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Politica

Nomine, la demenza del Cencelli grillino: PD e Renzi ringraziano

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Lo spettacolo delle nomine appena andato in scena è stato al contempo uno spettacolo demente e nauseante.

 

È incredibile che mentre l’Italia sta fallendo agli arresti domiciliari, questi abbiano proceduto con la pantomina delle nomine alle varie ENI, Leonardo (Finmeccanica), etc. invece che prorogato e lasciato un tema come la spartizione delle poltrone – perché di questo si tratta – in un momento senza la priorità della sopravvivenza del popolo alla Pandemia e alla sua cura.

Possono rinviare referendum ed elezioni, ma il momento della torta, quello no, è improcrastinabili:  presidenti, amministratori delegati, consiglieri di amministrazione. Alleati, amici, parenti, conoscenti, amanti da piazzare – ecco la priorità

 

Possono rinviare referendum ed elezioni, ma il momento della torta, quello no, è improcrastinabili:  presidenti, amministratori delegati, consiglieri di amministrazione. Alleati, amici, parenti, conoscenti, amanti da piazzare – ecco la priorità. Che schifo.

 

Il mondo è talmente impazzito che ci si trova d’accordo con l’editoriale di Paolo Mieli in prima pagina sul Corriere della Sera.

 

«Prudenza e decenza avrebbero dovuto imporre che i prescelti della volta scorsa restassero, in proroga, ai posti di comando fino al momento in cui tutto tornerà tranquillo» scrive il Mieli.

 

I grillini avevano giurato che mai avrebbero lottizzato. Come no. È stato così per i vaccini, per il MES, per il numero dei mandati, per i politici indagati, per la TAV e per mille rivoli di battaglie anche minori che servivano solo ad accalappiare il voto del risentimento

«Tre, quattro mesi, il tempo di non offrire agli italiani il poco edificante spettacolo di un mercanteggiamento di cariche mentre sono ancora alti il numero dei contagi e quello dei morti. Giusto per dare l’idea che nessuno ai posti di comando del sistema Italia in questi giorni ha avuto altra preoccupazione che la messa in sicurezza del sistema stesso».

 

Non è che ci scandalizziamo: avevamo visto il grande spettacolo dei grillini che dopo il voto sul taglio dei parlamentari risultavano già iscritti al concorso per essere assunti come consiglieri alla Camera ad vitam aeternam. (presidente della Commissione d’Esame doveva essere il Presidente della Camera, il grillino Roberto Fico)

 

Ora il giornalista sussurra pure che i grandi, ricchi enti pubblici semi-statali potrebbero essere nazionalizzati, ed offrire così nuove comode poltrone ai deputati che saranno segati via grazie al loro stesso voto – ricordiamoci del resto che del voto in generale molti di essi possono avere un’idea confusa, sono stati lanciati in politica da qualche decina di voti presi su una piattaforma privata che li ha poi inizialmente sparati in orbita col Porcellum

 

I grillini avevano giurato che mai avrebbero lottizzato. Come no. È stato così per i vaccini, per il MES, per il numero dei mandati, per i politici indagati, per la TAV e per mille rivoli di battaglie anche minori che servivano solo ad accalappiare il voto del risentimento.

I 5 stelle sono una costellazione di tradimenti, una galassia di prese per il culo dell’elettore. La cosa tremenda è che in quest’orgia di potere non escono nemmeno vincitori

 

I 5 stelle sono una costellazione di tradimenti, una galassia di prese per il culo dell’elettore. La cosa tremenda è che in quest’orgia di potere non escono nemmeno vincitori,  perché «dovranno con ogni probabilità accontentarsi di alcune presidenze destinate quasi esclusivamente a far felici i familiari dei prescelti» scrive il Corriere.

 

Il Teatrino è rivoltante. Come noto alle cronache, una fronda grillista (il Di Battista redivivo e e una trentina di parlamentari come Barbara Lezzi, Massimo Bugani, Nicola Morra, Giulia Grillo, Ignazio Corrao) hanno fatto cagnara per la conferma all’ENI dell’Amministratore Delegato Claudio Descalzi imputato in alcuni processi. Una nomina che garantirebbe un odioso «perdurare di un potere sempre nelle stesse mani». 

