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Geopolitica

La decadenza dell’impero statunitense

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Gli Stati Uniti, impegnati nello scontro con Russia e Cina per impedire un’organizzazione multipolare del mondo e salvaguardare la propria egemonia, s’indeboliscono al loro interno. Un figlio del presidente Biden si è arrogato un potere maggiore di quello di un senatore: viaggia con aerei di Stato, manco fosse in missione per il padre, firma contratti personali di cui non si sa cosa ne pensi il presidente. Hunter Biden non ha competenze particolari, è solo un tossicomane scansafatiche. Nessuno sa chi negozia i contratti che firma e di cui approfitta. La grandezza della democrazia statunitense si è dileguata a favore di persone, non solo non elette, ma persino senza incarichi ufficiali.

 

 

Negli ultimi sei anni ho pubblicato molti articoli alquanto in anticipo sui grandi media ove allertavo sulla divisione degli statunitensi e l’escalation dell’intolleranza, pronosticando l’inevitabilità di una guerra civile e la dissoluzione dello Stato federale.

 

La realtà ci mostra l’incremento di nuove forme di segregazione; abbiamo già assistito a un’elezione presidenziale opaca, alla presa del Campidoglio e alla perquisizione di una dimora di un ex presidente. La democrazia statunitense è morta? Come evolverà questo basilare fenomeno?

 

 

La democrazia statunitense

Innanzitutto si deve tenere in considerazione il cambiamento demografico e sociologico degli Stati Uniti.

 

Gli statunitensi sono passati dai 252 milioni del 1991, anno del crollo dell’Unione Sovietica, agli attuali 331 milioni: un terzo in più, ossia sono aumentati di 79 milioni. Nel contempo c’è stato un ininterrotto declino della classe media.

 

Alla fine della seconda guerra mondiale gli statunitensi di questa classe sociale erano il 70%. Benché non ci sia unanimità sui criteri statistici, oggi sembrano rappresentare meno del 45%. Il numero dei miliardari dal 1991 è invece decuplicato; per contro la ricchezza media è aumentata pochissimo in termini di potere d’acquisto.

 

Le istituzioni Usa si fondano sul principio della separazione dei poteri di Montesquieu. Le decisioni risultano equilibrate grazie alla separazione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Il sistema funziona se le decisioni vengono prese in nome dell’interesse comune. Con la globalizzazione, ossia con la delocalizzazione industriale in Asia e la conseguente scomparsa della classe media, il sistema non può più funzionare.

 

Per questa ragione la situazione sociologica impedisce il funzionamento del sistema democratico.

 

Gli statunitensi sono consapevoli di questi scombussolamenti; infatti, dopo il movimento Occupy Wall Street del 2011, molti si pongono domande sui poteri concentrati nell’1% dei cittadini, i più ricchi. Ossia nella fetta di popolazione le cui entrate annuali sono cinque volte superiori alla media.

 

Con le elezioni del 2020 si è presentato un problema sostanziale. Oggi almeno un terzo degli elettori pensa che i risultati non riflettano la volontà popolare. Numeri alla mano, i due campi non fanno che insultarsi; ma il problema non è il conteggio, bensì la scarsa trasparenza dello spoglio. Uno dei principi fondamentali della democrazia è la trasparenza delle elezioni.

 

Da tempo negli Stati Uniti lo spoglio non è più svolto da cittadini pubblicamente, ma da funzionari, o addirittura da imprese appaltatrici. Nel 2020 lo spoglio dei voti è stato fatto da macchine e, spesso, da funzionari e a porte chiuse.

 

Riguardo al venir meno della separazione dei poteri, i fatti più sconcertanti sono stati le procedure di destituzione del capo dell’esecutivo da parte del potere legislativo, in base ad accuse di tradimento, oggi tutte invalidate. Ma siccome il fallimento di questi impeachment non scalfisce il problema sociologico, ora assistiamo alla perquisizione della dimora di un ex presidente e alla sua imminente messa in stato d’accusa per tradimento. Questa volta il potere giudiziario si rifugia dietro un’interpretazione aberrante della legge che persegue la persona che, pur avendo il potere di declassificare qualsiasi documento, ha scordato di declassificare documenti personali. Il carattere bislacco di queste vicende non sfugge ai semplici cittadini, che voltano le spalle a istituzioni un tempo democratiche.

