Famiglia
La solitudine dell’eremo e il significato del suono delle campane per un bambino

Gli eremi esistono ancora, grazie al Cielo.
Il grave problema, però, è che non esistono quasi più gli eremiti, ovvero coloro i quali gli eremi li abitano, li rendono vivi e pieni di spiritualità.
«Beata solitudo, sola beatitudo», che tradotto significa «Beata solitudine, unica beatitudine», è una frase cardine nella vita eremitica, attribuita spesso a San Bernardo di Chiaravalle.
«Beata solitudo, sola beatitudo», «Beata solitudine, unica beatitudine», è una frase cardine nella vita eremitica, attribuita spesso a San Bernardo di Chiaravalle.
L’eremo è stato infatti, per secoli, un rifugio per chi volesse fuggire dal mondo ritirandosi nella solitudine e nel silenzio, e un trampolino di lancio per quelle anime che volessero elevarsi verso Dio.
Nel sua Regola, San Benedetto, al Capitolo 1º, parlando della specie dei monaci e riferendosi alla seconda specie, ovvero proprio quella degli anacoreti o eremiti, dice di loro:
«Così, bene addestrati dalla battaglia sostenuta insieme ai fratelli per il combattimento individuale nel deserto, sicuri, senza la consolazione di altri, soltanto con la propria mano e il proprio braccio, sono ormai in grado di lottare, con l’aiuto di Dio, contro i vizi della carne e dei pensieri».
Pochi giorni fa ho voluto toccare con mano, insieme alla mia famiglia, la realtà di un eremo ancora custodito ed abitato da quattro monaci eremiti. Una realtà a mio modesto parere davvero affascinante e ricca di intensità spirituale della quale, se qualcuno vuole o è interessato, sono ben disposto a fornire testimonianza, almeno per quel poco che ho potuto vedere, ascoltare e percepire — e per quel che essa può valere giacché proveniente dal sottoscritto.
«Così, bene addestrati dalla battaglia sostenuta insieme ai fratelli per il combattimento individuale nel deserto, sicuri, senza la consolazione di altri, soltanto con la propria mano e il proprio braccio, sono ormai in grado di lottare, con l’aiuto di Dio, contro i vizi della carne e dei pensieri».
Vedere un eremita è un po’ come vedere ancora una Speranza, avendo così la certezza che vi è ancora qualcuno su cui poter contare, attraverso il quale credere che il sacrifico e la preghiera di pochi sarà a beneficio di molti.
La solitudine dell’eremo, il lavoro, il silenzio e la preghiera degli eremiti incuriosivano lo sguardo di mio figlio, che con stupore osservava, dal basso verso l’alto, il lungo abito nero e la folta e lunga barba bianca di un padre eremita, che con un sorriso lo benediceva quasi con gli occhi, occhi pesti dalle levate notturne ma pieni di gioia, di pace e di quella serenità di chi riposa il proprio spirito in Dio. «In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum».
Tuttavia, quel che più ha colpito mio figlio — ed è dallo stupore e dall’intuizione genuina dei bambini che si possono imparare tante cose anche a giovamento della propria anima — è stato il momento in cui un monaco, silenzioso e con il passo gravato dalle fatiche, si è mosso a suonare le campane del mezzogiorno, quelle che richiamano alla preghiera ed in particolare alla recita dell’Angelus: lì, il tempo si è fermato e altri due bambini in visita all’eremo hanno affiancato mio figlio in sacrosanto silenzio, ad ascoltare e ad assaporare quegli attimi non facili da vedere altrove.
Vedere un eremita è un po’ come vedere ancora una Speranza, avendo così la certezza che vi è ancora qualcuno su cui poter contare, attraverso il quale credere che il sacrifico e la preghiera di pochi sarà a beneficio di molti.
I rintocchi delle campane suonate a mano, con le corde, dall’eremita, sono stati precisi, impeccabili, come atti trascendenti.
Mentre mi chiedevo come mai quel momento attraesse così tanto i bambini, pur capendo che la campana possa essere una attrazione perché emette un suono gradevole ai piccoli, credo di aver capito, guardando mio figlio, che le campane sono veramente la Voce di Dio – uno dei modi in cui Dio, misericordiosamente, si fa presente agli uomini facendoli vivere alla Sua presenza.
Don Camillo con il suono campane disturbò ed interruppe il comizio comunista di Peppone e compagni. Fece parlare Dio, attraverso il suono delle campane.
