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Terrorismo

Oltre 40 cristiani massacrati in un attacco terroristico legato all’ISIS contro una chiesa cattolica congolese

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Oltre 43 civili, tra cui nove bambini, sono stati uccisi dopo che i terroristi delle Forze Democratiche Alleate (ADF), affiliati all’ISIS, hanno attaccato la parrocchia cattolica della Beata Anuarite nella città di Komanda durante una veglia di preghiera nelle prime ore di domenica mattina. Lo riporta LifeSite.

 

Nelle prime ore del 27 luglio, mentre molti fedeli congolesi erano riuniti in chiesa per una veglia di preghiera notturna, i terroristi delle ADF hanno fatto irruzione nella parrocchia e hanno brutalmente massacrato decine di fedeli a colpi di machete, prima di bruciare parti della chiesa e i corpi delle vittime, rapendone altre, secondo un rapporto della Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO). I terroristi hanno anche saccheggiato e incendiato diverse case e attività commerciali nelle vicinanze.

 

«Questi attacchi mirati contro civili (indifesi), in particolare nei luoghi di culto, non sono solo spaventosi, ma violano anche tutti gli standard sui diritti umani e il diritto internazionale umanitario», ha affermato il vice capo della MONUSCO, Vivian van de Perre, in risposta all’attacco.

 

In rete circolano diversi video, di cui alcuni raccapriccianti – come quello, ripreso di notte, di una stanza che sembra piena di cadaveri – che la piattaforma X non permette di condividere.

 

 

Leone XIV ha espresso il suo «profondo dolore» per il devastante attacco alla chiesa in un telegramma del 28 luglio all’arcivescovo Samuel Stephen Kaziimba Mugalu, presidente della Conferenza episcopale congolese, scritto dal segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, a nome del pontefice.

 

«Sua Santità Papa Leone XIV ha appreso con sgomento e profondo dolore dell’attacco perpetrato contro la parrocchia della Beata Anuarite a Komanda, che ha causato la morte di diversi fedeli riuniti per il culto», si legge nel telegramma. «Possa il sangue di questi martiri diventare seme di pace, riconciliazione, fraternità e amore per il popolo congolese».

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Le Forze Democratiche Alleate (ADF) sono un gruppo terroristico islamista radicale formatosi in Uganda negli anni ’90 con l’obiettivo di rovesciare il governo ugandese e sostituirlo con uno islamico basato sulla legge islamica della sharia. Da allora, le ADF hanno esteso i loro attacchi al Congo e si sono affiliati all’ISIS nel 2019.

 

In effetti, l’attacco di domenica non è il primo atroce attacco del gruppo islamista contro i civili quest’anno. A febbraio, le ADF hanno attaccato il villaggio congolese di Maiba, prendendo in ostaggio circa 100 civili. Pochi giorni dopo, più di 70 corpi, tra cui molti appartenenti a donne, bambini e anziani, sono stati scoperti in una chiesa protestante.

 

Un recente rapporto della Lista Rossa (GRC) di Global Christian Relief ha affermato che la Repubblica Democratica del Congo è il secondo «Paese più mortale per i cristiani», dopo la Nigeria. Il rapporto ha sottolineato che «sono stati registrati 390 casi di uccisione di cristiani» durante il periodo di riferimento, da novembre 2022 a novembre 2024, e ha specificamente individuato «gruppi militanti islamici come le Forze Democratiche Alleate» come «principali responsabili».

 


Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo ai cattolici è stato impedito di celebrare la Pasqua a causa dei raid mortali effettuati dall’ADF.

 

Nel giugno 2023 almeno 37 persone sono state uccise e altre otto ferite quando i militanti ADF hanno attaccato una scuola secondaria a Mpondwe, una città vicino al confine con la Repubblica Democratica del Congo.

 

L’attacco seguiva di poco il varo delle leggi anti-gay instaurate in Uganda.

 

Le cosiddette «Forze Democratiche Alleate» sono state fondate nel Congo orientale nel 1995 da due gruppi opposti al presidente dell’Uganda Yoweri Museveni, uno dei quali è una setta islamista. Il gruppo ha anche ricevuto il sostegno regionale dei leader di altri paesi, tra cui il Sudan e il Congo, che hanno cercato di minare il governo di Museveni.

 

L’ADF ha anche promesso fedeltà allo Stato islamico, che nel 2019 ha quindi potuto rivendicare il suo primo attacco in Congo. Nel 2021, gli Stati Uniti hanno designato l’ADF un’organizzazione terroristica e hanno offerto una ricompensa fino a 5 milioni di dollari per informazioni sul nuovo leader del gruppo, Seka Musa Baluku.

