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Bioetica

Genetica e superbambini OGM

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Riflessioni sull’editing genetico, ovvero perché il taglia e cuci del DNA non è moralmente lecito (come qualcuno vorrebbe farci credere).
La distinzione tra enhancement e terapia è stata il criterio guida dei bioeticisti cattolici per la valutazione etica della biotecnologia CRISPR, (forbici molecolari in grado di tagliare il DNA per rimuovere geni indesiderati e inserirne di nuovi a piacimento).

Non la pensa così Padre Nicanor che, a differenza di altri autori della rivista The National Catholic Bioethics Quarterly, ci propone una distinzione terapia vs non-terapia, per convincerci del fine terapeutico dello stesso enhancement! Contraddizione in termini che nasconde un’opinabile morale del tipo «Il fine giustifica i mezzi». Peccato che qui, nemmeno il fine si salva! Volerci ri-creare superuomini é forse moralmente lecito?

 

Perfettamente sani, perfettamente buoni

di Dr.ssa Martina Collotta (Medico)

 

C’era una volta l’imperfezione.
C’era una volta la malattia.
C’era una volta chi credeva che l’umano soffrire fosse parte della nostra vita di esseri finiti e limitati e che l’imperfezione fosse parte della nostra creaturalità.

 

A qualcuno deve davvero sembrare tutta una favola questa invenzione dell’accettazione della sofferenza umana e della ricerca di una perfezione non solo fisica, anche attraverso la via della Croce.

 

Ma c’è stato una volta anche chi voleva essere come Dio.
E questa volta non è una favola!
C’è stato e c’è ancora chi vuole essere come Dio… certo i mezzi sono cambiati, sono diventati raffinati, si nascondono sotto la presunzione di essere scienza che migliora le nostre vite, ma altro non sono che ambizioni serpentesche.

Non è difficile individuare quali siano questi mezzi attraverso cui l’uomo crea l’uomo a immagine e somiglianza del suo sogno di onnipotenza.

 

Non è difficile individuare quali siano questi mezzi attraverso cui l’uomo crea l’uomo a immagine e somiglianza del suo sogno di onnipotenza.
Pensiamo alle tecniche di diagnosi prenatale ai fini dell’aborto selettivo, di fecondazione artificiale, di selezione embrionaria.
Pensiamo all’eugenetica negativa che elimina gli imperfetti.

Ma pensiamo anche all’eugenetica positiva che i perfetti li crea su misura, migliorandoli fino a fare dell’uomo un superuomo.
Eugenetica ed enhancement sono due facce della stessa medaglia, entrambi nichilistici desideri di mettersi al posto di Dio, mascherando tutto questo con giustificazioni umanitarie ed umanitaristiche.

Pensiamo anche all’eugenetica positiva che i perfetti li crea su misura, migliorandoli fino a fare dell’uomo un superuomo.

 

Purtroppo, tra chi giustifica tutto questo, non mancano i cattolici… un Sacerdote cattolico in particolare, Sacerdote domenicano, microbiologo e bioeticista, il cui articolo sul gene editing mi ha spinto a queste riflessioni.

 

Sono rimasta a bocca aperta di fronte alle parole del Rev. P. Nicanor Austriaco, che afferma che, in fin dei conti, «Gene editing to make patients healtier than healty should be allowed», ovvero, la manipolazione del genoma umano per rendere i pazienti «più sani del sano» dovrebbe essere permessa (nel senso di moralmente lecita).

Qualcosa in questa affermazione non mi convinceva… Innanzitutto, perché parliamo di paziente sano? Mi sembra una contraddizione di termini!

Oppure la salute che non ha conosciuto enhancement, la salute dei «comuni mortali» è da considerarsi malattia? E allora paziente, ovvero malato bisognoso di cure, lo è chiunque non abbia ancora fatto il «salto di qualità» verso il miglioramento delle sue prestazioni, delle sue performance, fisiche o cognitive?

 

Mi vorrei soffermare sull’esempio che Padre Nicanor ha fatto: l’uso dei farmaci per ridurre il colesterolo. A suo dire abbassare il colesterolo «cattivo» (LDL) a livelli al di sotto di quelli della specie umana (sotto il 70 mg/dL contro i valori normali di 70-130 mg/dL), costituirebbe un beneficio per la nostra salute, riducendo significativamente il rischio di malattie cardiovascolari.

Apparentemente, nulla da dire. Se non che, allora, potrei desiderare non solo di avere i livelli di colesterolo di un babbuino (già, perché i valori da Padre Nicanor raccomandati sono quelli di un babbuino, per sua stessa ammissione), ma di anche nutrirmi solo di erba come un bovino (con buona pace degli ecologisti!), perché, alla fine, non importa che la mia natura sia quella umana, se posso prendere qualcosa dalle altre specie e farlo mio, a mio uso e consumo. Mi sembrava che queste cose si chiamassero chimere… ma se sono farmacologiche poco importa, a quanto pare… E poi, se il fine è quello di migliorare la nostra salute, importa ancora meno…

 

Padre Nicanor, infatti, giustifica la sua posizione dicendo che dovrebbe essere moralmente lecito migliorare le nostre capacità biologiche a scopo terapeutico.

Padre Nicanor pensi alla salute alla maniera dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: salute non è semplice assenza di malattia, ma uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale. È il soggettivismo relativista della salute.

