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Spirito

L’autorità, la vera posta in gioco del Sinodo – prima parte

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Il recente episodio della destituzione da parte di Papa Francesco di Sua Eccellenza Monsignor Joseph E. Strickland, vescovo negli Usa, ci rivela la vera posta in gioco del Sinodo, la cui relazione di sintesi è stata pubblicata proprio il 28 ottobre. La questione è quella della corretta comprensione di quale dovrebbe essere l’autorità nella Chiesa.

 

Cosa verrà fuori dall’ultimo Sinodo? Bisognerà aspettare l’Esortazione post-sinodale che il Papa pubblicherà per poter rispondere davvero a questa domanda. In effetti, l’attuale Sinodo del 2023, la cui relazione di sintesi è stata pubblicata sabato 28 ottobre, non è ancora terminato, poiché dovrà svolgersi in due sessioni.

 

La relazione di sintesi riflette quindi solo riflessioni e proposte presentate in vista della seconda sessione, che si terrà nell’autunno del 2024. Il Papa è sempre libero di pubblicare nel frattempo ciò che vuole, ma resta il fatto che, per il momento non possiamo approfondire ulteriormente.

 

Ci sembra, però, che la vera posta in gioco del Sinodo ci sia stata resa chiaramente manifesta da un recente episodio: la destituzione da parte di Papa Francesco di Sua Eccellenza Monsignor Joseph E. Strickland, Vescovo di Tyler, nello Stato di Texas, negli Stati Uniti.

 

La questione è quella della corretta comprensione di quale dovrebbe essere l’autorità nella Chiesa.

 

Cos’è l’autorità?

La parola «autorità» deriva dal verbo latino «augere» che significa aumentare. Secondo l’etimologia, l’autorità designa la funzione di colui che è tenuto a dare un incremento a coloro che governa. Aumento della libertà. Rendere gli altri sempre più liberi è l’atto fondamentale e radicale che definisce l’autorità come tale.

 

E questa libertà, di cui l’autorità deve assicurare la promozione, è quella che i membri di una società devono sempre meglio esercitare tra loro, gli uni con gli altri, agendo secondo le esigenze della retta ragione, illuminati dalla fede, per raggiungere la perfezione alla quale Dio li chiama. Perfezione inscritta nel bene comune, che è la ragione della vita nella società e di cui è responsabile l’autorità.

 

L’autorità ti rende libero. Non si sostituisce alla libertà, ma le viene in aiuto, per facilitarne l’esercizio. Il Dottore angelico spiega bene questo punto, quando parla, in particolare, dell’autorità di chi insegna:

 

«Tra gli effetti che nascono da una causa esterna ce ne sono alcuni che derivano solo da questa causa; così la forma di una casa è prodotta unicamente dall’arte dell’architetto. Ma vi sono altri effetti che dipendono ora da una causa esterna, ora da una causa interna; così la salute è causata nel malato talvolta da un principio esterno, che è l’arte del medico, talvolta da un principio interno, come quando si è guariti dalla forza della natura».

 

«In tali effetti bisogna osservare due punti. Innanzitutto che l’arte imita la natura nel suo modo di agire; infatti la natura guarisce i malati alterando, digerendo o espellendo la materia che provoca la malattia; e così opera anche l’arte medica».

 

«Si deve poi osservare che il principio esterno, cioè l’arte, non agisce allo stesso modo dell’agente principale, ma come un ausiliario che sostiene questo agente principale (il principio interno) rafforzandolo e fornendogli gli strumenti e gli aiuti di cui la natura si serve per produrre i suoi effetti; Così il medico rafforza la natura e le fornisce gli alimenti e i rimedi con cui raggiunge il suo fine», S. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, 117, 1, corpus.

