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Bioetica

La pretesa eticità della vaccinazione obbligatoria COVID secondo l’OMS: parere del CIEB

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Renovatio 21 pubblica il comunicato del Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB).

 

 

Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina

Parere sul documento dell’OMS del 30 maggio 2022 concernente la pretesa eticità della vaccinazione obbligatoria anti-Covid

 

 

 

 

Mentre i media continuano a manipolare l’opinione pubblica alternando emergenze strategiche, climatiche e alimentari a presunte crisi sanitarie dai nomi sempre più fantasiosi (vaiolo delle scimmie, morbillo del tricheco), le organizzazioni internazionali che dovrebbero perseguire pace, benessere e prosperità non cessano di attentare alla sicurezza degli italiani nelle sue diverse declinazioni.

 

Con particolare riferimento all’ambito sanitario, oggetto della specifica competenza del CIEB, può qui ricordarsi la raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 7 dicembre 2018, intitolata al «rafforzamento della cooperazione nella lotta contro le malattie prevenibili da vaccino». (1)

 

La raccomandazione equipara qualsiasi malattia prevenibile mediante vaccino ai «grandi flagelli» e, muovendo da questa singolare premessa, invita gli Stati a elaborare e attuare piani di vaccinazione che comprendano non solo l’elaborazione di «informazioni elettroniche sullo stato vaccinale dei cittadini», ma anche «un approccio alla vaccinazione sull’intero arco della vita», nonché la possibilità «di investire nella ricerca nelle scienze comportamentali e … sui fattori determinanti dell’esitazione vaccinale in diversi sottogruppi della popolazione» (dove per «esitazione vaccinale» deve intendersi la sfiducia del pubblico verso i vaccini).

 

Adottata in tempi non sospetti allo scopo di preparare il terreno a quel «biopandemismo» che l’emergenza COVID ha in seguito ampiamente disvelato, e che il CIEB ha denunciato in un suo parere (2), la raccomandazione europea viene in rilievo anche per la tecnica da essa utilizzata, volta a legittimare decisioni politiche lesive di diritti e libertà individuali mediante «spinte gentili» ispirate ai principi dell’economia comportamentale e recepite in strumenti di soft law.

 

Questa tecnica è ora fatta propria anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) mediante il documento adottato il 30 maggio 2022 e intitolato «COVID-19 and mandatory vaccination: Ethical considerations» (3), documento che taluni circoli già presentano come una sorta di linea-guida inevitabilmente destinata a ispirare i futuri pronunciamenti etico-giuridici in materia, con particolare riferimento all’attesa sentenza della Consulta concernente la legittimità costituzionale dell’obbligo cosiddetto vaccinale.

 

Redatto con ogni evidenza sulla scorta dell’esperienza italiana degli ultimi due anni, oltreché a misura della normativa europea che ha autorizzato in via condizionata e provvisoria l’immissione in commercio dei cosiddetti vaccini anti-COVID, il documento dell’OMS appare tanto banale e fuorviante quanto inquietante: banale e fuorviante perché muove dal falso assunto che l’obbligo vaccinale persegue interessi generali alla stregua delle norme che in diversi Paesi impongono agli automobilisti di indossare la cintura di sicurezza o agli ipovedenti di guidare utilizzando lenti correttive, posto che indossare la cintura di sicurezza o gli occhiali da vista non comporta rischi significativi per la salute dei soggetti obbligati («in many parts of the world, people are required to wear seatbelts, motorists with poor visual acuity are required to wear corrective lenses»); inquietante perché giustifica l’introduzione dell’obbligo vaccinale nel caso in cui le «preoccupazioni» dei soggetti che scelgono di non vaccinarsi si rivelino d’ostacolo al completamento della campagna vaccinale, posto che siffatte preoccupazioni discendono legittimamente da dati sanitari oggettivi e rilevabili dalla letteratura scientifica e da database medici internazionali («If addressing such concerns is ineffective, and those concerns remain a barrier to the achievement of important objectives … a mandate may be considered necessary»).

