Internet
Ingegnere di Meta ammette che Facebook sopprime i contenuti anti-Kamala Harris
Un ingegnere informatico della società madre di Facebook, Meta, è stato ripreso sotto copertura mentre ammetteva che uno dei più grandi social network del mondo «declassava automaticamente» i post critici nei confronti della vicepresidente democratica e candidata alla presidenza Kamala Harris, a sole tre settimane dalle elezioni.
Mercoledì scorso O’Keefe Media Group (OMG), la testata del giornalista investigativo James O’Keefe, ha pubblicato il video di una conversazione filmata con telecamera nascosta con Jeevan Gyawali, ingegnere informatico senior di Meta, che ha candidamente spiegato nei dettagli il procedimento a quello che non si è reso conto essere un giornalista sotto copertura.
«Diciamo che tuo zio in Ohio ha detto qualcosa sul fatto che Kamala Harris non è adatta a essere presidente perché non ha figli, quel genere di m***a viene automaticamente declassata», ha detto. «La persona non verrebbe informata» del conseguente calo di interazione e impressioni che il post ha ricevuto di conseguenza.
Si tratta della procedura nota come shadow banning, inflitta a tante realtà come Renovatio 21 e con ogni probabilità anche a tanti suoi lettori qualora fossero sui social.
Quando l’interlocutrice usa l’espressione shadow banning, l’ingegnere di Facebook conferma.
In effetti, ha continuato, «c’è una squadra SWAT [cioè di pronto intervento, ndr] già istituita da aprile… solo per pensare a tutti gli scenari in cui la piattaforma potrebbe essere abusata» in nome della presunta protezione della democrazia.
BREAKING: Senior Meta Engineer Reveals Anti-Kamala Posts Are “Automatically Demoted,” Admits Shadowbanning Tactics
“Say your uncle in Ohio said something about Kamala Harris is unfit to be a president because she doesn’t have a child, that kind of sh*t is automatically demoted,”… pic.twitter.com/4DSkvzvKmO
— James O’Keefe (@JamesOKeefeIII) October 16, 2024
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Il Gyawali ha inoltre affermato che Facebook ha effettivamente il potere di influenzare l’esito delle elezioni presidenziali e che il CEO di Meta Mark Zuckerberg è «al 100 percento» favorevole a continuare a usare quel potere a favore dei democratici nonostante i recenti commenti pubblici contrari.
Il leader dell’OMG, James O’Keefe, ha aggiunto di aver chiamato Gyawali in seguito per un commento, al che l’ingegnere informatico è andato nel panico e ha riattaccato:
James O’Keefe contacted Jeevan Gyawali to request comment regarding hidden camera footage in which Gyawali discusses Meta’s censorship practices. Upon hearing the details, Gyawali responded, “Ah, f*ck,” before quickly ending the call.
His comment speaks for itself. pic.twitter.com/niqckI258U
— James O’Keefe (@JamesOKeefeIII) October 16, 2024
Le ammissioni in video dell’ingegnere Meta sembrano rivelare che la recente manovra del CEO del mega-gruppo Mark Zuckerberg, che aveva detto che a differenza delle elezioni di quattro anni fa non avrebbe operato in alcun modo nel contesto elettorale – né donando centinaia di milioni a gruppi per l’«integrità elettorale», né sopprimendo notizie come quella uscita nell’ottobre 2020 sul laptop di Hunter Biden – potrebbero essere altamente mendace.
Nella sua campagna di riposizionamento, due mesi fa di fatto lo Zuckerbergo aveva ammesso di aver censurato tutti.
Il vertice di Facebook era arrivato persino a lodare lo spirito di Trump che pochi secondo dopo aver quasi ricevuto una pallottola in testa si era rialzato coperto di sangue per alzare il pugno in aria e aizzare il suo pubblico, definendola «most badass thing I’ve seen», «la cosa più «cazzuta» mai vista».
Tuttavia, a quanto sembra, si potrebbe trattare solo di manovre di facciata. Vi è da considerare, inoltre, l’acredine estrema che esiste tra Zuckerberg e l’attuale principale sostenitore di Trump, il miliardario Elon Musk, anche lui ora possessore di un social media e uomo che detesta il CEO di Facebook e i suoi prodotti (ha recentemente reiterato che Whatsapp è uno spyware) con tutte le sue forze, al punto da averlo sfidato ad un incontro di botte vere, magari da farsi al Colosseo, programma per cui era stato sentito il ministro della Cultura Sangiuliano quando ancora non aveva conosciuto lo scandalo Boccia.
Il rapporto dello Zuckerberg con The Donald è compromesso da lungo tempo – almeno da quando, nei giorni in cui era ancora in carica, Trump era stato materialmente depiattaformato – con l’ex presidente che è di recente arrivato a definire Facebook «nemico del popolo».
Come riportato da Renovatio 21, Trump è arrivato a ipotizzare la galera per lo Zuckerberg una volta tornato alla Casa Bianca, per giunta infliggendogli l’ergastolo.
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Per anni, utenti conservatori e altri dissidenti della vulgata mainstream hanno criticato le più grandi piattaforme di informazione e comunicazione online del mondo, tra cui Facebook , Google e (fino al cambio di proprietà alla fine del 2022 grazie ad Elone Musk) Twitter , per aver utilizzato la loro vasta influenza per distorcere le notizie, le fonti, le idee e gli argomenti che i loro utenti vedono e condividono attraverso i loro servizi.
Una delle loro principali motivazioni per farlo era impedire che la «disinformazione» influenzasse le elezioni, che i critici denunciano come un mero pretesto per influenzare le elezioni a loro favore .
