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«Criminali votati all’Anticristo»: piano mondialista contro la Chiesa. Steve Bannon intervista mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’intervista fatta da Steve Bannon, già stratega elettorale e poi consigliere alla Casa Bianca per Donald Trump durante il primo mandato, all’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Le opinioni degli scritti pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21

 

Steve Bannon: Recentemente, un gruppo di Cattolici americani ha chiesto al presidente Trump di indagare se il governo degli Stati Uniti fosse coinvolto nella sequenza di eventi che hanno portato alle dimissioni di papa Benedetto XVI l’11 febbraio 2013 e al Conclave che ha eletto papa Francesco I il 13 marzo 2013. Di recente Ella ha chiesto al Direttore della CIA di Trump di «indagare sul piano del deep state per eliminare Benedetto XVI». Crede che l’amministrazione Obama/Biden abbia interferito nell’abdicazione di papa Benedetto XVI e nell’elezione di Jorge Bergoglio? Se è così, perché?

Carlo Maria Viganò: Se non stessimo parlando della Chiesa – o meglio: del Vaticano – ma di uno Stato qualsiasi, l’evidenza di un colpo di Stato non sarebbe messa in dubbio da nessuno. D’altra parte, sappiamo che il deep state ha interferito più volte nel governo di molte nazioni, e che continua tuttora a farlo tramite i suoi emissari (lo scorso 28 Aprile il card. Burke ha denunciato il tentativo del «presidente» Macron di fare pressioni sul collegio cardinalizio per scongiurare l’elezione di un papa conservatore che metta in discussione le politiche dell’Unione Europea).

 

Dalle email di John Podesta diffuse da Wikileaks sappiamo che lo schema adottato in ambito civile per fomentare «rivoluzioni colorate» è stato replicato pedissequamente anche in ambito ecclesiastico.

 

Il modus operandi è lo stesso: il deep state finanzia mediante USAID e altre agenzie governative movimenti ideologici e gruppi di pressione sociale per simulare un dissenso nei confronti del Magistero della Chiesa Cattolica e poter così fare pressione sulla Gerarchia affinché adotti riforme in senso progressista. Contestualmente, la parte della Gerarchia che è complice di questa operazione eversiva si avvale di questo dissenso «virtuale» per legittimare le riforme che nessuno chiede: sacerdozio femminile, legittimazione della sodomia, apparente democratizzazione dell’autorità mediante la «sinodalizzazione» del papato monarchico, etc.

 

Tutto si basa quindi sulla falsa premessa che vi sia un problema (mentre esso è creato artificialmente e non è assolutamente percepito dal popolo cristiano), al quale porre rimedio con la soluzione offerta (che in condizioni ordinarie non potrebbe nemmeno essere presa in considerazione).

 

Queste interferenze nel governo della Chiesa Cattolica sono giunte a teorizzare la necessità di sostituire il pontefice regnante, Benedetto XVI, con un emissario del deep state che portasse a compimento il proprio piano eversivo. Ed è esattamente quello che di lì a poco è effettivamente accaduto: Benedetto XVI è stato costretto alle dimissioni; al Conclave è stato fatto eleggere Jorge Mario Bergoglio e questo gesuita argentino ha effettivamente eseguito gli ordini ricevuti.

 

(…)

 

È quindi assolutamente indispensabile che la nuova Amministrazione americana – nella quale il vicepresidente JD Vance è un cattolico praticante – indaghi su questi aspetti e porti alla luce le responsabilità delle precedenti Amministrazioni, che sappiamo essere state complici e promotrici non solo del golpe vaticano, ma anche di altre analoghe operazioni estere e interne – penso anzitutto alla frode elettorale del 2020.

 

Una volta che si avranno le prove e i nomi dei colpevoli, la Gerarchia cattolica non potrà ignorare fatti di rilevanza politica, con la scusa che si tratta di questioni canoniche.

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Chi pensa che abbia avuto un ruolo fondamentale in quel colpo di Stato? In che modo le prove di interferenza straniera in un’elezione papale influenzerebbero la Chiesa cattolica praticamente e canonicamente?

Questo colpo di stato fa parte di un golpe globale organizzato dalla lobby eversiva della sinistra woke (sul fronte ideologico) e del World Economic Forum (sul fronte finanziario). Lo scopo è la distruzione di ogni forma di resistenza all’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale, la costituzione di governi totalmente controllati da un’élite di tecnocrati e la costituzione di una nuova Religione dell’Umanità che dia basi dottrinali e morali alla distopia globalista.

 

Nella mente di questi criminali votati all’Anticristo – perché è del regno dell’Anticristo che stiamo parlando – Bergoglio doveva costituire il primo «papa» della nuova chiesa ecumenica e sinodale preparata sin dal Vaticano II. Ed è proprio per questa totale eterogeneità anche rispetto ai suoi immediati predecessori (anche i più progressisti) che Bergoglio non può essere considerato papa della Chiesa Cattolica.

 

È evidente che, nel momento in cui venisse dimostrata questa interferenza nell’elezione del papa, ciò comporterebbe la nullità dell’elezione e l’illegittimità del papato di Bergoglio. Questo sarebbe a tutti gli effetti un great reset, perché annullerebbe tutti gli atti di magistero e di governo di Bergoglio, dalle Encicliche eretiche alle nomine dei vescovi e dei cardinali.

 

Prima che inizi il Conclave è indispensabile verificare che i membri del Collegio Cardinalizio siano effettivamente legittimi, perché chiunque uscisse eletto papa dal Conclave vedrebbe altrimenti pregiudicata la propria legittimità.

 

Il 1° luglio 2025, l’Arcidiocesi di Detroit chiuderà 28 fiorenti chiese in cui si celebra la Messa in latino per ordine dell’Arcivescovo appena nominato Edward Weisenburger. Cosa consiglierebbe ai Cattolici tradizionali che partecipano a quelle Messe? Con la diffusa soppressione delle fiorenti Messe in latino negli Stati Uniti e in tutto il mondo, come devono rispondere i cattolici? Dovrebbero resistere?

