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Protesta

Ma cosa stanno facendo i portuali? Il porto è bloccato?

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Vari lettori ci hanno scritto per specificare che «viva noi» è un’espressione triestina tipica. Si tratterebbe, ci scrive una gentile lettrice, di un modo di dire usuale triestino che si rifà al «Viva l’a’ e po’ bon», cioè la strofa di una canzonetta popolare inizi ‘900, dove la «a» indicava l’Austria. Dunque significherebbe «Viva l’Austria e poi bene».

 

«Si usa quando ci si incontra ma soprattutto quando ci si congeda» ci scrive una gentile lettrice.

 

Purtuttavia, risolto anche questo mistero, rimane assai bizzarra la combinazione del comunicato «MASSIMA CONDIVISIONE VIVA NOI» così come il comunicato in sé, che possiede l’aspetto di una poesia di Pound, non nel senso della Casa ma proprio nel senso di Ezra Pound, poeta vorticista e gigante della letteratura novecentesca.

 

Vorremmo però soffermarci su un’altra questione: come abbiamo sottolineato, il testo lasciava presagire di essere una comunicazione «dei portuali», un’espressione un po’ generica e molto opaca.

 

L’Autorità di Sistema Portuale (AdSP) fa sapere che «nessuna organizzazione sindacale riconosciuta ha dichiarato sciopero nella giornata di domani»

Una nota dell’Autorità di Sistema Portuale (AdSP) fa sapere che «nessuna organizzazione sindacale riconosciuta ha dichiarato sciopero nella giornata di domani» mercoledì 27 ottobre.

 

«Nel porto di Trieste nella giornata di ieri non vi è stata alcuna assemblea spontanea dei lavoratori, tantomeno autorizzata in base alle regole sindacali. Nessuna organizzazione sindacale riconosciuta infatti, ha dichiarato sciopero nella giornata di domani tra i lavoratori dello scalo giuliano» riporta Ferpress.

 

All’annuncio del nuovo sciopero a nome dei «portuali di Trieste» hanno reagito anche le segreterie della triplice (FILT-CGIL, FIT-CISL e UIL trasporti) dichiarando che «le proteste No Green pass afferenti al Coordinamento 15 ottobre non possono e non debbono più essere identificate con i lavoratori portuali triestini, i quali, a quanto ci risulta, stanno per la stragrande maggioranza lavorando regolarmente nello scalo giuliano».

 

La domanda più importante, tuttavia, riguarda l’unica vera materiale che aveva la protesta di Trieste: il blocco del porto. Quanti stanno lavorando in effetti al porto? C’è un blocco delle merci?

I sindacati maggiori hanno aggiunto di «non essere assolutamente a conoscenza dell’assemblea che si è svolta nel porto e che la stessa abbia coinvolto i lavoratori portuali».

 

Si è registrata in giornata anche la reazione del presidente dell’Agenzia Portuale di Trieste Franco Mariani: «i portuali che ancora partecipano alla proteste vengono portati in giro dalla piazza dei no green pass come delle Madonne di Medjugorje. Mi vergogno e soffro per loro».

 

«Pensavano di governare il movimento – ha dichiarato Mariani all’agenzia AGI -. Guidati da Stefano Puzzer, hanno acceso una prateria credendo poi di spegnerla ma poi non ci sono riusciti. Ora vengono portati in giro come icone e usati da chi li ha strumentalizzati per fare dirette Facebook e puntare a un nuovo soggetto politico. Questa non è più una battaglia sindacale ma politica».

 

«Tutti ciò – continua Mariani, un «uomo che da 40 anni vive nei porti e per i porti» – sottolineando che la protesta non è più dei portuali che sono stati sovrastati. Sono scattati altri meccanismi anche di personalismi, come nel caso di Puzzer, che non c’entrano più nulla. Nella storia i portuali hanno sempre fatto lotte importanti, trovando accordi e mediazioni. Se aprono un problema sanno che possono risolverlo altrimenti evitano, come stanno facendo negli altri porti. Questa non è una lotta degna della storia dei portuali».

 

Quindi: se il porto funziona, quale carta ha in mano la protesta portuale per chiedere qualsiasi cosa al governo?

La domanda più importante, tuttavia, riguarda l’unica vera materiale che aveva la protesta di Trieste: il blocco del porto.

 

Quanti stanno lavorando in effetti al porto?

 

C’è un blocco delle merci?

 

Le operazioni in entrata e in uscita, che la protesta diceva di voler bloccare, stanno avanzando normalmente?

 

In rete è assai difficile capirlo, perché tra i sostenitori della protesta vige una sorta di wishful thinking che li porta a credere, magari sulla scorta di qualche tweet con dati presi chissà dove, che il porto triestino sarebbe fermo.