Credo di aver capito, guardando mio figlio, che le campane sono veramente la Voce di Dio – uno dei modi in cui Dio, misericordiosamente, si fa presente agli uomini facendoli vivere alla Sua presenza
Oggi le campane suonano poco, sempre meno e sempre più meccanicamente, schiacciando un bottone o, peggio, programmando il tutto.
È un chiaro segno dei tempi.
Se vorremo tornare a Dio, prima che sia troppo tardi, dovremo tornare al silenzio. Al silenzio del cuore, se non potremo optare per il silenzio dell’eremo. Non è nel chiasso che si trova Dio — e la vita dei santi lo insegna.
Se vorremo tornare a Dio, prima che sia troppo tardi, dovremo tornare al silenzio
Qualora fossimo in grado di partire dall’eremo del nostro cuore per il «Quaerere Deum» per il quale siamo stati creati, saremo già a metà dell’opera.
Cristiano Lugli
Essere genitori
La Svizzera verso la proibizione delle sberle ai bambini (ucciderli con l’aborto, invece, si può)

Il Consiglio Federale Svizzero ha annunciato l’intenzione di introdurre il principio della «genitorialità non violenta» nel codice civile del Paese. Come riportato mercoledì dall’agenzia di stampa Swissinfo, il gabinetto dei ministri ha avviato un processo di consultazione pubblica che mira a vietare ogni forma di violenza, sia fisica che verbale, contro i bambini.
Attualmente la violenza genitoriale è vietata dal Codice Penale svizzero e tutti, compresi gli insegnanti, il personale degli asili nido e del doposcuola, sono obbligati a denunciare alle autorità qualsiasi caso di sospetta violenza contro i bambini.
La consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider vuole però andare oltre, inserendo nel codice civile il principio dell’educazione non violenta dei bambini.
La Baume Schneider ha indicato che il suo dipartimento sta già preparando gli emendamenti pertinenti, che mirano a garantire che i genitori allevino i propri figli «senza applicare punizioni fisiche o altre forme di violenza degradante».
Il concetto di «punizione fisica» così come delineato nella proposta di legge di Baume-Schneider comprende sia impatti fisici duri che leggeri: in una nota esplicativa allegata al disegno di legge, qualsiasi tipo di schiaffo o scossa è considerata punizione leggera mentre colpire con cose come cinture e bastoni, bruciare e calci sono considerati forme di violenza grave.
Sono forniti anche esempi di violenza psicologica come minacce, insulti, umiliazione, disprezzo e intimidazione, così come negligenza, ostracismo e isolamento.
Allo stesso tempo, Nicole Hitz, ricercatrice presso l’Ufficio federale di giustizia, ha dichiarato a Swissinfo che l’introduzione di tali disposizioni nel CodiceCivile elvetico «non ha nulla a che fare con il desiderio dello Stato di esercitare un controllo sull’istruzione o di punire le violazioni». I principi intendono invece fornire un “segnale” ai genitori e contribuire a garantire che i bambini non debbano subire violenze in casa.
Il Consiglio Federale propone inoltre di ampliare e rafforzare i servizi di consulenza già esistenti per genitori e figli e di renderli più facilmente accessibili alle famiglie svizzere.
La proposta è stata accolta favorevolmente da Protezione dell’Infanzia Svizzera, la cui responsabile, Regula Bernhard Hug, si è detta entusiasta della proposta, affermando che «crea chiarezza e ha un grande effetto di segnale», poiché molti genitori attualmente «non sono sicuri di cosa sia permesso e cosa sia non».
Il periodo per la discussione pubblica sulle modifiche al codice civile terminerà il 23 novembre 2023. Fino ad allora, tutte le persone, i partiti e le organizzazioni interessate avranno l’opportunità di esprimere le proprie preoccupazioni o altri commenti sulla legislazione.
«Sberle e sculacciate sono una realtà per quasi un bambino su due in Svizzera» scriveva a fine 2022 la testata statale elvetica RSI.
Raccontando del percorso per arrivare alla legge, RSI raccontava che «per convincere la maggioranza la ‘senatrice’ urana Heidi Zgraggen ha ricordato i risultati di uno studio dell’Università di Friburgo, che dice appunto che quasi un bambino su due in Svizzera subisce violenza fisica o psicologica in casa e che ogni anno più di 1500 bambini sono ricoverati in cliniche e pronto soccorso a causa di violenze nell’educazione».
