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La guerra totale di Zelens’kyj-Meloni, la pace di Silvio Berlusconi

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E così ci è toccato di vedere anche questa: il primo ministro del nostro Paese che va a baciare la pantofola al regime di Kiev, il giorno dopo che il boss vero è passato per promettere ulteriore morte e distruzione con tanto di sirene finte dispiegate per le TV. Con tanto di occhiali da sole da duro.

 

Sono, immaginiamo, cascami della sovranità limitata.

 

Tuttavia ci sconvolge la leggerezza con cui Giorgia – anche il presidente-comico ucraino la chiama così – si presta alla macchina infernale in atto, anche qui bene a favore di telecamera.

 

In pratica, il presidente del Consiglio italiano va a trovare, e sorridere, e promettere roba (sono qui per capire cosa serve all’Ucraina, ha detto, come se in questi mesi non ci fosse stata ripetuta ad nauseam la risposta: armi, danaro, armi, danaro, miliardi, missili, tank aerei militari, altri miliardi) l’uomo che tre giorni fa su Die Welt ha parlato apertis verbis di Terza Guerra Mondiale.

 

«Perché se la Cina si allea con la Russia, ci sarà una guerra mondiale, e penso che la Cina ne sia consapevole», ha Zelens’kyj, che finalmente comincia a significare anche a parole quello che ha fatto in tutto questo tempo con i fatti: condurre il mondo verso un nuovo olocausto bellico, magari fatto di armi termonucleari – lo sapete, questo è l’unico modo che il regime di Kiev ha per salvarsi la pelle.

 

Perché, se vince la Russia, l’élite ucraina, Zelens’kyj e i suoi ministri, non si sa che fine facciano: o fuggono (capitali all’estero statene certi ce ne sono) oppure possono subire processi e ritorsioni, e magari nemmeno da parte dei russi.

 

Tuttavia, anche l’altra opzione è disastrosa per il comico-presidente, forsanche di più: se scoppia la pace, i nazisti che lo attorniano (nel senso: si dice che siano proprio i battaglioni nazintegristi a fargli da sicurezza personale), potrebbero mantenere la promessa fatta alla sua elezione nel 2019, che è quella di impiccarlo ad un albero del Kreshatik (il bel viale del centro di Kiev che porta a piazza Maidan) nel caso lui ceda anche solo un centimetro del territorio russo.

 

Ci dispiace: il Donbass, la Crimea, non torneranno più indietro. Questo lo ha capito e accettato perfino Elon Musk, che all’Ucraina aveva dato i satelliti.

 

Ne consegue che l’unica opzione per la banda di Kiev è quella di augurarsi la distruzione diretta di Mosca, cioè la Terza Guerra Mondiale. Tanti sforzi, anche violenti (pensate al missile ucraino che uccide i contadini polacchi, con immediati richiami ucraini all’articolo 5 della NATO) sono leggibili solo così. Lo ripetiamo da un anno: la sopravvivenza di Zelens’kyj si basa solo sul trascinare tutti noi nel conflitto globale più distruttivo della storia dell’uomo.

 

Questo è chiaro a tutti. Evidentemente, non è chiaro a Giorgia Meloni.

 

La quale si è prestata pure al siparietto, traducendo in inglese una domanda di una giornalista italiana rivolta a Zelens’kyj riguardo a Silvio Berlusconi. La Meloni, che di Berlusconi è stata ministro, ha trovato il tempo di fare una battuta: «presidente operaio», ha detto forse riferendosi alle sue doti di traduttrice. Per chi è troppo giovane per ricordarlo, con probabilità si tratta di una piccola presa per i fondelli di uno slogan della campagna elettorale del 2001, quella vinta a man bassa dall’imprenditore milanese con lo slogan del «presidente operaio».

 

La Meloni, ricordiamo, fece parte del partito di Berlusconi, il PDL. E Berlusconi, ricordiamolo, è attualmente un suo alleato di governo.

 

È davvero un bel lavoro.

 

 

Berlusconi, lo ricorderete, pochi giorni fa aveva espresso parole di verità assoluta sulla situazione ucraina, e sulla necessità di trovare subito la pace. Il che significa, per logica, pensare tutto il male possibile di Zelens’kyj e dei suoi piani. Silvio non si tirò indietro, e lo disse pure.

