Terrorismo
Dopo stretta contro gli islamisti, a Delhi chiesta la sospensione dei radicali indù
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Ieri il Tamil Nadu ha preferito proibire al Rashtriya Swayamsevak Sangh di tenere una manifestazione per paura che si registrino scontri. Nei giorni scorsi il governo federale ha arrestato centinaia di membri appartenenti al Popular Front of India e ne ha dichiarato la messa al bando per cinque anni. Il continuo utilizzo della legge antiterrorismo rischia di alimentare gli estremismi.
Ieri il governo del Tamil Nadu ha proibito al Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS) di tenere una manifestazione pubblica autorizzata dall’Alta Corte di Madras una settimana fa. Il divieto arriva pochi giorni dopo l’ordine di scioglimento e la messa al bando per cinque anni del Popular Front of India (PFI) da parte del governo centrale di Delhi sulla base della legge sulla prevenzione delle attività illegali (Unlawful Activities Prevention Act o UAPA).
Un funzionario del governo indiano ha detto in forma anonima all’Indian Express che nelle ultime due settimane nel Tamil Nadu ci sono stati almeno 20 diversi episodi di violenza causati dagli adepti delle due organizzazioni. L’RSS e il PFI sono due gruppi radicali, il primo induista, il secondo musulmano.
«Mentre il PFI e l’RSS sono due facce della stessa medaglia, tranne che per la loro identità religiosa, c’è anche uno schieramento di partiti che si sta preparando a protestare contro i raduni dell’Rss», ha spiegato il funzionario statale, «quindi abbiamo negato il permesso di protestare anche ad altre formazioni. Se gruppi rivali si scontreranno tra loro si creeranno seri problemi di ordine pubblico».
Nei giorni scorsi il governo ha condotto una maxi-operazione contro gli islamisti del PFI, arrestando un centinaio di persone legate all’organizzazione e al Partito socialdemocratico indiano, il braccio politico del movimento.
Il PFI è nato nel 2007 e in pochi anni si è trasformato in un’organizzazione radicale e violenta: nel 2010 un gruppo di fanatici ha tagliato con un’ascia la mano di un professore cattolico del Kerala, accusato di aver fatto in classe commenti sprezzanti contro il profeta Maometto.
Nel 2015 sono state incarcerate 13 persone, ma prima del 28 settembre di quest’anno i governi statali non avevano mai agito contro il gruppo, più volte accusato di attività legate al terrorismo. A giugno di quest’anno alcuni membri avevano decapitato un uomo indù nel Rajasthan.
«Il PFI è coinvolto in una serie di casi criminali e terroristici e mostra una totale mancanza di rispetto nei confronti dell’autorità costituzionale del Paese con fondi e sostegno ideologico dall’esterno [leggi Pakistan] diventando una grave minaccia per la sicurezza interna della Nazione», ha dichiarato in una nota il governo federale, che ha anche citato legami con gruppi terroristici stranieri come lo Stato Islamico.
Oltre alla messa al bando per cinque anni verranno congelati i conti bancari e confiscati i beni del movimento. Il PFI ha accettato lo scioglimento, ma ha anche accusato Delhi e i membri del Bharatiya Janata party (BJP) – il partito nazionalista indù del primo ministro Narendra Modi – di creare «un clima di terrore».
Ieri alcuni deputati del Congress Party hanno chiesto la messa al bando anche dell’RSS, un’organizzazione spesso descritta come paramilitare nata nel 1925 su ispirazione fascista e il cui scopo è quello di diffondere gli ideali dell’Hindutva, l’ultranazionalismo indù che sostiene la superiorità dell’induismo sulle altre religioni.
L’RSS in realtà è già stata messa al bando tre volte nella storia dell’India indipendente: la prima nel 1948 dopo l’uccisione del Mahatma Gandhi da parte di un adepto del movimento e poi di nuovo nel 1975 e nel 1992 in momenti di particolare tensione politica.