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Ed è anche così che l’autorità rafforza la libertà e le fornisce i mezzi e i rimedi necessari per esercitarsi correttamente. In questo modo, la legge decretata dall’autorità non ha altra ragion d’essere che quella di fornire i mezzi affinché la libertà umana si conformi alla legge di Dio, per raggiungere la perfezione dell’uomo. Come dice Papa Leone XIII, «la libertà consiste nel fatto che, con l’aiuto delle leggi civili, possiamo più facilmente vivere secondo le prescrizioni della legge eterna» (1).

 

Mons. Strickland non ha interpretato diversamente le cose e per questo ha inteso utilizzare anche la sua autorità episcopale, conferitagli nel 2012 da Papa Benedetto XVI, per donare ai suoi circa 120.000 diocesani la vera libertà dei figli di Dio. La vera libertà di conformarsi al vero Vangelo, con tutte le sue esigenze, comprese quelle della legge naturale.

 

Ciò lo ha portato a essere pubblicamente molto critico, come la maggioranza dei suoi colleghi americani, nei confronti dell’ultimo Sinodo. Come riportato da Jean-Marie Guénois, su Le Figaro dell’11 novembre, «mons. Strickland ha criticato una serie di decisioni che potrebbero istituire una forma di diaconato femminile, l’ordinazione al sacerdozio di uomini sposati, il controllo dei laici del potere episcopale e la benedizione delle coppie omosessuali, anche se quest’ultimo punto è stato più contestato del previsto, in ottobre».

 

Sempre secondo lo stesso giornalista, «nella sua lettera del 22 agosto 2023 indirizzata ai cattolici della sua diocesi nel nord-est del Texas, egli respinge punto per punto questi sviluppi, basandosi sull’insegnamento post-conciliare della Chiesa cattolica, con una conclusione che è dovuto costargli cara, dal momento che lasciava intendere che papa Francesco sarebbe stato scismatico:

 

«È deplorevole che coloro che non sono d’accordo con questi cambiamenti [previsti dal sinodo, ndr] siano etichettati come “scismatici”. (…) Ma restare fermi non significa cercare di uscire dalla Chiesa. Al contrario, sono coloro che vorrebbero proporre modifiche a ciò che non può essere cambiato secondo i comandamenti di Cristo, alla sua Chiesa, sono loro i veri scismatici».

 

Lo «scisma» in questione si basa su una falsa concezione dell’autorità nella Chiesa. Falsa concezione in cui l’autorità si pone al servizio dei capricci di una falsa libertà. Infatti, come ha ben osservato il teologo svizzero Charles Journet (2), libertà e autorità sono due nozioni correlative che verranno distorte parallelamente e simultaneamente.

 

«L’autorità – aggiunge – viene totalmente e radicalmente sovvertita quando accetta di sacrificare l’ordine dei fini alla volontà del numero, il diritto al fatto, l’obbligo al capriccio, il perfetto all’imperfetto, l’atto di il potere». (3)

 

L’autorità abusata di Papa Francesco paralizza la vera libertà dei figli di Dio perché tace invece di dichiarare forte e chiaro, come dovrebbe, che il male è male e l’errore è errore. Si mette al servizio della falsa libertà dei diritti umani scandalizzando con il suo ecumenismo, dando praticamente accesso alla comunione eucaristica ai divorziati risposati, rifiutando ogni discriminazione contro le persone LGBT.

 

E il Sinodo in definitiva non è che la cristallizzazione di questa falsa libertà, in quanto vuole essere l’erede e il continuatore del Concilio Vaticano II.

 

«Il Concilio Vaticano II – si legge nella relazione di sintesi – è stato, infatti, come un seme gettato nel campo del mondo e della Chiesa. […] Il Sinodo 2021–2024 continua a sfruttare l’energia di questo seme e a svilupparne il potenziale. […] In questo senso costituisce un vero atto di recezione successiva del Concilio, prolungandone l’ispirazione e rilanciandone la forza profetica per il mondo di oggi».

