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New York, bambini uccisi poco prima di nascere? Ecco la verità

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Dalla stampa si è appreso che a New York da oggi si può abortire fino al nono mese. Qualcuno, non sapendo minimamente di cosa parla, ha tentato di bollare la notizia come una «bufala».

 

Renovatio 21 offre ai propri lettori un quadro dettagliato della barbarie appena firmata nello Stato di New York, intervistando l’Avv. Monica Boccardi, cassazionista e giurista. L’avvocato Boccardi, riminsese, ha fatto parte, fra le altre cose, del pool difensivo italiano di Alfie Evans, il bambino inglese ucciso meno di un anno fa per mano dello Stato sanitario.

 

Avvocato Boccardi,  il Governatore dello Stato di New York Andrew M. Cuomo ha da poco firmato un documento che legalizza l’aborto fino alla nascita. Molti hanno parlato di fake news. Chiariamo intanto questo punto: la notizia corrisponde al vero o è una bufala, come alcuni siti e continuano a dire?

Non è assolutamente una bufala. Anzi, la situazione è ancora più grave di come viene presentata: per la prima volta in vita mia ho visto definire l’aborto come «diritto fondamentale».

«Non è assolutamente una bufala. Anzi, la situazione è ancora più grave di come viene presentata»

 

Può spiegarci allora cosa è successo a New York?

La normativa appena varata è molto chiara: è stato eliminato il divieto di abortire oltre il limite delle 24 settimane di gravidanza, prima esistente, senza aggiungerne un altro, magari differente e più avanzato. Quindi l’aborto può essere praticato in qualunque momento, anche il giorno prima del parto. Inoltre, i presupposti per abortire sono decisamente inconsistenti e, nella pratica, facilmente affermabili, cosicché si può ritenere che al momento a New York sia sempre possibile abortire a semplice richiesta della donna.

 

La legge dello Stato di New York appena varata stabilisce che «ogni individuo che rimane incinta ha il diritto fondamentale di scegliere di portare a termine la gravidanza, per dare alla luce un bambino, o di avere un aborto, ai sensi del presente articolo.

 

Poi aggiunge che «un operatore sanitario con licenza, certificato, o autorizzazione ai sensi del titolo otto della legge dell’educazione, che agisce nel suo ambito di applicazione legale, può eseguire un aborto quando,  secondo il giudizio professionale ragionevole e in buona fede del professionista basato sui fatti del caso del paziente: il paziente è entro ventiquattro settimane dall’inizio della gravidanza , oppure c’è una assenza di vitalità fetale, oppure l’aborto è necessario per proteggere la vita oppure la salute della paziente».


In parole povere, prima delle 24 settimane di gravidanza l’aborto è un diritto esercitabile senza giustificazione alcuna e senza presupposti necessari ad autorizzarlo.

 

In alternativa a ciò, (come indica la disgiuntiva «or” corrispondente a “oppure“), dopo la 24° settimana di gravidanza (e fino al suo termine naturale in assenza di limiti previsti esplicitamente) è possibile abortire in tre casi distinti: 1) l’essere il feto non vitale, 2) l’aborto è necessario per proteggere la vita della paziente, 3) l’aborto è necessario per proteggere la salute della paziente.

 

Apparentemente dovrebbero dunque essere necessari dei presupposti ben precisi, utili a limitare l’accesso alla procedura abortiva a casi estremi, ma in realtà non è affatto così.

 

Vi sono, infatti, alcune circostanze che vanno considerate insieme alla lettera della legge.

 

Il primo è rappresentato dalla definizione di salute, che si può leggere sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla quale ormai fanno riferimento tutti coloro che tentano di modificare in senso ideologico la pratica medica, soprattutto negli Stati Uniti: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità. Il godimento del più alto livello di salute raggiungibile è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano senza distinzione di razza, religione, credo politico, condizione economica o sociale».

 

Secondo tale definizione, la salute della paziente può essere compromessa anche in assenza di malattie o infermità, dalla semplice mancanza di benessere fisico, mentale e sociale: il che significa che è sufficiente che la paziente affermi di voler abortire perché la gravidanza e la nascita del figlio la privano del suo benessere fisico, mentale e sociale.