L’aspetto più pericoloso della questione è la misura in cui il governo incoraggia attivamente le aziende private a censurare discorsi sgraditi, qualcosa in cui e-mail, dichiarazioni pubbliche, indagini del Congresso, documenti trapelati e persino ammissioni pubbliche hanno implicato l’amministrazione Biden.
A maggio, il senatore democratico statunitense Mark Warner della Virginia ha indicato che la Casa Bianca ha ripreso a «chiedere» alle aziende di social media informazioni sui contenuti che desidera vengano soppressi dopo che diversi giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti hanno indicato di essere favorevoli alla posizione dell’amministrazione in Murthy contro Missouri, che riguardava se gli appelli del governo alle piattaforme per eliminare contenuti discutibili trasformassero le decisioni sui contenuti privati in violazioni della garanzia di libertà di parola del Primo Emendamento.
La Corte ha respinto il caso per motivi di legittimità a giugno.
Come sa il lettore di Renovatio 21, tre anni fa – dopo mesi di censure e sospensioni – Facebook ha cancellato la pagina di Renovatio 21 e pure gli account personali ad essa collegati. La pagina è stata restituita solo dopo l’ordinanza di un Tribunale italiano, tuttavia ci pare proprio che sia stata vittima di una forma di shadow banning ancora più tremenda.
Ora c’è qualcuno che viene filmato mentre spiega come succede: e non solo per le elezioni USA, ma per ogni argomento, e in tutto il mondo.
Il lettore si chieda: davvero vuole continuare a restare su Facebook?
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Immagine di Isriya Paireepaiit via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0
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L’UE attacca le piattaforme che si rifiutano di censurare la libertà di parola: il fondatore di Telegram
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L’UE multa X di Musk per 120 milioni di euro. Gli USA: «attacco al popolo americano»
Gli Stati Uniti hanno accusato Bruxelles di aver «attaccato» gli americani dopo che l’Unione Europea ha inflitto alla piattaforma social X di Elon Musk una multa da 120 milioni di euro (circa 140 milioni di dollari) per violazione delle norme di moderazione dei contenuti previste dal Digital Services Act (DSA).
La Commissione europea ha reso nota la sanzione venerdì, precisando che si tratta della prima decisione formale di non conformità emessa in base al DSA.
La misura si inserisce in una più ampia offensiva regolatoria dell’UE contro i grandi colossi tecnologici statunitensi: in passato Bruxelles ha già comminato multe da diversi miliardi a Google per abuso di posizione dominante nella ricerca e nella pubblicità, ha sanzionato Apple in base al DSA e alle norme antitrust nazionali e ha penalizzato Meta per il modello pubblicitario «pay-or-consent». Queste azioni hanno ulteriormente inasprito le divergenze tra Washington e l’UE in materia di regolamentazione del digitale.
Secondo la Commissione, le violazioni commesse da X riguardano la progettazione ingannevole del sistema di spunta blu verificata, che «espone gli utenti a truffe», la mancanza di trasparenza nella libreria pubblicitaria e il rifiuto di fornire ai ricercatori l’accesso ai dati pubblici richiesto.
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Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha reagito duramente, scrivendo su X che la multa non rappresenta solo un attacco alla piattaforma, ma «un attacco a tutte le piattaforme tecnologiche americane e al popolo americano da parte di governi stranieri». «I giorni in cui gli americani venivano censurati online sono finiti», ha aggiunto.
Elon Musk ha rilanciato i commenti del commissario FCC Brendan Carr, secondo il quale l’UE prende di mira X semplicemente perché è un’azienda americana «di successo» e «l’Europa sta tassando gli americani per sovvenzionare un continente soffocato dalle sue stesse normative oppressive».
Anche il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance è intervenuto, sostenendo che l’UE sta punendo X «per non aver adottato misure di censura» e che gli europei dovrebbero «difendere la libertà di espressione invece di aggredire le aziende americane per questioni di poco conto».
L’amministrazione del presidente Donald Trump si oppone da anni alle leggi digitali europee, accusandole di essere «progettate per danneggiare la tecnologia americana» e minacciando dazi di ritorsione in risposta a tasse digitali e regolamenti sulle piattaforme.
Bruxelles ribatte che le proprie regole valgono allo stesso modo per tutte le imprese che operano nel mercato unico e riflettono semplicemente un approccio più severo su privacy, concorrenza e sicurezza online.
Le relazioni tra Washington e Bruxelles restano tese su numerosi fronti – commercio, sussidi industriali, standard ambientali e controlli tecnologici – con gli Stati Uniti che accusano l’UE di protezionismo e i leader europei che criticano le misure unilaterali americane in materia di dazi e tecnologia.
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Come riportato da Renovatio 21 il tema delle euromulte contro Musk è risalente.
Brusselle aveva valutato l’ipotesi di multe contro X da quando l’ex commissario alla tecnologia UE, Thierry Breton, aveva accusato la piattaforma di non aver controllato adeguatamente i contenuti illegali e di aver violato il Digital Services Act (DSA) dell’UE del 2022. La decisione se penalizzare X spetta ora alla commissaria UE per la concorrenza, Margrethe Vestager.
Come noto al lettore di Renovatio 21, Elone per qualche ragione è assai inviso all’oligarchia europea e a tanta politica continentale, come hanno dimostrato i discorsi del presidente italiano Sergio Mattarella, che pareva attaccare proprio Musk e le sue ambizioni sui social e nello spazio.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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