 

Forza profetica che ha voluto accogliere nella Chiesa le false idee scaturite dalla rivoluzione massonica, per realizzare «una riconciliazione ufficiale della Chiesa con il mondo quale era diventato dal 1789» (4). E va sempre più avanti nel cammino di questo aggiornamento.

 

Don Jean-Michel Gleize

Don Jean-Michel Gleize è professore di Apologetica, Ecclesiologia e Dogma al Seminario San Pio X di Econe. È il principale collaboratore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali tra Roma e la FSSPX tra il 2009 e il 2011.

 

NOTE

1) Leone XIII, Enciclica Libertas, 20 giugno 1888.

2) Charles Journet, L’Esprit du protestantisme en Suisse, Parigi, 1925.

3) Journal, ibidem, p. 156.

4) Joseph Ratzinger, Les Principes de la théologie catholique. Esquisse et matériaux, Téqui, 1982, p. 426-427.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Geopolitica

«Dobbiamo porre fine alla guerra il prima possibile»: Zelens’kyj incontra il segretario di Stato vaticano Parolin

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L’Ucraina vorrebbe che i combattimenti con la Russia terminassero il più presto possibile per porre fine alla perdita di vite umane, ha affermato il presidente ucraino Volodyrmyr Zelens’kyj.   Il leader ucraino stava parlando con il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano in visita a Kiev. Lo Zelens’kyj ha ringraziato la Santa Sede per un «forte segnale» di sostegno all’Ucraina.   Il cardinale Segretario di Stato «ha ribadito la vicinanza del Papa e l’impegno a trovare una pace giusta e duratura per la martoriata Ucraina», ha scritto la segreteria di Stato Vaticana su X.  

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«Penso che tutti noi capiamo che dobbiamo porre fine alla guerra, il prima possibile ovviamente, per non perdere vite umane», ha dichiarato lo Zelens’ky in lingua inglese, secondo il video pubblicato sul suo canale Telegram.   La scorsa settimana, lo Zelens’kyj ha detto alla BBC che sperava di porre fine alla «fase calda» della guerra «entro la fine di quest’anno» e che nessuno voleva che il conflitto continuasse «per altri dieci anni o più».   Nella stessa intervista, tuttavia, ha chiarito che la sua soluzione era che gli alleati dell’Ucraina in Occidente concordassero di sostenere la sua cosiddetta «formula di pace» e la presentassero alla Russia come un blocco unito.   Tale «formula di pace» è un elenco di richieste di Zelensky rivelate per la prima volta nel novembre 2022, che vanno dal ritiro della Russia da tutti i territori che l’Ucraina rivendica come propri, tra cui Crimea e Donbass, al pagamento delle riparazioni, ai processi per crimini di guerra per la leadership russa e all’adesione dell’Ucraina alla NATO. Mosca l’ha respinta come una proposta delirante.   Un mese prima di pubblicare la sua «formula», lo Zelensky aveva pure firmato un decreto che vietava qualsiasi negoziazione con la Russia finché il presidente Vladimir Putin fosse rimasto al potere.   L’improvviso interesse dello Zelens’kyj nel porre rapidamente fine al conflitto ha rappresentato un netto cambiamento di tono rispetto a marzo, quando Papa Francesco aveva esortato Kiev a mostrare «il coraggio della bandiera bianca» e a negoziare con Mosca.   «La nostra bandiera è gialla e blu», rispose allora il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. «Non innalzeremo mai altre bandiere».   Papa Francesco aveva fatto due offerte per mediare nel conflitto con la Russia l’anno scorso, solo per essere respinte da Kiev entrambe le volte. L’ultimo rifiuto è arrivato a giugno, appena prima della grande offensiva ucraina che si è rivelata un fallimento totale e ha causato vittime ingenti.   Poi  nel giugno 2023 ci fu inflitto lo spettacolo disarmante della visita, fatta con espressione timida e testa un po’ china, del cardinale Zuppi a Kiev, dove si è trovato di fronte la faccia di bronzo di Zelens’kyj – il cui Paese perseguita i monaci ortodossi e mette a tacere i sacerdoti cattolici che osano pregare per la pace – che non è, come dire, intenzionato a servirsi del canale della Santa Sede, e nemmeno vede nella religione uno strumento necessario al potere.   Lo Zelens’kyj potrebbe cambiare la sua retorica a causa del timore che l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump possa tornare alla Casa Bianca e modificare la politica di Washington di sostegno incondizionato a Kiev, ha affermato lunedì l’esperto polacco di relazioni internazionali Witold Sokala.   La Russia ha ripetutamente affermato di essere disposta a negoziare la fine delle ostilità con l’Ucraina. Il mese scorso, Putin ha elencato una serie di termini per un cessate il fuoco, tra cui la rinuncia ufficiale di Kiev alle aspirazioni NATO, il ritiro dalle regioni russe e la revoca di tutte le sanzioni occidentali alla Russia.