Lo stesso Modi in gioventù ha fatto parte dell’RSS e molti considerano il BJP la sua estensione politica perché propugna l’idea secondo cui l’India sarebbe minacciata dalla presenza della minoranza musulmana (200 milioni di persone, oltre il 14% della popolazione). Nei giorni scorsi le persone che hanno protestato contro la repressione del PFI sono state accusate di aver intonato slogan in favore del Pakistan.
Quello che si sta delineando all’orizzonte non è quindi solo un contesto politico caratterizzato da violenze settarie, ma di estremismo contro estremismo.
È interessante sottolineare l’utilizzo da parte di Delhi della legge antiterrorismo (UAPA), la stessa che ha incarcerato p. Stan Swamy, il gesuita 84enne che lottava per il riconoscimento dei diritti tribali morto l’anno scorso in custodia giudiziaria.
Più volte i critici hanno incolpato il governo centrale di usare la normativa contro la prevenzione delle attività illegali per reprimere il dissenso e imbavagliare attivisti e giornalisti che biasimano l’operato del BJP. Dal 2014, anno in cui Modi è diventato premier, i casi registrati di terrorismo sono andati aumentando: 976 nel 2014, 897 nel 2015, 922 nel 2016, 901 nel 2017, 1.182 nel 2018, 1.226 nel 2019 e 1.321 nel 2020.
L’anno scorso invece sono scesi a 814. Dal 2019 la legge dà al governo federale la possibilità di agire anche contro i singoli individui senza che vengano presentate prove contro di essi. Tuttavia solo il 2,2% dei casi registrati ai sensi della normativa tra il 2016 e il 2019 si sono conclusi con una condanna in tribunale.
Quello indiano è un quadro nazionale complesso, ma una cosa sembra certa: la mancata distinzione tra una reale minaccia alla sicurezza interna e la repressione dei diritti umani rischia di alimentare ancora di più i radicalismi; una sospensione delle manifestazioni di protesta potrebbe presto rivelarsi insufficiente a pacificare gli animi.
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Immagine di Suyash Dwivedi via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Terrorismo
Jihadisti francesi attaccano le forze governative siriane
Le nuove autorità siriane hanno lanciato un’ampia operazione militare contro le forze jihadiste straniere rimaste nella provincia nord-occidentale di Idlib, con particolare attenzione ai militanti di origine francese.
Il governo damasceno ha dichiarato che questi gruppi, che in passato hanno contribuito a rovesciare l’ex presidente Bashar Assad, costituiscono ora una minaccia alla sicurezza.
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), con sede nel Regno Unito, gli scontri sono scoppiati durante un assalto notturno delle forze governative a un campo noto come «campo francese» nella città di Harem, a ovest di Idlib. Entrambe le parti avrebbero subito perdite, ma il numero esatto di vittime non è stato confermato. Almeno due jihadisti sono stati catturati. Secondo le autorità, il campo sarebbe gestito da combattenti stranieri guidati da Omar Omsen, un cittadino francese di origini senegalesi.
Il Servizio di Sicurezza Generale siriano ha specificato che l’obiettivo era arrestare Omsen e ripristinare la stabilità nella regione. Un canale Telegram legato ai jihadisti ha diffuso una dichiarazione del loro leader, che accusava il governo di collaborare con gli Stati Uniti e una «coalizione internazionale» per eliminare i militanti stranieri in Siria, minacciando Damasco di rappresaglie jihadiste e citando il supporto di altri gruppi militanti stranieri.
⚡️🇸🇾🇫🇷 | Les combattants de la Sécurité générale sont clairement visibles à proximité du camp des Français.
Les djihadistes français ont affirmé leur intention de se défendre, déclarant que le public sera témoin de “la trahison d’al-Jolani” envers ses propres combattants.
Il… https://t.co/Va8CVwUEPz pic.twitter.com/TeMioj0Ar3
— Syria News (@SyriaNewsFr) October 21, 2025
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Un articolo del Washington Post dello scorso maggio riferisce che il governo del presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, precedentemente conosciuto come il terrorista jihadista al-Jolani, legato ad al-Qaeda e ISIS, sta affrontando minacce dalle stesse forze che lo hanno insediato al potere a novembre.