L’odio per la Messa tradizionale è uno dei segni distintivi dei nemici di Cristo. Questo odio è certamente motivato dal fatto che la Messa in latino non lascia alcuno spazio agli errori e alle eresie che si oppongono alle verità del Dogma cattolico.

 

È significativo che siano proprio vescovi e cardinali ossessivamente fissati con la «sinodalità» a calpestare la volontà di milioni di cattolici che chiedono solo di poter avere la Messa di sempre. Questo smaschera l’inganno di chi si riempie la bocca con slogan altisonanti sulla partecipazione attiva dei fedeli («actuosa participatio») e sul ruolo dei laici nella Chiesa – tanto declamati dal Concilio – al solo scopo di togliere autorità ai buoni Pastori e trasferirla a nuovi tiranni.

 

I fedeli cattolici – e con essi sacerdoti, vescovi e religiosi – hanno il diritto di non essere defraudati della Messa Apostolica, che Nostro Signore ha affidato alla Chiesa perché fosse custodita e trasmessa senza cambiamenti arbitrari. Questo diritto esisteva prima dell’imposizione del Novus Ordo da parte di Paolo VI, ed è stato ribadito dal Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, che non a caso Bergoglio ha praticamente soppresso con Traditionis Custodes.

 

Ricordo ai cattolici che uno degli strumenti più efficaci per costringere i propri Pastori consiste nel destinare le offerte solo a quelle Diocesi e comunità in cui sia loro data realmente la possibilità di rimanere Cattolici. Nel momento in cui le Loro Eccellenze si trovano senza i soldi dei fedeli da una parte e senza i finanziamenti governativi di USAID dall’altra, saranno costretti a scegliere ciò che sarebbe stato comunque loro dovere fare sin dal principio.

 

 

Nel 2023, l’amministrazione Biden attraverso l’FBI ha lanciato una campagna contro i Cattolici tradizionali che partecipano alla Messa in latino, etichettandoli come «estremisti violenti motivati razzialmente o etnicamente (RMVE) in cattolici radicali tradizionalisti (RTC), un’ideologia che quasi certamente presenta opportunità per la mitigazione delle minacce attraverso l’esplorazione di nuove strade per ricostruire e sviluppare le fonti». Secondo Lei, perché le forze dell’ordine federali dovrebbero prendere di mira i Cattolici tradizionali pacifici come estremisti violenti? Quale potrebbe essere il motivo per cui le forze dell’ordine per prendere di mira sistematicamente i partecipanti alla messa latina? Questa molestia potrebbe derivare dalle Traditions Custodes di Bergoglio e dalla sua soppressione della Messa in latino? C’è una connessione?

San Pio X diceva che i veri Cattolici sono quelli fedeli alla Tradizione, e aveva perfettamente ragione; tant’è vero che sono anche i soli a non piacere ai nemici della Chiesa, mentre sono apprezzatissimi i sedicenti «cattolici adulti», i progressisti, i «cattolici liberali», i «cattolici woke». Se Bergoglio è riuscito ad ottenere tanta ammirazione da chi detesta la Chiesa Cattolica e il papato è perché l’élite lo considera «uno di loro», altrettanto rivoluzionario, altrettanto imbevuto di filantropismo massonico, altrettanto ecumenico, sincretista, inclusivo, green woke.

 

Siamo giunti al paradosso nel quale il potere civile usurpato da traditori del deep state è alleato al potere religioso usurpato da traditori della deep church. Non c’è dunque da stupirsi se il «braccio secolare» viene in aiuto della chiesa bergogliana, prendendo di mira i nemici di Bergoglio – ossia i veri Cattolici – perché li considera anche nemici della società woke e dell’élite globalista.

 

Ora però, con l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti d’America, la macchina infernale del Nuovo Ordine Mondiale si è in qualche modo inceppata, mettendo in crisi un sistema di corruzione, conflitti di interesse e ricatti che sembrava funzionare perfettamente. Nel momento in cui il deep state perde potere nella società civile, anche la deep church arretra nella Chiesa cattolica, perché sono due facce della stessa medaglia. Sta ai cittadini e ai fedeli sostenere i buoni governanti e i buoni Pastori, perché facciano finalmente giustizia di questo colpo di stato globale che minaccia l’intera umanità.

 

Qual è stato l’impatto sui paesi cattolici, come l’Irlanda, dell’invasione di massa degli immigrati dai Paesi islamici? Questo afflusso di migrazioni incontrollate fa parte di un piano globalista strategico per sradicare il Cristianesimo? È questo il risultato di una perdita di fede? Il Vaticano II ha avuto un impatto sulla decristianizzazione dell’Europa? Perché Bergoglio dovrebbe sostenere la distruzione della cultura cristiana in Europa e altrove con frontiere aperte?

È in corso una lotta epocale tra Bene e Male, tra Dio e Satana, tra chi riconosce Cristo come Re e chi invece opera per l’instaurazione del regno dell’Anticristo. Questa lotta sta giungendo alla fase finale, ma è stata preparata da tempo, soprattutto da quando i nemici di Cristo si sono organizzati in un’anti-chiesa, ossia nella Massoneria, che è intrinsecamente anticattolica, perché anticristica e votata a Satana.

 

Lo scopo della Massoneria – e quindi del Nuovo Ordine Mondiale – è la cancellazione di Cristo mediante la cancellazione della società cristiana, della cultura cristiana, della civiltà cristiana e, ovviamente, della Religione cattolica. Satana non accetta la sconfitta inflittagli da Nostro Signore sul Golgota e, non potendo vincere Colui che lo ha già vinto per sempre, si rivale sugli uomini, cercando di trascinarne quanti più possibile all’Inferno.