 

Ma le criticità del documento dell’OMS non si fermano qui. Singolari appaiono infatti i passaggi del documento relativi:

 

  • alla pretesa correlazione tra i soggetti che possono, ma non vogliono, vaccinarsi e l’aumento del rischio di danni da COVID («if a substantial portion of individuals are able but unwilling to be vaccinated and this is likely to result in significant risks of COVID-19-related harms»), correlazione smentita da copiose evidenze scientifiche in grado di attestare che i cosiddetti vaccini attualmente in commercio non proteggono dal contagio delle varianti del virus SARS- CoV-2 in circolazione (4) e che, in ogni caso, l’efficacia di tali vaccini diminuisce rapidamente nel tempo (5);

 

  • al valore salvifico dei cosiddetti vaccini anti-COVID, ricostruito sulla base di studi clinici sempre più contestati e controversi e di una vigilanza attiva asserita, ma mai effettuata («Evidence generated from clinical trials and real-world use has demonstrated that authorized COVID-19 vaccines meet this condition of safety»), pur a fronte della inesistenza – riconosciuta dallo stesso documento – di evidenze scientifiche in grado di provare al di là di ogni ragionevole dubbio la capacità dei vaccini in questione di limitare la trasmissione del virus SARS-CoV-2 («authorized COVID-19 vaccines have been shown to be safe and highly effective in preventing severe disease, hospitalization and death, and there is some evidence that being vaccinated will make it less likely to become infected and pass the virus on to others»);

 

  • alla strumentalizzazione del principio di precauzione che, mediante una costruzione semantica fuorviante e ingannevole, viene arbitrariamente asservito all’obbligo vaccinale («while an obligation exists to ground decisions about vaccination mandates in the best available evidence, a lack of full certainty regarding the ineffectiveness of other measures should not necessarily preclude the use of vaccination mandates, if there is reason to believe they would be effective at averting significant harm»);

 

  • al tentativo di istituzionalizzare il controllo dell’informazione al fine di sopprimere il dissenso e l’autonomia individuale, bollati come comportamenti da governare e non come valori da alimentare in una società democratica e pluralista («There should, however, be strict scientific and prudential limits to appeals for accommodation or “conscientious objection”, especially when such accommodation might be used by individuals to ‘free ride’ the public health good of community protection» e ancora «Finally, it should be acknowledged that those opposed to the use of vaccination mandates may take advantage of social dissent even when the use of a mandate is ethically justified, which may impact social and community cohesion»);

 

  • al tentativo di sostituire con accordi di compensazione economica di natura forfettaria il ricorso alle garanzie giurisdizionali preposte all’accertamento delle responsabilità civili e penali eventualmente derivanti dai danni collegati o conseguenti alla vaccinazione obbligatoria («mandatory vaccination should be implemented with no-fault compensation schemes to address any vaccine-related harm that might occur. This is important because it would be unfair to require people to seek legal remedy from harm resulting from a mandatory intervention»).

 

Quest’ultimo passaggio in particolare, barattando la salute individuale col denaro, avalla una logica mercificatrice dei diritti e della dignità dell’essere umano che, da sola, basta a smentire la pretesa valenza «etica» del documento dell’OMS.

 

Evidentemente lo scopo del documento è un altro.

 

Come conferma la pervicacia con cui l’OMS si ostina ad ignorare uno dei principi basilari dell’epidemiologia, ossia che la vaccinazione durante una fase epidemica produce l’effetto di incrementare le varianti del virus, lo scopo del documento è quello di favorire l’applicazione elastica dell’obbligo vaccinale a future esigenze e/o emergenze politico-sanitarie, coerentemente con la vaghezza e la genericità delle affermazioni in esso contenute («Consequently, … considerations identified above are described generally so that they can be applied at any point in time and in any context»): ciò che potrebbe indurre taluni a ritenere maliziosamente che la volontà dell’OMS si indirizzi di fatto nel senso di favorire, e non di ostacolare, la diffusione del virus SARS-CoV-2.

 

Sulla scorta di quanto rilevato, il CIEB non può fare a meno di osservare che l’intero documento dell’OMS avrebbe potuto essere utilmente riassunto nella constatazione riportata a pag. 4 dello stesso, secondo cui «No vaccine is perfect».

 

Parafrasando la celebre battuta finale di una altrettanto celebre commedia hollywoodiana (6), una siffatta constatazione da una parte avrebbe contribuito a non esacerbare gli animi degli italiani che da più di due anni sopportano le restrizioni imposte in forza della cosiddetta emergenza sanitaria e, dall’altra, avrebbe offerto prova della residua onestà intellettuale di una organizzazione – quale è l’OMS – che beneficia largamente di finanziamenti erogati dagli stessi soggetti coinvolti nella progettazione, produzione, distribuzione e commercializzazione dei cosiddetti vaccini anti-COVID, nonché nel sostegno politico-mediatico fornito alla cosiddetta campagna vaccinale (7).

