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Geopolitica

Dodici Paesi si rifiutano di firmare la dichiarazione di Zelens’kyj sulla «conferenza di pace»

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Dodici Paesi partecipanti alla «conferenza di pace» in Ucraina ospitata dalla Svizzera si sono rifiutati di firmare il comunicato finale. La notizia si basa sull’elenco dei paesi che hanno approvato il documento, ha riferito domenica l’agenzia di stampa governativa russa RIA Novosti.

 

Secondo l’elenco, Armenia, Brasile, India, Arabia Saudita, Sud Africa e Emirati Arabi Uniti sono tra gli Stati che non hanno firmato la dichiarazione, così come quattro organizzazioni, tra cui l’ONU e l’OSCE.

 

Nel frattempo, 79 nazioni, tra cui Ungheria, Serbia, Argentina, Turchia e Georgia, nonché quattro organismi internazionali, si sono unite all’Ucraina per approvare il documento.

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Il comunicato finale non è ancora stato reso pubblico, ma secondo la Reuters, citando una bozza del 13 giugno, attribuisce la colpa della «guerra contro l’Ucraina» alla Russia, accusandola di causare «sofferenze e distruzioni umane su larga scala» e «creando rischi e crisi con ripercussioni globali».

 

Il documento chiede il rispetto dell’integrità territoriale dell’Ucraina «entro i confini riconosciuti a livello internazionale» – in particolare, il ripristino del controllo ucraino sulla centrale nucleare di Zaporiggia, nonché l’accesso ai porti marittimi nel Mar Nero e nel Mar d’Azov. Il documento richiede inoltre il rilascio di tutti i prigionieri di guerra attraverso uno «scambio completo» e il ritorno dei bambini ucraini «deportati e sfollati illegalmente».

 

Finora non è chiaro il motivo per cui diversi partecipanti non hanno sostenuto il documento. Tuttavia, domenica il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, il principe Faisal bin Farhan Al Saud, ha affermato che qualsiasi progresso significativo verso una soluzione pacifica al conflitto richiederebbe la partecipazione della Russia.

 

Il cancelliere austriaco Karl Nehammer aveva precedentemente previsto che non tutti i partecipanti avrebbero firmato la dichiarazione, perché «è una questione di scelta specifica delle parole».

 

La Russia non è stata invitata a partecipare alla conferenza e ha affermato che non avrebbe preso parte anche se invitata a causa del focus esclusivo sulle richieste di Kiev.

 

Ai colloqui sono stati invitati più di 160 partecipanti, ma quasi la metà ha rifiutato a causa dell’assenza di una delegazione russa. L’elenco finale dei partecipanti comprendeva rappresentanti di 92 paesi e otto organismi internazionali.

 

Come riportato da Renovatio 21, vari Stati, tra cui diversi latinoamericani, avevano ignorato il vertice di pace voluto da Kiev.

 

Scrivendo domenica su Telegram, l’ex presidente russo Dimitrij Medvedev, attualmente vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha paragonato il vertice alla Fattoria degli animali di Giorgio Orwell. Il romanzo, considerato un velato riferimento all’Unione Sovietica dell’era Stalin, riflette su come gli ideali di uguaglianza e libertà possano essere distorti e traditi dopo che un leader spietato prende il sopravvento.

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L’ex presidente russo ha affermato che l’evento svizzero è «puro surrealismo» e che «nessuno dei partecipanti al “forum per la pace” sa cosa stanno facendo lì e quale è il loro ruolo».

 

Ha continuato dicendo che i «pastori» svizzeri invitavano solo «animali degni di fiducia», tra cui un «pazzo e gracile maiale» e il suo aiutante, così come «un gregge di ottuse pecore alpine occidentali che belano allegramente di pace, così come una muta di cani europei incatenati per custodire il bestiame». Medvedev non ha specificato a chi fossero dirette queste osservazioni.

 

Secondo l’ex presidente, i «cani» «abbaiano e sputano saliva velenosa» per mantenere l’ordine, cosa che secondo lui è giustificata dal momento che «le pecore spesso belano fuori posto e confondono le dichiarazioni memorizzate».