 

Per cancellare la presenza di Cristo dalla vita di ciascuno di noi occorre agire su più fronti: quello pubblico e quello privato, quello della famiglia e quello dell’educazione, quello della cultura e dell’intrattenimento, della scienza e della finanza. Tutte le nostre azioni – che in una società cristiana sono orientate al Bene – devono dunque essere corrotte fino a rendere quasi impossibile a chiunque di compiere buone azioni, di seguire il Vangelo, di obbedire ai Comandamenti, di trasmettere i principi della nostra Fede e della nostra Morale.

 

Non si tratta solo di farci accettare come «legittimo» il fatto che altri possano «legittimamente» compiere il male – ad esempio con l’aborto – ma di far sentire ciascuno di noi in colpa perché si ostina a non voler compiere il male, a non voler considerare «diritto umano» fare a pezzi un innocente nel ventre materno o mutilare un adolescente con la transizione di genere. È la mentalità del Chi sono io per giudicare? che Bergoglio ha tradotto in principio morale fin dall’inizio del suo «pontificato».

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Per giungere a questa distruzione di ogni principio religioso occorreva però avere dalla propria parte i vertici della Gerarchia cattolica, in modo che la Chiesa di Roma – notoriamente antirivoluzionaria, antiliberale e antimassonica – diventasse alleata e complice di quelli che fino a ieri considerava i suoi più temibili nemici. Senza le condanne dei papi della Massoneria, del liberalismo, del materialismo ateo, del modernismo, la Chiesa poteva e doveva diventare – nel piano della Massoneria – non più la custode della Verità contro l’errore, ma la propagatrice dell’errore contro la Verità, usando la propria autorità spirituale per perdere le anime.

 

Il Concilio Vaticano II è servito esattamente a questo scopo: scardinare i principi tradizionali e insinuare nella Chiesa cattolica i principi rivoluzionari contro cui la Chiesa si era sempre strenuamente battuta. L’ecumenismo del Vaticano II ha posto le basi dottrinali all’immigrazionismo, perché questa era la necessaria premessa per legittimare l’invasione incontrollata dell’Europa da parte di orde di islamici, senza suscitare alcuna reazione nei popoli invasi.

 

I nostri governanti – civili e religiosi – ci hanno traditi, ordinandoci di accogliere coloro che a breve rappresenteranno la maggioranza della popolazione in età militare e che leggi sciagurate arruolano addirittura nelle nostre forze armate. Siamo davanti ad una sostituzione etnica imposta dall’élite eversiva dell’ONU e dell’Unione Europea: una islamizzazione forzata nella quale alcuni governi giungono a incarcerare i propri cittadini perché si lamentano del degrado e della criminalità importati dai nuovi barbari, e ad assolvere sistematicamente qualsiasi immigrato, a prescindere dalla gravità dei suoi delitti.

 

È evidente che in questo piano di distruzione sociale la complicità della chiesa bergogliana è stata determinante, e di questo egli dovrà rispondere dinanzi a Dio e al tribunale della storia.

 

Non solo. Gli islamici che vengono in Europa credendo di poterla sottomettere alla Sharia ignorano che vi è un terzo protagonista – che ben conosciamo – il quale provoca intenzionalmente uno scontro etnico e religioso tra Cristianità e Islam, perché una guerra civile e religiosa nei Paesi occidentali legittimi ulteriori restrizioni delle libertà fondamentali e permetta di vietare qualsiasi forma di culto esteriore, in nome del «reciproco rispetto».

 

 

Nella Sua lunga carriera di diplomatico del Vaticano, ha mai visto un papa denigrare pubblicamente un leader politico, come ha fatto Bergoglio, quando ha definito Trump «non cristiano» nel bel mezzo di una campagna politica? Crede che quella dichiarazione fosse parte di una strategia globalista per minare le elezioni di Trump o semplicemente un’opinione personale di Bergoglio?

Bergoglio ha dimostrato la propria totale alienità al papato Romano non solo negli aspetti dottrinali, morali e liturgici, ma anche in quelli più banali, dal modo in cui si vestiva al linguaggio che adottava. In Vaticano era noto per le sue scenate furiose e per le espressioni scurrili cui ricorreva. Ogni gesto di Bergoglio era pensato per suscitare imbarazzo e scandalo, per infrangere il protocollo, per creare un precedente a nuove e più gravi violazioni del cerimoniale.

 

Il suo parlare in modo apparentemente spontaneo gli serviva per togliere formalità – e quindi autorevolezza – alle dichiarazioni del papa e attribuirle a se stesso, in modo che non fosse il papa a parlare, ma lui. Allo stesso tempo, le enormità e gli spropositi che gli abbiamo sentito pronunciare – non ultimi gli attacchi nemmeno dissimulati al Presidente Trump – avevano sempre la «scusante» di non essere parte ufficiale dei documenti papali, così da far passare il messaggio senza doversene poi assumere pienamente la responsabilità.

 

Un parlare doppio che ripugna al cattolico e che dimostra ancora una volta che Bergoglio stesso considerava il proprio «papato» come una proprietà che egli si riteneva autorizzato a usare contro il papato cattolico.

 

Bergoglio ci è stato imposto come papa dell’élite, come capo dell’anti-chiesa globalista, e come tale egli ha sempre preteso obbedienza e sottomissione. È stato il predicatore dell’indifferentismo religioso, del relativismo morale, delle rivendicazioni pauperiste della «chiesa amazzonica», della lobby LGBTQ.

