Politica
I repubblicani USA annunciano l’intenzione di citare in giudizio Hunter Biden

Il presidente della conferenza dei Repubblicani della Camera Elise Stefanik ha annunciato che se il suoi partito vincerà la maggioranza alle elezioni di medio termine dell’8 novembre, citeranno in giudizio Hunter Biden in merito ai suoi rapporti finanziari con la società ucraina Burisma tra il 2014 e il 2019. Lo riporta il New York Post.
Un rapporto del Senato ha rilevato che «un’azienda collegata a Hunter Biden ha ricevuto 3,5 milioni di dollari da un miliardario russo che deve ancora affrontare le sanzioni statunitensi per il genocidio di Putin in Ucraina. Perché sono stati esclusi dall’elenco delle sanzioni di Joe Biden?» ha chiesto Stefanik, come riportato dalla testata russa Sputnik.
«Ci rivolgeremo a Hunter Biden – ha continuato la Stefanik. – Dovrebbe preoccupare ogni americano che abbiano fatto ciò per il guadagno finanziario della famiglia Biden, che è venuto a scapito della nostra sicurezza nazionale».
Il ruolo del presidente Joe Biden è «una delle domande critiche, forse la domanda più critica», ha affermato l’esponente repubblicana.
«Non c’è maggiore preoccupazione etica o francamente cospirazione (…) se questo presidente è compromesso a causa dei suoi legami illegali con i suoi familiari».
Riguardo al potenziale per Hunter Biden di invocare il suo diritto a non incriminarsi ai sensi del Quinto emendamento anche se citato in giudizio, Stefanik ha dichiarato che «le citazioni in giudizio pioveranno se non consegnano documenti e non rispondono alle nostre domande».
Come riportato da Renovatio 21, improvvisamente l’establishment americano e i suoi grandi giornali, come il New York Times, hanno appurato che il laptop di Hunter Biden, pieno di ogni sconcezza e di quelle che sembrano prove di affari loschi, non è propaganda russa (come dissero in coro, assieme a 50 agenti CIA tra cui vari ex direttori delle spie) come dissero nell’ottobre 2020 alterando di fatto l’esito elettorale: il laptop è vero.
Ancora più incredibile è il fatto che Hunter Biden con le sue società sembra coinvolto nella spinosa questione dei laboratori biologici ucraini.
Hunter avrebbe presentato a Burisma, il colosso ucraino del gas che lo cooptò senza motivo nel board, società appaltatrice del Dipartimento della Difesa USA specializzate in ricerca sulle malattie infettive, riporta il Daily Mail.
Come riportato da Renovatio 21, rimane pubblica l’ammissione di Biden che nel 2015 di fatto ricattò il governo ucraino di Poroshenko e Yatsenjuk affinché rimuovessero il procuratore generale che, incidentalmente, indagava proprio su Burisma, la controversa azienda che aveva «assunto» il figlio drogato e depravato Hunter.
Biden, allora vice di Obama, volò a Kiev (dove andava svariate volte l’anno) e disse ai vertici dello Stato ucraino: se non licenziate il procuratore entro poche ore, non vi daremo il miliardo di prestito promesso.
«Ho detto: ve lo dico, non prenderete il miliardo di dollari. Ho detto: guardate, noi ce ne andiamo in 6 ore. Se il pubblico ministero [Shokin] non sarà licenziato, non avrete i soldi (…) Oh… figlio di puttana… è stato licenziato».
I dubbi su un possibile sostrato di corruzione internazionale del clan Biden, ampiamente ventilati in campagna elettorale ma zittiti dai media, ora sembrano infittirsi sempre di più.
Le controverse relazioni finanziarie della famiglia si estenderebbero dall’Ucraina, alla Russia, alla Cina, dove sono pure ammesse pubblicamente da esperti pechinesi.
Immagine screenshot da YouTube
Politica
Trump dice che risolvere Gaza potrebbe non bastare per andare in paradiso