 

In un apparente riferimento al presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ha affermato che il gregge è guidato da «un proprietario anziano e debole di mente» che soffre di «demenza progressiva». Ha aggiunto che gli Stati Uniti, invece di inviare Biden, hanno inviato «un deputato dalla testa morbida che… ha detto una frase imparata a memoria ed è tornato rapidamente a casa», riferendosi alla vicepresidente Kamala Harris.

 

«Per riassumere, il pascolo del bestiame nelle Alpi è solo un triste mucchio di cacca che sta bruciando i soldi dei contribuenti», ha detto Medvedev.

 

Secondo un precedente rapporto di Bloomberg, Biden avrebbe saltato il vertice perché coincideva con una raccolta fondi per la campagna in California con George Clooney prima delle elezioni presidenziali di novembre. Zelens’kyj ha criticato l’assenza del presidente americano, suggerendo che «sarebbe stata accolta solo con applausi da Putin».

 

Numerosi funzionari occidentali hanno riconosciuto che il conflitto ucraino non può essere risolto senza la partecipazione di Mosca ai colloqui.

 

Come riportato da Renovatio 21, il politologo John Mearsheimer aveva definito «ridicolo» l’incontro. Putin aveva respinto la formula di Kiev e sollevato dubbi sulla legittimità di Zelens’kyj, il cui mandato è scaduto. Il presidente russo in passato ha ripetuto che la Russia «non ha mai rinunciato ai colloqui di pace con l’Ucraina».

 

Pochi giorni fa Putin aveva chiarito le sue condizioni per dei veri colloqui di pace, subito respinte da Zelens’kyj e dagli USA, come detto a chiare lettere nel bizzarro discorso del segretario della Difesa Lloyd Austin all’incontro dei ministri della guerra NATO a Bruxelles della settimana scorsa.

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Immagine di Simon Walker / No 10 Downing Street via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

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Geopolitica

India, una donna uccisa e nuove violenze in Manipur. Tribali denunciano: governo non fa nulla

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Quella dello Stato dell’India nord-orientale è una ferita ancora aperta: ieri sera alcune case sono state date alle fiamme e la comunità Kuki, in prevalenza cristiana, continua a denunciare le incursioni di gruppi di estremisti Meitei. Si teme un maggiore coinvolgimento anche dei Naga, finora estranei alle violenze. I colloqui proposti dal ministero dell’Interno si sono conclusi con un nulla di fatto.   Nel villaggio di Zairon Hmar, distretto di Jiribam, ieri sera una donna è stata uccisa in nuovi scontri nel Manipur, lo Stato dell’India nord-orientale in cui più da un anno si verificano violenze sulla base dell’appartenenza a diversi gruppi etnici. Più di 10 case sono state bruciate, si pensa da militanti Meitei, secondo quanto dichiarato dall’Indigenous Tribal Leaders’ Forum, che raccoglie al suo interno diversi gruppi tribali.   «Lo scambio di colpi d’arma da fuoco è continuato per circa un’ora. Durante l’attacco, più di dieci case sono state date alle fiamme. Una donna di nome Sangkim è morta bruciata dopo che il fuoco ha avvolto la sua casa», si legge nel comunicato. Un ufficiale ha spiegato che «diversi abitanti del villaggio sono riusciti a fuggire durante l’attacco e si sono rifugiati nella foresta vicina».   L’ITLF ha inoltre espresso preoccupazione per la recente occupazione del villaggio di Kangchup Panjang, nel distretto di Kangpokpi, da parte di membri pesantemente armati del gruppo militante KCP-PWG, un’organizzazione militare Meitei. La loro presenza e infiltrazione nelle aree Kuki ha creato tensione e paura tra la popolazione (a prevalenza cristiana) che risiede nelle aree collinari.   L’ITLF ha proseguito nella sua dichiarazione condannando il governo del Manipur e il governo indiano centrale, entrambi guidati dal Bharatiya Janata Party (BJP), per l’inazione nei confronti dei militanti armati Meitei, che occupano i territori Kuki-Zo: «Questa militarizzazione incontrollata all’interno delle nostre terre può essere vista solo come una tattica orchestrata dal chief minister del Manipur N. Biren Singh, che distoglie l’attenzione dal suo ruolo nella violenza sistematica contro il popolo Kuki-Zo», hanno detto i leader dell’ITLF, sottolineando la necessità che il governo metta al bando i gruppi estremisti, come l’Arambai Tenggol (AT) e minacciando che le comunità Kuki-Zo non rimarranno spettatori passivi mentre le loro terre e le loro vite sono minacciate.

