Geopolitica
Manifestanti: «Fuori la Cina» dall’Argentina

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.
Rapporti troppo stretti con Pechino potrebbero limitare l’autonomia del Paese. Buenos Aires, principale destinataria degli investimenti cinesi in America Latina, aspetta nuovi fondi dal gigante asiatico. I timori degli USA. Cresce la «sinofobia»: aggressioni a immigrati cinesi nella capitale argentina.
«Fuori la Cina» è una delle richieste presentate il 12 ottobre durante l’ottava marcia auto-organizzata contro l’amministrazione kirchnerista, in carica dal dicembre 2019. Nei giorni scorsi anche Washington ha espresso preoccupazione per i rapporti sempre più stretti tra il governo cinese e quello argentino. Tutto ciò mentre in Argentina si registrano attacchi contro gli immigrati cinesi, il cui Paese è ritenuto da più parti responsabile dello scoppio della pandemia da COVID-19.
In Argentina si registrano attacchi contro gli immigrati cinesi, il cui Paese è ritenuto da più parti responsabile dello scoppio della pandemia da COVID-19
Gli effetti di «un rapporto stretto», che limiterebbe l’autonomia economica di Buenos Aires, sono alla base dei timori USA, risvegliati da una conversazione telefonica di 40 minuti avvenuta due settimane fa tra il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo argentino Alberto Fernandez.
In questa telefonata, oltre alla possibile visita di Xi in Argentina una volta terminata la pandemia, sono state affrontate questioni come la costruzione di una quarta centrale nucleare nel Paese, la cooperazione per garantire alla popolazione argentina il massimo accesso possibile a un vaccino contro il coronavirus e la realizzazione di altre opere infrastrutturali.
Poche ore prima di questo colloquio, Kevin O’Reilly, vice assistente segretario di Stato USA per l’Emisfero occidentale, aveva spiegato a giornalisti e uomini d’affari argentini la posizione degli Stati Uniti sui rapporti fra Buenos Aires e Pechino.
Sono state affrontate questioni come la costruzione di una quarta centrale nucleare nel Paese, la cooperazione per garantire alla popolazione argentina il massimo accesso possibile a un vaccino contro il coronavirus e la realizzazione di altre opere infrastrutturali
Nell’ambito del Global Insights Forum, organizzato dalla Camera di commercio Usa in Argentina, O’Reilly ha sostenuto la necessità di una concorrenza leale che rispetti le norme e le istituzioni culturali: «Bisogna competere in condizioni di parità, in modo che siano protette le nostre proprietà intellettuali». L’inviato Usa ha sottolineato che queste non sono condizioni sempre soddisfatte dalle aziende cinesi, totalmente di proprietà dello Stato o dominate da esso: «Questa – egli ha rimarcato – è la nostra preoccupazione».
Secondo una ricerca di Lac-China (Latin American and Caribbean Academic Network on China), l’Argentina è il Paese latinoamericano che tra il 2005 e il 2019 ha beneficiato del maggior numero di investimenti cinesi in infrastrutture: 30,6 miliardi di dollari, il 39% dell’impegno totale di Pechino nella regione; esso è anche quello che sembra aver ricevuto la massima attenzione della Cina negli ultimi quattro anni.
Anche se non ha raggiunto livelli significativi, il «rifiuto sociale» della Cina ha richiamato l’attenzione degli osservatori. Un mese dopo il lockdown imposto dal governo nel Paese, a Buenos Aires si sono avuti casi di xenofobia contro immigrati cinesi.
L’Argentina è il Paese latinoamericano che tra il 2005 e il 2019 ha beneficiato del maggior numero di investimenti cinesi in infrastrutture: 30,6 miliardi di dollari, il 39% dell’impegno totale di Pechino nella regione
Miguel Calvete, segretario generale della Camera dei venditori cinesi al dettaglio in Argentina, ha detto ad AsiaNews che lo scorso aprile sono state presentate due denunce all’Istituto nazionale contro la discriminazione, la xenofobia e il razzismo.
