Cina
La «spina» Taipei e la «grana» Lituania mettono alla prova i rapporti tra Ue e Pechino
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews
Il 15 ottobre Xi Jinping e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel hanno avuto un colloquio telefonico. Obiettivo: ridurre la tensione. Punita dai cinesi per i suoi crescenti rapporti con Taiwan, Vilnius chiede l’intervento unito della Ue. Deputato lituano: Non siamo come loro, non dobbiamo rispondere con misure coercitive simmetriche.
Taiwan è un tema sempre più spinoso nelle relazioni tra Cina e Unione europea. Sarà con ogni probabilità argomento di discussione nella telefonata del 15 ottobre tra il presidente cinese Xi Jinping e quello del Consiglio europeo Charles Michel.
La tensione tra Pechino ed Europa si è accentuata dopo che i cinesi hanno adottato misure coercitive contro la Lituania, con Vilnius che chiede un approccio comune della UE più duro nei confronti della Cina.
Lo scorso 10 agosto Pechino ha richiamato in patria il proprio ambasciatore a Vilnius: una protesta contro la decisione del governo lituano di permettere a quello taiwanese di aprire un ufficio di rappresentanza con il nome «Taiwan».
Gli operatori ferroviari cinesi non stanno organizzando treni merci per la Lituania; sul territorio della Repubblica baltica passano solo treni di transito dalla Cina
Come sottolineato ad AsiaNews dal deputato lituano Matas Maldeikis, pur senza un’indicazione ufficiale del proprio governo gli operatori ferroviari cinesi non stanno organizzando treni merci per la Lituania; sul territorio della Repubblica baltica passano solo treni di transito dalla Cina.
Per il Partito comunista cinese, Taipei è una provincia «ribelle» da riunificare con la forza se necessario. Dopo le recenti massicce incursioni aeree cinesi nei pressi dell’isola, ieri le truppe di Pechino hanno simulato operazioni di sbarco e attacco nel Fujian, la provincia costiera che si trova di fronte a Taiwan.
Lo scorso 6 ottobre, il ministro taiwanese della Difesa Chiu Kuo-cheng ha affermato che la Cina sarà in grado di lanciare un attacco su «vasta scala» contro l’isola entro il 2025.
Ieri in collegamento video con la Conferenza Forum 2000, Tsai Ing-wen è tornata a chiedere la conclusione di un accordo bilaterale sugli investimenti tra il proprio Paese e la UE. Secondo la presidente taiwanese, Taiwan può diventare un partner indispensabile per l’Europa in settori chiave come biotecnologie, energie rinnovabili, protezione dei dati, conservazione degli oceani e soprattutto microchip.
Per non urtare la sensibilità di Pechino, la UE non sembra intenzionata a sottoscrivere un patto commerciale di ampia portata con Taipei. Malgrado ciò, le frizioni sino-europee continuano a moltiplicarsi.
Lo scorso 6 ottobre, il ministro taiwanese della Difesa taiwanese Chiu Kuo-cheng ha affermato che la Cina sarà in grado di lanciare un attacco su «vasta scala» contro l’isola entro il 2025
Il ministero cinese degli Esteri ha condannato la visita a Taiwan di una delegazione parlamentare francese, conclusasi il 10 ottobre. La diplomazia di Pechino ha ribadito che l’isola è una parte «inalienabile» della Cina e che il capo delegazione transalpino, il senatore Alain Richard, o ignora le regole del diritto internazionale o vuole «sabotare» le relazioni franco-cinesi per scopi personali.
Richard si è recato più volte a Taiwan. In febbraio, quando è emersa la notizia della sua visita a Taipei, l’ambasciatore cinese in Francia Lu Shaye gli ha scritto una lettera intimandogli di abbandonare il proposito.
Maldeikis, capo del gruppo di amicizia con Taiwan del Parlamento di Vilnius, guiderà una delegazione lituana che visiterà Taipei nella prima metà di dicembre.
Secondo il politico lituano Matas Maldeikis, l’Europa deve fronteggiare Pechino cooperando con chi gioca secondo le regole, diversificando le catene di approvvigionamento e trovando mercati alternativi a quello cinese
Alla domanda se la UE deve rispondere agli atti coercitivi della Cina con misure commerciali simmetriche, Maldeikis dice che sarebbero controproducenti: «non siamo come loro e non possiamo sacrificare persone e imprese».
Secondo il politico lituano, l’Europa deve fronteggiare Pechino cooperando con chi gioca secondo le regole, diversificando le catene di approvvigionamento e trovando mercati alternativi a quello cinese.
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Cina
Un treno di prodotti agricoli dallo Xinjiang a Salerno. Le ONG uigure: frutto di lavoro schiavo
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Un viaggio di 10mila chilometri esaltato da Pechino come occasione di sviluppo (e di rivincita sull’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative). Ma il cotone e i pomodori dello Xinjang sono al centro della «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera», che secondo numerosi rapporti è una forma di lavoro forzato.
Un treno carico di prodotti agricoli partito da Urumqi, nella tormentata regione autonoma cinese dello Xinjiang, e destinato dopo 10mila chilometri di viaggio tra binari e trasbordi marittimi a raggiungere Salerno, in Italia.
Il nuovo viaggio bandiera della China-Europe Railway Express è partito il 29 aprile scorso dalla Cina, con ampia copertura mediatica da parte degli organi di stampa ufficiali di Pechino, che ne esaltano i benefici per l’economia dello Xinjiang.
