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Protesta

«Ora leggi speciali come ai tempi delle BR»: il sindaco di Trieste contro i cortei no green pass

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«Farei come ai tempi delle Brigate Rosse: leggi speciali. Allora c’era l’emergenza terrorismo, oggi c’è la pandemia ma il periodo è sempre drammatico. A mali estremi, estremi rimedi».

 

A parlare è il neosindaco di Trieste Roberto Di Piazza intervistato sul Corriere della Sera del 9 novembre. Il giornalista gli aveva chiesto cosa farebbe qualora fosse lui al governo.

 

Il primo cittadino tergestino dice di riconoscere il diritto di manifestare «ma con dei limiti. E il limite maggiore è il diritto degli altri alla salute e al lavoro. E queste continue manifestazioni lo violano, come dimostra il focolaio fra i manifestanti».

«Farei come ai tempi delle Brigate Rosse: leggi speciali. Allora c’era l’emergenza terrorismo, oggi c’è la pandemia ma il periodo è sempre drammatico. A mali estremi, estremi rimedi

 

Quando gli viene detto che il governo starebbe studiando una stretta sui cortei, dice che «Se è davvero così stappo lo champagne».

 

Ricordiamo che il prefetto di Trieste aveva stabilito che fino al 31 dicembre si sarebbe stato divieto di manifestare in piazza Unità d’Italia, dove i manifestanti si incontravano spesso.

 

Di Piazza parla inoltre della «parte della città si sta ribellando: ci sono 60 mila firme favorevoli al green pass. Sono moltissime, è la stragrande maggioranza della gente: all’ultima manifestazione c’erano 8mila manifestanti». L’iniziativa è stata lanciata, fra gli altri, da organizzatori di un’importante manifestazione nautica triestina, la Barcolana, la cui edizione 2020 vide l’intervento del presidente della Regione Massimiliano Fedriga a chiudere i locali dalle 23:00 alle 5:00. «La scorsa notte nel centro di Trieste erano stati notati molti assembramenti nella “movida” legata alla famosa regata velica giuliana, che si disputa domani nelle acque antistanti la città» scrisse Il Messaggero sabato 10 ottobre 2020.

 

Tornando all’intervista sul Corsera, al giornalista che dice che il governo vuole consentire solo le manifestazioni statiche in un luogo definito, il Di Piazza risponde: «Magari, li metteremo tutti a Porto Vecchio, lontano da alberghi, ristoranti e negozi che in questo periodo stanno subendo danni enormi».

 

Bizzarro, la cosa ci ricorda che qualcuno, durante lo sgombro del porto di Trieste e il successivo concentramento della protesta in Piazza Unità d’Italia, voleva portare i manifestanti al porto vecchio.

 

Qualche lettore riesce a ricordarsi chi era?

 

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Protesta

Proteste davanti casa Netanyahu a Gerusalemme si trasformano in rivolte: le immagini

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I manifestanti si sono scontrati martedì sera con la polizia israeliana davanti alla casa del primo ministro dello Stato Ebraico Benjamin Netanyahu a Gerusalemme mentre chiedevano le sue dimissioni, secondo quanto riportato dai media.

 

Migliaia di manifestanti si sono radunati davanti al Parlamento israeliano, la Knesset, per esprimere la loro indignazione per la gestione della guerra a Gaza da parte di Netanyahu, che finora ha ucciso quasi 33.000 persone. Chiedevano il rilascio degli ostaggi e elezioni immediate.

 

La marcia è iniziata con una serie di discorsi tenuti dai familiari degli ostaggi tenuti da Hamas a Gaza, così come da attivisti antigovernativi e dall’ex primo ministro Ehud Barak, un critico accanito di Netanyahu.

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Il terzo giorno di una manifestazione antigovernativa durata quattro giorni è rapidamente precipitato nel caos mentre i manifestanti con le torce si sono diffusi nei quartieri di Gerusalemme, dirigendosi verso la residenza del primo ministro.

 

 

Migliaia di manifestanti hanno invaso le strade del ricco quartiere di Rehavia, dove vivono i Netanyahu, gridando slogan e chiedendo le sue dimissioni. Secondo i media locali, alcuni manifestanti avrebbero tentato di abbattere le barriere all’esterno.

 

Immagini della scena mostrano la polizia che caricava la folla per impedirgli di sfondare e usava idranti per disperdere i manifestanti, molti dei quali portavano bandiere israeliane. La polizia israeliana ha descritto questa fase della marcia come una «rivolta sfrenata».

 

 

 

 

 

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I manifestanti hanno accusato Netanyahu di aver tentato di utilizzare la guerra per prolungare la sua permanenza al potere, sostenendo che stava dando priorità alla sua sopravvivenza politica rispetto agli interessi più ampi del popolo israeliano. Hanno inoltre ritenuto il primo ministro responsabile dell’incapacità del suo governo di prevenire l’attacco del 7 ottobre guidato da Hamas.