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Lo scorso settembre Mikhailo Podolyak, uno dei principali consiglieri del presidente Zelens’kyj, aveva dichiarato che Kiev non avrebbe accettato la mediazione di Papa Francesco nel conflitto con Mosca, perché il pontefice «filo-russo» tradirebbe l’Ucraina. Lo stesso, in una focosa intervista al Corriere della Sera, aveva definito il Papa uno «strumento della propaganda russa» a causa delle affermazioni del pontefice secondo cui i cattolici in Russia sono eredi di una grande tradizione storica.   Sempre secondo il controverso Podolyak, il papa «ha dimostrato di non essere un esperto di politica e continua a ridurre a zero l’influenza del cattolicesimo nel mondo».   Si tenga presente che a inizio conflitto Bergoglio aveva pure baciato pubblicamente, durante un’udienza dello scorso anno, la bandiera di una «centuria» del golpe di Maidan. A sua volta, il patriarca greco-cattolico ucraino, in comunione con Roma, si è scagliato, come altri prelati ucraini, contro il documento filo-omosessualista Bergogliano Fiducia Supplicans.   Lo scorso maggio lo Zelens’kyj, che ha spinto per la persecuzione della Chiesa Ortodossa d’Ucraina (UOC), aveva proclamato che gli ucraini sono il popolo eletto di Dio. La portavoce degli Esteri del Cremlino Maria Zakharova aveva replicando parlando di «overdose di droga».   La repressione dalla chiesa ortodossa potrebbe essersi spostata a quella cattolica: come riporta Renovatio 21, un sacerdote greco-cattolico (cioè in comunione con il papa, ma di rito bizantino) della diocesi della città dell’Ucraina occidentale Uzhgorod è stato costretto a scusarsi dopo un’omelia in cui invocava il Signore per avere la pace tra il popolo russo e quello ucraino.   Come riportato da Renovatio 21, i sacerdoti cattolici – come le donne, i malati di mente e i sieropositivi HIV – non sono risparmiati dalla leva militare obbligatoria nella guerra contro la Russia, mentre i circensi sono esentati.  

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Politica

La conversione di JD Vance al cattolicesimo

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Le notizie riguardanti l’elezione del futuro presidente americano sono piuttosto frenetiche in questo momento, con il recente attacco a Donald Trump e il ritiro dell’attuale presidente, Joe Biden, che sta costringendo i democratici a trovare un sostituto. La seguente intervista è stata rilasciata da James Davis Vance, designato vicepresidente di Trump, dopo la sua conversione al cattolicesimo.

 

L’intervista è condotta da Rod Dreher, cresciuto metodista, convertito al cattolicesimo prima di passare all’ortodossia e che è piuttosto aggressivo nei confronti del cattolicesimo. L’intervista ha il merito di esporre il pensiero di Vance sul cattolicesimo. Aldo Maria Valli ha recentemente pubblicato il testo sul suo blog ed è stato tradotto da Benoît et moi. Risale ad agosto 2019.