 

Così non è stato. Pertanto, il CIEB ritiene necessario sollecitare ancora una volta l’opinione pubblica a:

 

1) prendere coscienza della strategia pianificata da organizzazioni internazionali quali l’OMS e l’Unione europea, nonché dal Governo in carica, al fine di espropriare i cittadini dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali mediante il ricorso sistematico a stati d’emergenza di natura diversa, secondo il metodo del biopandemismo;

 

2) valutare i mezzi più idonei per fronteggiare la deriva autoritaria in corso, tenuto anche conto della possibilità, da più parti ventilata, che le elezioni politiche previste per il 2023 vengano procrastinate sine die a causa del conflitto armato in cui il Governo sta trascinando il Paese.

 

 

CIEB

 

13 giugno 2022

 

NOTE

1) Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 28 dicembre 2018, n. C-446, pag. 1 e ss.

 

2) Cfr. il Parere (n. 7) sul ruolo della Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 7 dicembre 2018 nel quadro della gestione dell’emergenza COVID.

 

3) Cfr. https://www.who.int/publications-detail-redirect/WHO-2019-nCoV-Policy-brief-Mandatory-vaccination-2022.1.

 

4) Cfr. D. W. Eyre et al., Effect of Covid-19 Vaccination on Transmission of Alpha and Delta Variants, in N. Engl. J. Med., 2022, 386, 744- 756 doi: 10.1056/NEJMoa2116597, nonché O.T. Ng., et al., Impact of Delta Variant and Vaccination on SARS-CoV-2 Secondary Attack Rate Among Household Close Contacts, in The Lancet Regional Health – Western Pacific, 2021, 17, 100299, doi.org/10.1016/j.lanwpc.2021.100299.

 

5) Cfr. N. Andrews et al., Covid-19 Vaccine Effectiveness against the Omicron (B.1.1.529) Variant, in N. Engl. J. Med., 2022, 386, 1532- 1546, doi: 10.1056/NEJMoa2119451, nonché S. Y. Tartof et al., Effectiveness of mRNA BNT162b2 COVID-19 vaccine up to 6 months in a large integrated health system in the USA: a retrospective cohort study, in Lancet, 2021, 398, 1407-1416.

 

6) Il riferimento è al film del 1959 Some Like It Hot (A qualcuno piace caldo) di Billy Wilder, con Marilyn Monroe, Tony Curtis e Jack Lemmon.

 

7) Cfr. https://ilbolive.unipd.it/index.php/it/news/chi-finanzia-lorganizzazione-mondiale-sanita.

 

 

 

Il testo originale del Parere è pubblicato sul sito internet: www.ecsel.org/cieb

 

 

 

 

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Bioetica

The Lancet: la professione medica deve riflettere sui crimini dei medici nazisti

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

 

Secondo un nuovo rapporto della Commissione Lancet sulla medicina, il nazismo e l’Olocausto: prove storiche, implicazioni per l’oggi, insegnamento per il domani, l’educazione all’etica medica deve basarsi su una solida comprensione del ruolo della medicina all’interno del regime nazista.

 

Questa è la prima Lancet Commission focalizzata sulla storia della medicina. Attraverso esempi di politiche e pratiche mediche discriminatorie e disumane sotto il regime nazista, gli autori mirano a informare gli approcci alle questioni contemporanee in medicina e sottolineano l’importanza di centrare i diritti umani e la dignità nella condotta dei professionisti medici, inclusa la volontà di opporsi agli illeciti quando e dove necessario.

 

«Le atrocità mediche naziste rappresentano alcuni degli esempi più estremi e meglio documentati di coinvolgimento medico nelle violazioni dei diritti umani nella storia», spiega la co-presidente della Commissione, la dott.ssa Sabine Hildebrandt del Boston Children’s Hospital e della Harvard Medical School. «Anche se si è tentati di considerare gli autori dei reati come mostri incomprensibili, le prove presentate dalla Commissione dimostrano quanti professionisti sanitari sono stati capaci di commettere trasgressioni etiche e persino crimini contro i loro pazienti in determinate condizioni e pressioni».

Valori fondamentali fragili

Non c’è dubbio che i medici vissuti sotto il regime nazista abbiano partecipato a violazioni dei diritti umani, tra cui antisemitismo, razzismo, discriminazione, atrocità di massa e genocidio. Pertanto, si possono trarre importanti implicazioni per l’agenzia morale dei professionisti sanitari di oggi, soprattutto sotto pressione economica, politica o di altro tipo, afferma The Lancet.