 

Il cedimento della democrazia statunitense si è manifestato il 6 gennaio 2021 con la presa del Campidoglio da parte di una folla inferocita. Oggi sappiamo che questi protestatari non avevano assolutamente intenzione di rovesciare il Congresso, ma che la polizia, comportandosi come strumento di repressione al servizio di una dittatura, non cercò di ristabilire l’ordine, ma volle punire i cittadini che manifestavano.

 

 

Il fenomeno avrà un seguito?

Il fenomeno non s’interromperà fino a quando persisterà l’attuale composizione sociologica degli Stati Uniti. Le vicende di corruzione dimostrano infatti che si sta allargando; che i protagonisti non sono più alti funzionari che abusano del potere, ma individui non eletti, nemmeno con un incarico ufficiale, che si accaparrano un potere più rilevante di quello di un senatore.

Ricordiamo l’affare Biden: durante la campagna presidenziale del 2020, il New York Post rivelava che l’FBI aveva requisito il computer di un figlio del candidato democratico. Il tabloid affermava che i file sequestrati mostravano la vita dissoluta del figlio di Biden (fatto già noto), nonché la sua corruzione e quella del padre.

 

Fu immediatamente orchestrata una vasta operazione per preservare l’onorabilità del candidato alla presidenza. L’FBI si rifiutò di esaminare il computer sequestrato, mentre alte personalità della United States Intelligence Community diffusero la voce che si trattava di una fake news diffusa dai russi per favorire l’avversario Trump (1). Alla fine i media ignorarono le accuse del Post e il candidato Biden vinse le elezioni.

 

A distanza di due anni le rivelazioni del Post si sono dimostrate vere, sono stati pubblicati nuovi documenti e altri sono stati sequestrati dal ministero russo della Difesa durante l’operazione in Ucraina.

 

A oggi risulta che:

 

Hunter Biden, che ha raccontato egli stesso il suo passato di tossicodipendente, è tutt’ora un drogato. È circondato da una congrega di giovani uomini, anche loro dipendenti dalla cocaina, con i quali organizza festini decadenti. Senza esprimere giudizi morali sulla sua vita privata, è sotto gli occhi di tutti che Hunter Biden non è nelle condizioni di dirigere imprese.

 

Ciononostante, Hunter Biden ha fondato e controlla diverse importanti società (Eudora Global, Owasco, Oldaker, Biden and Belair LLP, Paradigm Global Advisors, Rosemont Seneca Advisors e Seneca Global Advisors).

 

Mentre il padre Joe era vicepresidente e John Kerry segretario di Stato, Hunter Biden ha fondato con il figliastro di Kerry, Christopher Heinz, una società che ha iniziato a fare affari in Ucraina per conto del dipartimento della Difesa, di cui all’epoca era segretario Ashton Carter. Ufficialmente la società doveva esaminare i reliquati dei programmi biologici militari sovietici; in realtà, sostengono i russi, svolgeva in Ucraina ricerche illegali negli USA.

 

Hunter Biden e lo zio James Biden hanno lavorato con una compagnia petrolifera pubblica cinese, CEFC. Hunter ha percepito 3,8 milioni di dollari, sebbene privo di ogni competenza nel settore.

 

Hunter Biden è diventato, pur senza competenze, amministratore della seconda società petrolifera ucraina, Burisma. Per l’incarico è stato retribuito con 50 mila dollari mensili.

 

Hunter Biden viaggia da anni solo con aerei di Stato, per spostamenti non collegati allo status di figlio del presidente che è la sola ragione che gli permetterebbe di accompagnare il padre sull’aereo presidenziale.

 

Riassumendo, Hunter Biden dirige o siede nel consiglio di numerose società. Rappresenta ufficialmente il dipartimento della Difesa e, perlomeno ufficiosamente, il padre. Percepisce grosse somme di denaro per un lavoro che non è capace di fare.

 

Anche supponendo che non vi sia implicato, il presidente Biden nasconde la commistione che il figlio alimenta fra i propri affari personali e la sua carriera politica, permettendogli anche di usare mezzi di Stato per i suoi traffici.