All’epoca Consiglio Federale era contrario alla mozione sostenendo che il diritto penale tutela già a sufficienza i minori e ricordando che istituti sanitari e scolastici sono obbligati a dare l’allarme qualora vi siano casi sospetti.
Si ha la sensazione che vi saranno poche realtà che faranno apertamente campagna contro questa legge. Chi vuole passare per essere qualcuno che difende la violenza su bambini? Ma scherziamo?
Schiaffeggiare un bambino in Svizzera diventerà quindi illegale, tuttavia ucciderlo mentre si trova nel ventre materno, magari facendolo a pezzi nel processo, è perfettamente legale: secondo le attuali disposizioni legali (Codice Penale svizzero, Art. 118-120), l’aborto è permessa sino alla 12ª settimana di gravidanza.
Con evidenza, non è un bambino: di fatto bisognerebbe che il potere elvetico proibisse l’espressione che si usa anche ben prima della 12ª settimana, «aspetto un bambino». Perché, se è un bambino, non puoi schiaffeggiarlo, e quindi, in teoria, nemmeno ucciderlo.
Purtroppo non è così.
Qualcuno ricorderà al legislatore questa contraddizione?
Famiglia
Famiglia il provetta: il padre della figlia è in realtà suo fratellastro

Una lettera arrivata alla rivista americana The Atlantic rende conto della catastrofe che la produzione di bambini in provetta causa alla famiglia.
Il livello di oscenità è indicibile, tuttavia si tratta di situazioni allucinanti che sono all’ordine del giorno, in quanto rese possibili dalla tecnologia di riproduzione artificiale degli esseri umani.
Lori Gottlieb è la psicoterapeuta che tiene sulla prestigiosa (e goscista) magazine statunitense la rubrica «Dear Therapist»). Lo scorso 27 febbraio ha pubblicato la seguente lettera anonima.
Caro terapista,
Quando ho sposato mio marito, aveva due figli adulti e io non ne avevo. Entrambi volevamo avere un figlio insieme, ma mio marito ha subito una vasectomia dopo la nascita del suo secondo figlio, troppo tempo fa per annullare la procedura.
Non volevamo usare una banca del seme, quindi abbiamo chiesto al figlio di mio marito di essere il donatore. Abbiamo ritenuto che fosse la decisione migliore: nostro figlio avrebbe avuto i geni di mio marito e conoscevamo la salute, la personalità e l’intelligenza del mio figliastro. Ha accettato di aiutare.
Nostra figlia ora ha 30 anni. Come possiamo dirle che suo «padre» è suo nonno, suo «fratello» è suo padre, sua «sorella» è sua zia e suo «nipote» è il suo fratellastro?
Mio marito ed io siamo ansiosi, confusi e preoccupati di dirglielo. Anche questo è difficile per mio marito, perché vuole che nostra figlia sappia che sarà sempre e per sempre suo padre.
Grazie per ogni consiglio che hai da offrire.
Anonima
Il padre, in realtà è il nonno. Il fratello, in realtà è il padre. La madre, in realtà, è anche la matrigna del padre, cioè del fratello.
Capite il caos rivoltante. Capite perché la tragedia greca a casi simili faceva corrispondere maledizioni in grado di distruggere stirpi e città intere, di provocare guerra e distruzione.
La famiglia del mondo moderno si compone grazie alla volontà di potenza biotecnologica, con nessun rispetto per i ruoli conosciuti nella storia dell’umanità, sempre ben definiti, di padre, madre, figlio. Senza nessun rispetto per la legge naturale.
Il problema è che non finisce qui. Già si sono avuti casi come quello del figlio gay che si fabbrica un figlio in provetta e lo fa crescere nel grembo di sua madre: suo figlio è anche suo fratello, il bambino artificiale è nipote e figlio della stessa donna.
Ci sono, inoltre i casi di uteri trapiantati dalla madre alle figlia. I transgender da anni rivendicano la possibilità di impiantare un utero da una donna (viva? Morta?) a un uomo transessuale. C’è stato anche il caso del chirurgo indiano che l’anno scorso ha cercato di mettere incinta un trans. La Bioetica è, ovviamente, d’accordo.
Con la gametogenesi, cioè la creazione di cellule sessuali (spermatozoi e ovuli) a partire da cellule somatiche qualsiasi, un uomo potrà diventare «padre» e un altro uomo la «madre», una «donna» potrà diventare «padre» creando dalle sue cellule uno spermatozoo, e poi magari si avrà anche l’incrocio per cui il «padre» è una donna e la «madre» un uomo.