 

Questa definizione è stata sostanzialmente ripresa dalla Suprema Corte statunitense nella sentenza Doe v. Bolton del 22 gennaio 1973, emessa insieme alla capostipite prochoice Roe v. Wade. In essa si legge che la definizione di salute include «il giudizio medico può essere esercitato alla luce di tutti i fattori – fisici, emotivi, psicologici, familiari e dell’età della donna – rilevanti per il benessere del paziente. Tutti questi fattori possono riguardare la salute». E appare evidente come sia andata ben al di là della medicina vera e propria allargando la definizione di salute ricomprendendovi aspetti non medici ed estremamente soggettivi.

 

Il secondo, ancora più grave è che con questa stessa legge lo Stato di New York ha abrogato l’articolo 4164 della legge sulla salute pubblica. In questo articolo si prescriveva quanto segue: “1.Quando un aborto deve essere eseguito dopo la dodicesima settimana di gravidanza, deve essere eseguito solo in ospedale e solo in regime di ricovero. Quando un aborto deve essere eseguito dopo la ventesima settimana di gravidanza, deve essere presente un medico diverso dal medico che esegue l’aborto per assumere il controllo e fornire cure mediche immediate per qualsiasi parto vivo che sia il risultato dell’aborto. Il commissario per la salute è autorizzato a promulgare norme e regolamenti per assicurare la salute e la sicurezza della madre e del bambino vitale, in tali casi. 2. A tali bambini sarà riconosciuta la protezione legale immediata ai sensi delle leggi dello stato di New York, incluse, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, le disposizioni applicabili della legge sui servizi sociali, l’articolo 5 della legge sui diritti civili e la legge penale. 3. Le cartelle cliniche di tutti gli sforzi di sostentamento alla vita fatti per un parto abortito vivo, il loro fallimento o successo, devono essere conservati dal medico curante. Tutti gli altri requisiti delle statistiche vitali nella legge sulla salute pubblica devono essere rispettati in relazione a tale bambino abortito. 4. In caso di morte successiva del figlio abortito, lo smaltimento del cadavere deve essere conforme ai requisiti del presente capitolo.

 

Questa norma sostanzialmente poneva un punto fermo nella valutazione della vitalità fetale: dopo la 20° settimana di gestazione era per legge considerato tale, per garantirgli le più alte possibilità di sopravvivenza.

In pratica è stata abrogata l’obbligatorietà, dopo la ventesima settimana, di fornire assistenza e cura al feto vitale per assicurarne la sopravvivenza

 

In pratica è stata abrogata l’obbligatorietà, dopo la ventesima settimana, di fornire assistenza e cura al feto vitale per assicurarne la sopravvivenza (come invece prevede l’art. 7 della L. 194/78 italiana), impedendogli di passare dallo stato di «feto vitale» a quello di «nato vivo» e dunque di «persona», anche ai sensi dell’applicazione della legge sull’omicidio.

 

Questo significa che a New York il feto vitale può essere lasciato morire, senza assisterlo, poiché non vi è più alcun obbligo di cura nei suoi confronti, per i medici che praticano l’aborto. Anche perché la definizione di persona in relazione al reato di omicidio, contenuta nel codice penale dello stato di New York esclude dal novero il feto solo vitale, in quanto carente della duplice caratteristica di «nato» e «vivo», vanificando di fatto il Born-Alive Infants Protection Act del2001.

 

Infine, la stessa legge di cui parliamo, ha anche abrogato completamente ogni ipotesi di reato di aborto dal codice penale, lasciando del tutto privi di tutela sia la madre sia il figlio, addirittura anche, ad esempio, in caso di aborto conseguente all’aggressione ad una donna incinta, che perda il bimbo a causa delle percosse.