 

Un seggio nel CDA di una più importanti aziende petrolifere del mondo a un uomo (una donna) del giornale di Travaglio

Poi è lo stesso giornale di riferimento dei grillini, Il Fatto Quotidiano, la protesta contro Descalzi sarebbe stata una «”pantomina” sulla sua riconferma così da ottenere, “a titolo di risarcimento per aver ingoiato quel nome”, un “bel po’ di presidenze con funzioni poco più che decorative”».

 

Una di esse sta proprio all’ENI, dove una poltrona sarebbe stata assegnata a «Lucia Calvosa proveniente dai cda di Mps, Tim e da quello di Seif, la società che edita il “Fatto”».

 

Cioè, un seggio nel CDA di una più importanti aziende petrolifere del mondo a un uomo (una donna) del giornale di Travaglio.

 

Un disegno irreale, demente e cosmetico: il mondo scombiccherato che cerca di salvare le apparenze a cui ci ha abituato il M5S, dove bibitari e uscieri divengono ministri e statisti.

Piero Sansonetti, sanguigno direttore de Il Riformista, ha scritto di aver visto in vita sua l’ENI prendere il controllo di giornali, ma è la prima volta che un giornale prende controllo dell’ENI.

 

Un disegno irreale, demente e cosmetico: il mondo scombiccherato che cerca di salvare le apparenze a cui ci ha abituato il M5S, dove bibitari e uscieri divengono ministri e statisti.

 

Ma mica è finita. I conati continuano.

 

Per trovare i candidati – racconta sempre il Fatto citato da Mieli  «si è deciso di pescare nell’unica fucina di manager considerati degni di fiducia, le municipalizzate romane».

 

Per trovare i candidati grillini «si è deciso di pescare nell’unica fucina di manager considerati degni di fiducia, le municipalizzate romane».

E ci pare giusto: la Raggi, esempio di efficienza e buongoverno della Capitale, una gestione senza una pecca e senza uno scandalo.

 

Perché gli scandali sono brutti e portano le indagini, e gli indagati mica possono finire nelle stanze dei bottoni, giusto?

 

E invece c’è «tra i “pescati” Stefano Donnarumma, scoperto nel 2017 da Virginia Raggi, “indagato e poi archiviato nell’inchiesta sullo stadio della Roma», che da Acea dovrebbe spostarsi in Terna».

 

«Adesso, annuncia il giornale di Marco Travaglio, tra i Cinque Stelle «è partito il giochino a scaricare le colpe e poi a cancellare le impronte» dell’intera operazione di ricambio ai vertici delle partecipate. Soltanto “dopo”, però. Dopo che saranno completati i consigli di amministrazione dove – sempre secondo il Fatto – sono destinati a trovare posto tale Carmine America, un compagno di scuola di Luigi Di Maio (già reclutato alla Farnesina), ed Elisabetta Trenta, costretta tempo fa a lasciare, oltre al ministero della Difesa, un’abitazione a canone d’affitto assai conveniente alla quale si era molto affezionata».

 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

 

Ammettiamo la nostra ignoranza: della Trenta e delle sue splendide figure per gli appartamenti e i cani ci ricordavamo (e pure dei suoi legami con la Link Campus, quella strana università divenuta centro mondiale del Russiagate). Del signor America, compagno di scuola di Giggino Ministro, non sapevamo nulla: speriamo solo che America sia davvero il suo cognome e che Giggì non lo abbia segnalato utilizzando un nomignolo per un ragazzo magari amante degli USA («guagliò, mettete nel CdA Carmine America, Peppino Rock’n’Roll, Ciccio O’Pazzo, Tonino O’Calamaro…»: nella nostra mente ci immaginiamo scena così).

 

«Sono destinati a trovare posto tale Carmine America, un compagno di scuola di Luigi Di Maio (già reclutato alla Farnesina), ed Elisabetta Trenta, costretta tempo fa a lasciare, oltre al ministero della Difesa, un’abitazione a canone d’affitto assai conveniente alla quale si era molto affezionata»

Insomma, tutti felici ora che hanno piazzato una del loro giornaletto (ed ex MPS: niente di strano?) nella multinazionale del petrolio, più compagni di scuola e colleghi in debito come la Trenta (cui, come emerse da un SMS della tedesca, la Von der Leyen deve l’elezione avendo la Trenta portato quella manciata di voti grillini che l’hanno fatta eleggere.