 

Quando Bergoglio apriva bocca, parlava il ventriloquo di Davos. Le sue condanne non sono condanne cattoliche, così come i suoi endorsement a dittatori, criminali, abortisti e pervertiti di ogni genere non rappresentano un’approvazione cattolica. Essere oggetto delle invettive di Bergoglio è dunque un motivo di vanto, e i cattolici americani lo hanno capito benissimo, votando per Trump nonostante la propaganda dei gesuiti, della USCCB [Conferenza Episcopale USA, ndr] e delle ONG sedicenti cattoliche.

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Qual è il modo migliore per gestire l’attuale crisi nella Chiesa cattolica creata dal tumultuoso regime di dodici anni di Jorge Bergoglio? Dato l’imminente Conclave, quali azioni dovrebbero intraprendere i Cardinali elettori per evitare di ripetere il regime di Bergoglio? Ha motivo di credere che una Mafia di San Gallo 2.0 manipolerà il Conclave per eleggere un candidato che continui la distruzione radicale sinodale della Chiesa cattolica?

Ciò che Bergoglio e i suoi complici sono riusciti a fare in questi dodici anni costituisce un disastro di proporzioni immani, anche se la distruzione dell’edificio cattolico è iniziata ben prima. Bergoglio ha portato alle estreme conseguenze i principi del Vaticano II: la sua «sinodalità» è la versione aggiornata della «collegialità episcopale» di Lumen Gentium. Per questo Bergoglio si è sempre orgogliosamente considerato un fedele esecutore del Concilio, dal momento che anch’esso – come Bergoglio – è riuscito ad imporsi «per via pastorale», ossia proprio nel momento in cui si dichiarava non dogmaticamente vincolante per i fedeli cattolici.

 

Il maggior danno che egli ha fatto è stato sotto il profilo delle nomine: tutta la Curia Romana e le Conferenze Episcopali sono infestate da suoi cortigiani, protetti dalla cricca di McCarrick e dai Gesuiti. Questa lobby eversiva ha gettato la maschera, e ciò ha aperto gli occhi a molte persone che non sono più disposte a ratificare le decisioni di un’autorità che non risponde né a Dio né al corpo ecclesiale.

 

Per risolvere la crisi presente occorre anzitutto indagare sulle interferenze nel Conclave del 2013, per appurare se l’elezione di Bergoglio è stata manipolata dal deep state americano e dalla Mafia di San Gallo. Se ciò fosse vero, Bergoglio non sarebbe mai stato papa e quindi gli attuali 136 Elettori scenderebbero a 28 (un numero superiore a quello indicato dal regolamento del Conclave), cioè solo quelli creati da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.

 

La ritrovata legittimità canonica del Conclave darebbe maggiore autorevolezza al papa eletto, sul quale non graverebbe più il dubbio circa la sua nomina. Finché le ombre che pesano sulla legittimità di Bergoglio non saranno dissipate, il Conclave vedrà pregiudicata la propria autorità.

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Secondo Lei, qual è la grande minaccia che gli Stati Uniti devono oggi affrontare?

La più grave minaccia che incombe sugli Stati Uniti d’America è di non fare tesoro di quanto accaduto sinora. Che i cittadini non si rendano conto del pericolo che hanno scampato eleggendo Donald Trump e non Kamala Harris. Che il governo si lasci intimidire dalle lobby internazionali e ammorbidisca le riforme che invece sono indifferibili, ad iniziare dallo strapotere delle multinazionali soprattutto nei riguardi dei cittadini.

 

Non basta combattere le manifestazioni più folli dell’ideologia woke: occorre ricostruire, e ricostruire iniziando dalla famiglia, dalla morale, dalla Religione, dalla cultura. Occorre far ripartire un modello sociale a misura d’uomo, conforme al progetto di Dio e alla legge evangelica. E bisogna insegnare ai nostri figli a combattere e a morire per i diritti di Dio, prima che per i presunti diritti dell’uomo.

 

Dobbiamo imparare che è folle per l’uomo farsi dio, quando Dio si è fatto uomo e si è offerto per noi. Solo una Nazione che si riconosce under God può sperare di prosperare, perché tutto ciò che le serve viene da Dio e il Signore benedice sempre coloro che Lo temono e Lo servono.

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Renovatio 21 offre questo testo di monsignor Viganò per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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La società del ricatto, della censura e della schedatura di massa. Renovatio 21 intervista Marcello Foa

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Renovatio 21 ha incontrato in margine ad una conferenza ad Assisi Marcello Foa, giornalista che ha mosso i primi passi della sua carriera professionale ne Il Giornale diretto da Indro Montanelli. Foa è una figura che da anni opera nel mainstream massmediatico, già presidente della Rai Dal 26 settembre 2018 al 16 luglio 2021, quando fu nominato dall’allora governo gialloverde, per concludere il suo mandato con il governo tecnico di Mario Draghi.   Dottor Foa, partirei dal presente. La trasmissione in onda su Rai Radio Uno Giù la maschera, che la vedeva nella veste di conduttore insieme ad altri suoi colleghi, ha subìto uno stop improvviso. Questa chiusura l’ha colta di sorpresa o in un certo qual modo se lo aspettava? È molto semplice. C’è stato un cambio alla direzione di Rai Radio Uno, il nuovo direttore è entrato in funzione e in Rai, essendo stato presidente, so cosa significa. Bisogna affrontare l’assalto dei partiti, ed è sempre così quando ci sono delle nomine. Davo quasi per certa una riconferma della mia trasmissione, perché aveva molta visibilità, avevamo molto equilibrio nell’approcciare gli argomenti e con me c’erano giornalisti e intellettuali di diverso orientamento politico che garantivano un pluralismo: Peter Gomez, Alessandra Ghisleri, Giorgio Gandola e all’inizio anche Luca Ricolfi.   Il nuovo direttore Nicola Rao, che conosco da tempo, mi telefona e mi dice: «Ti chiamo tra quindici giorni e poi facciamo il punto della situazione». Sparito [ride]! Nel frattempo ho capito che tirava una brutta aria e ho cercato di capire e sensibilizzare la questione, ma ho incontrato un muro di gomma. Nessuna interlocuzione costruttiva, nessun tipo di spiegazione. Finché arrivo a fine agosto quando iniziano ad arrivare segnali molto netti che non ero in palinsesto. Un po’, a quel punto, lo avevo intuito. Mi aspettavo però che perlomeno avessero la cortesia di giustificare la decisione. A quel punto ho deciso di uscire pubblicamente, rompendo gli schemi dell’establishment romano, perché di solito uno non esce così, ma ho ritenuto giusto farlo.    Il «protocollo Rai» non prevede questo tipo di comunicazione? No, ma diciamo così: può entrare nella logica dello scambio o del ricatto [ride], parafrasando il mio ultimo libro… ma io questa logica la rifiuto e sono uscito con un video nei miei social dove non mi sono messo a inveire, ma ho usato toni pacati, ma molto oggettivo perché ho descritto quello che accadeva. Il messaggio che viene mandato all’opinione pubblica è sbagliato per il centrodestra. Vengono premiate le voci di partito, mentre le voci libere, che interpretano altre sensibilità e che di certo non erano strumentalizzabili né dall’opposizione, né dal governo, anziché essere valorizzate a testimonianza del buon servizio pubblico, vengono punite.   Purtroppo questa è la morale di questa storia e mi auguro che qualcuno faccia delle opportune riflessioni, anche se non so se accadrà [ride]. 