 

Il Silvio non è solo in questo pensiero. Malgrado la totale sottomissione mediatica occidentale al continuum NATO, qualcuno si è spinto a dichiararlo, pure in TV, pure nella trasmissione via cavo più seguita in USA.

 

«Ci sarà una guerra mondiale se la Cina si allineerà con la Russia?» ha detto l’indomito giornalista televisivo Tucker Carlson riflettendo sulle parole di Zelens’kyj al quotidiano tedesco. «Chi potrebbe dire una cosa del genere con calma, visto che, come vi abbiamo appena detto, la Cina è allineata con la Russia? È già successo. Questa non è speculazione. È un fatto. E come risultato di ciò, secondo lo stesso Zelens’kyj, moriranno centinaia di milioni di persone. Non è un grosso problema. Finché ci riprendiamo la Crimea. Questo è un modo di pensare molto oscuro».

 

Carlson è andato oltre. Ha cominciato a percepire le vibrazioni spirituali, metastoriche, che emanano dal comico ucraino. Arriva a parlare di «forze oscure».

 

«Lo stesso Zelens’kyj è una forza molto oscura. Questo è ovvio se lo guardi. È inconfondibile. Chi non potrebbe vederlo? Quest’uomo è un distruttore. Ha vietato una fede cristiana nel suo paese e ha arrestato suore e sacerdoti. Oh, ma è un eroe, affermano i nostri leader (…) No, Zelens’kyj non è un eroe. È uno strumento di distruzione totale. Questa non è una difesa dei suoi nemici. È proprio vero e forse è per questo che Joe Biden è attratto da lui. Biden è atterrato oggi a Kiev per promuovere un’altra guerra mondiale».

 

Zelens’kyj è uno strumento di distruzione totale: questa è la nuda verità. Questo lo ha capito il vecchio Berlusconi, e lo ha detto. Mentre invece il nostro attuale premier è corso a baciare le mani al distruttore del mondo.

 

Ci sono insomma due campi: ci sono gli uomini di pace, e quelli invece che alimentano la guerra di annientamento planetario che ci si sta parando innanzi.

 

Giorgia ha deciso da che parte stare, ha deciso da che parte mettere gli italiani (che ora, ricordiamo, in caso di attacco non dispongono dell’antiaerea dei SAMP-T, omaggiati subito allo Zelensco, immaginando comunque che servano moltissimo contro i missili ipersonici Kinzhal e Tsirkon delle forze russe).

 

Anche Berlusconi ha deciso da che parte stare: da quella della pace, della prosperità, da quella di uomo cresciuto nel dopoguerra italiano, quando tutti, sopravvissuti tra rovine fumanti, sapevano che la guerra è orrenda e nociva, e lo sviluppo economico è ciò di cui si ha veramente bisogno, ciò che permette il vero progresso, la continuazione delle vite umane, delle famiglie.

 

Zelens’kyj ha detto in conferenza stampa che a Berlusconi non hanno mai bombardato casa.

 

Si dice che Berlusconi, furioso per l’attacco di Zelens’kyj, sia stato portato ad evitare una risposta all’ucraino. Beh, tentiamo invece di darla noi: Berlusconi è cresciuto a Milano quando questa era ridotta ad un cumulo di macerie dai bombardamenti degli angloamericani – che sono oggidì esattamente i primi alleati di Zelens’kyj, nonché suoi pupari nel mandare al massacro tutti quei ragazzi ucraini. Diremo di più: quella guerra, si dice, fu combattuta contro quei tizi che indossavano, come ricordato nel recentissimo discorso alla Duma di Putin, le mostrine runiche, i galloni con la testa di morto, le svastiche e i Sonnenrad: tutta roba che lo Zelens’kyj, perfino, pubblica impunemente su Instagram.

 

E poi, la menzogna: davvero dobbiamo berci questa storia dei russi che bombardano le case, esattamente come fanno gli americani in Italia, Germania, Giappone, Corea, Vietnam, Afghanistan, Iraq?