 

Questo fine settimana sono stato a Cincinnati, Ohio, per un motivo speciale: il mio amico JD Vance è stato battezzato e accolto nella Chiesa cattolica. È stata una lunga strada per lui. Fu introdotto alla fede cattolica da padre Henry Stephan, domenicano, nel convento di Ste Gertrude. Ecco una breve intervista che ho fatto con JD sulla sua vita spirituale e sul suo viaggio verso il cattolicesimo.

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Perché il cattolicesimo? Perché ora?

Col tempo mi sono convinto che il cattolicesimo è vero. Sono cresciuto come cristiano, ma non sono mai stato molto legato a nessuna denominazione e non sono mai stato battezzato. Quando ho iniziato a interessarmi alla fede, ho lasciato il passato alle spalle e mi sono rivolto alla Chiesa che più mi attraeva intellettualmente.

 

Ma intellettualizzare è troppo facile. Quando guardavo le persone che contavano di più per me, mi rendevo conto che erano cattoliche. Mio zio sposato è cattolico. René Girard, che conosco solo per averlo letto, era cattolico. Ho letto e studiato questi argomenti per tre anni o più. Era giunto il momento.

 

Ciò sarebbe probabilmente accaduto prima se la crisi degli abusi sessuali, o la sua versione più recente, non avesse generato così tanto inchiostro. Mi ha costretto a pensare alla Chiesa come istituzione divina e umana e a cosa ciò avrebbe significato per mio figlio di due anni. Ma negli ultimi anni non ho mai dubitato che sarei diventato cattolico.

Hai scelto Sant’Agostino come tuo santo patrono. Per quello?

Per diverse ragioni. Il primo è che le Confessioni mi hanno commosso. Probabilmente li ho letti, in parte, due volte negli ultimi quindici anni circa. C’è un capitolo nella Città di Dio che è incredibilmente rilevante ora che penso alla politica. Agostino è un sostenitore incredibilmente potente delle cose in cui crede la Chiesa.

 

Uno dei motivi del mio ritorno al cristianesimo è che provengo da un mondo poco intellettuale riguardo alla fede. Oggi trascorro molto tempo con intellettuali non cristiani. Agostino mi ha permesso di comprendere la fede cristiana in modo molto intellettuale. Ho attraversato anche una fase di ateismo furioso. Agostino mi ha dimostrato in modo commovente che la menzogna secondo cui bisogna essere stupidi per essere cristiani, alla quale ho creduto per gran parte della mia vita, era falsa.

 

Voi siete ben consapevoli della difficile situazione in cui si trova oggi la Chiesa cattolica, con scandali, leadership incerte e tutto il resto. Le difficoltà della Chiesa cattolica ti scoraggiano?

Nel breve periodo sì, ma una delle cose che mi piace del cattolicesimo è che è molto antico. Ha una visione a lungo termine. La situazione è forse più preoccupante che a metà del XIX secolo? Cosa nel Medioevo? È scoraggiante quanto avere un secondo papa ad Avignone? Io non credo ciò. La speranza della fede cristiana non è radicata in una conquista a breve termine del mondo materiale, ma nel fatto che è vera e che a lungo termine, passo dopo passo, le cose andranno bene.

 

In che misura pensi che la fede cattolica guidi le tue opinioni sulle politiche pubbliche?

Le mie opinioni sulla politica pubblica e su quale dovrebbe essere lo Stato migliore sono in gran parte in linea con la dottrina sociale cattolica. Questa è una delle cose che mi hanno attratto della Chiesa. Ho notato una vera corrispondenza tra ciò che vorrei vedere e ciò che vorrebbe vedere la Chiesa. Spero che la mia fede mi renda più compassionevole e mi permetta di identificarmi con le persone bisognose.