Anche qui qualcosa non torna… La terapia ha a che fare con il trattamento di una situazione patologica, non con il presunto miglioramento di una normale condizione di salute! Mi sembra di intuire che Padre Nicanor pensi alla salute alla maniera dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: salute non è semplice assenza di malattia, ma uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale.

È il soggettivismo relativista della salute.

 

Le affermazioni di Padre Nicanor tradiscono, nemmeno troppo velatamente, una morale dell’intenzione in cui il fine giustifica i mezzi.

La cosa che mi sconcerta non è tanto l’idea che il mio colesterolo cattivo, artificiosamente abbassato ai livelli di un babbuino possa essere un beneficio per la mia salute, ma è il fatto che questo esempio è portato a giustificazioni degli interventi sul genoma umano che dovrebbero avere lo scopo terapeutico di «migliorarmi»!

E, ancora una volta, ci troviamo di fronte a parole che stridono. Terapia allo scopo di migliorare… Terapia per migliorare le mie condizioni di salute…

 

Sarò banale, ma ridurre il colesterolo e manipolare il DNA non mi sembrano la stessa cosa…
Vediamo di fare chiarezza.

 

Prima di tutto è necessario capire cosa sia il gene editing, ovvero la tecnica che permette di manipolare il DNA per «migliorarci».

Il gene editing (di cui è un esempio la tecnica CRISPR di cui molti avranno sentito ultimamente parlare) consiste nella rimozione di un gene malato o nella sua sostituzione con un gene sano, attraverso l’uso di «forbici molecolari» capaci di andare a tagliare in un punto preciso del DNA.

La tecnica è stata elogiata proprio per la sua precisione, perché le nuove “forbici” che abbiamo a disposizione ora (come la citata CRISPR), sono capaci di tagliare il genoma solo là dove serve, non casualmente.

 

Padre Nicanor riporta due esempi di applicazioni terapeutiche del gene editing a mezzo CRISPR: quello della «cura» dell’anemia falciforme mediante la riparazione del gene malato, e quella della «cura» dell’HIV mediante l’introduzione di una modifica nel gene che codifica per il recettore dei virus per rendere le cellule impenetrabili al virus.

Chi di noi, di fronte a questo, non esclamerebbe: Ottima cosa questo gene editing!

Rischiamo di inseguire un’illusione di perfezione che non fa che renderci meno umani.
Rischiamo di credere nell’uomo a una dimensione (e Marcuse ringrazia!), quella fisica, quella del riduzionismo genetico.
Rischiamo di inseguire il “gene della felicità” e l’illusione che l’uomo fisicamente perfetto possa anche essere moralmente perfetto.
Rischiamo di cadere nel materialismo.

 

Peccato che, come sempre, esiste l’altra faccia della medaglia, prima di tutto il rischio che le nostre precisissime forbici (che precise al 100% non lo sono affatto!) taglino qua e là il genoma, magari causando malattie ancora più gravi di quella da curare per cui sono state disegnate. Non è così improbabile danneggiare il DNA trasformando la cellula sana in una cellula tumorale…

 

Un altro problema, non da poco, è che i geni tra loro interagiscono.
Se io vado a «toccare» un gene, rimuovendolo, cambiandolo, alterandone l’espressione, tutti gli altri geni che interagiscono con lui saranno influenzati a loro volta da questo cambiamento in una sorta di effetto domino che sconvolge l’intera cellula.

Si può certo obiettare che, dato che il mio intervento mira a togliere o riparare il gene malato, questo non potrà che portare ad interazioni positive, ma non è così!

Un gene che causa una patologia può avere anche i suoi lati positivi! Pensiamo proprio all’esempio di Padre Nicanor riguardo all’anemia falciforme.
Rispondiamogli pure alla Darwin, giusto per non sembrare retrogradi antievoluzionisti…
Perché mai quel gene si è conservato nel tempo e la selezione naturale non lo ha eliminato dato che era causa di malattia? Risposta elementare: perché è un’arma di difesa naturale contro la malaria.

Conosciamo tutti il l’anemia mediterranea, diffusa proprio in quelle aree geografiche, spesso paludose, dove la malaria imperversava. Avere il tratto falciforme, in quelle zone, preservava dal contagio.

Conosciamo tutti il l’anemia mediterranea, diffusa proprio in quelle aree geografiche, spesso paludose, dove la malaria imperversava. Avere il tratto falciforme, in quelle zone, preservava dal contagio.

 

Ammettiamo anche di poter creare delle forbici precisissime, ammettiamo anche che l’uso sia strettamente regolamentato, prendiamo per dato che, in linea con il Magistero della Chiesa Cattolica e perfino in linea con il parere degli scienziati “laici” non si debbano toccare le cellule della linea germinale, i gameti e gli embrioni…

Ammettiamo pure tutto questo per soffermarci solo sul punto: è lecito o meno tagliuzzare il DNA, rimuovere e sostituire geni, manipolare il genoma per curare… e per migliorare?

Ma soprattutto, perché mai dovremmo essere più sani del sano?

Non stiamo facendo altro che parlare di transumanesimo, di human enhancement, mascherato sotto una falsa dizione di terapia.

Non stiamo facendo altro che parlare di transumanesimo, di human enhancement, mascherato sotto una falsa dizione di terapia.
Curare il sano per renderlo più sano ancora non significa forse migliorarlo, potenziarlo, renderlo un super-sano?
E il super-sano, non sarà forse un superuomo?