 

Davvero dobbiamo pensare che stiano censurando il fatto che la Russia stia eseguendo attacchi missilistici di precisione sulle infrastrutture (nella fase due iniziata dopo il bombardamento del Ponte di Crimea celebrato da Kiev) peraltro colpendo quelle di trasmissione e non quelle di produzione energetica?

 

Non c’è stato scandalo perché quel consigliere di Zelens’kyj ha ammesso poche settimane fa che il missile caduto sul condominio era ucraino?

 

Dobbiamo dimenticarci, invece, i colpi di artiglieria su case e scuole che nel Bacino del Don hanno ucciso dal 2014 almeno 14 mila persone?

 

Massì, bevetela tutta, la menzogna: c’è lì a fianco il premier col maglioncino bianco, fidatevi. Si tratta solo di tradurre la massa bovina – la massa vaccina – al macello nucleare, dopo che gli è toccato il macello economico, energetico, e genetico via siringa mRNA.

 

La pace contro la distruzione totale: non pensate che questo sia qualcosa di nuovo. Specie se c’è di mezzo quello di Arcore.

 

Siccome siamo su Renovatio 21, vogliamo ricordare che l’azione del potere profondo occidentale contro Berlusconi c’era da molto prima dell’Ucraina, perfino da prima che Berlusconi instaurasse quell’amicizia grande, vera, a tratti struggente, con Vladimir Putin.

 

Sono passati trenta anni, ma noi ricordiamo bene la stranezza del governo Berlusconi uno, con Silvio che vince inaspettatamente le elezioni del marzo 1994 contro la «gioiosa macchina da guerra» del PDS (allora il PD si chiamava così) di Achille Occhetto, che si sentiva destinato ad assumere finalmente il potere a Roma.

 

Quando Berlusconi piombò in politica non ruppe le uova nel paniere solo al futuro PD: c’è motivo di pensare che anche i veri padroni del Paese, quelli della «sovranità limitata», non fossero felici: con la caduta del muro, il Dipartimento di Stato americano e la CIA avevano completamente riconfigurato l’assetto dei loro appoggi globali. Quello che stavano con i sovietici, improvvisamente diventavano pro-Washington: ecco che ti tirano fuori dal carcere il terrorista filosovietico Nelsone Mandela, e te lo piazzano pure al potere in Sud Africa, a far ciao con la manina, il sorrisone e l’occhio fessurato.

 

I vecchi asset, che certo non scodinzolano come quelli che si sono trovati d’improvviso senza padrone, invece vengono eliminati: non è sbagliato pensare che Mani Pulite sia stato esattamente questo, la cancellazione del principale interlocutore antirusso del Paese, la Democrazia Cristiana, e la punizione per il «sovranista» Craxi che diceva che non voleva vedere i cavalli dei cosacchi abbeverarsi nelle fontane del Vaticano (era la promessa di Stalin), ma neanche vedere sgorgare, da quelle fontane, Coca-cola: la cosa fu particolarmente chiara a Sigonella.

 

E quindi, che vincesse le elezioni un amico intimo di Craxi, con il quale non si erano fatti accordi, né si avevano consistenti fili da tirare, era accettabile per il padrone americano?

 

No. E infatti il governo Berlusconi durò pochissimo. Quando rivinse le elezioni nel 2001, con percentuali che in certe regioni furono travolgenti, Berlusconi si adoperò per avvicinare questo nuovo presidente russo, molto composto, provenienza KGB, forse l’opposto totale della sua figura. Ci riuscì, al punto da creare un immenso punto per la storia della NATO – e quindi della pace sulla Terra – con gli accordi di Pratica di Mare, che riunirono i massimi vertici del pianeta (dotati di armi atomiche) per siglare la cooperazione con la massima superpotenza nucleare del mondo, la Russia.

 

Cominciate a vedere dove vogliamo andare a parare. Quando Berlusconi torna al potere nel 2008 (dopo aver perso contro Prodi per lo 0,07% dei voti) il rapporto con la Russia è oramai profondissimo: c’è l’acquisto di gas a buon mercato che favorisce le nostre aziende, ci sono le nostre banche che si espandono in Russia e pure nelle ex-repubbliche sovietiche, ci sono le PMI (tecnologia, moda, alimentari) che esportano miliardi e miliardi ogni mesi in Russia (e importano, pure), ci sono cooperazioni che fioriranno in settori strategici come l’aerospazio.