 

«Da questo super game – scrive Mieli –, escono trionfatori i partiti che hanno architettato il rinnovo delle cariche: Pd e Italia Viva di Matteo Renzi (che pure non si è sentito appagato in tutti i propri desideri e di ciò si lamenta). È un ulteriore segnale dello spostamento del baricentro di governo a vantaggio del partito di Nicola Zingaretti».

 

In pratica, il PD, che è stato punito e sputazzato in ogni tornata elettorale politica e amministrativa (con l’eccezione dell’Emilia Romagna, dove comunque ha dovuto subire lo shock di non stravincere come da 70 a questa parte sempre era successo) regna tranquillo, e ringrazia.

 

Il partito più odioso e anti-popolo d’Occidente (al punto che fra i suoi parlamentari si annida anche qualche grande miliardario), quello che ha di fatto lasciato aperte le porte al Coronavirus con la scusa della quarantena razzista da evitare ai cinesi, e con gli appelli dei suoi leader (Zingaretti, Sala) a star fuori e divertirsi, si adagia tranquillo su poltrone che in una decade di fatto non ha mai mollato, nonostante l’elettorato gli abbia significato ripetutamente ed incontrovertibilmente tutto il suo ribrezzo.

 

Sul rafforzamento di Giuseppe Conte «riuscito nella non facile impresa di imbrigliare i Cinque Stelle coinvolgendoli in trattative che li rendono per così dire più malleabili in vista del delicato appuntamento del MES» nutriamo forti dubbi. Il Conte Casalino durerà ancora poco, butta la palla avanti a caso, la alza a campanile, fa falli di nervosismo imperdonabili.

 

Il M5S, in tutta la bovina stupidità delle sue scelte nepotiste, è lo strumento di perpetuazione del blocco storico più malefico mai visto nella storia della Repubblica

Ma la tragedia non riguarda solo il consolidamento del PD di fronte al piatto di lenticchie accettato dal M5S (che ha il doppio dei deputati, praticamente). La tragedia è nella sopravvivenza di Matteo Renzi e della sua baby gang, il partitino feudale che tutti davano per morto (5%, 4%, 3%, 2%: ogni settimana sembrava sempre più vicino al prefisso telefonico) ma che riesce, grazie alla demenza del Cencelli grillino, a contare ancora qualcosa.

 

Questo è più imperdonabile di qualsiasi tradimento. Il M5S, in tutta la bovina stupidità delle sue scelte nepotiste, è lo strumento di perpetuazione del blocco storico più malefico mai visto nella storia della Repubblica. Tutti costoro, dopo anni di scandali e di trombature elettorali e referendarie, dovrebbero semplicemente vergognarsi e sparire. Non hanno intenzione di fare nessuna delle due cose.

 

Perché, con il M5S a far loro da materasso, la vita in poltrona è bellissima, e ancora lunga.

 

 

 

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Politica

Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

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L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.

 

Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».

 

«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».

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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.

 

«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.

 

Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.

 

Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.

 

Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

 

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Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Il primo ministro giapponese ha annunciato ieri le dimissioni dopo settimane di tensioni con i membri del Partito Liberaldemocratico, in difficoltà di fronte alla perdita di consenso tra gli elettori conservatori. Diversi candidati si sono già fatti avanti segnalando la volontà di succedere a Ishiba nella presidenza del partito, ma resta il nodo della guida del governo senza la maggioranza in parlamento.   A meno di un anno dal suo insediamento, il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha annunciato ieri le dimissioni, aprendo una nuova fase di incertezza politica. La decisione è una conseguenza delle crescenti pressioni all’interno del suo stesso partito, il Partito Liberaldemocratico (LDP), che alle ultime elezioni ha subito significative sconfitte, arrivando a perdere la maggioranza in entrambe le Camere.