 

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Terrorismo

La Turchia arresta 115 sospetti terroristi ISIS

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La polizia antiterrorismo turca ha arrestato 115 presunti membri dello Stato Islamico  nel corso di una vasta operazione di retate, ha reso noto giovedì l’ufficio del procuratore capo di Istanbul.   Stando al comunicato, i sospettati stavano progettando attentati durante le festività di Natale e Capodanno, con l’intento specifico di colpire i non musulmani in Turchia in occasione di tali celebrazioni.   Le autorità hanno emesso 137 mandati di cattura, che hanno portato a 115 fermi. «Pistole, munizioni e molti documenti organizzativi sono stati sequestrati» durante oltre 100 perquisizioni nella provincia di Istanbul, ha precisato l’ufficio del Procuratore capo, aggiungendo che è in atto un’operazione antiterrorismo per rintracciare i rimanenti ricercati.   Lunedì, l’agenzia Anadolu ha riportato che l’Organizzazione nazionale di Intelligence turca (MIT) ha recentemente catturato un alto esponente dell’ISIS nella regione tra Afghanistan e Pakistan.

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All’inizio di dicembre, le autorità turche avevano arrestato 233 persone sospettate di finanziare l’ISIS o di avere collegamenti con il gruppo.   La Turchia ha ufficialmente classificato l’organizzazione come terroristica nel 2013. Da allora, le forze turche hanno effettuato oltre 1.400 operazioni contro l’ISIS, ha dichiarato l’anno scorso il presidente Recep Tayyip Erdoğan.   Come riportato da Renovatio 21, a dicembre 2023 la polizia turca e le squadre antiterrorismo avevano arrestato 304 persone sospettate di legami con l’ISIS.   Il governo turco aveva intensificato le sue operazioni antiterrorismo a fine 2023, a seguito di un attentato all’esterno degli edifici governativi ad Ankara in ottobre, attribuito al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), considerato un gruppo terroristico in Turchia. L’esplosione aveva ucciso un civile e ferito due agenti di polizia e ha provocato l’arresto di 90 sospetti membri del gruppo. Nel corso di quei mesi la Turchia aveva effettuato vari bombardamenti in Siria e Iraq verso obbiettivi curdi.   Come riportato da Renovatio 21, in piena campagna elettorale l’Erdogan aveva dichiarato che era stato eliminato dai servizi segreti turchi del MIT il nuovo califfo ISIS Abu al-Husseini al-Qurashi. Al-Qurashi era diventato il quarto leader del gruppo terroristico lo scorso novembre, dopo che il suo predecessore, Abu Hasan al-Hashimi al-Qurashi, è stato ucciso in battaglia. Un comandante sarebbe stato eliminato dalle forze speciali USA in Somalia tre mesi prima.
Nel 2022 le forze di sicurezza turche hanno arrestato un comandante dell’ISIS, nome in codice Abu Zeyd, descritto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come «uno degli alti dirigenti dell’organizzazione terroristica dello Stato Islamico». Nel giugno 2021 l’Interpol aveva arrestato nella località turca di Bolu Arkan Taha Ahmad, ufficiale ISIS che aveva diretto il massacro nel campo Speicher (l’accademia militare di Tikrit, in Iraq).

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Il rapporto tra la Turchia e l’ISIS e l’estremismo islamico internazionale è tuttavia controverso.   Come riportato da Renovatio 21, anni fa emerse che miliziani ISIS fuggivano in Europa e America con passaporti falsi confezionati a Istanbul. L’anno precedente era stata sostenuto che la Turchia avesse inviato 4 mila mercenari siriani ISIS in Nagorno-Karabakh per combattere i cristiani armeni. Un’accusa simile era stata mossa per l’Afghanistan, con la Turchia che avrebbe inviato jihadisti siriani di Idleb verso Kabul.   Durante gli anni dello Stato Islamico, accuse infamanti furono mosse direttamente al clan Erdogan, con i famigli sospettati di essere implicati nella rivendita del petrolio estratto dai pozzi del territorio allora controllato dai terroristi takfiri.
 

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Terrorismo

Bomba a Rafah, Hamas nega la responsabilità

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Hamas ha respinto ogni responsabilità per l’esplosione di un ordigno che ha colpito un veicolo blindato israeliano a Rafah, città nel sud di Gaza, e ha invitato la comunità internazionale a fare pressione su Israele affinché rispetti l’accordo di cessate il fuoco.

 

Il cessate il fuoco, mediato dagli Stati Uniti e entrato in vigore a Gaza il 10 ottobre, prevedeva il ritiro delle truppe israeliane da alcune aree dell’enclave e il rilascio da parte di Hamas degli ultimi 20 ostaggi israeliani rimasti, in cambio della liberazione di circa 2.000 detenuti palestinesi.