 

Netanyahu è stato anche accusato di non aver fatto abbastanza per riportare a casa gli ostaggi tenuti da Hamas a Gaza.

 

Durante le proteste massive anti-Netanyahu di un anno fa – una vera rivolta, che anche allora gli circondò la casa, contro la riforma giudiziaria ad opera del governo più di destra e religiosamente estremista della storia dello Stato degli ebrei – circolò con insistenza la voce che vi fosse la mano americana dietro al caos. Trapelarono quindi, piuttosto oscuramente, documenti americani che indicavano nel Mossad la guida della protesta contro il governo in carica.

 

Come riportato da Renovatio 21, molti segni facevano proprio pensare che in Israele fosse in corso una «rivoluzione colorata» del tipo utilizzato dagli americani (con l’aiuto, in genere persistente, di George Soros e delle sue fondazioni «filantropiche») i per i tentativi di regime change in Paesi di tutto il mondo a cavallo tra gli anni Novanta e i 2000.

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Protesta

Gli agricoltori polacchi bloccano le strade verso Varsavia e i valichi di frontiera

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Ieri gli agricoltori polacchi hanno intensificato le proteste a livello nazionale, denunciando le politiche agricole dell’UE e il flusso di importazioni esentasse dall’Ucraina. Secondo quanto riportato dai media, decine di migliaia di lavoratori agricoli stanno bloccando le strade in diverse centinaia di località in tutto il Paese.   I manifestanti hanno bloccato le strade principali che portano fuori dalla capitale Varsavia con trattori e altre attrezzature agricole, hanno riferito numerose testate.   Sono state bloccate anche le strade che portano al confine tedesco-polacco. Le riprese della zona mostrano decine di veicoli parcheggiati sull’autostrada, bloccando il traffico.   La polizia è stata chiamata nei luoghi dove si sono radunati i manifestanti, ma finora non ci sono notizie di scontri.  

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Secondo quanto riportato dai media, gli agricoltori polacchi avrebbero pianificato un totale di oltre 500 blocchi stradali, promettendo di «paralizzare» il Paese. La polizia polacca ha dichiarato di essere a conoscenza di oltre 580 proteste previste per mercoledì e di aspettarsi la partecipazione di circa 70.000 persone.   Da settimane in Polonia e in altri stati dell’UE si verificano proteste da parte degli agricoltori. I manifestanti chiedono modifiche alle restrizioni imposte loro dalle politiche ambientali del blocco – il cosiddetto Green Deal – e la sospensione delle importazioni di prodotti agricoli dall’esterno del blocco, principalmente dall’Ucraina. Gli agricoltori lamentano di non essere in grado di competere con le importazioni ucraine a basso costo che stanno inondando i mercati dell’UE.   Nonostante le proteste degli agricoltori, mercoledì scorso Bruxelles ha raggiunto un accordo provvisorio per estendere l’accesso esentasse dell’Ucraina ai suoi mercati fino a giugno 2025. Tuttavia, l’accordo introduce un «freno di emergenza» sulle importazioni di pollame, uova, zucchero, avena, mais, semole e miele se superano i livelli medi del 2022 e del 2023.   I manifestanti polacchi si sono comunque opposti all’accordo, affermando che vogliono che il punto di riferimento per i limiti di importazione siano gli anni precedenti al conflitto in Ucraina, poiché i volumi erano molto più bassi Poi.   La scorsa settimana, i legislatori dell’UE hanno anche proposto di allentare alcune norme ambientali, come le misure relative alla rotazione delle colture, nel tentativo di arginare le proteste. Questo sarà uno degli argomenti di discussione dei ministri dell’Agricoltura degli Stati membri nel prossimo incontro del 26 marzo.   Come riportato da Renovatio 21, i vescovi polacchi si sono schierati con gli agricoltori. Nel mirino della protesta vi è apertamente l’Ucraina, testimoniando la tensione fra i due Paesi, difficilmente sanabile nonostante l’elezione a Varsavia di un governo filo-occidentale e quindi, teoricamente, filo-Kiev.   Sei mesi fa l’Ucraina aveva minacciato la Polonia per il blocco del grano. Al termine del discorso di Zelens’kyj alle Nazioni Unite, in cui alludeva molto criticamente a Varsavia, l’allora premier Mateusz Morawiecki aveva avvertito che non avrebbe tollerato più insulti.   Le tensioni tra i due Paesi hanno portato perfino alla convocazione degli ambasciatori.   Il ministero della Difesa polacco Wladyslav Kosiniak-Kamysz due settimane fa aveva detto che il Paese si rifiutava di inviare truppe in Ucraina.