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Le violenze del Manipur sono scoppiate a maggio 2023 e da allora si riaccendono periodicamente. Ultimamente si sono registrati scontri anche con la comunità Naga, finora esterna al conflitto tra Kuki e Meitei, perché i Naga vivono e commerciano con entrambi gli altri due gruppi tribali. A fine ottobre alcuni militanti di AT hanno aggredito e rapito due commercianti Naga, facendo temere un allargamento delle violenze ad altri gruppi indigeni.   I dati ufficiali indicano che almeno 226 persone sono morte e oltre 60mila continuano a essere sfollate, ma il governo centrale non ha ancora erogato i risarcimenti per le vittime che erano stati promessi, secondo quanto spiegato da The Wire. Anche l’istituzione di un comitato per la pace è fallita: il ministro dell’Interno Amit Shah ne aveva annunciato la creazione inserendo anche l’attuale chief minister Singh, a cui molti membri si opponevano. In segno di protesta, gli esponenti di diversi partiti hanno abbandonato il comitato.   Il governo centrale allora, a metà ottobre, ha tentato di tenere colloqui separati con i rappresentanti delle comunità Kuki, Meitei e Naga, i primi tra i funzionari del ministero dell’Interno e i politici locali da quando sono iniziate le violenze.   Alcune fonti hanno commentato dicendo che «non è stato discusso nulla di sostanziale» e che «finché non ci sarà la garanzia di fermare la violenza, non si potranno fare ulteriori passi». In seguito, i deputati dell’Assemblea legislativa locale di etnia Kuki hanno chiesto un’amministrazione separata per la loro comunità come precondizione per i colloqui di pace.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Ministro israeliano parla dell’annessione della Cisgiordania dopo l’elezione di Trump

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In un incontro del suo Partito Sionista Religioso (HaTzionut HaDatit) l’11 novembre, il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha annunciato di aver ordinato che venga elaborato un piano per la completa annessione della Cisgiordania da parte di Israele.

 

Lo Smotrich e i suoi alleati coloni sembrano gettare le stesse basi per Gaza, dove le stragi perpetrate dallo Stato Ebraico avrebbero raggiunto i 44.383 palestinesi uccisi, secondo il conteggio ufficiale, contestato da alcuni che sostengono che i morti sono molto di più.

 

«Intendo, con l’aiuto di Dio, guidare una decisione governativa che afferma che il governo di Israele lavorerà con l’amministrazione del Presidente Trump e la comunità internazionale per applicare la sovranità israeliana sulla Giudea e Samaria [cioè la Cisgiordania, ndr], e per il riconoscimento americano e internazionale, e per porre fine al conflitto arabo-israeliano in Medio Oriente» ha dichiarato lo Smotrich, secondo la CNN.

 

«Ho incaricato l’Amministrazione degli Insediamenti presso il Ministero della Sicurezza e l’Amministrazione Civile di iniziare un lavoro di personale professionale e completo e di preparare l’infrastruttura necessaria per l’applicazione della sovranità. L’anno 2025 sarà (…) l’anno della sovranità in Giudea e Samaria».

 

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, lo Smotrich avrebbe detto che «i nuovi nazisti devono pagare un prezzo attraverso la terra che verrà loro sottratta in modo permanente, sia a Gaza che in Giudea e Samaria».

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Oltre al suo portafoglio finanziario, Smotrich, che vive in un insediamento illegale in Cisgiordania israeliana, ricopre anche una posizione all’interno del ministero della Difesa, dove supervisiona l’amministrazione della Cisgiordania occupata e dei suoi insediamenti. Mesi fa era emerso che aveva «legalizzato» 5 nuovi insediamenti assieme a varie misure punitive contro l’autorità palestinese.

 

Il piano Benjamin Netanyahu è noto come «Piano dei generali» ed è sostenuto dal lavoro di Smotrich e dal capo dell’altro partito sionista, il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir.