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Ishiba si è assunto la responsabilità per i pessimi risultati dell’LDP alle elezioni della Camera dei Consiglieri a luglio e ha sottolineato che le sue dimissioni servono a prevenire un’ulteriore spaccatura all’interno del partito. Già a luglio, il quotidiano giapponese Mainichi aveva per primo riportato che Ishiba si sarebbe dimesso, basandosi su informazioni raccolte tra il premier e i suoi più stretti collaboratori.   Le prime indiscrezioni indicavano che i preparativi per la corsa alla presidenza dell’LDP sarebbero iniziati entro agosto. Ishiba, tuttavia, aveva pubblicamente smentito queste notizie e nelle sue affermazioni aveva sottolineato l’importanza di portare a termine le trattative sui dazi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che aveva imposto il primo agosto come scadenza ultima.   Nel suo discorso di ieri, Ishiba ha spiegato che l’annuncio delle dimissioni a luglio avrebbe indebolito la posizione del Giappone: «chi negozierebbe seriamente con un governo che dice “ci dimettiamo”?», ha detto.   Ishiba ha poi cercato di placare le pressioni interne all’LDP minacciando di sciogliere la Camera dei Rappresentanti e indire elezioni anticipate, una mossa che ha esacerbato le divisioni e spinto il principale partner di coalizione, il partito Komeito, a ritenere inaccettabile la decisione. Secondo l’agenzia di stampa Kyodo, l’ex primo ministro Yoshihide Suga e il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi entrambi tenuto colloqui con il premier sabato, evitando una scissione all’interno del partito e aprendo la strada all’annuncio delle dimissioni di ieri.   Ora l’attenzione si sposta sulla scelta del prossimo leader dell’LDP, che potrebbe assumere anche la carica di primo ministro se ci fosse una qualche forma di sostegno o di accordo anche con le opposizioni. Tra i principali contendenti ci sono membri del partito che avevano già sfidato Ishiba in passato, tra cui Sanae Takaichi, ex ministra per la sicurezza economica, che ha ricevuto il 23% dei consensi in un recente sondaggio di Nikkei. Takaichi fa parte dell’ala conservatrice e ha una forte base di sostegno tra i fedelissimi dell’ex primo ministro Shinzo Abe, di cui è considerata l’erede, soprattutto per quanto riguarda le politiche economiche, che potrebbero favorire una ripresa dei mercati azionari. Takaichi ha inoltre la reputazione di andare d’accordo con il presidente Donald Trump.   Anche Shinjiro Koizumi, attuale ministro dell’Agricoltura e figlio dell’ex leader Junichiro Koizumi, è un altro papabile candidato, dopo essere riuscito ad abbassare i prezzi del riso appena entrato in carica. Il sondaggio di Nikkei ha registrato un 22% dei consensi nei suoi confronti.   Altri membri del partito hanno segnalato la volontà di candidarsi, tra cui Yoshimasa Hayashi, attuale segretario capo del Gabinetto e portavoce principale del governo Ishiba, che si è classificato quarto nella corsa per la leadership del partito del 2024. Tra gli altri contendenti figurano Takayuki Kobayashi, un altro ex ministro per la sicurezza economica che gode di un maggiore sostegno all’interno dell’ala centrista, e Toshimitsu Motegi, ex segretario generale dell’LDP e il più anziano tra i candidati con i suoi 69 anni.   L’LDP oggi si trova in una posizione di forte debolezza. Molti elettori conservatori alle ultime elezioni hanno preferito il partito di estrema destra Sanseito anche a causa dell’allontanamento di Ishiba dall’ala conservatrice.

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Secondo un sondaggio di Kyodo, condotto prima che fossero riportate le dimissioni di Ishiba, l’83% degli intervistati ha dichiarato che un chiarimento pubblico del partito sulle ultime sconfitte non avrebbe comunque aumentato la fiducia degli elettori. È chiaro, quindi, che il compito del prossimo presidente di partito sarà quello di ripristinare la credibilità del centrodestra.   Chiunque verrà scelto si troverà davanti a un’importante decisione: se indire elezioni anticipate per cercare di riconquistare la maggioranza alla Camera bassa o rischiare di perdere il potere del tutto. Quest’ultima scelta rischierebbe di aprire una nuova fase di instabilità politica senza precedenti, che richiederebbe la ricerca di sostegno anche tra i partiti dell’opposizione per approvare le leggi e i bilanci.   Secondo diversi commentatori, il prossimo leader dovrà prima di tutto godere di una genuina popolarità sia all’interno che all’esterno del partito per affrontare sfide come l’invecchiamento della società, la forza lavoro in calo, l’inflazione e i timori che gli Stati Uniti possano abbandonare il loro ruolo di garanti della sicurezza nella regione asiatica.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Politica

Il governo francese collassa

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Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.

 

Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.

 

Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.

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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.

 

Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.

 

La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.

 

Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.

 

Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.

 

Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».

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