 

Durante l’era nazista, la comunità medica contribuì a creare, giustificare e attuare politiche secondo la dottrina nazista e modificò di conseguenza la loro comprensione dell’etica medica. I registri indicano che i medici aderirono al partito nazista e alle sue organizzazioni affiliate in proporzioni più elevate rispetto a qualsiasi altra professione, e le istituzioni mediche e di ricerca tedesche giocarono un ruolo strumentale nel regime.

 

In tutto il rapporto della Commissione ci sono esempi di come il «codice etico» nazista sia stato utilizzato come arma come strumento per valorizzare, dare priorità e promuovere le persone di discendenza «ariana» tedesca rispetto a tutti gli altri nelle cure mediche e nella ricerca, nonché per razionalizzare l’eugenetica, la sterilizzazione forzata, il programma di «eutanasia» per l’omicidio dei pazienti e brutali esperimenti umani.

 

I metodi sviluppati e applicati per la prima volta nel programma di eutanasia T4 del 1939-41, durante il quale 70.000 pazienti istituzionalizzati furono uccisi dal gas, furono successivamente applicati ai campi di sterminio in Polonia, dove le vittime venivano uccise all’arrivo in camere a gas camuffate da docce.

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«Spesso sorprende quanto sia limitata oggi la conoscenza dei crimini medici nazisti nella comunità medica, forse a parte una vaga nozione degli esperimenti di Josef Mengele ad Auschwitz. Il nostro rapporto mira a cambiare questa situazione», afferma il co-presidente Prof. Herwig Czech, dell’Università di Medicina di Vienna.

 

«Sebbene gli esempi che presentiamo siano estremi, lo studio della medicina sotto il nazismo evidenzia il ruolo fondamentale dei fattori sociali e dell’etica nel progresso medico e scientifico».

 

All’indomani della seconda guerra mondiale, le deliberazioni sull’etica medica – compresa la medicina basata sui diritti umani, l’assistenza sanitaria e il consenso volontario nella ricerca – attirarono l’attenzione internazionale.

 

A partire dal 1946, il Processo dei medici di Norimberga portò alla definizione dei primi principi internazionali per la ricerca etica sugli esseri umani, conosciuti in seguito come Codice di Norimberga. Ciò costituì la base di molte dichiarazioni successive e fu un fattore importante nello sviluppo della bioetica moderna.

 

Responsabilità per il passato

Come precisa il rapporto, contrariamente alle idee sbagliate comuni, la medicina nella Germania nazista non era «pseudoscienza». In effetti, funzionava sulla base degli standard e delle pratiche della scienza biomedica sviluppati tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Gli scienziati tedeschi facevano parte di reti internazionali più ampie che esploravano e promuovevano l’eugenetica e sviluppavano motivazioni mediche razziste.

 

Nella vita e nella morte, i corpi delle vittime naziste furono usati per la ricerca e l’insegnamento, e esemplari dei loro resti umani furono talvolta conservati in collezioni scientifiche per decenni dopo la guerra. L’atlante di anatomia Pernkopf è un esempio di come la ricerca nazista sia diventata parte del canone della conoscenza medica. Rifacimenti delle immagini di Pernkopf, alcune derivanti dai corpi delle vittime del regime nazista, sono state copiate in molte pubblicazioni e atlanti, spesso senza riferimento all’originale.

 

Anche la comprensione attuale della sicurezza aerea, dell’ipotermia e persino degli effetti del consumo di tabacco e alcol sul corpo è stata informata dalla ricerca condotta in epoca nazista ma, ancora una volta, la consapevolezza di come è stata ottenuta la ricerca è scarsa.

 

«La responsabilità e il riconoscimento dei crimini commessi in nome della medicina nell’era nazista e durante l’Olocausto rimangono tristemente inadeguati», afferma il co-presidente della Commissione, il prof. Shmuel Pinchas Reis, del Centro per l’educazione medica presso Hadassah/Facoltà dell’Università ebraica di Medicina, in Israele.

 

«Gli studenti di medicina, i ricercatori e gli operatori sanitari dovrebbero sapere da dove e da chi provengono le basi della conoscenza medica. Questo è dovuto alle vittime del nazismo; hanno il diritto di essere onorati e trattati con dignità nella vita e nella morte per contributi forzati alla medicina come la conosciamo oggi».