Esse riguardano maltrattamenti subiti da proprietari di negozi cinesi per mano di clienti che li incolpavano per il COVID-19. Calvete ha anche riferito che «data la paralisi del sistema giudiziario dovuta alla quarantena, non sono stati fatti progressi nelle indagini».
Un mese dopo il lockdown imposto dal governo nel Paese, a Buenos Aires si sono avuti casi di xenofobia contro immigrati cinesi
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Immagine «Argentina e Cina firmano contratti per la costruzione di una quarta e quinta centrale nucleare al vertice del G20 in Turchia» (2015) della Casa Rosada (Presidenza della Nazione Argentina) via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Geopolitica
La Von der Leyen vole che l’UE rimuova il diritto di veto dei singoli Paesi sulla politica estera

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha richiesto l’eliminazione dell’unanimità nel processo decisionale di politica estera dell’UE, sottolineando la necessità per l’Unione di agire più rapidamente su sanzioni, aiuti militari e altre misure.
Nel suo discorso annuale sullo stato dell’Unione al Parlamento europeo di mercoledì, von der Leyen ha dichiarato che è arrivato il momento di «liberarsi dalle catene dell’unanimità» e di adottare il voto a maggioranza qualificata in alcuni settori della politica estera.
Con l’attuale sistema, tutti i 27 Stati membri devono essere d’accordo per approvare le decisioni. La Von der Leyen ha sostenuto che questo meccanismo ha rallentato la risposta dell’UE alle crisi e ha affermato che il voto a maggioranza eviterebbe che singoli governi possano bloccare azioni sostenute dalla maggioranza.
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Le sue parole hanno immediatamente suscitato l’opposizione di Slovacchia e Ungheria, che hanno entrambe minacciato di utilizzare il diritto di veto per bloccare politiche considerate dannose per i loro interessi nazionali. Il premier slovacco Robert Fico ha avvertito che l’abolizione del diritto di veto «segnerebbe la fine del blocco» e potrebbe persino essere «il precursore di un enorme conflitto militare».
Il premier ungherese Viktor Orbán ha definito la proposta di Bruxelles come un’iniziativa di «burocrati» e ha sostenuto che abbandonare il consenso minerebbe la sovranità, rischiando di trascinare gli Stati membri in guerre contro la loro volontà. Ha previsto che l’UE non sopravvivrà un altro decennio senza riforme strutturali e senza un disimpegno dalla guerra in Ucraina.
La settimana scorsa Ursula aveva accusato la Russia di aver disturbato il GPS del suo aereo, vicenda poi smentita da parte bulgara e dal sito Flightradar24.
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Come riportato da Renovatio 21, pochi giorni prima la Von der Leyen aveva definito Putin «un predatore».
Come riportato da Renovatio 21, la Von der Leyen due mesi fa aveva accusato la combo costituita da Putin e no-vax come mandanti del voto di sfiducia che l’ha interessata nella vicenda dei messaggini al capo di Pfizer Albert Bourla per le forniture di sieri mRNA (peraltro specialità del marito) cancellati e spariti per sempre.
La Von der Leyen chiede un ingresso accelerato di Kiev in Europa, a cui si oppone il premier ungherese Vittorio Orban sostenendo che ciò trascinerebbe in guerra l’intero blocco.
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Immagine di European Commission via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Charlie Kirk una volta si era chiesto se se l’Ucraina avrebbe cercato di ucciderlo

.@charliekirk11 on Volodymyr Zelenskyy: “The gangster is coming back to extort more American politicians to try to get us further into a no-win war.” pic.twitter.com/AF53AP67rB
— Human Events (@HumanEvents) September 15, 2023
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Geopolitica
Mosca critica Israele per l’attacco al Qatar

La Russia ha condannato l’attacco israeliano alla capitale del Qatar, Doha, definendolo una palese violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, affermando che l’attacco mina gli sforzi per raggiungere un accordo pacifico tra Israele e Hamas, ha affermato mercoledì il Ministero degli Esteri di Mosca.