La stessa legge di cui parliamo, ha anche abrogato completamente ogni ipotesi di reato di aborto dal codice penale, lasciando del tutto privi di tutela sia la madre sia il figlio, addirittura anche, ad esempio, in caso di aborto conseguente all’aggressione ad una donna incinta, che perda il bimbo a causa delle percosse.

 

In tal modo, inoltre, anche quando l’aborto fosse eseguito dopo la 24° settimana di gravidanza e al di fuori dei presupposti di legge sopra elencati, nessuno sarebbe punibile per aver procurato un aborto illegale, dato che nessuna condotta che comporti l’aborto con morte del feto (sia essa colposa, volontaria o preterintenzionale) è più punibile penalmente.

 

L’aborto è dunque divenuto un diritto esercitabile ad nutum, a semplice richiesta, in ogni momento della gravidanza e il bambino nel grembo materno è stato privato di ogni tutela, ridotto ad un nulla.

 

Peraltro qualunque ostetrico potrebbe spiegare che l’aborto difficilmente è praticabile per salvare la vita e/o la salute della madre nei casi di emergenza. Infatti quando il pericolo è imminente si pratica un parto cesareo (che richiede una procedura della durata di una ventina di minuti), non un aborto che invece richiede una procedura della durata di circa 3 giorni.

 

Ci sta dicendo che un bambino può essere ucciso anche mentre sta per nascere?

È esattamente così. Se la gestante lo domanda adducendo problemi di salute, anche il giorno della scadenza del termine, ha «diritto» che sia praticato l’aborto. E dopo l’abrogazione dell’obbligo di cure per il feto vitale, la parola aborto ha un solo significato: uccisione del bambino.

Dopo l’abrogazione dell’obbligo di cure per il feto vitale, la parola aborto ha un solo significato: uccisione del bambino.

 

Qualcuno sostiene che questo era già permesso in tanti altri Paesi, e che dunque a New York non si compie nulla di nuovo. Le cose stanno veramente così?

Negli USA era già possibile abortire oltre le 20 settimane di gravidanza, e senza limiti, in New Mexico, Colorado, Ohio, California e Maryland. L’aborto fino al nono mese è consentito anche in Canada e in Cina.

 

Nella maggior parte degli Stati del mondo, l’accesso all’aborto è limitato ai casi di tutela della salute della gestante, o ai casi di malformazione del feto, o alle gravidanze derivate da stupro.

 

Ma, anche dove è consentito l’aborto a semplice richiesta, è previsto un limite temporale, che varia dalle 12 alle 28 settimane di gestazione, per la sua esecuzioneInoltre, in molti casi, come in Italia, è previsto l’obbligo di cura per la sopravvivenza del feto abortito vitale.

 

Parliamo dell’Italia. La L. 194/78, all’articolo 6, dice testualmente:

«L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna»

Ci sono delle similitudini, dettate dall’ambiguità, con la legge newyorkese?

In primo luogo, va precisata la differenza semantica tra «aborto» e «interruzione di gravidanza»: la parola aborto non compare mai nella legge 194/78.

 

Nonostante l’uso di queste parole sia, in generale, una forma di ipocrisia morale, tale differenza nel significato si fa fondamentale allo scadere del termine a partire dal quale il feto è considerato vitale, cioè ha possibilità di sopravvivenza, anche minime.

 

L’aborto consiste nell’uccisione del bimbo nella pancia della mamma (e ciò avviene sempre nel primo trimestre), mentre l’interruzione di gravidanza può anche non sfociare in un vero e proprio aborto, ma consistere in un parto molto anticipato, al punto da consentire al bimbo di sopravvivere se curato tempestivamente.

 

La legislazione italiana prevede (art. 7 L. 194/78) che «Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto», imponendo dunque di salvaguardare la sopravvivenza del bimbo abortito. Ciò trasforma la procedura in un parto molto anticipato, con grave rischio per la vita del piccolo, ma senza la certezza della sua morte.

 

Nella nuova legislazione newyorkese, come abbiamo già visto, questa tutela è stata del tutto eliminata, cosicché l’aborto si conclude sempre con la morte del bambino, anche se sano, vivo e perfettamente in grado di sopravvivere ad un parto prematuro.