 

L’imperatore romano Caligola aveva nominato console il proprio cavallo. Da vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha coperto gl’imbrogli del figlio. Oggi è un presidente con scarsa lucidità mentale, di cui il figlio approfitta per continuare a fare affari abusando del vincolo di parentela.

 

Queste accuse non sono voci, sono fatti accertati da rapporti del senato.

 

 

L’indebolimento dello Stato federale

Le altre regioni del mondo giudicano in modo discordante l’indebolimento dello Stato federale Usa. Secondo i russi, passati attraverso molte rivoluzioni e la dissoluzione dell’URSS, le incomprensioni fra i cittadini condurranno nel medio termine a una guerra civile, che sfocerà nella divisione degli Stati Uniti in Paesi indipendenti, più o meno etnicamente omogenei.

 

Secondo i cinesi invece, passati innumerevoli volte dall’indebolimento della monarchia, gli Stati Uniti sopravviveranno, ma precipiteranno in una forma di anarchia. Gli Stati federati conquisteranno l’autonomia e non obbediranno più allo Stato federale.

 

Solo gli Occidentali continuano a credere che gli Stati Uniti sono ancora una democrazia e che continueranno a esserlo.

 

 

Donald Trump Jr. tratta degli intrallazzi di Hunter Biden nel libro Liberal Privilege: Joe Biden and the Democrat’s Defense of the Indefensible, Gold Standard Publishing (2020).

 

L’inchiesta del New York Post ha dato origine a un altro libro: Laptop from Hell: Hunter Biden, Big Tech, and the Dirty Secrets the President Tried to Hide, di Miranda Devine, Post Hill Press (2021).

I senatori repubblicani della Commissione per la Sicurezza della Patria hanno presentato due rapporti: 1. «Hunter Biden, Burisma, and Corruption: The Impact on U.S. Government Policy and Related Concerns», U.S. Senate Committee on Homeland Security and Governmental Affairs; 2. «Majority Staff Report Supplemental» Committee on Finance, Committee on Homeland Sercurity and Governmental Affairs. November 18, 2020.

 

 

Thyerry Meyssan

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Geopolitica

«Slava Ukraini» e «morte ai MAGA» dice il politico democratico

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Un politico democratico di Nuova York ha risposto all’approvazione di sabato di un disegno di legge sugli aiuti all’Ucraina da parte della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti augurando la morte il movimento politico MAGA dell’ex presidente Donald Trump.

 

«Slava Ucraina», ha postato su X (ex Twitter) il candidato al Congresso Nate McMurray poco dopo che la Camera ha votato per approvare 61 miliardi di dollari di finanziamenti aggiuntivi per il conflitto di Kiev con la Russia. «Morite MAGA, morite. Avete perso» ha quindi aggiunto.

 

Alcuni alleati di Trump al Congresso si sono opposti all’invio di più armi e denaro in Ucraina, sostenendo che Washington sta semplicemente prolungando lo spargimento di sangue senza riuscire ad affrontare priorità più grandi in patria, come la crisi del confine. Sabato la maggior parte dei repubblicani USA ha votato contro la legislazione sulla spesa di emergenza, ma il presidente della Camera Mike Johnson ha avuto la meglio sul suo stesso partito facendo approvare la legge ucraina con il sostegno unanime dei democratici.

 

 

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McMurray ha dovuto affrontare una reazione online per la sua retorica incendiaria. Il suo post è stato razionato e gli utenti di X hanno suggerito che dovrebbe essere indagato per incitamento alla violenza.

 

Un osservatore ha chiesto: «Ti candidi al Congresso e chiedi che metà del paese venga assassinato? Strana flessibilità, fratello». Un altro ha detto: «Questo fascista ha letteralmente detto: “muori Make America Great Again, muori”».

 

McMurray, un avvocato che in precedenza ha lavorato come supervisore della città di Grand Island, New York, è in corsa per un seggio alla Camera nel distretto precedentemente rappresentato da Brian Higgins, un democratico che ha lasciato il Congresso a febbraio. Il candidato ha raddoppiato il suo attacco MAGA dopo il respingimento, dicendo: «non puoi semplicemente far morire di fame l’estremismo con il silenzio; devi parlare apertamente”».

