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Geopolitica

Il presidente del Kazakistan Tokayev vuole che i miliardari di Nazarbaev restituiscano i soldi

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Il presidente del Kazakistan Kassim-Jomart Tokaev, che ha dichiarato la rivolta finita, vuole ora prendere provvedimenti per un problema che salta agli occhi nel di chiunque: la dannosa disparità di ricchezza accumulata in 30 anni di agglomerazione finanziaria da parte degli oligarchi legati al predecessore, il presidente «eterno» ed onnipotente Nursultan Nazarbaev.

 

Nel suo discorso alla legislatura nazionale del Kazakistan l’11 gennaio, Tokaev ha annunciato la creazione di un nuovo «Fondo nazionale» che sarà finanziato dal circolo miliardario attorno all’ex presidente Nursultan Nazarbaev.

 

Il fondo è creato «per risolvere problemi reali nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione e dei servizi sociali».

 

Si aspetta «contributi significativi e regolari al fondo da parte delle imprese. Grazie al primo presidente [Nazarbayev], c’è un gruppo di aziende molto redditizie nel Paese e uno strato di persone che sono ricche anche per gli standard internazionali».

 

«Penso che sia giunto il momento di ripagare il popolo del Kazakistan e aiutarlo in modo sistematico e regolare».

 

Il governo di Tokaev sta creando un elenco di società idonee, insieme a un calcolo delle somme annuali da «contribuire».

 

Si tratta chiaramente di uno shakedown: una solta di purga degli oligarchi che vengono «spremuti» delle loro sostanze. Ciò potrebbe indicare, oltre ogni ragionevole dubbio, la fine del sistema Nazarbaev: gli oligarchi, elargendo le somme richieste, di fatto giurerebbero realtà al nuovo corso del presidente Tokaev – e alla Russia di Putin che è pronta in ogni momentodislocare la sua temibile forza militare in Kazakistan.

 

Come riportato Renovatio 21, l’apice delle purghe di Tokaev si è toccato con l’arresto dell’ex capo dell’Intelligence (il KNB) Karin Massimov, amico personale di Hunter e Joe Biden.

 

 

 

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

 

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Economia

La Nigeria è diventata Paese partner dei BRICS

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La Nigeria è diventata ufficialmente un Paese partner dei BRICS dallo scorso 17 gennaio.

 

Il ministero degli Esteri del Brasile, che detiene la presidenza di turno dei BRICS quest’anno, ha fatto l’annuncio ieri, accogliendo con favore la decisione del governo nigeriano di unirsi al gruppo e sottolineando cosa l’adesione della Nigeria porta al tavolo dei BRICS: «con la sesta popolazione più grande al mondo, e la più grande in Africa, oltre a essere una delle principali economie del continente, la Nigeria condivide interessi convergenti con gli altri membri dei BRICS. Svolge un ruolo attivo nel rafforzamento della cooperazione Sud-Sud e nella riforma della governance globale, questioni che sono le massime priorità durante l’attuale presidenza del Brasile».

 

Con l’adesione dell’Indonesia come membro a pieno titolo il 6 gennaio, ci sono ora dieci membri a pieno titolo dei BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, più Egitto, Etiopia, Indonesia, Iran ed Emirati Arabi Uniti. I membri a pieno titolo prendono tutte le decisioni per consenso.

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La nuova categoria di appartenenza delle nazioni partner è stata istituita all’ultimo vertice BRICS a Kazan, in Russia, nell’ottobre 2024, al fine di incorporare nazioni rappresentative delle diverse regioni del mondo desiderose di unirsi per partecipare alle sue deliberazioni, ma senza concedere loro potere di veto sulle decisioni finali.

 

Con l’adesione della Nigeria, ci sono ora nove paesi partner BRICS: Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Malesia, Nigeria, Tailandia, Uganda e Uzbekistan. Altre tre nazioni invitate a unirsi come nazioni partner devono ancora accettare: Algeria, Turchia e Vietnam.

 

L’Arabia Saudita non ha né accettato né rifiutato l’invito dei BRICS del 2023 ad unirsi come membro a pieno titolo, ma i suoi rappresentanti continuano a partecipare alle sue riunioni. Tuttavia, una grande campagna di pressione fatta dalla politica e dell’alta finanza americana hanno cercato di scoraggiare Ryadh dall’adesione.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche Serbia, Cuba, Bolivia e Turchia, tra gli altri, hanno manifestato interessa ad unirsi ai BRICS. Il Messico ha annunziato un anno fa, quando era presidente Lopez Obrador, che non avrebbe aderito ai BRICS. L’unico caso di Paese che opta per uscire, dopo esservisi avvicinato, è l’Argentina di Milei.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