 

Le similitudini tra la situazione di New York e quella italiana sono soprattutto derivate dalla prassi, invalsa, di considerare l’aborto come un diritto, cosicché anche in Italia molto raramente viene davvero data una piena attuazione alla legge 194/78 che prevede tutta una serie di accorgimenti al fine di scongiurare il ricorso all’aborto.

 

Ci spieghi le differenze in termini di legge…

Oltre a quanto già detto sopra in relazione all’esito mortale anche in caso di feto vitale, una delle differenze formali tra l’una e l’altra legislazione consiste nella previsione, da parte di quella italiana delle potenziali malformazioni del feto (che però provochi rischi per la salute della madre) come presupposto per autorizzare l’aborto nel secondo trimestre.

 

La normativa statunitense non ne parla, limitandosi a considerare rilevante la mancanza di vitalità, cioè l’apparente o probabile morte in utero del bimbo. Però, nella pratica, la differenza è solo formale e non sostanziale, perché la gestante in USA può sicuramente chiedere un aborto tardivo, in caso di malformazioni del feto, sostenendo che la situazione le crea problemi di salute (nel senso lato che abbiamo già descritto) per ottenere l’aborto.

 

Un’altra differenza fondamentale (ulteriormente ampliata con l’abrogazione dell’art. 4164 della legge sulla salute pubblica), consiste nel fatto che in Italia a certificare i presupposti per l’accesso alla IVG è sempre un medico, mentre a New York può essere un qualunque operatore sanitario autorizzato ad eseguire l’aborto, quindi anche un non medico.

 

Quanto alla protezione della vita della paziente, che viene in considerazione solo in casi particolari, vere e proprie emergenze, l’aborto tardivo non è assolutamente la procedura adatta a scongiurare un decesso.

La protezione della vita della paziente, che viene in considerazione solo in casi particolari, vere e proprie emergenze, l’aborto tardivo non è assolutamente la procedura adatta a scongiurare un decesso.

 

Infatti, i tempi per un aborto tardivo (sia con la procedura di induzione del decesso del feto e successiva espulsione del cadaverino, sia con la procedura detta «a nascita parziale», in cui viene indotto il parto ed ucciso il bimbo quando ancora non è stato completamente espulso) sono molto lunghi. Si parla di giorni, due o tre come minimo per ottenere l’effetto desiderato.

 

Mentre invece con un parto cesareo si ottiene la nascita del bimbo, e la conseguenze cessazione della gravidanza, di solito entro 20 minuti mezz’ora al massimo. Per non dire che se il pericolo consiste nel parto, l’aborto tardivo è decisamente sconsigliabile, dato che comunque consiste in un parto indotto (quindi anche più violento, perché gli ormoni somministrati per far partire il travaglio amplificano le doglie), con tutto ciò che ne consegue.

 

Si parla di «salute psichica» sia nella 194 che nella legge appena firmata a New York. Questo vuol forse dire che basta il rischio che la donna si deprima per uccidere il bambino poco prima della nascita?

In realtà, nella legge appena varata a New York, si parla solamente di «health», senza alcuna specificazione. E, come già detto, si può ritenere che il concetto in tale ambito venga interpretato secondo la definizione che ne ha fornito l’OMS e che la sentenza sentenza Doe v. Bolton ha reso giuridicamente rilevante in relazione all’aborto. Ciò significa che la protezione della salute non è limitata allo scongiurare l’insorgenza di vere e proprie patologie o infermità, o a farle cessare se presenti, ma si amplia notevolmente giungendo ad abbracciare, addirittura, anche il benessere sociale, cioè la possibilità, che ne so, di continuare ad uscire con gli amici senza doversi preoccupare di un neonato che va allattato…

 

In Italia, invece, il concetto di salute è formalmente definito dalla legge stessa nei suoi confini e limitato ai gravi rischi per la salute fisica o psichica della gestante.