Siamo di fronte al superuomo nietzscheano, geneticamente editato, manipolato per essere più sano, più forte, più intelligente.
Siamo di fronte ad un uomo che può decidere di farsi migliore attraverso gli strumenti della scienza e della tecnica, agendo proprio in quell’angolo della sua biologia in cui è scritta la sua identità (certo quella biologica e non antropologica, ma pur sempre identità): il DNA.

Siamo di fronte alla libertà di autodeterminarsi come migliori, alla ricerca di una perfezione fisica in cui non ha spazio né la malattia né il più piccolo dei difetti.

Siamo di fronte alla libertà di autodeterminarsi come migliori, alla ricerca di una perfezione fisica in cui non ha spazio né la malattia né il più piccolo dei difetti.

 

Sappiamo bene che superuomo e volontà di potenza hanno a che fare con il fatto che Dio sia morto… o sbaglio?

L’immagine che mi viene in mente è quella della torre di Babele.
Salire sempre più in alto, fino a toccare il cielo, fino a toccare le vette della perfezione, per poi crollare sotto il peso delle macerie dei danni fatti alla natura stessa dell’uomo. Errori nell’uso delle forbici, cellule che crescono impazzite, nuove e imprevedibili malattie genetiche… ma soprattutto l’intolleranza e l’incapacità di accettare la propria limitatezza.

L’immagine che mi viene in mente è quella della torre di Babele.
Salire sempre più in alto, fino a toccare il cielo, fino a toccare le vette della perfezione, per poi crollare sotto il peso delle macerie dei danni fatti alla natura stessa dell’uomo. Errori nell’uso delle forbici, cellule che crescono impazzite, nuove e imprevedibili malattie genetiche… ma soprattutto l’intolleranza e l’incapacità di accettare la propria limitatezza.

È il sogno della società dei perfetti, una società intollerante nei confronti della più piccola imperfezione, una società che insegue senza sosta il miraggio di una meta che sposta sempre un poco più avanti, discriminando quelli che prima erano i perfetti, ma ora sono “solo” i migliori di fronte ad una nuova classe di più perfetti che si è affermata e che, a sua volta, è destinata a perdere la sua supremazia quando nuovi più perfetti dei più perfetti faranno la loro comparsa.

 

Rischiamo di inseguire un’illusione di perfezione che non fa che renderci meno umani.
Rischiamo di credere nell’uomo a una dimensione (e Marcuse ringrazia!), quella fisica, quella del riduzionismo genetico.
Rischiamo di inseguire il “gene della felicità” e l’illusione che l’uomo fisicamente perfetto possa anche essere moralmente perfetto.
Rischiamo di cadere nel materialismo.

 

Non posso essere d’accordo con Padre Nicanor nel sostenere che la suddivisione che lui propone, quella tra terapia e non-terapia, è migliore di quella tra terapia ed enhancement, perché il suo concetto di terapia ingloba anche quello dell’enhancement!

Se la terapia smette di essere solo cura, se quella che Padre Nicanor chiama prevenzione – e per questo, a suo dire, terapia – è in realtà miglioramento dato dall’introduzione nell’uomo di caratteri estranei alla sua propria natura solo perché capaci di portare benefici… siamo di fronte all’enhancement.
A mio parere, questo concetto di terapia è alquanto utilitarista.

È il sogno della società dei perfetti, una società intollerante nei confronti della più piccola imperfezione, una società che insegue senza sosta il miraggio di una meta che sposta sempre un poco più avanti, discriminando quelli che prima erano i perfetti, ma ora sono “solo” i migliori di fronte ad una nuova classe di più perfetti che si è affermata e che, a sua volta, è destinata a perdere la sua supremazia quando nuovi più perfetti dei più perfetti faranno la loro comparsa.

 

 

Non serve nascondersi dietro il principio di proporzionalità tra rischi e benefici, caro Padre Nicanor!
Non può dirci che, in fin dei conti, vale la pena modificare le nostre caratteristiche, anche genetiche, se questo porta dei vantaggi!
Non può citare le parole di Dignitas personae, dimenticando Veritatis splendor!
Non ci nascondiamo dietro la morale dell’intenzione. Il fine non giustifica mai i mezzi!

 

E, lasciatemi dire, nemmeno il fine, qui, è realmente buono!
La perfezione che inseguono i sostenitori dello human enhancement non ha nulla a che vedere con la perfezione dell’uomo, creatura di Dio. La perfezione del transumanesimo è prometeica tentazione di essere padroni del destino dell’umanità.
Stiamo dimenticando che la perfezione a cui è chiamato l’uomo è un’altra!
Non cadiamo nel materialistico inganno che l’uomo fisicamente perfetto è anche buono. Saremmo nel determinismo più assoluto!
Saremmo di fronte a una «fisiognomica del genoma» sulla scia di Lombroso: se il tuo genoma è senza errori, sei buono; ma se il tuo genoma è «malato» o anche solo imperfetto, delinquente sei e delinquente resterai.

 

Ricostruirmi un genoma perfetto, farà di me una donna più sana dei sani, una donna felice e, perfino, una donna santa! Perché fisicamente a posto, significa moralmente a posto.