 

In realtà gli stessi portuali no green pass avevano detto che non avrebbero bloccato il porto, lasciando passare di fatto le macchine in entrata e i lavoratori non aderenti alla manifestazione.

 

La carta Trieste al momento pare perduta per sempre. Nessuna massa convergerà più sul primo porto petrolifero del Mediterraneo. Anzi, il «Coordinamento» che ora si intitola la protesta chiede a tutti di creare filiali nelle proprie città. Ognuno a casa sua, e non uscite: è qualcosa che ci siamo sentiti dire nell’ultimo anno e mezzo

Ci risulta quindi difficile – considerando il grande numero di dipendenti del porto che non si riconoscono nell’agitazione dove è presente solo una piccola percentuale, considerando che i varchi sono aperti, considerando che nemmeno dalla stampa locale trapela qualcosa – credere alla storia che il porto sarebbe bloccato dall’imbattibile protesta puzzerina.

 

Quindi: se il porto funziona, quale carta ha in mano la protesta portuale per chiedere qualsiasi cosa al governo?

 

Nessuna.

 

O meglio, una carta in realtà c’era. Una grande manifestazione venerdì e sabato a Trieste, con quantità tali di esseri umani da impressionare il mondo, il quale aveva gli occhi puntati sul capoluogo giuliano.

 

Questa carta è stata gettata via, accampando giustificazioni come la probabile «infiltrazione» di non-si-capisce-bene chi, o ancora la fondamentale importanza dell’appuntamento col Patuanelli, un incontro al top di valore capitale per tutto il popolo italiano.

 

Che mettessero in lockdown anche la protesta non ce lo aspettavamo.

La carta Trieste al momento pare perduta per sempre. Nessuna massa convergerà più sul primo porto petrolifero del Mediterraneo. Anzi, il «Coordinamento» che ora si intitola la protesta chiede a tutti di creare filiali nelle proprie città. Ognuno a casa sua, e non uscite: è qualcosa che ci siamo sentiti dire nell’ultimo anno e mezzo.

 

Che mettessero in lockdown anche la protesta non ce lo aspettavamo.

 

Tuttavia, mentre tutti restano a casa, il porto torna a lavorare alla grande.

 

Quindi, «Viva noi».

 

 

 

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Proteste davanti casa Netanyahu a Gerusalemme si trasformano in rivolte: le immagini

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I manifestanti si sono scontrati martedì sera con la polizia israeliana davanti alla casa del primo ministro dello Stato Ebraico Benjamin Netanyahu a Gerusalemme mentre chiedevano le sue dimissioni, secondo quanto riportato dai media.

 

Migliaia di manifestanti si sono radunati davanti al Parlamento israeliano, la Knesset, per esprimere la loro indignazione per la gestione della guerra a Gaza da parte di Netanyahu, che finora ha ucciso quasi 33.000 persone. Chiedevano il rilascio degli ostaggi e elezioni immediate.

 

La marcia è iniziata con una serie di discorsi tenuti dai familiari degli ostaggi tenuti da Hamas a Gaza, così come da attivisti antigovernativi e dall’ex primo ministro Ehud Barak, un critico accanito di Netanyahu.

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Il terzo giorno di una manifestazione antigovernativa durata quattro giorni è rapidamente precipitato nel caos mentre i manifestanti con le torce si sono diffusi nei quartieri di Gerusalemme, dirigendosi verso la residenza del primo ministro.

 

 

Migliaia di manifestanti hanno invaso le strade del ricco quartiere di Rehavia, dove vivono i Netanyahu, gridando slogan e chiedendo le sue dimissioni. Secondo i media locali, alcuni manifestanti avrebbero tentato di abbattere le barriere all’esterno.

 

Immagini della scena mostrano la polizia che caricava la folla per impedirgli di sfondare e usava idranti per disperdere i manifestanti, molti dei quali portavano bandiere israeliane. La polizia israeliana ha descritto questa fase della marcia come una «rivolta sfrenata».

 

 

 

 

 

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I manifestanti hanno accusato Netanyahu di aver tentato di utilizzare la guerra per prolungare la sua permanenza al potere, sostenendo che stava dando priorità alla sua sopravvivenza politica rispetto agli interessi più ampi del popolo israeliano. Hanno inoltre ritenuto il primo ministro responsabile dell’incapacità del suo governo di prevenire l’attacco del 7 ottobre guidato da Hamas.

 

Netanyahu è stato anche accusato di non aver fatto abbastanza per riportare a casa gli ostaggi tenuti da Hamas a Gaza.