Oltre a rilanciare le «potenzialità» di quella Belt and Road Initiative – la nuova «via della seta» di Xi Jinping – dai cui accordi pure il governo italiano dello scorso anno sarebbe uscito, annullando il memorandum sottoscritto da Roma e Pechino nel 2019 ma senza chiudere ad altre forme di cooperazione commerciale.
A restare sullo sfondo è però la questione del rispetto dei diritti umani nello Xinjiang, regione dove gli abusi nei confronti uiguri hanno spesso anche il volto del lavoro forzato utilizzato proprio nell’agricoltura. Ad evidenziarlo è una presa di posizione pubblica lanciata in queste ore da tre dei gruppi più attivi sulla salvaguardia dei diritti della popolazione musulmana dello Xinjiang: Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders. Insieme hanno scritto una lettera aperta all’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia, esprimendo preoccupazione per l’iniziativa e chiedendo un’indagine accurata sull’origine dei prodotti trasportati su quel treno.
«La moderna schiavitù del popolo uiguro e i continui crimini contro l’umanità – si legge nel documento – sono stati ampiamente documentati da organizzazioni internazionali, media indipendenti e organismi governativi. L’uso del lavoro forzato in qualsiasi forma viola i principi fondamentali dei diritti umani, tra cui il diritto alla libertà dalla schiavitù e dal lavoro forzato, come sancito da diverse convenzioni e trattati internazionali di cui l’Italia è parte».
L’iniziativa della China-Europe Railway Express è rilevante anche per il peso della Regione autonoma uigura dello Xinjiang nella produzione agricola cinese: coltiva l’85% del cotone del Paese, oltre il 70% dei pomodori (producendo fino al 90% del concentrato di pomodoro destinato all’esportazione), il 50% delle noci e il 28% dell’uva. Inoltre nella regione vi sono anche coltivazioni significative di grano, mais e altri cereali.
«Prove significative – scrivono Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders, citando rapporti specifici sull’agricoltura nello Xinjiang – rivelano che i trasferimenti di manodopera nella regione uigura avvengono in un contesto di coercizione senza precedenti, con la costante minaccia di rieducazione e internamento. Molti lavoratori indigeni non sono in grado di rifiutare o abbandonare volontariamente il lavoro nel settore agricolo, e quindi i programmi equivalgono al trasferimento forzato di popolazioni, al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla riduzione in schiavitù».
Uno dei volti di questo sfruttamento oggi è anche quella che Pechino chiama la «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera» (转移就业脱贫). Concretamente: migliaia di persone vengono formate e trasferite verso lavori agricoli stagionali, come appunto la raccolta di cotone o pomodori. Inserito nel quadro del più ampio programma di Xi Jinping per la riduzione mirata della povertà, è un sistema costruito su misura di contesti sociali pervasivamente coercitivi, caratterizzati dalla mancanza di libertà civiche, come è appunto quello dello Xinjiang.
«Come membro della comunità internazionale – concludono il loro appello Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders – l’Italia ha la responsabilità di garantire che le sue pratiche commerciali siano in linea con il suo impegno per i diritti umani e gli standard etici. Permettere che merci prodotte attraverso il lavoro forzato entrino nei suoi confini non solo condona queste gravi violazioni dei diritti umani, ma mina anche la credibilità della posizione dell’Italia sulla promozione e l’applicazione dei diritti umani. Esortiamo il governo italiano ad agire immediatamente per indagare sull’origine delle merci arrivate a Salerno e a mettere in atto misure per prevenire l’importazione di prodotti ottenuti con il lavoro forzato».
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Cina
Xi ricorda il 25° anniversario delle atrocità NATO in Serbia. Noi rammentiamo altri misteri della globalizzazione anni ’90
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Cina
Storie di utero in affitto in Cina
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Questa storia nasce dall’intersezione tra la politica cinese del figlio unico, l’assenza volontaria di figli, la maternità surrogata e le norme tradizionali di pietà filiale.
Come riportato dal South China Morning News, un uomo di Yiyang, nella provincia di Hunan, nella Cina centrale, desiderava disperatamente un nipote. Ma sua figlia, 29 anni, ha rifiutato di avere figli o di sposarsi. Così, all’insaputa della moglie, ha organizzato tramite un’agenzia una studentessa universitaria come madre surrogata. Era impregnata del suo stesso sperma.
Sua moglie è tornato a casa un giorno nel 2022 e trovò una tata con un bambino. Lo sconosciuto disse alla moglie che la bambina apparteneva a lei e a suo marito. E infatti, poiché il marito aveva rubato la carta d’identità della moglie, lei e il marito erano stati registrati come genitori del bambino.
La moglie infuriata ha detto ai media: «Mio marito ha detto [a mia figlia]: “La tua scelta significa che non sarò mai nonno. Che senso ha crescerti? Non avere un bambino significa non essere filiale, secondo la cultura tradizionale cinese”». Ora minaccia di divorziare da lui.
Anche la figlia è sconvolta. Lei sostiene che suo padre è del tutto incapace di allevare un figlio da solo. Teme di essere legalmente obbligata ad allevare lei stessa il bambino se i suoi genitori procedessero con il divorzio.
L’orgoglioso padre è ignaro dell’opposizione della sua famiglia. Il suo commento è stato che, poiché la bambina era così carina e sana, la prossima volta avrebbe potuto chiedere all’agenzia di maternità surrogata un maschio.
Michael Cook
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