Triste conclusione, ma il parallelo con il presente Magistero è per me inevitabile. Risolvere i mali sociali delle disuguaglianze economiche e della discriminazione, renderà l’umanità santa e perfetta!
Editiamo la società allora.

Fermiamoci all’illusione che cambiare la materia, cambierà lo spirito. Ma, mi sembra, che sul rapporto tra atto e potenza, forma e materia, Aristotele e San Tommaso la pensassero diversamente.

 

Mi dispiace, P. Nicanor, ma io scelgo di stare con un altro domenicano.

 

 

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Bioetica

Il Parlamento olandese respinge la risoluzione che dichiara l’aborto un «diritto umano»

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Il 23 settembre, il Parlamento olandese ha respinto una proposta che intendeva riconoscere l’aborto come «diritto umano». Lo riporta il Christian Network Europe News.

 

La mozione, presentata da membri privati, esortava il governo a promuovere presso un «gruppo di paesi affini» l’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici.

 

La proposta ha ricevuto il sostegno del governo e di diversi partiti, tra cui D66, il Partito Socialista SP, il Partito Liberale VVD e altri, che insieme rappresentano 68 dei 150 seggi. Il Reformatorisch Dagblad ha riportato che il partito riformato SGP, insieme all’Unione Cristiana e al Forum per la Democrazia, ha avanzato una contromozione per opporsi agli sforzi dell’UE di includere l’aborto come «diritto umano» nei trattati europei; tale contromozione sarà votata successivamente.

 

PVV, SGP e l’Unione Cristiana (CU) si sono opposti a una mozione che proponeva di includere l’assistenza all’aborto come «parte standard dell’assistenza di base d’emergenza» in casi di violenza sessuale; questa mozione è stata invece approvata. SGP e CU hanno anche presentato una mozione per fare della riduzione degli aborti un obiettivo esplicito della politica estera olandese, ma è stata respinta.

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In concomitanza con il voto sulla mozione per dichiarare l’aborto un diritto umano, il Centro Olandese per la Riforma Bioetica (DCBR) ha distribuito volantini pro-life fuori dal parlamento, accompagnati da cartelli con immagini di vittime di aborto.

 

«In vista del voto parlamentare sulla mozione per riconoscere l’aborto come diritto umano, abbiamo inviato a ogni parlamentare una panoramica obiettiva delle procedure di aborto, inclusi fermo immagine di video di aborti in tempo reale, per chiarire cosa avrebbero sostenuto o contrastato con il loro voto», ha dichiarato Irmgard Averesch del DCBR. «Chris Stoffer dell’SGP e Gideon van Meijeren dell’FvD hanno difeso con forza la causa della vita, sottolineando l’umanità del nascituro e la gravità dell’aborto.

 

Entrambi hanno espresso compassione per le situazioni difficili, evidenziando però che l’aborto coinvolge due vite, inclusa quella del nascituro. Van Meijeren è persino riuscito a mostrare le immagini delle vittime di aborto».

 

Il risultato rappresenta una vittoria per i movimenti antiabortisti. «Siamo grati a Dio che, indipendentemente dall’influenza del nostro lavoro o di altre organizzazioni pro-life, la proposta sia stata respinta», ha commentato Averesch. «Tuttavia, è stata una decisione sofferta, e non dobbiamo abbassare la guardia. C’è ancora molto da fare, poiché la voce pro-choice sta tornando a farsi sentire».

 

In Europa, gli attivisti abortisti  stanno spingendo per il riconoscimento del feticidio come diritto umano sia a livello nazionale che continentale. Come riportato da Renovatio 21, la Francia lo ha già sancito a livello costituzionale, e la Camera dei Comuni del Regno Unito ha recentemente depenalizzato l’aborto fino al momento della nascita.

 

Nei Paesi Bassi, per ora, questi tentativi sono stati bloccati; all’inizio di questo mese, un tribunale olandese ha anche revocato il divieto per i pro-life di parlare con le donne che accedono alle cliniche per l’aborto.

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Immagine di Tweede Kamer der Staten-Generaal via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

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Bioetica

L’OMS aggiunge la pillola abortiva alla lista dei «medicinali essenziali»

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L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha aggiunto la pillola abortiva alla sua lista di «medicinali essenziali» poche settimane dopo la morte di un’adolescente canadese in seguito a un aborto chimico.   Il 5 settembre l’OMS ha pubblicato la 24a edizione del suo Elenco modello dei farmaci essenziali, che ora include una sezione sui farmaci abortivi, tra cui il mifepristone e il misoprostolo, utilizzati per porre fine chimicamente alla vita dei bambini nel grembo materno.   «I farmaci essenziali sono quelli che soddisfano i bisogni sanitari prioritari di una popolazione», ha scritto l’OMS nell’introduzione al nuovo elenco. «Sono selezionati tenendo in debita considerazione la prevalenza della malattia e la rilevanza per la salute pubblica, le prove di efficacia e sicurezza e il rapporto costo-efficacia comparativo».   L’elenco modello dei farmaci essenziali è stato istituito nel 1977 e comprende un lungo elenco di analgesici, vaccini e farmaci antimalarici. Ora, l’elenco include due farmaci pericolosi che pongono fine alla vita dei feti: il mifepristone (che va anche sotto il nome di RU486) e il misoprostolo.