Ribadiamo: tutto questo è a portata, gli esperimenti sui roditori, come segnalato da Renovatio 21, hanno già funzionato.
Aggiungete l’arrivo dell’ectogenesi – cioè di quell’utero artificiale che il boss dell’utero in affitto ucraino prevede essere disponibile tra 5 e 7 anni – e avete capito che la questione della sessualità come mezzo riproduttivo e della famiglia come luogo della vita è bello che finito. È il sogno ultimo della dottrina gender: un mondo senza generi, senza sesso, soprattutto senza famiglia.
«Se la riproduzione della specie venisse rimpiazzata dalla riproduzione artificiale, i bambini nascerebbero uguali di entrambi i sessi, o indipendenti da questo fattore» (…) la tirannia della famiglia biologica sarebbe finalmente spezzata» scriveva nel libro Dialectics of Sex (1970) la pensatrice femminista Shulamith Firestone.
«Il tabù dell’incesto – scriveva ancora la Firestone – attualmente serve solo a preservare la famiglia: se ci sbarazzassimo della famiglia ci sbarazzeremmo anche delle repressioni che vedono la sessualità posta in formazioni specifiche».
La Firestone si dice terminò la sua vita di lotta con la schizofrenia morendo nel suo appartamento, dove fu trovata in stato di decomposizione dal padrone di casa presumibilmente un mese dopo la morte, avvenuta nel 2012. Nessuno pare si fosse preoccupato per lei, nessuno si era peritato di vedere come stava. Non aveva coniugi, né figli. Non aveva famiglia.
È un’immagine plastica di quello a cui può assomigliare una società senza famiglia: tutti ridotti a individui senza vere relazioni, gratificati però da «diritti» alle perversioni di ogni genere, ad effimeri godimenti materiali, sessuali, pseudo-artistici, finto-spirituali. Stipendio e sadomaso, arte contemporanea e yoga…
Il mondo, da tanto tempo, sta andando nella direzione descritta dalla Firestone. Nessuno pare rendersi conto davvero della cosa, né avere contezza della maledizione che può abbattersi sull’umanità con questo abominio senza fine.
Famiglia
Julia Roberts difende la famiglia e l’essere casalinga

In una lunga intervista data al New York Times, la più grande attrice di Hollywood, Julia Roberts, ha affermato qualcosa di sconvolgente per il tempo presente e nello specifico per i canoni dei media americani: il primato della famiglia sulla carriera.
Quando il giornalista le fa notare che sono oramai vent’anni che non la vediamo in una rom-com (in gergo, una commedia romantica: il classico juliarobertsiano) la diva risponde con un raggio laser:
«Ecco il punto: se avessi pensato che qualcosa fosse abbastanza buono, l’avrei fatto. Ma ho avuto anche tre figli negli ultimi 18 anni. Ciò alza ancora di più l’asticella… È anche l’equazione matematica dell’orario di lavoro di mio marito, dell’orario scolastico dei bambini e delle vacanze estive. Non è solo, “oh, penso di volerlo fare”».
«Ho un senso di grande orgoglio di essere a casa con la mia famiglia e di considerarmi una casalinga».
Boom.
Si tratta di un pensiero inaccettabile per gli standard del mainstream ora completamente intriso di femminismo, cioè quella forma di pensiero creato da gruppi economici malthusiani per cui la vera realizzazione di una donna è nella carriera e secondariamente, se vuole, nella famiglia.
Di solito, questo discorso, con annessa l’untuosa geremiade sulla parità dei sessi sul lavoro, viene fatto da donne con una carriera poco significativa.
Julia Roberts, ritenuta per decenni una A-Lister – cioè, il top degli attori nella Mecca del cinema – invece possedeva una carriera senza eguali al mondo. Tecnicamente, dicendo no ai copioni che le hanno presentato per stare assieme ai figli e al marito, ha rinunciato a decine di milioni di dollari, forse a centinaia, e magari pure ad ulteriori statuette che l’avrebbero spinta ancora più su, se possibile, nell’eternità dell’Olimpo della celluloide.
Invece no: eccotela ad affermare, senza peli sulla lingua, il primato della famiglia, il suprematismo casalingo.
Julia Roberts redpillata?
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Immagine di David Shankbone via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0); immagine croppata.
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