 

L’amicizia con lo Zar è tale che alla conferenza stampa per la vittoria elettorale, tenuta nella villa di Berlusconi in Sardegna, a fianco di Silvio  c’è proprio Putin. Se lo rammentate, dovrebbero venirvi le vertigini: ma è così. Così come, poco dopo, Berlusconi in un’altra conferenza stampa congiunta con Putin, risponde in sua vece per difendere l’operato russo in Georgia, dove era andata in scena un’altra sanguinaria provocazione dei neocon, l’ultima dell’era Bush jr., che per le questioni cerebrali qualcuno potrebbe assimilare al Biden.

 

Anche quel governo Berlusconi finì anzitempo: all’apice della popolarità, cioè all’altezza del terremoto dell’Aquila, per il quale i russi a differenza degli americani mandarono subito degli aiuti, si attuò una manovra imprevista, con un’accusa da non credere: a Berlusconi piacciono le donne. In particolare, qualcuno sussurrò che sì, sulle storie delle escort, forse poteva esserci lo zampino americano, o meglio, così la pensava qualcuno di vicino a Berlusconi.

 

Le donne, e i processi, non furono abbastanza: sappiamo che la defenestrazione di Berlusconi la ottennero tramite una guerra economica. Ecco i risolini di Merkel e Sarkozy, il complotto (sì, anche i giornaloni oramai lo definiscono così) per far fuori Silvio dalla scena europea, certificato dai racconti autobiografici dell’ex segretario del Tesoro di Obama Timothy Geithner. Si inventarono lo spread – il COVID del 2011 – per allarmare il popolino, prepararono il tecnocrate di turno (con bollino Goldman Sachs), Mario Monti, il cui governo di tecnici «alieni» fu votato dalla stessa Meloni.

 

A Silvio andò bene: quell’anno, poco più sotto, un altro vertice di Stato veniva massacrato belluinamente, uno che pure conosceva bene, uno con cui aveva stipulato patti che favorivano non di poco l’interesse nazionale, le nostre aziende, la popolazione. Con l’uccisione di Gheddafi, la Libia, dove regnava la pace tra tribù e fazioni, diventa un inferno che ancora oggi brucia e minaccia di scottare anche noi.

 

Gli interessi nazionali italiani vanno a farsi friggere: entrano i francesi, gli inglesi, i turchi, i russi, gli egiziani, i sauditi, i quatarioti, e noi stiamo a guardare la nostra ex colonia, ora partner energetico strategico, divenire un buco nero. Facciamo notare anche che in Libia si piazzarono subito gli USA: sono indimenticabili le risate sataniche di Hillary Clinton quando le dicono che il rais libico è morto; di lì a poco il loro ambasciatore, Stevens, finirà impalato dai tagliagole sorti nel dopo-Gheddafi. Qualcuno dice che in realtà il diplomatico, o qualcuno sotto di lui, stesse combinando per conto di Washington un trasferimento di armi dai magazzini libici alla Siria, dove andava alimentata la rivolta anti-Assad da parte degli islamisti takfiri, tra cui l’ISIS.

 

Voci. Tuttavia vedete che anche qui abbiamo lo stesso schema: da una parte, chi porta distruzione e morte; dall’altra, chi vuole la pace e la cooperazione.

 

Berlusconi ha la sfortuna di stare dalla parte di chi ama la vita, il benessere, la prosperità. Berlusconi, come Trump, non vive di trame di annientamento, rifiuta per natura i programmi di devastazione che vengono dalle burocrazie del potere profondo.

 

È per questo che, in questo momento più che mai ci servono uomini così al potere: uomini veri, uomini sani, uomini che, secondo la più basica legge naturale, scelgono la vita e non la morte.

 

La Necrocultura, lo avete capito, fa qualsiasi cosa oggi per impedire che tali uomini arrivino e restino al potere: trucca le elezioni, gestisce colpi di palazzo, organizza linciaggi.

 

Lo avevamo detto altrove ricordando la crisi di Cuba, dove a parlarsi, e a risolvere, erano Kennedy e Krushev: l’assenza di uomini veri al comando oggi ci sta portando verso il baratro atomico.