 

«Non ferirò mai fisicamente un’anima, ma ferirò i tuoi sentimenti» ha quindi aggiunto oscuramente il candidato democratico.

 

Anche l’uso della frase «Slava Ukraini» ha sollevato alcune perplessità. L’espressione, che significa «Gloria all’Ucraina», ha una storia lunga e controversa nell’ex repubblica sovietica.

 

Lo slogan è stato originariamente utilizzato dai nazionalisti ucraini, compresi quelli che collaborarono con i nazisti durante la seconda guerra mondiale, ma è diventato un canto patriottico diffuso dopo il rovesciamento del governo eletto di Kiev nel 2014.

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Come riportato da Renovatio 21, contro la proliferazione dello slogan «Slava Ukraini» si era speso pubblicamente il presidente croato Zoran Milanovic, che aveva paragonato lo slogan allo ZDS («Za dom spremni»: Per la patria, pronti») degli ustascia, che guidavano il governo alleato dei nazisti in Croazia durante la seconda guerra mondiale. «Ho sofferto come Gesù per convincere la gente a smettere di usare lo ZDS», ha detto Milanovic ai giornalisti a Zagabria, riferendosi allo slogan ustascia «Za dom spremni» («Per la patria, pronti»). «Se lo non capite perché, non posso istruirvi».

 

«Non c’è differenza tra ZDS e Gloria all’Ucraina», ha affermato il presidente croato. «Questo è il canto degli sciovinisti più radicali dell’Ucraina occidentale, che hanno lavorato con i nazisti e ucciso migliaia di ebrei e polacchi. Non voglio sentirlo in Croazia. Non mi interessa che ad alcuni leader sembri piacere. Dovrebbero inventare uno slogan diverso».

 

Lo slogan «Slava Ukraini», talvolta seguito dalla risposta «geroyam slava» («gloria agli eroi») è stato udito ovunque, dai nazisti americani agli eurodeputati di Bruxelles, che hanno acclamato una visita di Zelens’kyj utilizzando proprio il saluto del collaborazionista nazista Stepan Bandera, gettando una luce tetra sul significato storico dell’Unione Europea stessa.

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Geopolitica

Cremlino: il nuovo pacchetto di aiuti USA non farà altro che uccidere più ucraini

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L’impegno di 61 miliardi di dollari da parte di Washington a Kiev farà poca differenza sul campo di battaglia, ha detto il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov.   La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato un pacchetto di aiuti esteri da 95 miliardi di dollari, quasi due terzi dei quali sarebbero spesi in programmi legati all’Ucraina. Il Cremlino, però, non sembra minimamente allarmato.   «Fondamentalmente, questo non cambierà la situazione sul campo di battaglia», ha detto Peskov ai giornalisti lunedì.   Riferendosi alla costante avanzata russa sul fronte, Peskov ha affermato che le dinamiche del conflitto sono ora «assolutamente chiare a tutti» e che il denaro e le armi che gli Stati Uniti destineranno all’Ucraina «non porteranno a un cambiamento in questa dinamica».   «Ciò porterà a nuove vittime tra gli ucraini, altri ucraini moriranno, l’Ucraina subirà gravi perdite», ha detto il portavoce presidenziale.

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Inoltre, ha osservato, la maggior parte del denaro degli aiuti dovrebbe rimanere negli Stati Uniti, in un modo o nell’altro. La stessa Casa Bianca ha sostenuto questo al Congresso come uno dei punti di forza, affermando che il pacchetto era uno stimolo per il complesso militare-industriale e la base manifatturiera degli Stati Uniti.   «In linea di principio, non è cambiato nulla», ha detto Peskov, sottolineando che il presidente russo Vladimir Putin si aspettava pienamente che i legislatori statunitensi votassero come hanno fatto loro.   In reazione al voto di sabato, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha detto che gli Stati Uniti stanno usando gli ucraini come «carne da cannone» e sperano di mantenere Kiev in vita fino a dopo le elezioni presidenziali di novembre. Alla fine, ha detto, gli Stati Uniti si troveranno ad affrontare un «fiasco forte e umiliante, al pari di quello del Vietnam o dell’Afghanistan».   L’ultima serie di aiuti statunitensi potrebbe contribuire a rallentare i russi ma non li fermerà, hanno detto al Financial Times diversi ufficiali ucraini. Nessuna quantità di armi e munizioni provenienti dall’Occidente può risolvere il problema più grande di Kiev: la mancanza di forza uomo, ha osservato il quotidiano.   Anche Kyrylo Budanov, capo dell’Intelligence militare ucraina, ha previsto «una situazione piuttosto difficile» sul campo di battaglia per il governo di Kiev nei prossimi mesi, scrive RT.