Raccomandazioni

La Commissione sottolinea che il perseguimento della conoscenza scientifica e la fornitura di assistenza medica e sanitaria devono avvenire in un quadro che dia priorità ai diritti umani. Pertanto, gli autori avanzano raccomandazioni per garantire che l’educazione medica si concentri sullo sviluppo di un’agenzia morale e di una resilienza informate sulla storia tra i professionisti medici. Le raccomandazioni principali includono:

 

  • Incorporare lo studio della medicina, del nazismo e dell’Olocausto nei programmi di studio di tutti gli studenti di medicina e dei professionisti sanitari, in tutto il campo medico e nelle iniziative di formazione medica continua.

 

  • Incoraggiare gli studenti e i professionisti medici a sviluppare un’identità professionale basata sulla storia, compresa la capacità di riconoscere i propri potenziali pregiudizi o conflitti di interessi, sfidare le gerarchie e dotarli degli strumenti necessari per superarli.

 

  • Le università, gli ospedali psichiatrici e altre istituzioni mediche in tutto il mondo dovrebbero identificare e commemorare attivamente le vittime dei crimini medici nazisti e avviare ricerche per comprendere meglio le loro connessioni dirette con le violazioni dei diritti umani del passato. Dovrebbero anche guardare al proprio passato, identificare e documentare modelli di abuso medico e integrare questa storia nei loro programmi di studio.

 

 

Michael Cook

 

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Animali

Il tabù rivoltante deve essere destigmatizzato, dice il bioetico

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge. Avvertiamo il lettore di prepararsi ad eventuali conati di vomito. Anche questo tema, come abbiamo riportato in passato, purtroppo sta venendo overtonizzato, tra casi di cronaca allucinanti e gruppi radicali che già rivendicano pubblicamente la pratica abominevole.   C’è una buona ragione per cui l’acronimo LGBTQIZ+ non ha mai preso piede. Come sottolinea l’anonimo autore di un articolo nell’ultimo articolo del Journal of Controversial Ideas, nella rivoluzione sessuale la bandiera della zoofilia è ancora più stigmatizzata della necrofilia o della pedofilia.   Ciononostante si dà il compito di giustificarlo: «in effetti non c’è niente di sbagliato nel fare sesso con animali: non è una pratica sessuale intrinsecamente problematica».   Nell’era della cancel culture, il Journal of Controversial Ideas offre un rifugio sicuro per articoli che altre riviste accademiche non oserebbero toccare. «La zoofilia è moralmente ammissibile» è sicuramente uno di questi, anche se l’autore pseudonimo, Fira Bensto, afferma di non essere lui stesso uno zoofilo. Solo tre accademici hanno espresso una tolleranza teorica nei confronti della zoofilia, dice, ma è il primo a sostenere esplicitamente che sia moralmente ammissibile.   Il suo punto di partenza è escludere l’eccezionalismo umano. Adotta una «prospettiva ampiamente antispecista o non antropocentrica».   Il primo argomento contro la zoofilia è che danneggia gli animali. Bensto concorda sul fatto che potrebbe danneggiare alcuni animali, ma non necessariamente. La seconda è che gli animali non possono acconsentire all’attività sessuale con gli esseri umani. Tuttavia, Bensto analizza questa affermazione e conclude che «gli animali possono validamente acconsentire secondo la maggior parte delle concezioni, tranne quelle più esigenti».   Quindi, conclude, «la zoofilia dovrebbe essere resa legalmente ammissibile. Ciò implica depenalizzarlo laddove è attualmente fuorilegge e lottare contro l’attuale ondata di ricriminalizzazione. Andando oltre la mera legalizzazione, potremmo sostenere ulteriormente che anche la zoofilia dovrebbe essere normalizzata socialmente».   Bensto riconosce che questo punto di vista è, per usare un eufemismo, socialmente inaccettabile. Tuttavia, se i critici fanno affidamento sull’eccezionalismo umano o sui «dubbi richiami alla naturalezza», è, a suo avviso, impossibile condannare la zoofilia.   «I critici della zoofilia hanno bisogno di qualcosa di più della semplice indignazione, hanno bisogno di argomenti migliori. Suggerisco che l’ammissibilità della zoofilia dovrebbe ora essere presa come posizione predefinita, con l’onere della prova che spetta ai suoi critici».   Michael Cook   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Bioetica