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha suggerito, con tono scherzoso, che probabilmente non finirà in paradiso, nonostante i suoi sforzi per negoziare la pace tra Israele e Hamas.
Domenica, durante un volo sull’Air Force One diretto in Israele, Peter Doocy di Fox News ha chiesto a Trump se la fine della guerra a Gaza potesse aiutarlo a «guadagnarsi il paradiso».
«Sto cercando di fare il bravo», ha risposto Trump con un sorriso. «Non credo che qualcosa mi porterà in paradiso. Non penso di essere destinato a quel posto. Forse sono già in paradiso ora, volando sull’Air Force One. Non so se ci arriverò, ma ho migliorato la vita di molte persone», ha aggiunto.
Trump ha poi elogiato le sue doti di negoziatore, sostenendo che il conflitto tra Israele e Hamas sarebbe stata «l’ottava guerra che ho risolto».
Lunedì, Hamas ha rilasciato i 20 ostaggi israeliani ancora in vita in cambio di circa 2.000 prigionieri palestinesi. L’esercito israeliano aveva precedentemente sospeso le operazioni offensive e si era ritirato da alcune aree della Striscia di Gaza.
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Nello stesso giorno, Trump e i leader di Egitto, Qatar e Turchia hanno firmato una dichiarazione a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai, approvando il cessate il fuoco e un percorso verso «accordi di pace globali e duraturi».
Il piano di pace in 20 punti di Trump prevede che Gaza diventi una «zona libera dal terrorismo e deradicalizzata». Sebbene Hamas abbia accettato lo scambio di prigionieri previsto dal piano, ha rifiutato di disarmarsi o cedere il controllo dell’enclave palestinese. Israele, da parte sua, non si è ancora impegnato per un ritiro completo dalla Striscia.
Trump, cresciuto nella fede presbiteriana, ha goduto di un forte sostegno tra i cristiani evangelici e dei cattolicidurante la sua carriera politica.
Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa Trump aveva affermato di voler «provare ad andare in paradiso, se possibile» mentre discuteva dei suoi sforzi per porre fine alla guerra in corso in Ucraina.
«Se riesco a salvare 7.000 persone a settimana dall’essere uccise, penso che sia questo il motivo per cui voglio provare ad andare in paradiso, se possibile», ha detto all trasmissione della TV via cavo americana Fox and Friends. «Sento dire che non sto andando bene, che sono davvero in fondo alla scala sociale. Ma se posso andare in paradiso, questo sarà uno dei motivi».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Essere euroscettici oggi. Renovatio 21 intervista l’onorevole Antonio Maria Rinaldi

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Politica
Zelens’kyj priva della cittadinanza i suoi oppositori

Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha revocato la cittadinanza a diverse figure pubbliche di rilievo, tra cui il sindaco di Odessa Gennady Trukhanov, il celebre ballerino Sergei Polunin e l’ex parlamentare Oleg Tsarev, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa UNIAN. Tutti loro avevano in precedenza criticato le politiche di Kiev.
Martedì, lo Zelens’kyj ha annunciato su Telegram di aver firmato un decreto che priva «alcuni individui» della cittadinanza ucraina, accusandoli di possedere passaporti russi. Secondo i media, Trukhanov, Polunin e Tsarev erano inclusi nell’elenco.
Gennady Trukhanov, sindaco di Odessa, è noto per la sua opposizione alla rimozione dei monumenti considerati legati alla Russia. Ha sempre negato di possedere la cittadinanza russa e ha dichiarato di voler ricorrere in tribunale contro le notizie che riportano la revoca della sua cittadinanza.
Sergei Polunin, nato in Ucraina, è cittadino russo e serbo e ha trascorso l’adolescenza presso l’accademia del British Royal Ballet a Londra. Si è trasferito in Russia nei primi anni 2010, interrompendo in gran parte i legami con il suo Paese d’origine. Dopo la sua esibizione in Crimea nel 2018, è stato inserito nel controverso sito web Mirotvorets, che elenca persone considerate «nemiche» dell’Ucraina.
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Oleg Tsarev, deputato della Verkhovna Rada dal 2002 al 2014, ha sostenuto le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk dopo il colpo di Stato di Euromaidan del 2014, appoggiato dall’Occidente. Successivamente si è ritirato dalla politica e si è stabilito in Crimea. Nel 2023, è sopravvissuto a un tentativo di assassinio, che secondo la BBC sarebbe stato orchestrato dai Servizi di Sicurezza dell’Ucraina (SBU).
Zelens’kyj ha utilizzato le accuse di possesso di cittadinanza russa per colpire i critici di Kiev. Sebbene la legge ucraina non riconosca la doppia cittadinanza, non la vieta esplicitamente. È noto il caso dell’oligarca ebreo Igor Kolomojskij – l’uomo che ha lanciato Zelens’kyj nelle sue TV favorendone l’ascesa politica – che possedeva, oltre al passaporto ucraino, anche quello cipriota ed ovviamente israeliano. L’uomo, tuttavia, ora è oggetto di raid da parte della giustizia e dei servizi del suo ex protegé.
Diversi ex funzionari ucraini e rivali politici di Zelens’kyj sono stati presi di mira con questa strategia, tra cui Viktor Medvedchuk, ex leader del principale partito di opposizione del Paese, ora in esilio in Russia dopo essere stato liberato dalle prigioni ucraine.
Come riportato da Renovatio 21, a luglio, anche il metropolita Onofrio, il vescovo più anziano della Chiesa ortodossa ucraina (UOC), la confessione cristiana più diffusa nel Paese, è stato privato della cittadinanza ucraina, a seguito di accuse di possedere anche la cittadinanza russa.
La politica della revoca della cittadinanza ai sacerdoti della UOC, ritenuti non allineati dal regime di Kiev, era iniziata ancora tre anni fa.
Immagine di Le Commissaire via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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