 

Le mie opinioni politiche sono state piuttosto coerenti negli ultimi anni. Penso che il Partito Repubblicano sia stato per troppo tempo un’alleanza tra conservatori sociali e liberali, e non penso che i conservatori sociali abbiano tratto molto beneficio da quell’alleanza. Parte della sfida del conservatorismo sociale per il 21° secolo non può limitarsi a questioni come l’aborto, ma deve assumere una visione più ampia nell’ambito dell’economia politica e del bene comune.

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Quali sono secondo lei i principali pericoli spirituali per i cristiani impegnati oggi nella vita politica?

Fondamentalmente, la vita pubblica è in parte una gara di popolarità. Quando cerchi di fare cose che ti rendono popolare tra le masse, è improbabile che tu faccia cose che siano coerenti con gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Sono cristiano, conservatore e repubblicano, quindi ho opinioni molto specifiche su cosa significhi.

 

Ma bisogna essere umili e capire che la politica è essenzialmente un gioco del tempo. So che molte persone sono molto critiche nei confronti del modo in cui la maggioranza dei cristiani si è avvicinata a Trump. Per me, fondamentalmente, la domanda che la maggior parte dei cristiani si pone è: quale di questi due partiti politici è meno offensivo per la mia fede?

 

Ma quando la domanda è questa, la risposta è quasi sempre insoddisfacente. Sono certamente critico nei confronti del modo in cui alcuni evangelici hanno risposto all’elezione di Trump. Ma so anche che la maggior parte di loro non lo fa perché sono yes-men. Lo fanno perché non pensano di avere un’opzione migliore.

 

Ron Howard ha appena finito di girare Hillbilly Elegy [Un film basato sull’autobiografia scritta da Vance nel 2016, ndr]. Grazie a questo film, milioni di persone conosceranno il tuo pellegrinaggio personale dalla tua infanzia difficile ad oggi. Esiste un modo spirituale per interpretare la storia di American Legends?

Una delle cose di cui parla Hillbilly Elegy è la lotta per trovare stabilità nella tua vita, ma anche per diventare una brava persona quando non hai avuto un’educazione facile. Significa essere un buon marito e padre ed essere sufficientemente capaci da provvedere alla propria famiglia.

 

Uno degli aspetti più attraenti del cattolicesimo è che il concetto di grazia non è espresso in termini di epifania. Non è ricevendo la grazia che si passa improvvisamente da persona cattiva a persona buona. Lavoriamo costantemente su noi stessi. Questo è ciò che mi piace. Sento che è piuttosto difficile essere una brava persona.

 

Riconoscere che la grazia opera a lungo termine è liberatorio, ma è anche coerente con il modo in cui ho visto cambiare la mia vita e quella delle persone che ho conosciuto. Una delle cose che ho avuto difficoltà a relazionare con il cristianesimo è l’idea che la trasformazione sia facile e avvenga ogni volta che dici una preghiera.

 

Questo non corrisponde al modo in cui ho visto le persone lottare, migliorare e cambiare.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news

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Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza CC BY-SA 2.0

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Politica

Il ministro sionista Ben Gvir infiamma i religiosi: «ho pregato sulla Spianata, lo status quo è cambiato»