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Questa decisione di chiudere il suo programma appare quantomeno strana per un governo di centro destra dove è presente una forza politica come la Lega che all’epoca di quel governo giallo verde, da tutti etichettato come sovranista e di certo apparentemente voltato verso destra, la portò a essere nominato Presidente della Rai. Le spiego come andò. Fu molto semplice. A quel tempo io lavoravo in Svizzera, avevo un mio blog su Ilgiornale.it, continuavo a svolgere il mio ruolo di opinionista ed ero stimatissimo sia da Gianroberto Casaleggio del Movimento Cinque Stelle, sia da Matteo Salvini. A un certo punto erano in un empasse per trovare un nome per il nuovo presidente. A quell’epoca il M5S e Lega — sembra un tempo lontanissimo – erano entrambi intenzionati e desiderosi di dare una ventata di vero cambiamento. In questa misteriosa alchimia individuano in me la persona giusta per dare un segnale forte di cambiamento, benché il ruolo di presidente non sia quello di amministratore delegato.   La Rai la gestisce l’amministratore delegato. Il presidente ha un ruolo di rappresentanza molto forte, ma ha pochi poteri reali. Fatto sta che mi chiamarono, non perché ero l’espressione di una logica di partito, ma perché rappresentavo un intellettuale che era fuori dall’establishment. Oggi tutto si ricollega e sembra un ritorno alle origini [ride].   Quando lei venne nominato presidente, qualcuno lamenta che poco dopo il suo insediamento il suo nome sparì dalle cronache. Questo lo spiegai alla fine. Il mio nome scomparve per una ragione che all’epoca io stesso non avendo avuto nessuna esperienza istituzionale, avevo sottovalutato. Retrospettivamente avrei dovuto spiegarla subito, cosa che poi ho fatto a fine mandato: quando tu sei presidente della Rai, parli sempre a nome della Rai, qualunque cosa tu dica. Ricoprire quel ruolo, per me sono stati tre anni di sofferenza e mi rendevo conto che qualsiasi cosa dicessi – a parte che veniva strumentalizzata in maniera incredibile – veniva interpretata che era la Rai a parlare e non Marcello Foa. Ruolo delicatissimo. Periodo complesso perché sono partito con il governo gialloverde, poi Salvini rompe e diventa un governo giallorosso e quindi Conte diventa un presidente di opposizione, tra virgolette   Con i Cinquestelle devo dire che ho avuto sempre rapporti discreti, il PD mi vedeva come fumo negli occhi. Poi alla fine del mio mandato c’è stato addirittura il governo di Mario Draghi. In tutto questo c’è stata anche la crisi del COVID.   È stato difficile? Difficilissimo. Ho cercato di trincerarmi dietro al mio ruolo istituzionale. Vedendo da quella prospettiva il mondo politico, la mia fiducia nei confronti della politica si era molto raffreddata. Ero proprio stufo di farmi strumentalizzare per qualsiasi cosa dicessi o facessi. Finisco i tre anni e non mi dimetto come certe forze politiche avrebbero voluto che io facessi. Mi hanno fatto delle pressioni inimmaginabili. Alla fine ho spiegato il tutto, molti hanno capito, mentre alcuni ancora mi scrivono rimproverandomi che io non sono stato in grado di cambiare la Rai, ma di fatto non ne avevo il potere. Quello che è accaduto adesso dimostra che c’era una coerenza nel mio discorso.    All’epoca del governo gialloverde i grillini si sono presentati come una forza antisistema, ma in un batter di ciglia sono diventati una forza funzionale al sistema. C’è stata una metamorfosi, ma non mi riguarda. Dovrebbe chiederlo a Conte e a i suoi.    Nel suo libro Gli stregoni della notizia atto II spiega bene il ruolo della comunicazione politica e dello spin doctor. Mi sovviene il caso di Rocco Casalino con Conte durante il COVID, che dirigeva le domande dei giornalisti per il presidente. Se dovesse scrivere l’atto III, come la descriverebbe nel suo libro? Casalino ha avuto un ruolo molto importante e molto deciso e ha dimostrato quello che ho spiegato nel libro, ovvero che gli spin doctor hanno un ruolo decisivo nel rapporto con la stampa e anche nell’orientarla. Lui, pur non essendo un giornalista, da quel punto di vista ha fatto il suo dovere [ride]. Poi possiamo discuterne se oggi sia giusto comunicare in quel modo o no. Io dico di no, nel senso che, sempre se sia possibile ristabilire un senso di fiducia tra la politica e l’opinione pubblica, questo rapporto va ricostruito su basi di autenticità e non di orientamento.   Mi permetta un’osservazione: finché Conte era l’espressione del governo gialloverde era il nemico della stampa. Facevano le pulci al suo curriculum, sulla sua vita privata, eccetera. Quando è diventato presidente del governo giallorosso, quindi di una forza di establishment, graditissima al Quirinale tra le altre cose, ecco che di Conte, almeno nella grande stampa, non si è letto più un articolo critico.   A riprova del fatto che la stampa non è oggettiva, cioè la stampa è diventata sempre di più, a parte qualche lodevole eccezione, uno strumento di lotta politica o comunque di accompagnamento di una narrazione ufficiale.   In era pandemica la comunicazione e l’informazione, hanno prese delle «strettoie» impensabili fino a poco tempo prima. È stato un momento molto particolare. È stato un momento terribile. Peraltro come sta emergendo adesso, le decisioni che furono prese – lo vediamo dalla desecretazione delle riunioni del CTS [Comitato Tecnico Scientifico, ndr] – i medici e gli scienziati sono stati del tutto superati dalla politica. Si sono uniformati a decisioni politiche prese da Speranza [ex ministro della salute, ndr] che non ha alcuna competenza medica. Gravissimo. La stessa cosa è accaduta negli Stati Uniti o peggio, perché sappiamo che tra l’amministrazione Biden e Fauci c’è stata una vera e propria operazione di manipolazione dell’opinione pubblica.   Oltre a questo c’è stata una violazione sostanziale dei nostri diritti costituzionali. È stata una pagina molto, molto buia. Come già spiegavo nei miei saggi precedenti, oggi si tende a non aprire una vera riflessione, a parte qualche giornale. C’è un meccanismo psicologico ben noto anche agli spin doctor per cui quando tu commetti un grave errore e sei indotto a commetterlo dalla pressione delle istituzioni, è molto difficile che a livello collettivo ci sia una presa di coscienza e una rabbia che si instaura, perché uno tendenzialmente non vuole ammettere che sia stato ingannato in maniera così evidente.   Per cui la tendenza è quella di dire: «Si, ma va beh, ma c’era l’emergenza…». Con il passare degli anni la verità verrà fuori, ma quando verrà fuori tra dieci o quindici anni, non avrà più la stessa spinta emotiva. Poi scommetto che ci saranno i giornalisti ai convegni che diranno: «è vero che durante il covid noi siamo stati troppo asserviti… Ma questo non accadrà più!». Possiamo essere certi che al prossimo giro capiterà di nuovo. 