 

Indubbiamente, in che cosa consistano tali gravi rischi per la salute psichica è valutazione di fondamentale importanza. Di fatto, però, nella prassi e nel pensiero comune, tale concetto è talmente sfumato, che, ad esempio, la giurisprudenza difficilmente lo prende in considerazione, quando deve valutare se risarcire una donna che non abbia potuto abortire per omessa diagnosi di malformazioni fetali. Per spiegarmi meglio: sono praticamente inesistenti sentenze che neghino il risarcimento per il mancato aborto sul presupposto che, all’epoca dei fatti, non vi era un rischio dimostrato per la salute psichica della donna.

 

E ciò accade anche se, nella maggior parte di questi casi, quando domandano il risarcimento, le donne non hanno problemi psichici rilevanti, addirittura spesso amano i loro figli malati, ed è dunque possibile dire a posteriori che difficilmente avrebbero potuto presentare un vero e proprio «grave rischio per la salute psichica» derivante dalla malformazione conosciuta nel bambino.

 

Anzi, al contrario, la letteratura medica sta scoperchiando il vaso di Pandora delle conseguenze devastanti per la psiche delle donne, derivate dall’aborto. Rischio di suicidio gravemente aumentato, depressione diffusa a livelli altissimi, modificazioni dell’umore, che colpiscono anche i familiari ecc.

 

Ci troviamo davanti ad un nuovo passo verso quella cultura della morte che sembra non volersi arrestare?

Sicuramente è così. Non vi è altra spiegazione possibile, per citare solo uno dei segnali più evidenti, per la totale abrogazione dell’articolo 4164 della legge sulla salute pubblica newyorkese, che prevedeva l’assistenza e la cura del feto vitale abortito. Con questo colpo di accetta si è preclusa la possibilità di salvezza di tutti quei bambini giunti oltre la ventiduesima settimana di gravidanza, che avrebbero potuto vivere, magari per essere adottati da qualcun altro, in caso di rifiuto da parte della madre, addirittura perfettamente sani.

 

Ma non bisogna disperare. Proprio quando tutto sembra apparentemente perduto, la Provvidenza interviene per salvarci… e, per rimanere in argomento, negli USA in questo momento il vertice di governo è decisamente pro-life, la Corte Suprema è sbilanciata in modo positivo verso la tutela della vita, cosicché non è escluso che una legislazione a livello federale possa cambiare la situazione, salvando tante vite.

 

 

Cristiano Lugli

 

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Polonia, l’aborto avanza in Parlamento

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Il 12 aprile 2024, i parlamentari polacchi hanno votato a favore di quattro progetti di legge volti a generalizzare l’accesso delle donne all’aborto nel paese. Fatto senza precedenti in quasi trent’anni, ma che non dovrebbe cambiare radicalmente la situazione a breve termine, perché una modifica della legge in questa direzione si scontrerebbe con il veto presidenziale del conservatore Andrzej Duda.

 

«Lo Stato deve fare tutto affinché l’aborto sia accessibile, legale, praticato in condizioni adeguate, senza pericoli». I commenti espressi l’11 aprile 2024 da Katarzyna Kotula non hanno mancato di offendere più di un cattolico polacco, poiché erano inimmaginabili anche un anno fa.

 

Tuttavia, è dalla piattaforma della Dieta – la camera bassa del parlamento polacco – che il ministro dell’Uguaglianza presenta il disegno di legge portato avanti dalla Coalizione Civica del primo ministro Donald Tusk, volto a liberalizzare l’accesso all’aborto fino a dodici settimane di gravidanza.

 

Per essere più precisi, quattro testi sono stati presentati da componenti della coalizione filoeuropea arrivata al potere in seguito alle elezioni del 15 ottobre 2023, dopo otto anni di governo del partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS).

 

La Sinistra Unita ha presentato i primi due progetti che prevedono, da un lato, la depenalizzazione dell’aborto assistito, e dall’altro la legalizzazione completa dell’aborto, senza ostacoli, fino alla dodicesima settimana di gravidanza.

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Il terzo progetto viene dal partito politico del primo ministro Donald Tusk, e chiede anch’esso la legalizzazione fino alla dodicesima settimana, con diverse riserve rispetto al testo della Sinistra Unita.