 

Al momento, non si ha idea di come il presidente eletto Donald Trump (il cui staff ha ampi legami con Israele) reagirà ai commenti di Smotrich. Finora, anche l’amministrazione Biden-Harris non ha detto nulla, nonostante la base del partito democratico stia divenendo sempre più furiosamente pro-palistenese.

 

Come riportato da Renovatio 21, lo Smotrich sette mesi fa aveva detto che cacciare il 90% di Gaza «non costa nulla». Il mese scorso ha «legalizzato» 5 nuovi insediamenti israeliani e varato misure punitive contro l’Autorità palestinese.

 

Come riportato da Renovatio 21, a marzo 2023 Smotrich aveva dichiarato a una cerimonia commemorativa privata a Parigi che non esiste un popolo palestinese, che è un’invenzione del mondo arabo e che lui e i suoi nonni sono i veri palestinesi.

 

Di recente il ministro israeliano ha avuto a dichiarare che far morire di fame i cittadini di Gaza potrebbe essere un modo «giusto» per costringere Hamas a rilasciare gli ostaggi.

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Immagine di U.S. Embassy Jerusalem via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0

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Geopolitica

A Kiev sono «turbati» dal fatto che Trump non vuole Pompeo

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I funzionari ucraini sono «turbati» dalla decisione del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump di non offrire un incarico nella sua futura amministrazione a Mike Pompeo, che ritengono simpatizzante della loro causa, ha riportato martedì la rivista britannica The Economist.   La testata di Londra ha riferito da Kiev sull’attuale stato d’animo della società e su come potrebbe influenzare l’autorità di Volodymyr Zelensky. Si dice che la gente in Ucraina stia monitorando attentamente le selezioni di Trump per il suo gabinetto entrante.   Pompeo, un falco della sicurezza nazionale, è stato direttore della CIA e poi segretario di Stato nella prima amministrazione Trump. I funzionari di Kiev lo vedono come un alleato nella loro lotta contro la Russia, quindi l’annuncio di Trump di sabato scorso che non avrebbe fatto parte del nuovo governo è «uno sviluppo molto negativo», ha detto una delle fonti all’Economist.   «La preoccupazione ora è che l’offerta del signor Trump all’Ucraina finisca per assomigliare di più alle idee avanzate da JD Vance, il vicepresidente entrante», ha aggiunto il rapporto, riferendosi alle osservazioni sul conflitto ucraino fatte dal compagno di corsa di Trump.

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Vance, noto scettico del supporto all’Ucraina, ha detto che finanziare lo sforzo bellico ucraino non è nell’interesse americano e che Kiev dovrà fare delle concessioni per raggiungere una tregua con Mosca, il che probabilmente significa una perdita di territorio e nessuna adesione alla NATO. Zelens’kyj ha definito il vicepresidente entrante «troppo radicale» sulla questione, attirando critiche dal Partito Repubblicano.   Trump ha affermato di poter porre fine al conflitto in Ucraina entro 24 ore dall’insediamento. Il team di Zelens’kyj starebbe cercando di convincere il presidente eletto proponendo un continuo sostegno a Kiev come un modo per indebolire la Cina, negandole l’accesso alle risorse minerarie ucraine.   Secondo l’Economist, Pompeo non ha alienato Trump, a differenza di molti ex membri della sua amministrazione, che si sono trasformati in accesi critici del leader repubblicano dopo che ha lasciato l’incarico nel 2021 e potrebbero essere stati esclusi per ragioni ideologiche.   Come riportato da Renovatio 21, Trump aveva avuto parole di elogio per Pompeo durante il lungo podcast con Joe Rogan prima delle elezioni, dove aveva detto, come già noto in precedenza, che il suo direttore della CIA all’epoca Pompeo (l’uomo che avrebbe ordito un complotto CIA per uccidere Julian Assange), così come altre «brave persone» gli avevano chiesto di non pubblicare tutti i file JFK.   Tuttavia Trump è sembrato dire che avrebbe pubblicato l’altro 50% di essi in modo che la nazione potesse avere una «pulizia».   Come riportato da Renovatio 21, Pompeo come capo della CIA avrebbe ordito un complotto CIA per uccidere Julian Assange, cosa che gli ha cagionato una convocazione presso un tribunale spagnolo, dove ovviamente non l’uomo non ha messo piede.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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