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In un aborto chimico, la prima pillola, il mifepristone, tenta di far morire di fame il bambino che si sta sviluppando nell’utero bloccando l’ormone della gravidanza, il progesterone. Tuttavia, dopo aver assunto la prima pillola, una donna può ancora cambiare idea. Può sottoporsi a procedure d’urgenza per invertire gli effetti della prima pillola. A condizione che non abbia assunto la seconda pillola, il suo bambino può spesso essere salvato attraverso questo processo, noto come inversione della pillola abortiva.   Il secondo farmaco richiesto in un aborto chimico è il misoprostolo, che viene assunto 24-48 ore dopo, solitamente a casa. Il misoprostolo provoca la contrazione dell’utero, espellendo il bambino. Questo può causare crampi, sanguinamento e spesso richiede cure mediche. Il bambino poi, di solito viene espulso nel water di casa, quindi dopo lo sciacquone il piccolo si troverà nelle fogne dove verrà divorato da ratti, pesci, insetti, anfibi ed altre creature infime.   Gli aborti chimici, letali per i feti quando hanno successo, sono spesso dolorosi per le madri e possono causare infezioni o emorragie che possono richiedere cure d’urgenza. Tra il 2000 e il 2011, 14 donne negli Stati Uniti sono morte per complicazioni successive ad aborti chimici.   L’aggiunta dei farmaci da parte dell’OMS arriva poche settimane dopo la morte di una diciannovenne canadese a causa di un’infezione in seguito a un aborto chimico. Casi di donne morte dopo l’aborto chimico sono comuni in tutto il mondo, compresa l’Italia. Nel 2014 una donna incinta morì in un ospedale di Torino dopo la somministrazione. I parlamentari sedicenti cattolici, una pattuglia in teoria all’epoca nutrita in tutti gli schieramenti, non dissero una parola, forse mezza.   La menzogna della pillola feticida come «sicura ed efficace» (ricordate questo slogan?) è stata dimostrata in uno studio pubblicato mesi fa. Cinque anni fa in Gran Bretagna erano trapelate sconvolgenti email sui suoi esiti letali.   Attualmente diversi Stati americani hanno vietato questi farmaci pericolosi. Ben 22 procuratori generali statali americani chiedono una revisione dei pericoli del mifepristone e sollecitano l’amministrazione Trump a ripristinare le restrizioni sulla pillola abortiva. A inizio anno il segretario alla salute USA Roberto F. Kennedy aveva confermato che lo stesso presidente Donaldo Trump gli aveva chiesto di studiare i pericoli della pillola abortiva.   Come riportato da Renovatio 21, specularmente, due anni fa emerse una lettera pro-pillola figlicida firmata da 200 dirigenti delle multinazionali farmaceutiche, tra cui il CEO di Pfizer Albert Bourla.

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In Italia invece, ai tempi del governo pandemico, il ministro della Salute Roberto Speranza aveva iniziato l’iter per rendere sempre più facile l’uso della pillola abortiva. La cultura degli aborti fai-da-te si sta moltiplicando ovunque, con immenso inquinamento delle riserve idriche. Non si tratta della prima volta che vengono lanciati gli allarmi sull’inquinamento dei fiumi da parte della pillola abortiva RU486, detta anche «pesticida umano». È noto che anche la pillola anticoncenzionale, che è uno steroide sintetico, ha un effetto devastante sui fiumi e sulla fauna ittica, e in particolare starebbe facendo diventare i pesci transessuali.
Se il fine dell’OMS fosse davvero la salute umana, allora dovrebbero essere considerati farmaci salvavita quei farmaci come il progesterone che, se presi in tempo, possono neutralizzare l’effetto feticida dell’aborto chimico, salvando il bambino.   Ma sappiamo che il fine dell’OMS non è la vita. È, incontrovertibilmente, la morte.

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Bioetica

Il vescovo Mutsaerts: Chesterton ha dimostrato perché l’aborto è la tirannia dei forti contro i deboli

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Renovatio 21 pubblica la traduzione di questo testo del vescovo Robertus Gerardus Leonia Maria Mutsaerts, ausiliare della diocesi di Hertogenbosch, Paesi Bassi, apparsa su LifeSiteNews.

 

Sono un ammiratore convinto di G.K. Chesterton (1874-1936) è stato uno scrittore e pensatore inglese noto per la sua strenua difesa della moralità tradizionale e dei valori cristiani. Sebbene ai tempi di Chesterton l’aborto non fosse né legale né diffuso come lo è oggi, egli affrontò chiaramente temi correlati nei suoi saggi e libri: il valore di ogni vita umana, la sacralità della famiglia e i pericoli di tendenze moderne come l’individualismo e il materialismo.

 

In questo saggio analizzo come Chesterton avrebbe risposto alle moderne leggi sull’aborto, che non offrono alcuna tutela legale al nascituro. Ciò è in netto contrasto con il principio giuridico romano del curator ventris , in base al quale veniva nominato un tutore per tutelare gli interessi del nascituro.

 

Chesterton partiva sempre dalla convinzione che ogni vita umana abbia valore e dignità intrinseci, in quanto creatura di Dio. Ai suoi tempi si oppose fermamente alle teorie eugenetiche e a qualsiasi filosofia che considerasse alcuni gruppi di persone meno umani. Osservò che tali idee potevano ottenere i loro «benefici» solo negando l’umanità a un’intera categoria di persone.