 

Il quarto testo, presentato dalla Terza Via, un’alleanza del partito contadino conservatore PSL e del movimento cristiano-democratico Polonia 2050 del presidente della Dieta, Szymon Holownia, chiede il ritorno allo status quo in vigore tra il 1993 e il 2020. L’IVG era possibile in tre casi: malformazione del feto, pericolo per la vita o la salute della madre, stupro o incesto.

 

Il partito della Terza Via è anche favorevole all’indizione di un referendum su un’eventuale legalizzazione più ampia dell’aborto, un ricorso al voto popolare sorprendentemente criticato dalle organizzazioni femministe – che però hanno sulle labbra solo le parole di «democrazia» e «libertà» – e per una buona ragione.

 

Secondo un sondaggio effettuato poco prima del voto in Parlamento da IPSOS, la società polacca appare divisa sulla questione. Il 35% delle intervistate vuole avere accesso all’aborto fino alla dodicesima settimana di gravidanza; Il 21% è favorevole al ripristino di questo diritto in caso di malformazione fetale; Il 23% vuole un referendum e il 14% si ritiene soddisfatto dell’attuale stato della legislazione nel Paese. Una prova, se fosse necessaria, che la secolarizzazione avanza a passi da gigante sulle rive della Vistola.

 

Tuttavia, il campo progressista non rivendica la vittoria: «abbiamo motivi di soddisfazione, tuttavia molto moderati e cauti», ha dichiarato Donald Tusk dopo il voto alla Dieta del 12 aprile. Perché la liberalizzazione dell’aborto in Polonia non è per domani: resta da convocare la Commissione parlamentare speciale che dovrà essere incaricata di adottare un disegno di legge da sottoporre in seconda lettura.

 

Probabilmente il futuro testo dovrà essere corretto in senso meno liberale per conquistare la maggioranza del parlamento polacco e, se così fosse, il capo dello Stato potrebbe porre il veto. Andrzej Duda – affiliato al PiS – dovrebbe normalmente rimanere al potere fino al 2025: abbastanza per dare ai conservatori polacchi qualche mese di tregua per organizzare la difesa del diritto alla vita.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Bioeticiste contro la genitorialità genetica: «usare liberamente gli embrioni congelati»

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.   Alcuni bioeticisti mettono in dubbio l’importanza di una relazione genetica tra genitori e figli. Ciò che conta, sostengono, è un ambiente familiare favorevole, non i geni.    Nel Journal of Medical Ethics, una bioeticista svedese, Daniela Cutas, e una collega norvegese, Anna Smajdor, affermano che la riproduzione assistita apre le porte a nuove relazioni tra generazioni. Ma, purtroppo, l’aspettativa è che le persone imitino una famiglia nucleare convenzionale e una struttura genitore-figlio. C’è pochissima varietà o creatività.   Ad esempio, dopo la donazione di sperma postumo, una madre o una nonna portano in grembo il bambino in modo da mantenere una relazione genetica. Ma perché la genitorialità genetica e quella sociale dovrebbero coincidere?   Cutas e Smajdor sono realiste. Nel mondo di oggi, è improbabile che le persone abbandonino il loro attaccamento alle relazioni genetiche. Nel frattempo, ciò che propongono è una maggiore creatività nell’uso degli embrioni fecondati in eccedenza.    «Considerando la crescente prevalenza di infertilità in combinazione con una scarsità di gameti donati, qualcuno potrebbe, ad esempio, scegliere di utilizzare gli embrioni di propri zii. Oppure potrebbero desiderare di avere gli embrioni rimanenti dei loro fratelli. Se la preferenza delle persone ad avere una prole geneticamente imparentata è importante nei servizi di fertilità, allora ha importanza quale sia l’esatta relazione genetica?»   Esaminano più in dettaglio il caso di una donna i cui genitori hanno creato embrioni IVF. Se sono ancora disponibili, perché non dovrebbe dare alla luce i suoi fratelli? In un certo senso, questo potrebbe essere migliore di una relazione eterosessuale convenzionale:   «Innanzitutto perché gli embrioni sono già creati: non è necessario sottoporsi alla stimolazione ovarica per raccogliere e fecondare gli ovociti. In secondo luogo, le relazioni genitore-figlio sono piene di tensioni, alcune delle quali derivano da una lunga tradizione di non riconoscimento completo dello status morale dei bambini e di vederli come parte dei loro genitori in modo quasi proprietario».   Sembra un peccato sprecare tutti quegli embrioni congelati. Concludono con questo pensiero:   «In un mondo in cui i tassi di infertilità sono in aumento e i costi sociali, medici e sanitari dei trattamenti per la fertilità sono elevati, suggeriamo che ci siano motivi per ampliare le nostre prospettive su chi dovrebbe avere accesso ai materiali riproduttivi conservati».   Michael Cook   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.    
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Approvato il progetto di inclusione dell’aborto nella Carta europea