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Troppo spesso osserviamo il «ring» dei talk show più seguiti che legittima di fatto gli ospiti a esperti del tal argomento di attualità, lasciando però fuori le centinaia di altri esperti che non la pensano come loro e che potrebbero alimentare un sano dibattito. Inoltre sono sempre gli stessi personaggi che passano da un salotto televisivo ad un altro a pontificare. È un problema per la pluralità di informazione.  È un classico. Il talk show equilibrato è un’altra cosa e l’ho dimostrato con Giù la maschera. Il talk show televisivo ha preso un’altra piega ed è quella che il moderatore è un finto equidistante, mentre in realtà ha la sua agenda, le sue convinzioni che lascia trapelare, perché il programma è impostato per avere un certo tipo di approccio ideologico e dunque attirare un certo tipo di pubblico, che lo segue in quanto sanno di trovare ciò che vogliono e desiderano.   Tendenzialmente la stampa è di sinistra e la maggior parte dei talk show sono di sinistra. Lo schema è quello classico: tu hai bisogno di qualcuno che faccia da contraltare per avere un dibattito, però non c’è equità nella ripartizione dei ruoli. Di solito hai quattro da una parte e uno dall’altra. Quattro contro uno di solito è difficile difendersi. Sono cose che le vediamo ogni giorno ed è anche una delle ragioni perché i talk show tendono un po’ a stufare il pubblico.    Sul lungo il pubblico, o una parte di esso, potrebbe anche intuire che vi è uno squilibrio nel dibattito e di conseguenza non seguire più quel programma.  Più che altro, secondo me, c’è una disaffezione molto forte tra il pubblico, i media e la politica, per cui questo approccio così strumentale, così prevedibile, interessa meno.    Lei ha anche scritto che i nuovi guardiani dell’informazione sono i social network. Abbiamo avuto la prova provata di ciò in epoca Covid quando hanno dettato una linea di pensiero unidirezionale. Le voci in dissonanza venivano bannate. C’è stato un cambiamento di paradigma – e la cosa è passato un po’ sottotraccia, perché non ho letto grandi analisi su questo – ma abbiamo assistito a una operazione vergognosa. Oggi, per certi versi, tutti criticano Trump per i suoi modi, però Biden, o meglio chi e per conto di, magari usurpando Biden, ha applicato una censura molto invasiva e non dichiarata sui social media, quindi doppiamente insidiosa. Oggi lo sappiamo e abbiamo visto che Zuckerberg è uscito pubblicamente ammettendo ciò, come Elon Musk quando ha acquisito X.   È gravissimo che in democrazia FBI, CIA, Dipartimento del governo americano andassero a convocare i responsabili dei vari social media dicendogli di cancellare certe opinioni, addirittura indicando le personalità da bannare direttamente o facendo lo shadow banning. Tutto questo è stato un vero e proprio attentato ai valori democratici e quelli che dovevano essere i valori imprescindibili della costituzione americana. Il fatto che su questo tema ci sia stato silenzio, a parte poche eccezioni, è gravissimo. Noi viviamo in un mondo virtuale in cui tutti parlano di democrazia, di valori liberaldemocratici e quant’altro, ma poi noi stessi, come occidente, li abbiamo violati questi valori.   Oggi i nostri dati più sensibili siamo noi stessi, che tramite le piattaforme social, li affidiamo a coloro che poi ci sorvegliano e ci controllano. Di fatto è il contrario di quello che effettuavano le agenzie di intelligence, come la Stasi ad esempio, nei decenni passati, che cercavano in ogni modo di entrare nella quotidianità dei cittadini per spiarli. Il famoso film Le vite degli altri è esplicativo. La massa pare sia inconsapevole di ciò. Esatto. Da una parte c’è l’ego, che solleticandolo metti la foto con quel tizio, nel posto tal dei tali, le foto della famiglia, dei viaggi e via dicendo. Ma l’altra cosa che pochi sanno che in realtà, nonostante Snowden abbia rivelato la vicenda della sorveglianza di massa elettronica una decina di anni fa, suscitò un gran clamore, ma non è che poi, forti di quell’esperienza, siamo stati più tutelati.   Oggi ci sono le cosiddette back door – ne parlo nel mio libro La società del ricatto – che sono delle porticine di servizio che vengono usate dai servizi di intelligence o chi per loro, per leggere i nostri dati. Le cito una frase dell’ex capo dei servizi segreti svizzeri contenuta in un libro: «Fate attenzione quando voi mandate una mail, quella mail passa – simbolicamente – per Londra e Washington dove viene copiata e archiviata prima che arrivi a destinazione». Di fatto noi siamo scrutinati, archiviati, profilati. Tornando al film Le vite degli altri, praticamente con questo ecosistema digitale, così tanto esaltato ed elogiato, in realtà si sta realizzando il sogno dei servizi di sicurezza di tutti i regimi, ovvero la schedatura di massa.   I social network sono anche divulgatori di notizie estremamente sintetiche, si parla per slogan cosicché la gente legge un titolo per conoscere quel tal avvenimento senza un minimo di lettura dei fatti, tantomeno di approfondimento. Recentemente negli Stati Uniti stiamo osservando che molti podcaster stanno raccogliendo numeri di pubblico molto consistenti. È come se una fetta di popolazione nutrisse una sana curiosità di conoscenza dei fatti più strutturata e approfondita. Questo cambiamento lo si intravede anche in Italia secondo lei? In Italia ci sono le potenzialità perché questo accada. In Italia c’è stata una frammentazione molto più marcata e ci sono siti che hanno avuto e stanno avendo buoni risultati, nonostante manchi il Tucker Carlson o il Joe Rogan della situazione. Io percepisco nettamente, e la mia esperienza me lo ha dimostrato, che c’è una parte importante del pubblico che non va più a votare, non compra più i giornali, guarda sempre meno la televisione e si interroga su ciò che sta accadendo in giro per il mondo e non ottiene più risposte concrete da parte dei media ufficiali. Per cui il fatto che emergano realtà autorevoli e credibili, che poi alcune scadono nel complottismo, che non significa che i complotti non esistano. Esistono e come, la storia è fatta di complotti, però non puoi vedere sempre tutto solo attraverso questo filtro sennò diventi maniacale. La necessità di un approccio davvero credibile, di gente che si interroga, è sempre più necessaria e secondo me sempre più ricercato.