 

Laddove gli eugenetisti disumanizzavano gli «inferiori», l’aborto fa qualcosa di simile con un gruppo ancora più vulnerabile: «le persone più deboli e indifese: i nascituri». Chesterton sottolineava che il nascituro è un essere umano completo, e parlava dell’aborto inequivocabilmente come «il massacro dei nascituri». Un linguaggio così forte dimostra che considerava l’aborto un attacco diretto alla dignità umana e alla vita umana stessa.

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Poiché Chesterton era profondamente religioso, considerava la vita – anche nel grembo materno – sacra e voluta da Dio. Sottolineava che nessuna persona o istituzione ha il diritto di distruggere deliberatamente una vita umana innocente. Seguendo la tradizione, Chesterton credeva che il diritto alla vita provenga direttamente da Dio per ogni essere umano, incluso il bambino nel grembo materno, e che nessuna ragione terrena (medica, sociale o economica) possa giustificarne la distruzione.

 

La sua indignazione morale contro l’aborto scaturisce da questo principio. Rise di un corrispondente che sosteneva l’aborto per ridurre la povertà, affermando che quest’uomo «sperava» nell’«omicidio di massa di nascituri», mentre «si disperava» all’idea di un semplice aumento dei salari. Con pungente ironia, Chesterton scrisse di tali riformatori: «spera nel degrado femminile, spera nella distruzione umana». Ciò dimostra che Chesterton considerava l’aborto non solo un torto personale, ma una malattia sociale – un orrore consentito solo quando la società dimentica la verità fondamentale che ogni vita umana, per quanto piccola o fragile, ha un valore infinito.

 

Per Chesterton, il bambino non era solo un individuo dotato di dignità, ma anche una fonte di significato per i genitori e la società. Nutriva una profonda riverenza e quasi un timore reverenziale per la miracolosa vitalità di ogni bambino. Nel suo saggio A Defence of Baby Worship, descrive come ogni bambino, in un certo senso, ricrei il mondo: «con ogni nuovo bambino, l’intero universo viene nuovamente messo alla prova».

 

Il bambino porta con sé una freschezza e una meraviglia che nemmeno i più grandi filosofi possono eguagliare: «come se con ognuno di loro tutte le cose si rinnovassero di nuovo», scrisse, «e l’universo venisse nuovamente messo alla prova». Questa visione lirica sottolinea la convinzione di Chesterton che un nuovo bambino sia una meraviglia unica e irripetibile, una nuova riaffermazione della vita che scuote continuamente il mondo degli adulti.

 

Chesterton descrisse addirittura la nascita come «l’avventura suprema». In Eretici scrisse: «l’avventura suprema è nascere”. Paragonò l’ingresso in famiglia attraverso la nascita all’ingresso in una fiaba: «quando entriamo in famiglia, con l’atto di nascere, entriamo in una fiaba». Questo dimostra quanto profondamente considerasse l’arrivo di un bambino come qualcosa di quasi sacro, pieno di mistero e possibilità.

 

Considerava la famiglia il fondamento della società e una «società in miniatura» che crea e ama i propri nuovi cittadini. Un bambino, per Chesterton, dava significato alla genitorialità e collegava le generazioni: «il bambino è una spiegazione del padre e della madre, e il fatto che sia un bambino umano è la spiegazione degli antichi legami umani». Che oggi un bambino non ancora nato sia legalmente trattato come se non fosse un bambino o una persona è in contrasto con tutto ciò che Chesterton rappresentava.

 

Chesterton difese i bambini anche nelle sue critiche ai mali sociali. In Eugenetica e altri malanni schernì l’idea che alcuni bambini potessero essere «indesiderati». Troverebbe del tutto inaccettabile sacrificare il bambino stesso in nome della prosperità o della «qualità della vita». Le politiche moderne che scelgono di eliminare i bambini non ancora nati invece di risolvere i problemi sociali, le considererebbe una perversione della giustizia e della ragione.

 

Chesterton era critico nei confronti di molti aspetti della modernità, soprattutto quando si scontravano con verità eterne. Una volta descrisse la mentalità modernista come quella di qualcuno che prova così tanta pietà per gli animali, ad esempio, da essere disposto a sacrificare vite umane – una preoccupante inversione di valori. Già nel 1914 Chesterton predisse: «ovunque ci sia adorazione degli animali, ci sarà sacrificio umano». Con ciò intendeva dire che la tendenza sentimentale moderna a venerare ideali astratti – ad esempio, invocando i “diritti delle donne” ignorando i diritti del bambino – spesso coincide con l’indifferenza o la crudeltà verso le persone vulnerabili.

 

Nella cultura contemporanea ne vediamo echi: le persone possono indignarsi più per la crudeltà sugli animali o per le questioni ambientali che per l’aborto di massa dei bambini non ancora nati. Chesterton definirebbe tali priorità folli, segno che la modernità ha perso la sua bussola morale.

 

Un altro tratto distintivo dei tempi moderni che Chesterton criticò aspramente è l’individualismo estremo e il materialismo. Notò che, in nome della «libertà», le persone spesso si imprigionavano in piaceri superficiali. In nessun luogo questo è più chiaro che nel suo saggio Bambini e distributismo, dove derideva le coppie che evitavano di avere figli per avere più tempo e denaro per l’intrattenimento e il lusso. Scrisse che il suo disprezzo raggiunse il suo apice «quando sento il suggerimento comune che le persone non vogliono avere figli per essere libere di andare a teatro, o libere di non essere interrotte nella loro carrieraÐ.