 

Ci troviamo in un tempo in cui dobbiamo combattere contro forze oscure, contro le quali vogliono toglierci ogni difesa.

 

Il nostro governo obbedisce all’Impero del Male, sta da quella parte. Che non è quella che vuole che continuate a vivere e prosperare, come nell’Italia degli anni in cui son cresciuti i Berlusconi: pace, famiglia, lavoro. La vita oltre le macerie. Dall’altra parte chi invece opera, da sempre, per la rovina dell’umanità.

 

Siamo sempre qui: la vita contro la morte. Scegliete quale principio deve governare la vostra esistenza – e il vostro Paese.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

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Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

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I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.

 

L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.

 

Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.

 

Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.

 

Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.

 

Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.

 

Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.

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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.

 

Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.

 

Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.

 

Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.

 

Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.

 

I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.

 

Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».

 

Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.

 

Patrizia Fermani

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Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Le nazioni devono basarsi sulle proprie tradizioni storiche e spirituali, oltre che su una «visione sovrana del mondo», mentre plasmano il loro avvenire, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio scritto ai partecipanti del II Simposio Internazionale «Inventare il Futuro» a Mosca. L’evento, in programma il 7 e 8 ottobre, accoglierà oltre 7.000 partecipanti provenienti da quasi 80 Paesi.   Discussioni aperte e innovative sul futuro dell’umanità supportano i governi nel rispondere adeguatamente alle nuove sfide, ha osservato il presidente russo. «Le conclusioni e i risultati di un dialogo così profondo e sostanziale sono di grande valore», ha aggiunto Putin. «Sono fiducioso che dobbiamo creare il nostro futuro sulla base di una visione del mondo sovrana».   Promosso su iniziativa del presidente russo, il simposio comprende circa 50 eventi, organizzati in tre aree tematiche: società, tecnologia e cooperazione globale. Il forum ospiterà oltre 200 relatori provenienti da Russia, Cina, Stati Uniti, Italia e da Paesi di Africa, America Latina, Medio Oriente e Sud-est asiatico, che discuteranno di temi che spaziano dalle sfide demografiche all’intelligenza artificiale (IA) e all’esplorazione spaziale.

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Nel primo giorno del simposio si è svolta una tavola rotonda incentrata sul futuro delle tecnologie di intelligenza artificiale e sul loro potenziale di diventare non solo uno strumento professionale di nicchia, ma una base per un’infrastruttura globale e un nuovo «linguaggio della realtà» per governi e imprese private.   Un altro dibattito tenutosi martedì si è concentrato sulle prospettive di collaborazione tra Russia e Africa nei prossimi decenni, fino al 2063. Mosca mira a rafforzare i legami con il continente, promuovendo attivamente la condivisione di tecnologie con le nazioni africane, contribuendo a garantire la sicurezza regionale e sostenendo la sovranità degli attori locali, oltre a favorire un approccio più equo nelle relazioni internazionali.   Al forum del Club Valdai, a Sochi, giorni prima Putin aveva parlato dei «valori tradizionali» anche in merito alla «disgustosa atrocità» dell’assassinio di Charlie Kirk.   «Sapete, questa disgustosa atrocità, e ancora di più, dal vivo», ha detto Putin a un forum organizzato dal Valdai Discussion Club a Sochi, in Russia. «In effetti, l’abbiamo vista tutti, ma non so, è davvero disgustoso. Era orribile». «Prima di tutto, naturalmente, porgo le mie condoglianze alla famiglia del signor Kirk e a tutti i suoi cari», ha continuato il leader russo. «Siamo solidali e solidali, soprattutto perché ha difeso quei valori tradizionali».   Putina aveva aggiunto che la sparatoria mortale è il segno di una «profonda frattura nella società», secondo Reuters. «Negli Stati Uniti, non credo ci sia bisogno di aggravare la situazione all’esterno, perché la leadership politica del Paese sta cercando di ristabilire l’ordine a livello nazionale», ha affermato Putin.

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La questione di Heidegger

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Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».

 

Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».

 

Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.

 

Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.

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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.

 

Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.

 

L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.

 

Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.

 

 

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Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

 

 

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