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Ciò mi fa ben sperare per il futuro. Ma sì.   La società del ricatto è il titolo del suo ultimo libro, che mi pare sia un unicum su questo tema. Come le è venuta l’idea di scrivere di questa argomentazione?  Credo sia il primo saggio in assoluto che parla di questo problema. Mi sono reso conto, osservando la politica, osservando le relazioni internazionali, ma anche frequentemente parlando con amici, editori, manager, professionisti, osservando certe dinamiche della nostra società, che il ricorrere al ricatto è così diffuso che è diventato quasi un malcostume. Ho cominciato a riflettere su queste tematiche: «perché questo accade, c’è un filo comune?». La risposta è sì, c’è un filo comune. In questo libro si arriva fino alle relazioni personali e di come il ricatto emotivo è uno delle ragioni principali per cui le persone vanno in crisi e per cui così in tanti vanno dallo psicologo. Provo a lanciare un sasso nello stagno per dire: «attenzione, sotto questo fenomeno c’è una crisi valoriale molto forte e se vogliono, stiamo dando ragione a Machiavelli quando diceva il “fine giustifica i mezzi”».   Io invece trovo che alla fine non dobbiamo mai trascendere dai nostri fini che devono essere quelli valoriali più nobili, sapendo che ci sarà sempre un’imperfezione. Questo deve essere un anelito molto forte. La diffusione del ricatto come mezzo per raggiungere i propri scopi, in politica è devastante. In politica internazionale è stato obliquo e silenzioso per trent’anni e poi è diventato esplicito con Trump. Non può essere accettato passivamente.   Un ricatto politico importante fu quello all’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel 2011. Terrificante.    In quel periodo oltretutto Berlusconi si portava appresso una costruzione di odio contro la sua figura che nell’opinione pubblica ha giocato a favore di quel ricatto politico che subì. Silvio Berlusconi è stato il primo grande politico a subire ricatti sul piano personale. Prima di lui si cercava di screditare l’avversario più sui fatti e meno su ciò che era la vita privata. Abbiamo due situazioni diverse. Una è l’uso della privacy per fare lotta politica e questo è molto diffuso e sistematico. Molti personaggi della vecchia classe politica avevano delle amanti e si sapeva, ma nessuno le usava come elemento per screditare la propria moralità. Secondo me era meglio così. Berlusconi, dal punto di vista dell’immagine, è caduto sul «bunga bunga». Però quello che è successo nel 2011 è molto più grave, perché lì c’è stata una manovra di establishment condotta dall’Unione europea con una lettera, oramai famosa, firmata da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, il presidente della BCE uscente e quello entrante. Questo tanto per sottolineare quanto sia patriota il signor Mario Draghi.    Fu un fatto abbastanza grave. Molto grave, con la complicità di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Lì vennero esercitate delle pressioni molto forti, palesemente ricattatorie, il cui fine era quello di estromettere Berlusconi dalla politica. Cosa che poi è avvenuta. Fu costretto a cedere.   Lo spread fu il grimaldello che fece cadere il governo Berlusconi. Fu un’operazione vergognosa. Purtroppo oggi la politica si esercita molto attraverso questa forma di ricatto.   Sbaglio o una volta lei disse, sempre in quel frangente, che Berlusconi fu ricattato perché in una riunione di capi di Stato europei disse di volere far uscire l’Italia dall’Euro? Questa fu una testimonianza di due giornalisti francesi che scrissero un libro bellissimo anni fa, descrivendo che cosa accadeva davvero durante i consigli europei. E Berlusconi era l’unico che, col fatto che le decisioni erano già tutte prese, ogni delegazione poteva dire qualcosa per pochi minuti, e Berlusconi non ci stava a questa situazione. Vediamo che poi fu fatto fuori.