 

Mise deliberatamente «libero» tra virgolette, perché non la considerava vera libertà. «Ciò che mi fa venire voglia di calpestare queste persone come fossero zerbini è che usano la parola “libero”. In ogni atto del genere si incatenano al sistema meccanico più servile che l’umanità abbia mai sopportato». Invece di abbracciare la libertà creativa e vivificante della genitorialità, si sottomettono a quella che Chesterton chiamava la costrizione del consumo e della tecnologia: carriere e mode imposte da poteri anonimi. Questa è falsa libertà: barattare la vocazione più profonda dell’umanità (trasmettere la vita) con piaceri fugaci.

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Chesterton contrapponeva questa falsa libertà alla vera libertà che un bambino porta con sé. «Un bambino è il segno e il sacramento della libertà personale», dichiarava. Sembra paradossale, poiché un bambino porta responsabilità e limiti ai genitori. Ma Chesterton la vedeva diversamente: un bambino è una nuova volontà, «un nuovo libero arbitrio aggiunto alle volontà del mondo», che i genitori liberamente generano e liberamente proteggono. È il loro contributo creativo alla creazione – un atto unico non prodotto da una «mente» o da un tecnocrate sociale, ma da loro stessi e da Dio. E questa nuova vita è “molto più bella, meravigliosa e sorprendente” di qualsiasi invenzione o macchina da intrattenimento che la civiltà moderna possa produrre.

 

Chesterton vedeva nel fatto che gli uomini moderni osino rifiutare questo dono meraviglioso un sintomo di cecità morale. «Quando le persone non percepiscono più quanto ciò sia straordinario, hanno perso ogni apprezzamento per le cose primarie; hanno perso ogni senso delle proporzioni», ammoniva. Con parole insolitamente dure, Chesterton affermò che queste persone «preferiscono la feccia della vita alle fonti della vita». In altre parole, scelgono i piaceri vuoti, ripetitivi e futili di una società consumistica stanca rispetto alla fresca vitalità che porta un nuovo figlio. Questo non è progresso, ma decadenza.

 

Chesterton si rese conto già ai suoi tempi che la cosiddetta idea «progressista» del controllo delle nascite era una china scivolosa: «il controllo delle nascite attraversa lo Stato moderno e guida la marcia del progresso dall’aborto all’infanticidio», scrisse in tono beffardo. Previde che una volta superato un limite (la prevenzione delle nascite), ne sarebbe presto seguito un altro (la distruzione della vita esistente) – una previsione che suona inquietantemente profetica negli odierni dibattiti sull’aborto e persino sull’infanticidio.

 

Chesterton considererebbe l’attuale cultura dell’aborto come una corruzione del vero progresso: non un trionfo della scelta, ma una capitolazione all’egoismo e alla disperazione mascherati da «libertà». La vera libertà è sempre al servizio della vita. È significativo che in Impressioni irlandesi abbia riassunto l’essenza della libertà: «L’unico oggetto della libertà è la vita». La libertà non ha senso se viene usata per distruggere la vita; il suo scopo è proprio quello di renderla possibile e proteggerla.

 

Chesterton credeva che le leggi umane traessero la loro giustizia da una superiore consapevolezza morale, dalle leggi morali del bene e del male che non sono soggette a cambiamento. Quando una società nega queste verità fondamentali, rischia non di evolversi, ma di degenerare. Una volta osservò che le civiltà crollano non appena dimenticano le cose più ovvie. Una di queste verità ovvie è che uccidere persone innocenti è sbagliato.

 

Nel caso dell’aborto, la modernità sembra aver dimenticato proprio questa verità evidente: ovvero che un bambino nel grembo materno merita la stessa protezione di un bambino nella culla. Chesterton avrebbe sottolineato che il diritto romano – per quanto pagana fosse quella civiltà – almeno riconosceva il principio del curator ventris, il «guardiano dell’utero», nominato per proteggere i diritti del nascituro. Esistevano già in epoche precedenti disposizioni giuridiche che mostravano «una preoccupazione pubblica per la vita del bambino nel grembo materno», e il diritto positivo «riservava diritti» a quel bambino, ad esempio i diritti di successione e l’integrità fisica. Quanto è ironico, avrebbe osservato Chesterton, che il mondo moderno – vantandosi della sua umanità e del suo progresso – conceda al nascituro meno riconoscimento legale di quanto ne concedesse un’antica civiltà pagana.

 

Secondo Chesterton, una legge che non protegge il membro più indifeso della società non è una legge giusta. Credeva che l’autorità dello Stato fosse limitata da una legge morale superiore. Pertanto, quando i potenti iniziano a decidere chi può vivere e chi no, questo non è progresso, ma tirannia: «L’eugenetica e l’aborto equivalgono alla tirannia di un’élite che decide chi deve vivere e chi deve morire». Quell’élite, aggiungeva, spesso si nasconde dietro argomentazioni scientifiche o economiche, ma in sostanza è una questione di potere bruto.