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Geopolitica

Washington ha costretto Israele ad abbandonare i piani di un attacco più ampio contro l’Iran

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I leader israeliani hanno pianificato un «contrattacco molto più ampio contro l’Iran» dopo che Teheran ha lanciato uno sbarramento di droni e missili su Israele lo scorso fine settimana, ma hanno subito pressioni per ridurre l’operazione da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati. Lo riporta il New York Times.

 

Venerdì Israele ha preso di mira l’Iran con una serie di droni e missili lanciati dall’aria, secondo funzionari statunitensi e fonti israeliane anonime che hanno parlato con il giornale. Mentre i funzionari occidentali ritengono che un missile israeliano abbia colpito una base aerea iraniana, Teheran ha ammesso di essere stata attaccata solo con piccoli droni quadricotteri, con il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian che ha descritto gli aerei come «giocattoli per bambini» che venivano facilmente abbattuti, riporta RT.

 

Inizialmente Gerusalemme Ovest intendeva lanciare un’ondata di attacchi molto più ampia contro siti militari in tutto il Paese, compreso vicino a Teheran, hanno detto al quotidiano anonimi funzionari israeliani. Tuttavia, Stati Uniti, Regno Unito e Germania hanno esercitato «una pressione diplomatica concertata» sul primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e lo hanno costretto ad accontentarsi di una risposta più limitata, hanno detto i funzionari.

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Una risposta del genere «ha evitato danni significativi, diminuendo la probabilità di un’escalation», ha riferito il New York Times.

 

L’esercito israeliano non ha commentato il rapporto e ha mantenuto la sua consueta politica di rifiuto di confermare o negare attacchi su suolo straniero.

 

L’ultima ondata di escalation tra Israele e Iran è iniziata il 1° aprile, quando un attacco aereo israeliano avrebbe colpito il consolato iraniano nella capitale siriana di Damasco. L’attacco ha ucciso sette ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), tra cui due generali di alto rango.

 

Teheran ha avvertito che avrebbe reagito e due settimane dopo ha lanciato numerose ondate di missili e droni kamikaze contro Israele. La maggior parte dei proiettili iraniani sono stati intercettati, ma con più di 300 droni lanciati, le difese aeree sono state sopraffatte e diversi missili hanno raggiunto il loro obiettivo, danneggiando una base aerea israeliana.

 

Netanyahu inizialmente aveva pianificato attacchi di ritorsione immediati, ma ne è stato dissuaso durante una telefonata con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ha riferito il New York Times la scorsa settimana. Sia nel rapporto della scorsa settimana che in quello di lunedì, funzionari israeliani e americani hanno sottolineato che Washington voleva che lo Stato Ebraico evitasse di provocare l’Iran in una serie crescente di attacchi e contrattacchi.

 

Il piano sembra aver avuto successo. «Finché non ci saranno nuovi avventurismi da parte di Israele contro i nostri interessi, non avremo nuove reazioni», ha dichiarato sabato Amirabdollahian.

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Mentre alcuni degli alleati politici più intransigenti di Netanyahu criticavano la risposta apparentemente «zoppa», i funzionari che hanno parlato con il New York Times hanno insistito sul fatto che gli attacchi hanno dimostrato «l’ampiezza e la sofisticatezza dell’arsenale militare israeliano», scrive il giornale neoeboraceno.

 

Come riportato da Renovatio 21, nelle scorse ore Teheran ha mandato avvertimenti dicendo di sapere dove sono nascoste le armi nucleari israeliane.

 

La difesa dall’attacco iraniano sarebbe costata ad Israele circa un miliardo di dollari.

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Immagine di IDF Spokesperson’s Unit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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