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Geopolitica

Iran e Arabia Saudita pronte a riaprire i consolati

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews

 

 

I due Paesi sono vicini a un accordo per la ripresa delle relazioni ufficiali. Un segno di progressiva distensione dopo anni di tensioni, ma restano ostacoli e divisioni soprattutto sullo Yemen. Anche re Salman chiede «risultati tangibili» per ricostruire un clima di «fiducia» fra le due nazioni. 

 

 

Iran e Arabia Saudita sono vicini all’accordo per la ripresa delle relazioni diplomatiche ufficiali fra i due Paesi e la riapertura dei rispettivi consolati, in un segno di progressiva distensione dopo anni di ostilità e conflitti per procura. È quanto riferisce, dietro anonimato, una fonte istituzionale che vive nel regno wahhabita secondo cui sarebbe «imminente» un accordo per mettere fine alle tensioni del recente passato.

 

«Entrambi, in linea di principio – sottolinea la fonte all’AFP –- hanno raggiunto un accordo per la riapertura dei consolati… e penso che l’annuncio di una normalizzazioni dei rapporti potrebbe arrivare entro le prossime settimane».

 

Nei giorni scorsi le stesse autorità ufficiali a Teheran avevano mostrato un cauto ottimismo, sottolineando che i colloqui – che comprendono anche lo Yemen, uno dei principali elementi di divisione –  dell’ultimo periodo hanno preso «la giusta direzione».

 

Teheran e Riyadh hanno interrotto le relazioni nel 2016, in seguito all’assalto al consolato saudita in Iran, in risposta all’esecuzione del leader sciita Nimr al-Nimr. Una controversia che ha innescato ripercussioni a livello regionale, fra cui l’isolamento economico, diplomatico e commerciale del Qatar – interrotto di recente – considerato troppo vicino a Teheran.

 

Le due potenze si trovano su fronti opposti in molti dossier, dallo Yemen alla Siria. Tuttavia, ad aprile il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman (MbS) ha detto di volere buone relazioni con Teheran. Una svolta determinata anche dal cambio di amministrazione a Washington, col passaggio dalla «massima pressione» di Donald Trump, al tentativo di Joe Biden di rilanciare l’accordo nucleare.

 

L’ultimo round di colloqui fra i due Paesi si è svolto il 21 settembre e altri sono in programma «a breve»

 

Teheran vorrebbe riaprire i rispettivi consolati nella città iraniana di Mashhad e in quella saudita di Jeddah, come gesto di buona volontà.

 

Gli incontri si svolgono in un clima disteso, sebbene rimangano elementi di frizione quando si scende nei dettagli. Il ministro iraniano degli Esteri Hossein Amirabdollahian ha detto che l’8 ottobre sono stati raggiunti «diversi accordi»; l’omologo saudita Faisal Bin Farhan al-Saud ha parlato di incontri in «fase esplorativa», ma la speranza è di «risolvere» gli elementi di contrasto, in primis lo Yemen.

 

Il mese scorso, il re saudita Salman ha espresso la speranza che i colloqui con l’Iran «portino a risultati tangibili per costruire la fiducia» e rilanciare la cooperazione bilaterale. Egli ha poi chiesto a Teheran di cessare «ogni forma di sostegno» ai gruppi armati della regione, con un riferimento particolare ai ribelli Houthi nello Yemen, che hanno intensificato gli attacchi missilistici e a colpi di droni contro il regno wahhabita.

 

 

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Geopolitica

La polizia cingalese contro la distribuzione del riso in ricordo del massacro dei Tamil

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

La polizia e gruppi di nazionalisti Sinhala hanno attaccato anche quest’anno le distribuzioni del porridge con cui la minoranza indù ricorda di essere stata ridotta alla fame nell’assedio finale della guerra conclusasi 15 anni fa. Lo sdegno di attivisti di ogni religione ad AsiaNews: senza memoria non ci può essere riconciliazione

 

Anche quest’anno nello Sri Lanka il 18 maggio – la giornata in cui i Tamil ricordano le vittime della lunga guerra civile conclusasi 15 anni fa – è stato pesantemente segnato da atti di repressione nei confronti di questa memoria. Un fatto che ha sollevato proteste da parte di molti esponenti della società civile, secondo cui il ricordo di tanti morti innocenti è un passo indispensabile per una vera riconciliazione.

 

Per commemorare i loro parenti morti in guerra, la popolazione tamil il 18 maggio prepara e distribuisce il kanji, un porridge di riso in ricordo delle vittime. Il gesto ricorda il fatto che nelle fasi finali della guerra trentennale conclusasi nel 2009, migliaia di cittadini tamil innocenti hanno dovuto affrontare gravissime carenze alimentari.

