: il nuovo segretario NATO (l’altra grande organizzazione con quartier generale nella capitale belga) Mark Rutte era appena stato defenestrato come premier in Olanda. L’attuale premier polacco Donald Tusk negli anni in cui al potere a Varsavia erano saliti i suoi avversari del partito PiS stava a Bruxelles come Presidente del Consiglio Europeo (2014-2019). E che dire dell’ex presidente del Partito Democratico Paolo Gentiloni Silverj: poco più di un anno dopo dal decadimento del suo mandato di presidente del consiglio dei ministri, con la sonora batosta «populista» ricevuta dal PD nelle elezioni del 2018, viene fatto Commissario europeo per gli affari economici e monetari. E via così…
Non abbiamo idea se il nervosismo di Prodi dipenda da dinamiche infra-bruxellite sconosciute al grande pubblico: tuttavia di Spinelli a Bruxelles il Prodi deve aver sentito parlare, visto che il bâtiment Altiero Spinelli – di solio accorciato in ASP – prese questo nome nel 1999, proprio l’anno in cui il professore era divenuto presidente della Commissione UE.
Al di là della polemica presente, sono tante le domande da porsi sulle dinamiche dentro ed intorno la grande macchina dell’Unione Europea che non conosciamo.
Alcuni fatti di corruzione conclamata, peraltro coinvolgenti personaggi della sinistra italiana, sono emersi in questi anni. Tuttavia, come ricordato da Renovatio 21, ad un livello più profondo si sono intraviste, negli anni, trame davvero oscure, tra massonerie (Bruxelles è considerata una della capitali di squadra e compasso) e storie indicibili.
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Un po’ di chiarezza sulla questione dei balneari

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Bolsonaro condannato per aver pianificato un colpo di Stato

La Corte Suprema brasiliana ha condannato l’ex presidente Jair Bolsonaro per aver tentato di ribaltare le elezioni del 2022, condannando il politico a una pena decennale per aver guidato quella che i pubblici ministeri hanno definito una «cospirazione criminale».
Quattro giudici su cinque della Corte Suprema hanno ritenuto Bolsonaro colpevole di tutti e cinque i capi d’accusa a suo carico, condannandolo a 27 anni e tre mesi di carcere.
Le accuse includevano la pianificazione di un colpo di stato, la partecipazione a un’organizzazione criminale armata, il tentativo di abolire con la forza l’ordine democratico del Brasile, il danneggiamento di proprietà pubbliche protette e il compimento di atti violenti contro le istituzioni statali.
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Bolsonaro ha cercato di «annientare i pilastri essenziali dello stato di diritto democratico» e di ripristinare «la dittatura in Brasile», ha affermato il giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes annunciando il verdetto giovedì.
Secondo i pubblici ministeri, il piano golpista è iniziato nel 2021 con l’intento di erodere la fiducia del pubblico nel sistema elettorale brasiliano. Dopo la sconfitta di Bolsonaro nel 2022, i suoi sostenitori sono stati esortati a mobilitarsi nella capitale, Brasilia, dove hanno assaltato e vandalizzato i tre rami del governo nazionale l’8 gennaio 2023.
Bolsonaro e gli altri imputati hanno negato ogni illecito e gli avvocati della difesa potrebbero ancora presentare ricorso.
Il caso ha acuito le tensioni con gli Stati Uniti, dopo che il presidente Donald Trump l’ha definito una «caccia alle streghe» e ha imposto dazi doganali del 50% al Brasile. L’amministrazione Trump ha anche sanzionato il giudice Alexandre de Moraes per quelle che ha descritto come «gravi violazioni dei diritti umani» e ha annunciato restrizioni sui visti nei suoi confronti e di altri funzionari giudiziari.
Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha condannato le tattiche di pressione di Trump, accusando Washington di aver «contribuito a organizzare un colpo di Stato» e giurando che il Brasile «non lo dimenticherà».
Bolsonaro era stato messo agli arresti domiciliari mesi fa.
Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa gli Stati Uniti hanno revocato il visto al De Moraes.
In un recente post su Truth Social, il presidente Trump ha affermato che il Brasile «sta facendo una cosa terribile» a Bolsonaro, a cui è stato vietato di candidarsi a cariche politiche fino al 2030 e che dovrà affrontare un processo alla Corte Suprema per il suo ruolo in un tentato colpo di Stato per rovesciare l’elezione di Lula, cosa che lui nega strenuamente.
Come riportato da Renovatio 21, il giudice supremo De Moraes è da sempre considerato acerrimo nemico dell’ex presidente Jair Bolsonaro, che lo ha accusato di ingerenze in manifestazioni oceaniche plurime. Ad alcuni sostenitori di Bolsonaro, va ricordato, sono stati congelati i conti bancari, mentre ad altri è stata imposta una vera e propria «rieducazione».
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Come riportato da Renovatio 21, di recente con De Moraes si era scontrato anche Elone Musk, quando il giudice supremo aveva ordinato il blocco dei conti finanziari di Starlink nel Paese, nel contesto di una faida in corso sulla piattaforma di social media X riguardante la libertà di parola: l’establishment brasiliano chiedeva la censura di determinate voci politiche, cosa che Musk si era rifiutato di fare.
Musk aveva reagito in modo duro nei suoi post sui social, tornando a paragonare De Moraes – di cui ha chiesto le dimissioni o la messa in stato di accusa – a Darth Vader e a Lord Voldemort, e pubblicando un’immagine generata artificialmente del giudice supremo in galera.
L’imprenditore sudafricano è arrivato a dire che il vero potere in Brasile è nelle mani di De Moraes, definito tiranno travestito da giudice, mentre il presidente Lula è solo il suo cane da salotto. «Alexandre de Moraes è un dittatore malvagio che fa cosplay come giudice» dichiarato il Musk.
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Immagine di Agenzia Senado via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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