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Mercoledì 11 aprile 2024 gli eurodeputati hanno adottato, con 336 voti favorevoli, 163 contrari e 39 astensioni, una risoluzione che chiede l’inclusione dell’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che stabilisce “diritti, libertà e principi riconosciuti” negli Stati membri.

 

La risoluzione, promossa dai liberaldemocratici (Renew), dai socialdemocratici (S&D) e dalla sinistra, afferma che «controllare la propria vita riproduttiva e decidere se, quando e come avere figli è essenziale per la piena realizzazione dei diritti umani per le donne, le ragazze e tutte coloro che possono rimanere incinte».

 

I promotori hanno motivato la loro posizione con documenti delle Nazioni Unite che invitano a mantenere la «decisione individuale di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza».

 

La mozione cita anche la decisione della Francia di includere l’aborto nella Costituzione come esempio da seguire, sostenendo la «necessità di una risposta europea al declino dell’uguaglianza tra uomini e donne».

 

Minaccia ai gruppi pro-vita

I deputati sono preoccupati anche per «l’aumento dei finanziamenti ai gruppi contrari all’uguaglianza di genere e all’aborto» in tutto il mondo e nell’UE. Chiedono alla Commissione di garantire che le organizzazioni che «lavorano contro l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne» non ricevano finanziamenti dall’UE.

 

Il testo insiste affinché gli Stati membri e le amministrazioni aumentino la spesa per programmi e servizi sanitari e di pianificazione familiare.

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Contro gli «agenti religiosi ultraconservatori»

La mozione adottata parla ancora di «forze regressive e attori religiosi ultraconservatori e di estrema destra» che «stanno cercando di annullare decenni di progressi nel campo dei diritti umani e di imporre una visione del mondo dannosa sui ruoli degli uomini e delle donne nelle famiglie e nella vita pubblica».

 

Il testo adottato dal Parlamento europeo critica alcuni Stati membri: Polonia, Malta, Slovacchia e Ungheria, le cui politiche sull’aborto sono più conservatrici della maggior parte degli altri. Esorta i governi europei a «rendere obbligatori i metodi e le procedure di aborto nel curriculum dei medici e degli studenti di medicina».

 

Nel 2022, il Parlamento Europeo aveva già adottato una risoluzione a favore dell’aborto, che condannava la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire Roe vs Wade.

 

Una risoluzione che, si spera, non dovrebbe essere adottata

Questa risoluzione chiede solo una modifica alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, senza avere il potere di apportare tale modifica. La risoluzione adottata propone che l’articolo 3.2a sia modificato come segue:

 

«Tutte le persone hanno diritto all’autonomia corporea, all’accesso libero, informato, pieno e universale alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi e a tutti i servizi sanitari correlati senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale».

 

Per apportare una modifica alla Carta dei diritti fondamentali sarebbe necessaria l’approvazione unanime dei 27 Stati membri. Alcuni Paesi in cui la vita dei bambini non ancora nati è meglio tutelata – Malta, Ungheria e Polonia – non dovrebbero, al momento, dare il loro consenso.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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