 

A tutti i servizi di soccorso, compresa la Croce Rossa, era impedito l’accesso alle zone di guerra e solo la limitata quantità di riso fornita dal governo aiutava a spegnere la fame. Tutto il riso veniva raccolto e con l’acqua del mare veniva preparato questo porridge senza nemmeno il sale. In questo modo migliaia di persone sono sopravvissute alla fame.

 

Questo tipo di ricordo è stato però anche quest’anno in numerosi casi represso dalla polizia dello Sri Lanka. Tre donne che stavano organizzando quest’iniziativa in un tempio indù di Sampur a Trincomalee, sono state brutalmente torturate e arrestate dalla polizia, entrata nelle loro case durante la notte. Anche a Colombo queste commemorazioni sono state minacciate da gruppi razzisti sinhala-buddisti e dalla polizia.

 

[Video impaginati da Renovatio 21]
Diverse personalità di ogni confessione hanno espresso il loro sdegno ad AsiaNews per questi episodi. Il ven. buddhista Yatawatte Dhammananda Thero, Vice Segretario del Distretto di Kandy dello Sri Lanka Amarapura Maha Sngha Sabha, ha dichiarato: «nella guerra le persone hanno perso la vita da entrambe le parti. Siamo rattristati dal fatto che un gran numero di Tamil sia morto a causa di questo conflitto. Le commemorazioni non sono per quanti si unirono alle milizie Tamil, ma per gli innocenti che sono morti. Ricordarli non è un atto di terrorismo: non vedo nulla di male, impedirglielo è una grande ingiustizia».

 

«Ricordo ancora bene i disordini del 1983» aggiunge Siddique Hajjiar, presidente della Federazione delle Moschee Musulmane del Distretto di Kandy. «Quante persone sono state bruciate sulla strada? Per trent’anni, nel nostro Paese sono state distrutte vite umane e proprietà. Cosa abbiamo ottenuto? La crisi attuale è il risultato di quella guerra. E non c’è nulla di male nel commemorare i tamil che sono morti in questo modo».

 

«Prendiamo esempio da altri luoghi dove sono avvenuti genocidi e si fa i conti con la memoria» commenta ad AsiaNews suorDeepa Fernando, attivista per la giustizia sociale ed educatrice. «In Ruanda molte chiese cattoliche sono state nominate luoghi di memoria per coloro che sono stati uccisi. In Norvegia l’isola chiamata Utoya, teatro di un efferato attacco terroristico dove 77 giovani hanno perso la vita, è diventato un luogo dove le persone che stanno affrontando varie sofferenze mentali, confusione e malattie possono esprimere il loro dolore e ottenere la guarigione mentale».

 

«Il ricordo è un processo di guarigione a lungo termine – conclude Kumara Illangasinghe, vescovo emerito anglicano e attivista per i diritti umani – per alleviare il peso, il dolore e la sofferenza delle persone colpite. Se non lo permettiamo, facciamo loro una grande ingiustizia. Il nostro Paese è benedetto da quattro religioni principali. Nessuna di queste religioni insegna ad opprimere le persone, di far loro del male, di distruggere le vite. Di vessarle. Pertanto, queste persone dovrebbero avere il diritto di ricordare i loro parenti morti».

 

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Immagine screenshot da Twitter

 

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Geopolitica

Anche l’elicottero del premier armeno ha dei problemi

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Un elicottero che trasportava il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha effettuato un atterraggio di emergenza nella parte settentrionale del paese, secondo un post sui social media del primo ministro sabato. L’aereo è atterrato nella città di Vanadzor senza incidenti.   I giornali armeni suggeriscono che l’elicottero è atterrato in uno stadio locale a Vanadzor, che si trova a circa 70 chilometri dal confine dell’Armenia con la vicina Georgia.   Spiegando il motivo dell’incidente, Pashinyan ha affermato che la colpa è delle «maltempo», assicurando che «va tutto bene» e che lui e il suo entourage «continueranno il viaggio in macchina».   I media locali hanno riferito che il leader armeno si stava dirigendo verso la città di Tashir, non lontano dal confine georgiano. Rapporti contrastanti, tuttavia, suggerivano che fosse diretto al villaggio di Baganis, al confine con l’Azerbaigian.   Le relazioni tra Armenia e Azerbaigian sono state tese da decenni di tensioni, anche riguardo all’ormai defunta repubblica autoproclamata del Nagorno-Karabakh, sciolta nel settembre 2023 dopo l’operazione militare di Baku nell’énclave armeno. Ciò ha innescato un esodo di rifugiati da quella che un tempo era una regione a predominanza etnica armena.