Nessuna persona, nessuna sofferenza: l’antinatalismo al suo meglio

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

«L’oscurità cresceva rapidamente; un vento freddo cominciò a soffiare a raffiche rinfrescanti da est, e la pioggia di fiocchi bianchi nell’aria aumentava di numero. Dal bordo del mare arrivarono un’increspatura e un sussurro. Al di là di questi suoni senza vita, il mondo era silenzioso. Silenzioso? Sarebbe difficile trasmetterne la quiete. Tutti i suoni dell’uomo, il belato delle pecore, le grida degli uccelli, il ronzio degli insetti, il trambusto che fa da sottofondo alle nostre vite: tutto ciò era finito. … Ho visto l’ombra nera centrale dell’eclissi avanzare verso di me. Un attimo dopo furono visibili soltanto le pallide stelle. Tutto il resto era oscurità senza raggi. Il cielo era assolutamente nero».

 

Questo è il viaggiatore nel tempo di H.G. Wells che descrive il mondo nel 30.000.000 d.C. Un po’ cupo, addirittura desolante. Ma ripulito, per fortuna, ripulito dall’umanità.

 

La fine dell’umanità non è un risultato poi così negativo, scrivono due bioeticisti finlandesi in un editoriale sull’«antinatalismo» in Bioethics, una delle riviste di bioetica più importanti al mondo. «Adottando l’antinatalismo attraverso l’estinzione umana volontaria, tutti i problemi dell’umanità potrebbero essere risolti», affermano.

 

Joona Räsänen e Matti Häyry ritengono che sia probabilmente «moralmente sbagliato avere figli». Se non ci fossero i bambini, la sofferenza scomparirebbe nel giro di poche generazioni.

 

«Problemi gravi come il cambiamento climatico troverebbero una soluzione se gli esseri umani cessassero di esistere, eliminando così la distruzione ambientale. Sembra chiaro che numerosi problemi che affliggono l’umanità – come guerre, carestie, criminalità, discriminazione e trattamento crudele degli animali, per citarne alcuni – svanirebbero se gli esseri umani non esistessero. L’adozione dell’antinatalismo risolverebbe quindi davvero “tutto”».

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Gli esseri umani stanno causando una distruzione planetaria così grande che sarebbe meglio se cessassero di esistere, sostengono i due bioeticisti. Citano un personaggio del popolare programma televisivo True Detective:

 

«La cosa onorevole da fare per la nostra specie è negare la nostra programmazione. Smettere di riprodursi. Cammina mano nella mano verso l’estinzione, un’ultima mezzanotte. Fratelli e sorelle che rinunciano a un accordo crudele».

 

Le loro argomentazioni fanno esplodere lo slancio vitale. Per dirla in breve, la vita fa schifo:

 

«La vita, quindi, assomiglia a uno schema piramidale, in cui i nuovi partecipanti lavorano per il benessere delle precedenti “vittime” dello schema, creando un circolo vizioso in cui nuove persone devono essere “reclutate” a beneficio di quelle già all’interno del sistema. Il gioco esiste solo finché si uniscono nuovi giocatori, e il sistema alla fine finisce male per i ritardatari, perché non è possibile reclutare nuovi membri a tempo indeterminato».

 

«Tuttavia, non esiste un massimo finito di potenziali esseri umani che possono esistere. Di conseguenza, sembra che lo schema piramidale della vita probabilmente continuerà ad avvicinarsi all’infinito, rinviando la sofferenza finale dell’ultima generazione creando sempre la generazione successiva. Mentre una generazione ne sostituisce un’altra, la sofferenza persiste. Nel frattempo, l’umanità infligge sofferenze anche ad altre specie attraverso l’uccisione diretta e il degrado ambientale indiretto».

 

A differenza della maggior parte degli articoli di Bioethics, l’editoriale di Räsänen e Häyry è ad accesso libero. Forse gli editori credono che le loro opinioni antinataliste meritino di ricevere la massima pubblicità possibile nella comunità bioetica.

 

Ma, come ha scritto in un altro contesto l’editore di BioEdge: «un bioeticista che mette in discussione il valore della vita umana stessa non è come un fisico che nega l’esistenza di causa ed effetto o come un teologo che nega l’esistenza di Dio? Senza un impegno incondizionato per il valore della vita umana, una disciplina come la bioetica rischia di perdere la sua coerenza».

 

Michael Cook

 

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