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Protesta

I vescovi polacchi si schierano con gli agricoltori nella battaglia contro normative UE e importazioni dall’Ucraina

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La Conferenza episcopale cattolica polacca ha espresso solidarietà agli agricoltori polacchi irritati dal grano ucraino che ha inondato il mercato, facendo scendere i prezzi. Lo riporta LifeSiteNews.

 

L’arcivescovo Stanisław Gądecki, presidente della conferenza, ha dichiarato venerdì scorso che i vescovi «non possono essere indifferenti» alla difficile situazione dei contadini polacchi «ai quali dobbiamo tanto».

 

«Da un lato si parla di un flusso incontrollato di forniture alimentari dall’estero, con il quale gli agricoltori polacchi non possono competere in termini di prezzi», ha dichiarato Gądecki.

 

«Dall’altro, viene indicata la politica dell’UE, il cosiddetto Green Deal, che secondo l’opinione degli agricoltori mira a ridurre la produzione agricola nell’UE, o ad eliminarla quasi completamente. Di conseguenza, gli agricoltori si sentono minacciati – anche a causa dei prestiti contratti – dalla prospettiva del fallimento e della perdita delle loro aziende agricole, frutto di generazioni di lavoro. La loro drammatica situazione merita la nostra attenzione e la nostra solidarietà».

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Da quando la guerra in Ucraina si è intensificata due anni fa, la Polonia ha sostenuto, a livello di Stato, Chiesa e altre infrastrutture, nonché migliaia di singole famiglie polacche che sostengono i circa 19,6 milioni di rifugiati ucraini che hanno attraversato il loro paese. frontiere.

 

Tuttavia, tale generosità è stata messa alla prova dall’inondazione dei mercati europei con il grano ucraino, che viene coltivato con sostanze chimiche non consentite nelle aziende agricole dell’UE ma a cui sono state concesse concessioni da Bruxelles dopo l’attacco russo del febbraio 2022.

 

Diecimila agricoltori polacchi si sono riuniti venerdì scorso a Varsavia per protestare contro le normative UE e contro la mancanza di restrizioni sul grano ucraino.

 

Secondo il blog di notizie Notes from Polonia, un funzionario ucraino ha dichiarato che quattro treni carichi di generi alimentari provenienti dall’Ucraina sono stati sabotati mentre attraversavano la Polonia. Ciò che è indiscutibile è che gli agricoltori polacchi bloccano il confine con l’Ucraina e anche il confine con la Slovacchia per impedire l’ingresso dei prodotti alimentari ucraini dal sud in Polonia.

 

Ma non sono gli ucraini assediati a trarre profitto dalle spese degli agricoltori polacchi, bensì gli oligarchi e le imprese straniere, soprattutto, come ha menzionato l’arcivescovo Gądecki, i sindacati occidentali.

 

«Sebbene il grano provenga dall’Ucraina, in gran parte non è prodotto dai singoli agricoltori ucraini ma è di proprietà di sindacati occidentali che utilizzano nella produzione sostanze chimiche non consentite dall’Unione Europea», ha affermato.

 

Gądecki ha sottolineato l’importanza della campagna polacca e della proprietà della propria terra per l’identità polacca rendendo omaggio ai contadini delle generazioni passate, ricordando quando – armati di nulla nelle loro falci – si sollevarono per combattere per la libertà polacca.

 

Il prelato ha ricordato ai suoi lettori il motto dei vecchi agricoltori – «Noi nutriamo e proteggiamo» – riconoscendo che le pratiche agricole stanno cambiando, ma ha affermato che «ogni giorno abbiamo bisogno di mangiare» e che «non possiamo rimanere indifferenti al dramma degli agricoltori ai quali dobbiamo così tanto».

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«Chiedo a tutti di pregare per le intenzioni dei contadini e delle loro famiglie, così come per le intenzioni della nostra Patria», ha concluso.

 

Come riportato da Renovatio 21, nelle ultime due settimane le proteste degli agricoltori si sono allargate mirando sempre più ai favori concessi all’Ucraina a danno dei polacchi, con blocchi dei confini e manifestazioni varie.

 

Le relazioni tra i due Paesi si sono inasprite definitivamente l’anno scorso dopo il discorso all’ONU di Zelens’kyj che ha accusato la Polonia. L’allora premier polacco Morawiecki rispose che non avrebbe più subito ulteriori insulti, e da allora si sono consumate altre tensioni diplomatiche (con tanto di convocazione dell’ambasciatore), al punto che le relazioni tra i due Paesi sono state definite come «titanicamente danneggiate».

 

Un deputato polacco arrivò a mostrare un conto del danaro che Kiev dovrebbe a Varsavia per il supporto ricevuto.

 

A inizio 2023 un missile ucraino aveva ucciso due persone in Polonia, che è membro della NATO. In un primo tempo, Kiev aveva dato la colpa ai russi. Anche lì si registrò qualche reazione indignata da parte dei politici polacchi.

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Immagine di Silar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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