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Proprio mentre Netanyahu è a Washington il ministro della Sicurezza leader dell’ultradestra incoraggia i nazionalisti israeliani a recarsi a pregare pubblicamente al «monte del Tempio», dove oggi sorge la moschea di al Aqsa. La polizia: «Nessuna autorizzazione». Gli stessi leader religiosi ultra-ortodossi contrari. Sullo sfondo le pressioni per entrare nel gabinetto di guerra.   Punta tutto sul discorso di questa sera al Congresso Benjamin Netanyahu, che si trova a Washington per il viaggio da lui tanto agognato durante il quale difenderà le proprie posizioni sulla guerra a Gaza davanti al presidente Joe Biden, ma anche a Kamala Harris e a Donald Trump.   Intanto, però, in queste ore da Gerusalemme l’ennesima sfida alla portata reale della sua leadership in Israele arriva da Itamar Ben Gvir, il ministro della Sicurezza interna, leader dell’ultradestra nella fragile coalizione di governo.   In un post pubblicato su X e in un discorso a un gruppo di sostenitori, Ben Gvir ha dichiarato pubblicamente di aver pregato durante una visita compiuta la scorsa settimana (scortato dalla polizia) al «monte del Tempio», la spianata nel cuore di Gerusalemme dove un tempo sorgeva il luogo più sacro degli ebrei e che oggi è dominata dalla moschea di al Aqsa, il sito islamico più venerato della Città Santa.
Nel delicatissimo gioco di equilibri su cui si fonda la convivenza a Gerusalemme da quando nel 1967 Israele ne ha assunto il controllo pieno, le regole dello «status quo» – che fu Moshe Dayan stesso a prescrivere di rispettare – prevedono che gli ebrei che lo desiderano possano visitare in alcuni orari la spianata, ma senza compiere nessun gesto ostentato di preghiera. Proprio questa prescrizione, dunque, viene messa nel mirino da Ben Gvir con una nuova prova di forza.

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Già il mese scorso, il ministro della Sicurezza pubblica aveva dichiarato che, per quanto lo riguardava, la preghiera ebraica era ora consentita sul «monte del Tempio», provocando una rapida reazione da parte dell’ufficio di Netanyahu, che si era affrettato a dichiarare che lo status quo era invariato. Ben Gvir, però, va avanti per la sua strada: «Ho pregato sul monte del Tempio e stiamo pregando sul monte del Tempio» ha ribadito oggi. «Io faccio parte della classe politica e la classe politica permette la preghiera ebraica sul monte del Tempio».   Una prospettiva del genere sarebbe un ulteriore cerino nella polveriera delle relazioni con la popolazione musulmana di Gerusalemme. Ma le reazioni più sdegnate alle dichiarazioni del ministro che guida l’ala più oltranzista del governo Netanyahu, sono arrivate dallo stesso mondo religioso ebraico.   A differenza da quanto sostengono i nazionalisti, infatti, il Gran Rabbinato ortodosso dice che gli ebrei non dovrebbero affatto entrare nel complesso, per non correre il rischio di calpestare il «Santo dei Santi», la parte più sacra del Tempio, le cui rovine potrebbero trovarsi sotto la spianata.   Il ministro degli Interni Moshe Arbel – che è un politico ultra-ortodosso – ha dichiarato oggi alla Knesset che «la grande blasfemia che è stata commessa non può passare sotto silenzio», esprimendo «protesta» per il comportamento di Ben Gvir.   «Chiedo al primo ministro di non permettere che lo status quo cambi sul monte del Tempio e, se ci saranno cambiamenti, di chiudere il monte del Tempio agli ebrei», ha dichiarato Moshe Gafni, il presidente di Degel Hatorah, un altro dei partiti religiosi ebraici.   Da parte sua anche Eyal Avraham, il comandante dell’Unità per i siti sacri della Polizia israeliana (che pur dipende da Ben Gvir), in un video pubblicato sul sito di informazione israeliano Walla ha ribadito che «la preghiera ebraica non è consentita sul monte del Tempio».   La fiammata religiosa di Ben Gvir arriva – non a caso – mentre nel governo Netanyahu è in corso uno scontro politico acceso sul gabinetto di guerra, nel quale il ministro della Sicurezza interna preme per entrare dopo l’uscita dall’esecutivo di Benny Gantz.   A quest’eventualità si oppone fermamente il ministro della Difesa Yoav Gallant. La mossa sul monte del Tempio sembrerebbe, dunque, l’ennesimo segnale identitario in un governo scosso da profonde tensioni. Dove con il sostegno di soli 64 deputati su 120 alla Knesset, ormai ogni forza politica può tenere sotto scacco il premier.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.  

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Immagine di Shay Kendler via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication
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