 

Durante le proteste massive anti-Netanyahu di un anno fa – una vera rivolta, che anche allora gli circondò la casa, contro la riforma giudiziaria ad opera del governo più di destra e religiosamente estremista della storia dello Stato degli ebrei – circolò con insistenza la voce che vi fosse la mano americana dietro al caos. Trapelarono quindi, piuttosto oscuramente, documenti americani che indicavano nel Mossad la guida della protesta contro il governo in carica.

 

Come riportato da Renovatio 21, molti segni facevano proprio pensare che in Israele fosse in corso una «rivoluzione colorata» del tipo utilizzato dagli americani (con l’aiuto, in genere persistente, di George Soros e delle sue fondazioni «filantropiche») i per i tentativi di regime change in Paesi di tutto il mondo a cavallo tra gli anni Novanta e i 2000.

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Protesta

Gli agricoltori polacchi bloccano le strade verso Varsavia e i valichi di frontiera

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Ieri gli agricoltori polacchi hanno intensificato le proteste a livello nazionale, denunciando le politiche agricole dell’UE e il flusso di importazioni esentasse dall’Ucraina. Secondo quanto riportato dai media, decine di migliaia di lavoratori agricoli stanno bloccando le strade in diverse centinaia di località in tutto il Paese.   I manifestanti hanno bloccato le strade principali che portano fuori dalla capitale Varsavia con trattori e altre attrezzature agricole, hanno riferito numerose testate.   Sono state bloccate anche le strade che portano al confine tedesco-polacco. Le riprese della zona mostrano decine di veicoli parcheggiati sull’autostrada, bloccando il traffico.   La polizia è stata chiamata nei luoghi dove si sono radunati i manifestanti, ma finora non ci sono notizie di scontri.  

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Secondo quanto riportato dai media, gli agricoltori polacchi avrebbero pianificato un totale di oltre 500 blocchi stradali, promettendo di «paralizzare» il Paese. La polizia polacca ha dichiarato di essere a conoscenza di oltre 580 proteste previste per mercoledì e di aspettarsi la partecipazione di circa 70.000 persone.   Da settimane in Polonia e in altri stati dell’UE si verificano proteste da parte degli agricoltori. I manifestanti chiedono modifiche alle restrizioni imposte loro dalle politiche ambientali del blocco – il cosiddetto Green Deal – e la sospensione delle importazioni di prodotti agricoli dall’esterno del blocco, principalmente dall’Ucraina. Gli agricoltori lamentano di non essere in grado di competere con le importazioni ucraine a basso costo che stanno inondando i mercati dell’UE.   Nonostante le proteste degli agricoltori, mercoledì scorso Bruxelles ha raggiunto un accordo provvisorio per estendere l’accesso esentasse dell’Ucraina ai suoi mercati fino a giugno 2025. Tuttavia, l’accordo introduce un «freno di emergenza» sulle importazioni di pollame, uova, zucchero, avena, mais, semole e miele se superano i livelli medi del 2022 e del 2023.   I manifestanti polacchi si sono comunque opposti all’accordo, affermando che vogliono che il punto di riferimento per i limiti di importazione siano gli anni precedenti al conflitto in Ucraina, poiché i volumi erano molto più bassi Poi.   La scorsa settimana, i legislatori dell’UE hanno anche proposto di allentare alcune norme ambientali, come le misure relative alla rotazione delle colture, nel tentativo di arginare le proteste. Questo sarà uno degli argomenti di discussione dei ministri dell’Agricoltura degli Stati membri nel prossimo incontro del 26 marzo.   Come riportato da Renovatio 21, i vescovi polacchi si sono schierati con gli agricoltori. Nel mirino della protesta vi è apertamente l’Ucraina, testimoniando la tensione fra i due Paesi, difficilmente sanabile nonostante l’elezione a Varsavia di un governo filo-occidentale e quindi, teoricamente, filo-Kiev.   Sei mesi fa l’Ucraina aveva minacciato la Polonia per il blocco del grano. Al termine del discorso di Zelens’kyj alle Nazioni Unite, in cui alludeva molto criticamente a Varsavia, l’allora premier Mateusz Morawiecki aveva avvertito che non avrebbe tollerato più insulti.   Le tensioni tra i due Paesi hanno portato perfino alla convocazione degli ambasciatori.   Il ministero della Difesa polacco Wladyslav Kosiniak-Kamysz due settimane fa aveva detto che il Paese si rifiutava di inviare truppe in Ucraina.

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Protesta

I vescovi polacchi si schierano con gli agricoltori nella battaglia contro normative UE e importazioni dall’Ucraina

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La Conferenza episcopale cattolica polacca ha espresso solidarietà agli agricoltori polacchi irritati dal grano ucraino che ha inondato il mercato, facendo scendere i prezzi. Lo riporta LifeSiteNews.