Secondo un rapporto di Le Monde del 2023, circa 200 cittadini francesi, tra combattenti e loro familiari, si sono stabiliti a Idlib dopo il collasso dello Stato Islamico nel 2019, descritti come «jihadisti francesi irriducibili».
Il WaPo a maggio riportava che «militanti sunniti estremisti» hanno compiuto stragi di alawiti sulla costa siriana a marzo, causando almeno 1.300 morti, con altre migliaia morti nei mesi successivi.
Come noto, anche i cristiani sono oggetto di continue violenze assassine e genocide da parte dei takfiri jihadisti che perseverano nella loro opera di cruenta persecuzione, tra esecuzioni di donne cristiane e bombe nelle chiese, mentre diviene sempre più chiaro che la sharia è l’unica legge del Paese un tempo laico.
Alcuni di questi gruppi jihadisti hanno poi rivolto la loro ostilità contro al-Jolani, specialmente dopo il suo incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha portato alla rimozione delle sanzioni contro la Siria, ma lo ha fatto apparire come un «infedele» agli occhi dei radicali.
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Immagine screenshot da YouTube
Terrorismo
Episodio di terrorismo a Belgrado
🚨New footage of the fire in front of the Serbian Parliament building in Belgrade. pic.twitter.com/LVZLtPxn9Q
— Mario ZNA (@MarioBojic) October 22, 2025
💥 Shooting at the Serbian Parliament building in Belgrade!
A 70-year-old man opened fire, injuring a random passerby in the thigh. Afterwards, he set fire to a tent of supporters of President Aleksandar Vučić and threw a handful of bullets into the flames. The injured… pic.twitter.com/FIilYQEMeb — NEXTA (@nexta_tv) October 22, 2025
#BREAKING #Serbia A fire broke out in the tent camp near the Serbian Parliament in Belgrade.
One person has been hospitalized. Shortly before the fire, sounds resembling gunshots were heard, Serbian state media reports. Video footage shows an individual being apprehended. pic.twitter.com/LQu6QzZzD3 — The National Independent (@NationalIndNews) October 22, 2025
🇷🇸 Serbian police have arrested the terrorist who carried out the shooting near the parliament building in Belgrade.
The attacker claimed he carried out the assault because he was “annoyed by the tents.” He reportedly expected to be killed by the police. pic.twitter.com/DBqJDAY8pn — Visegrád 24 (@visegrad24) October 22, 2025
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Terrorismo
Preparavano un altro attentato a Trump?
Il direttore dell’FBI Kash Patel ha dichiarato domenica 19 ottobre a Fox News che i Servizi Segreti (USSS) hanno individuato una «postazione di caccia» con vista diretta sull’uscita dell’Air Force One del presidente Donald Trump presso l’aeroporto internazionale di Palm Beach. L’FBI sta collaborando con l’USSS e le forze dell’ordine della contea di Palm Beach per le indagini.
Il Patel ha riferito che, fino a ieri, nessuna persona è stata vista o associata alla postazione sopraelevata. Secondo una fonte anonima delle forze dell’ordine citata da Fox, la postazione, situata su un ramo d’albero, sembra essere stata preparata «mesi fa».
USSS spotted a suspicious stand near the AF1 zone in Palm Beach.
The FBI is investigating. pic.twitter.com/nMCoVP9mKB
— FBI Director Kash Patel (@FBIDirectorKash) October 19, 2025
The hunting stand had a direct line of sight to AF1.
The FBI took down the stand, which has been taken to an FBI lab. pic.twitter.com/dpXINTTKpK
— X22 Report (@X22Report) October 20, 2025
Tuttavia, il capo delle comunicazioni dell’USSS, Anthony Guglielmi, ha precisato che gli agenti hanno scoperto la postazione giovedì 16 ottobre durante i «preparativi di sicurezza avanzati» per l’arrivo di Trump a Palm Beach. «Non ci sono state ripercussioni sui movimenti e nessuna persona era presente o coinvolta nel luogo», ha dichiarato Guglielmi a Fox News.
«Sebbene non possiamo fornire dettagli sugli oggetti specifici o sul loro scopo, questo incidente evidenzia l’importanza delle nostre misure di sicurezza a più livelli», ha aggiunto.
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