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Geopolitica

Groenlandia, eurodeputato danese manda Trump a fare in

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In un discorso al Parlamento europeo, un politico danese si è lanciato in una filippica carica di maleparole contro il neopresidente statunitense Donald Trump, respingendo le richieste di acquisto della Groenlandia da parte di Washington.   Trump, che ha prestato giuramento lunedì, ha ripetutamente affermato che la proprietà dell’isola artica danese ricca di minerali sarebbe necessaria per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Ex colonia danese, la Groenlandia ha ottenuto l’autogoverno da Copenaghen nel 1979.   Martedì, Anders Vistisen, membro del Partito Popolare Danese, ha preso la parola al Parlamento europeo a Strasburgo.   «Caro Presidente Trump, ascolta molto attentamente», ha detto in lingua inglese. «La Groenlandia fa parte del regno danese da 800 anni. È una parte integrante del nostro Paese. Non è in vendita».   «Mi lasci dire le cose in parole che può capire», ha continuato il Vistisen. «Signor Trump, vaffanculo».  

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A quel punto la vicepresidente dell’Europarlamento, Nicolae Stefanuta ha redarguito il Vistisen dicendo che la sua scelta di parole era inaccettabile. «Non va bene in questa casa della democrazia. Indipendentemente da ciò che pensiamo del signor Trump, non è possibile usare un linguaggio del genere», ha detto la Stefanuta.   In un post su X di ieri, il Vistisen sembrava moderare il suo messaggio a Trump.   «Signor Presidente, nel Partito Popolare Danese noi combattiamo per la Danimarca proprio come lei combatte per il suo Paese, gli USA. La Groenlandia è danese, non è in vendita, e né minacce né preghiere possono cambiare le cose», ha scritto. «Tratta bene i tuoi alleati e noi ricambieremo la cortesia».   Il primo ministro danese Mette Frederiksen e il governo pro-indipendenza della Groenlandia hanno escluso la vendita dell’isola autonoma agli Stati Uniti. Trump aveva originariamente proposto l’acquisto della Groenlandia durante il suo primo mandato.   Nel 2019, aveva annullato il suo viaggio in Danimarca dopo che Frederiksen aveva respinto l’idea.   Come riportato da Renovatio 21, Trump ha dichiarato di non escludere l’uso della coercizione per conquistare il territorio artico danese.

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Immagine di Elekes Andor via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0
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Geopolitica

Il giornale israeliano Haaretz dice che ora Gaza è sotto il controllo di… Donald Trump

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L’editorialista di Haaretz Amos Harel sostiene che in Israele non è il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ad avere il controllo, ma piuttosto Trump, nonostante gli accordi che il primo ministro ha stipulato per tenere unito il suo governo.

 

«Non è affatto chiaro se i leader di entrambe le parti siano interessati» alla fase 2, scrive Harel. «E tuttavia, potrebbe essere che domenica abbiamo salito il primo gradino della scala verso il completamento dell’accordo e la fine della guerra, grazie alle esortazioni di Donald Trump pochi giorni prima del suo giuramento per un secondo mandato come presidente degli Stati Uniti».

 

«Il discorso sulla ripresa della guerra, che dovrebbe avvenire alla fine della Fase 1 tra sei settimane, è già principalmente teorico», scrive l’editorialista israeliano, dopo aver sottolineato che il flusso di fino a 1 milione di palestinesi di ritorno a Gaza settentrionale potrebbe rendere difficile per l’IDF riprendere le operazioni lì.

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«La decisione ora spetta a Trump. Le numerose promesse che il premier Benjamin Netanyahu ha fatto al Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich per garantire che il partito del Sionismo religioso rimanga al governo per tutta la durata della prima fase sono destinate a scontrarsi con le richieste di Trump» scrive il prestigioso quotidiano dello Stato Ebraico. «Se il Presidente americano insiste sul fatto che la guerra a Gaza deve finire, Netanyahu avrà difficoltà a sfidarlo».

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump negli scorsi mesi aveva detto che Israele doveva porre fine alla Guerra a Gaza, non escludendo il taglio degli aiuti allo Stato degli ebrei e attaccando Netanyahu con rivelazioni su come gli israeliani lo avessero spinto ad uccidere il generale iraniano Qassem Soleimani.

 

Trump aveva altresì avvertito che a Gaza Israele stava perdendo il consenso globale e di conseguenza alimentando l’antisemitismo.

 

In varie occasioni è parso chiaro che The Donald opterebbe per la destituzione di Beniamino Netanyahu, il quale ha annullato il viaggio a Washington per la cerimonia di insediamento di Trump come 47° presidente degli Stati Uniti d’America.

 

Come riportato da Renovatio 21, è emerso una settimana fa che l’inviato di Trump (non ancora entrato in carica…) in Israele avrebbe avuto un incontro teso con Netanyahu. Poco dopo, è stata dichiarata la tregua.

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Immagine di Israel Ministry of Foreign Affairs via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0

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