Martedì Israele ha colpito un edificio residenziale a Doha in un’operazione che ha coinvolto circa 15 aerei da guerra e almeno dieci missili. Il raid, che avrebbe causato la morte di diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya, aveva come obiettivo quello di eliminare l’ala politica del gruppo, secondo le IDF.
Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti a quello che ha definito un tentativo di assassinio dei negoziatori coinvolti nei colloqui per un accordo.
Il ministero degli Esteri russo ha affermato che l’attacco al Qatar, «un Paese che svolge un ruolo chiave di mediazione nei colloqui indiretti tra Hamas e Israele per porre fine alla guerra di Gaza, che dura da quasi due anni, e garantire il rilascio degli ostaggi», non può che essere visto come un tentativo di indebolire gli sforzi di pace internazionali. Mosca ha esortato tutte le parti ad agire responsabilmente e ad astenersi da azioni che potrebbero aggravare ulteriormente il conflitto.
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Mosca ha ribadito la sua posizione, chiedendo un «cessate il fuoco immediato a Gaza» e sollecitando una risoluzione globale della questione palestinese. Il Ministero degli Esteri russo ha affermato che «tali metodi di lotta contro coloro che Israele considera suoi nemici e oppositori meritano la più ferma condanna».
Il Qatar, che ospita funzionari di Hamas nell’ambito dei suoi sforzi di mediazione, ha affermato che tra le sei persone uccise nell’attacco c’era anche un agente di sicurezza locale.
Il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, ha condannato l’attacco definendolo un atto di «terrorismo di Stato» e ha avvertito che il suo Paese si riserva il diritto di rispondere. Ha accusato il suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu di minare la stabilità regionale e ha affermato che l’incidente ha vanificato gli sforzi di mediazione promossi dagli Stati Uniti.
Israele, che incolpa Hamas per il mortale attacco dell’ottobre 2023 nel sud di Israele, ha promesso di dare la caccia ai leader del gruppo «ovunque si trovino».
Le autorità di Gaza affermano che gli attacchi sferrati da Israele dal 7 ottobre 2023 hanno causato la morte di almeno 64.000 persone. Gli osservatori per i diritti umani hanno accusato Israele di aver commesso un genocidio rendendo l’enclave inabitabile e peggiorando le condizioni di carestia attraverso restrizioni agli aiuti.
Il rapporto tra Russia e Qatar, nato negli anni ’90 da interessi energetici condivisi, è un’alleanza pragmatica tra giganti del gas, con Mosca che vede Doha come partner contro la dominanza USA nel mercato globale. Collaborano in forum come OPEC+ e BRICS+, con scambi per miliardi in LNG e armamenti.
Le relazioni si inasprirono il 7 febbraio 2012, quando, secondo quanto riferito, dopo che un diplomatico del Qatar aveva avvertito la Russia di perdere il sostegno della Lega Araba in merito all’imminente risoluzione sulla rivolta siriana, a cui Russia e Cina avevano poi posto il veto, la risposta arrivò dura dall’ambasciatore russo all’ONU Vitaly Churkin, che affermò: “Se mi parli in questo modo, oggi non ci sarà nessun Qatar” e si vantò della superiorità militare russa sul Qatar. In seguito, la Russia negò tutte queste accuse.
Il culmine si era avuto nel 2004: l’autobomba che uccise Zelimkhan Yandarbiyev, ex presidente ceceno in esilio a Doha. La Russia negò coinvolgimento, ma due agenti FSB furono arrestati; uno morì in custodia, l’altro estradato. Il Qatar condannò l’attentato come «terrorismo di Stato», sospendendo legami per mesi, ma pragmatismo prevalse: accordi energetici ripresero presto.
Oggi, nonostante frizioni, il sodalizio resiste, bilanciato da interessi economici.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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