 

L’arcivescovo Stanisław Gądecki, presidente della conferenza, ha dichiarato venerdì scorso che i vescovi «non possono essere indifferenti» alla difficile situazione dei contadini polacchi «ai quali dobbiamo tanto».

 

«Da un lato si parla di un flusso incontrollato di forniture alimentari dall’estero, con il quale gli agricoltori polacchi non possono competere in termini di prezzi», ha dichiarato Gądecki.

 

«Dall’altro, viene indicata la politica dell’UE, il cosiddetto Green Deal, che secondo l’opinione degli agricoltori mira a ridurre la produzione agricola nell’UE, o ad eliminarla quasi completamente. Di conseguenza, gli agricoltori si sentono minacciati – anche a causa dei prestiti contratti – dalla prospettiva del fallimento e della perdita delle loro aziende agricole, frutto di generazioni di lavoro. La loro drammatica situazione merita la nostra attenzione e la nostra solidarietà».

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Da quando la guerra in Ucraina si è intensificata due anni fa, la Polonia ha sostenuto, a livello di Stato, Chiesa e altre infrastrutture, nonché migliaia di singole famiglie polacche che sostengono i circa 19,6 milioni di rifugiati ucraini che hanno attraversato il loro paese. frontiere.

 

Tuttavia, tale generosità è stata messa alla prova dall’inondazione dei mercati europei con il grano ucraino, che viene coltivato con sostanze chimiche non consentite nelle aziende agricole dell’UE ma a cui sono state concesse concessioni da Bruxelles dopo l’attacco russo del febbraio 2022.

 

Diecimila agricoltori polacchi si sono riuniti venerdì scorso a Varsavia per protestare contro le normative UE e contro la mancanza di restrizioni sul grano ucraino.

 

Secondo il blog di notizie Notes from Polonia, un funzionario ucraino ha dichiarato che quattro treni carichi di generi alimentari provenienti dall’Ucraina sono stati sabotati mentre attraversavano la Polonia. Ciò che è indiscutibile è che gli agricoltori polacchi bloccano il confine con l’Ucraina e anche il confine con la Slovacchia per impedire l’ingresso dei prodotti alimentari ucraini dal sud in Polonia.

 

Ma non sono gli ucraini assediati a trarre profitto dalle spese degli agricoltori polacchi, bensì gli oligarchi e le imprese straniere, soprattutto, come ha menzionato l’arcivescovo Gądecki, i sindacati occidentali.

 

«Sebbene il grano provenga dall’Ucraina, in gran parte non è prodotto dai singoli agricoltori ucraini ma è di proprietà di sindacati occidentali che utilizzano nella produzione sostanze chimiche non consentite dall’Unione Europea», ha affermato.

 

Gądecki ha sottolineato l’importanza della campagna polacca e della proprietà della propria terra per l’identità polacca rendendo omaggio ai contadini delle generazioni passate, ricordando quando – armati di nulla nelle loro falci – si sollevarono per combattere per la libertà polacca.

 

Il prelato ha ricordato ai suoi lettori il motto dei vecchi agricoltori – «Noi nutriamo e proteggiamo» – riconoscendo che le pratiche agricole stanno cambiando, ma ha affermato che «ogni giorno abbiamo bisogno di mangiare» e che «non possiamo rimanere indifferenti al dramma degli agricoltori ai quali dobbiamo così tanto».

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«Chiedo a tutti di pregare per le intenzioni dei contadini e delle loro famiglie, così come per le intenzioni della nostra Patria», ha concluso.

 

Come riportato da Renovatio 21, nelle ultime due settimane le proteste degli agricoltori si sono allargate mirando sempre più ai favori concessi all’Ucraina a danno dei polacchi, con blocchi dei confini e manifestazioni varie.

 

Le relazioni tra i due Paesi si sono inasprite definitivamente l’anno scorso dopo il discorso all’ONU di Zelens’kyj che ha accusato la Polonia. L’allora premier polacco Morawiecki rispose che non avrebbe più subito ulteriori insulti, e da allora si sono consumate altre tensioni diplomatiche (con tanto di convocazione dell’ambasciatore), al punto che le relazioni tra i due Paesi sono state definite come «titanicamente danneggiate».

 

Un deputato polacco arrivò a mostrare un conto del danaro che Kiev dovrebbe a Varsavia per il supporto ricevuto.

 

A inizio 2023 un missile ucraino aveva ucciso due persone in Polonia, che è membro della NATO. In un primo tempo, Kiev aveva dato la colpa ai russi. Anche lì si registrò qualche reazione indignata da parte dei politici polacchi.

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Immagine di Silar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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