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Come riportato da Renovatio 21, le tensioni tra Baku e Yerevan stanno perdurando. Alla fine di aprile, tuttavia, i due Paesi hanno avviato il processo di delimitazione del confine.   Pashinyan ha anche caricato un video in cui saluta il personale militare a Vanadzor, mentre un’altra parte della clip mostra il suo elicottero mimetizzato che vola nella nebbia sul terreno collinare.   L’atterraggio di emergenza arriva dopo che l’incidente di un elicottero ha ucciso il presidente iraniano Ebrahim Raisi, il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian e diversi altri alti funzionari la scorsa settimana.   Raisi veniva proprio dal confine azero, dove aveva inaugurato una diga con il presidente dell’Azerbaigian Aliev.   Come riportato da Renovatio 21, tra Teheran e Baku vi sono state pesanti tensioni, con grandi manovre militari iraniane ai confini. Controintuitivamente, la Repubblica Islamica ha sempre appoggiato l’Armenia cristiana rispetto all’Azerbaigian musulmano.   Le autorità iraniane non hanno trovato prove che l’aereo di Raisi sia stato attaccato, mentre i media locali hanno riferito che è scomparso dopo aver colpito un banco di nubi.   Funzionari israeliani hanno negato un coinvolgimento dello Stato Ebraico nella morte del Raisi.

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Immagine di Nea Demokratia via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic. .
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Putin: la legittimità di Zelens’kyj è finita

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La Russia deve essere assolutamente sicura di avere effettivamente a che fare con le legittime autorità ucraine per impegnarsi in colloqui significativi e giuridicamente vincolanti per concludere il conflitto tra le due nazioni, ha detto il presidente russo Vladimir Putin, sottolineando che la legittimità di Vladimir Zelens’kyj è finita.

 

Il presidente ha espresso queste osservazioni venerdì a Minsk durante una conferenza stampa congiunta con il suo omologo bielorusso Alexander Lukashenko. A Putin è stato chiesto un commento sulla scadenza del mandato presidenziale di Zelens’kyj all’inizio di questo mese e sull’impatto di questo sviluppo sui potenziali colloqui.

 

Putin ha ribadito la disponibilità della Russia a impegnarsi in colloqui con l’Ucraina per porre fine alle ostilità, affermando che i negoziati devono essere basati sul «buon senso» e riconoscere le «realtà sul terreno», prendendo come fondamento l’accordo preliminare raggiunto all’inizio del conflitto.

 

«Ma con chi trattare? È una domanda particolare, sono d’accordo. Ci rendiamo conto che la legittimità dell’attuale capo dello Stato è finita», ha affermato il leader russo riguardo all’omologo ucraino.

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L’imminente «vertice di pace», previsto in Svizzera il mese prossimo e attivamente promosso da Kiev, è progettato, tra le altre cose, per sostenere Zelens’kyj nel suo ruolo, ha suggerito Putin.

 

«Penso che uno degli obiettivi di questa conferenza per la comunità occidentale, sponsor dell’attuale regime di Kiev, sia quello di confermare la legittimità dell’attuale capo di Stato», ha suggerito il presidente russo, aggiungendo che «tali mosse di pubbliche relazioni non hanno senso per documenti legali».

 

Spetta al sistema legale ucraino, al suo «Parlamento, alla corte costituzionale e ad alcuni altri organi di governo» determinare se Zelenskyj è ora un leader legittimo o meno, ha suggerito Putin. Per quanto riguarda la Russia, per avviare colloqui significativi con Kiev, deve essere assolutamente sicura di trattare con le autorità legittime del paese, ha sottolineato il presidente.

 

Lunedì è scaduto il mandato di Zelenskyj, mentre non si sono svolte elezioni con il pretesto della legge marziale introdotta da Kiev all’inizio del conflitto con la Russia.

 

La Costituzione ucraina vieta esplicitamente lo svolgimento di elezioni parlamentari in tali circostanze, ma non menziona le elezioni presidenziali. Tuttavia, oltre a fissare la durata del mandato presidenziale, specifica anche che il potere viene trasferito nel momento in cui presta giuramento un nuovo presidente.

 

Come riportato da Renovatio 21, già una settimana fa Putin aveva respinto la formula di pace di Kiev e sollevato dubbi sulla legittimità dello Zelens’kyj.

 

«Vogliono riunire quante più nazioni possibile, convincere tutti che la migliore proposta sono i termini della parte ucraina, e poi inviarcela sotto forma di un ultimatum», aveva detto ad un incontro coni giornalisti ad Harbin, durante la sua visita in Cina. «È così che si negozia sul serio? Certamente no».

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

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