 

Nell’aborto, Chesterton vedeva una coalizione dei forti contro i deboli: l’individuo adulto (forse supportato da «esperti» medici o dalla legislazione) contro il bambino senza voce. Ciò contrasta con la convinzione di Chesterton che la civiltà si misuri proprio da come protegge i più deboli. Quanto più debole e indifeso è il soggetto giuridico, tanto maggiore è il dovere di tutti di proteggerlo.

 

Per Chesterton, la famiglia è la prima e più importante comunità giuridica, e il nascituro ne fa già parte. Il diritto dovrebbe essere al suo servizio, non agire da padrone decidendo se quel nuovo membro della famiglia possa vivere. Già ai suoi tempi, aveva assistito a tendenze in cui lo Stato, o la cosiddetta «scienza», si elevavano a idolo a spese dell’umanità.

 

«Nel mondo moderno è il contrario: non è la religione che perseguita la scienza, ma la scienza che tiranneggia attraverso il governo», scrisse Chesterton nel 1922. Si riferiva alla legislazione eugenetica allora emergente, ma la stessa logica si applica alle leggi sull’aborto. Un ragionamento freddo e materialista – che sia in nome della scienza, della salute o dei diritti delle donne – che dichiara un nascituro non una persona con diritti che lui considererebbe un terribile orrore burocratico. È il trionfo di quello che lui chiamava beffardamente «terrorismo da professori di terza categoria»: assurdità tecnocratiche che mina le intuizioni morali fondamentali.

 

Al livello più profondo, Chesterton affermerebbe che nessuna autorità umana può concedere il diritto di uccidere deliberatamente una persona innocente. La legislazione che consente l’aborto distorce il rapporto essenziale tra libertà e vita. Come notato in precedenza, egli affermava: «L’unico oggetto della libertà è la vita». Una libertà che non protegge, ma abbandona il nascituro – la vita più innocente che si possa immaginare – è agli occhi di Chesterton una libertà che ha perso il suo scopo e la sua moralità. Considererebbe la situazione odierna come una regressione mascherata da legge.

 

Laddove un tempo il diritto autentico cercava di riecheggiare la vox Dei (l’idea che ogni essere umano sia un dono di Dio), la moderna legge sull’aborto trasmette il messaggio che alcune vite non contano. Questo non è solo ingiusto, ma anche irragionevole. È la perdita definitiva del buon senso che ha caratterizzato molte di quelle che Chesterton chiamava le «eresie» dei suoi contemporanei modernisti.

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Considerato quanto sopra, è chiaro che Chesterton reagirebbe con forte disapprovazione e indignazione morale alle leggi sull’aborto che non offrono alcuna protezione ai nascituri. Sulla base del suo profondo rispetto per la dignità umana, del suo amore per il bambino e la famiglia e della sua avversione per l’egoismo moderno, bollava tali leggi come segni di decadenza della civiltà.

 

Ogni grande civiltà decade dimenticando le verità ovvie, e la verità che un bambino non ancora nato è un essere umano con dei diritti è proprio una verità così evidente. Cancellarla, sosteneva, è una pericolosa mistificazione. Chesterton invitava il mondo moderno a ritrovare la sua bussola morale. Invece di congratularsi con se stessa per il presunto progresso, la società dovrebbe guardarsi allo specchio: che tipo di progresso è, se persino i più indifesi non sono più al sicuro nel rifugio più naturale: il grembo materno?

 

Dagli scritti di Chesterton emerge il ritratto di un uomo che si batteva per i più piccoli, i più poveri e i più vulnerabili. Non vedeva il nascituro come un ammasso di cellule senza diritti, ma come «un nuovo libero arbitrio», una nuova avventura per l’umanità e una promessa che il mondo potesse andare avanti. Considerava la perdita del riconoscimento legale per quella giovane vita una profonda vergogna. Probabilmente avrebbe risposto con il suo caratteristico mix di logica e sarcasmo: se la società crede che il comfort e la scelta siano così assoluti che i bambini possono essere uccisi, allora perché non essere coerenti?

 

«Lasciate che tutti i bambini nascano. Poi anneghiamo quelli che non ci piacciono», scrisse con amarezza, per denunciare l’assurdità di un simile ragionamento. Naturalmente, questa ipotesi è orribile – ed è proprio questo il punto di Chesterton: solo un’obiezione mistica e morale ci impedisce di annegare i bambini nati, e la stessa obiezione si applica all’uccisione dei nascituri.

 

Infine, Chesterton ci ricordava il dovere di difendere la famiglia e la vita da tali aggressioni. «C’è un attacco alla famiglia; e l’unica cosa che si può fare contro un attacco è combatterlo». Egli vedeva la perdita della tutela legale per la vita non ancora nata come parte di quell’attacco alla famiglia e alla dignità umana. Il suo giudizio non lasciava dubbi: le moderne leggi sull’aborto sono malvagie, ingiuste e contrarie sia al buon senso che alla legge naturale. Solo tornando a quelle che lui chiamava le «cose ​​ovvie» – la verità evidente che ogni vita umana, dal concepimento in poi, è un dono di incommensurabile valore – la nostra società può ritrovare sia la sanità mentale che la giustizia.

 

Perché agli occhi di Chesterton, il bambino non ancora nato non è altro che l’opinione di Dio sul fatto che il mondo debba andare avanti. Spetta al nostro senso di giustizia e alle nostre leggi affermare e difendere tale opinione.

 

+Rob Mutsaerts

Vescovo

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