 

La presa di posizione è giunta dopo che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno segnalato il ferimento di un ufficiale in un’esplosione a Rafah. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha attribuito l’attentato a Hamas, ma il movimento palestinese ha replicato che l’incidente è avvenuto in una zona completamente sotto controllo israeliano, dove «non è presente alcun palestinese».

 

Mercoledì Hamas ha diffuso un comunicato su Telegram in cui ha sottolineato che i residuati bellici costituiscono un pericolo noto nella regione, aggiungendo che «non ha alcuna responsabilità per nessuno di questi incidenti da quando è entrato in vigore l’accordo di cessate il fuoco», in particolare per quanto riguarda «gli esplosivi piazzati dall’occupazione stessa nella zona».

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Hamas ha esortato Israele a rispettare l’intesa e ad «astenersi dal inventare scuse per intensificare e indebolire la tregua», ribadendo il proprio impegno a osservarne i termini.

 

Anche un alto esponente di Hamas, Mahmoud Mardawi, ha scritto su X di ritenere che l’esplosione di Rafah sia stata provocata da ordigni inesplosi rimasti dal conflitto. Netanyahu, al contrario, ha sfruttato l’episodio per affermare che Hamas «non ha intenzione di disarmare» – requisito essenziale della tregua – e ha avvertito che «Israele risponderà di conseguenza».

 

Hamas ha sollecitato pressioni internazionali per obbligare Israele a implementare gli accordi sottoscritti. Ha dichiarato che Gerusalemme Ovest deve «astenersi dal fabbricare giustificazioni» per proseguire l’escalation e i tentativi di «sabotare l’accordo».

 

Malgrado il cessate il fuoco, i raid aerei israeliani sono proseguiti e gli aiuti umanitari sono diminuiti, aggravando ulteriormente la situazione a Gaza, secondo le agenzie ONU e i mediatori regionali. I palestinesi hanno accusato Israele di violare l’intesa.

 

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Immagine di UNRWA/ Ashraf Amra via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 IGO

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Terrorismo

Il Pentagono pubblica il video della «vendetta» sui terroristi siriani

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Il Pentagono ha reso pubblici video di combattimento che documentano le forze statunitensi e alleate impegnate in massicci attacchi contro presunti obiettivi terroristici dello Stato Islamico in Siria, nell’ambito della risposta di Washington all’uccisione recente di personale americano.   In un post pubblicato venerdì sera su X, il Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM) ha reso noto che le truppe americane e giordane hanno colpito oltre 70 bersagli nella Siria centrale, impiegando più di 100 munizioni a guida di precisione. Il Pentagono ha precisato che gli attacchi rientrano nell’Operazione Hawkeye Strike e hanno visto l’impiego di caccia statunitensi, elicotteri d’attacco, artiglieria e velivoli da combattimento giordani.   Le immagini diffuse mostrano raid aerei ed esplosioni che colpiscono presunte posizioni di militanti in varie località, con obiettivi identificati come infrastrutture terroristiche e depositi di armi.  

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  «Questa operazione è cruciale per impedire all’ISIS di ispirare complotti terroristici e attacchi contro il territorio statunitense», ha dichiarato il comandante del CENTCOM, ammiraglio Brad Cooper. «Continueremo a inseguire senza tregua i terroristi che intendono danneggiare gli americani e i nostri partner in tutta la regione».   Dall’attacco del 13 dicembre contro le forze statunitensi e alleate, le truppe americane e dei partner hanno effettuato dieci operazioni in Siria e Iraq, che hanno portato all’eliminazione o alla cattura di 23 presunti membri dell’ISIS, secondo il CENTCOM. Negli ultimi sei mesi, in Siria sono state condotte oltre 80 missioni antiterrorismo, ha aggiunto.   Il presidente Donald Trump ha affermato che il nuovo governo siriano era stato informato dell’operazione di rappresaglia e l’ha appoggiata, mentre il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha sottolineato che si è trattato di una «dichiarazione di vendetta» e non di una guerra.   Gli Stati Uniti mantengono da anni una presenza militare in Siria, sostenendo le Forze Democratiche Siriane (SDF) – gruppo a guida curda e che controllano il Nord-Est – e gruppi ribelli minori nel Sud del Paese. Dopo il repentino collasso del regime di Bashar al-Assad alla fine dell’anno scorso e l’ascesa al potere degli islamisti guidati da al-Sharaa, il Pentagono ha ampliato la cooperazione militare anche con le nuove autorità.   Negli ultimi mesi, forze di sicurezza statunitensi e siriane hanno effettuato numerose operazioni congiunte, presumibilmente dirette contro le cellule dell’ISIS. Gli USA avevano schierato fino a 2.000 militari in Siria, ma l’amministrazione Trump ha annunciato all’inizio del 2025 l’intenzione di ridurre la presenza e il numero di basi gestite dal Pentagono nel Paese.  

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