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Lei parla anche di una perdita di valori che di fatto poi va poi a incrementare questa società del ricatto. Viviamo in una società che esalta la liberà scelta di ognuno di noi, ma osservandoci macro dimensionalmente risultiamo tutti omologati in molti aspetti della vita e financo nell’informazione. Mi consenta, ma vedo anche una scristianizzazione sempre maggiore, mentre la cristianità, al contrario, dovrebbe essere una tradizione quantomeno da tenerla più in considerazione. Assolutamente sì! Noi siamo in una società sempre più edonistica in cui l’interesse personale è quello che prevale. Si perde il senso dell’interesse collettivo in cui si proietta l’immagine in cui si è felici se uno possiede solo beni materiali e se hai successo. Questo ha fatto sì che la coltivazione di valori religiosi, culturali e di tradizione venissero sempre più messi sotto il tacco e il risultato è quello di una società dove si percepisce una disperazione esistenziale molto marcata. E fondamentalmente tutto questo avviene e si materializza anche sotto la spinta di ricatti sociali. C’è sempre questo concetto che ritorna, anche solo nella gestione delle nostre vicende personali, economiche e nel mondo del lavoro. Qualsiasi cosa tu faccia, hai sempre paura di perdere qualcosa e di finire ai margini. Per cui quando questo diventa diffuso, il risultato è l’omologazione e la pavidità, pensare al tuo particolare e fregandotene della collettività.    Il ricatto lo abbiamo visto e vissuto in era pandemica, dove molta gente è stata costretta a delle scelte obbligate.  Se volevi conservare il posto di lavoro dovevi vaccinarti. Ciò è stato di una violenza morale incredibile.   Oggi sembra che questa cosa passi quasi in cavalleria, a parte qualche voce che tiene vivo questo dibattitto. La stampa non ne parla, la politica, a parte qualche medico meritevole, va avanti, sul resto cala il silenzio. Fortunatamente negli Stati Uniti ora c’è Kennedy che sta facendo un lavoro enorme facendo uscire informazioni importanti. Come vede però, qui da noi arriva un eco molto affievolito.    C’è una frase nel suo libro La società del ricatto, che le cito: «Solo una visione dall’alto permette di cogliere connessioni che da vicino, quando si è troppo immersi in un contesto, risulta impossibile notare». Credo sia un concetto che si riverbera anche nella cultura; più riusciamo a spaziare nelle nostre conoscenze, più avremo un quadro più ampio e uno spirito critico maggiore. Oggi nella società in cui viviamo c’è una scolarizzazione che determina se una persona è brava o meno, e dove si tende molto di più a specializzarsi. Forse, così facendo, mi pare manchi quella visione che possa portarci a un sano spirito critico. Molta gente rimane troppo spesso impassibile al ragionamento di fronte a importanti fatti di cronaca.  Da un lato viviamo l’era della specializzazione, il che si perde una visione dall’alto. Vedi la medicina per esempio: un bravo medico è quello che se tu hai un problema a un ginocchio, tanto per fare un esempio, può essere lo specchio di qualcosa di più profondo. I buoni medici son quelli che vedono queste connessioni. La nostra società è questa.   D’altro canto, riguardo appunto il COVID, quando usi, attraverso la propaganda, l’arma della paura, che è letteralmente un’arma, puoi ottenere qualsiasi cosa anche dalle persone più intelligenti. Li spaventi dicendogli che c’è un virus e che se non ti vaccini può portarti alla morte, alimentando il tutto con le immagini di persone che muoiono.   Lì non è questione di intelligenza o meno: se tu agiti la paura attivi dei meccanismi istintivi e primordiali nell’uomo, per cui anche persone che nella normalità sono brillanti e intelligenti, possono diventare le più appiattite e terrorizzate nel recepire la propaganda, senza rendersi conto, senza nemmeno chiedersi se quella propaganda, se quel che loro credono è frutto di una analisi corretta o se è frutto di una manipolazione. Da qui il ruolo d’importanza della stampa. La stampa dovrebbe essere quella che tira la campanella e dice «Attenzione!» mentre invece nel novanta percento dei casi accompagna la narrativa.    Come vede il giornalismo oggi e quali sono stati, secondo lei, i cambiamenti più significativi negli ultimi decenni? Il giornalismo si è appiattito sul potere, perché economicamente i giornali e i media hanno difficoltà a mantenersi, per cui se hai un grosso sponsor o un grosso editore, è lui che «suona la musica». Oppure, altra verità di cui non si parla abbastanza, se tu ricevi i fondi pubblici da un governo, dal USAID, tanto per citarne un cosiddetto ente di aiuto per lo sviluppo, o da mecenati che agiscono per conto terzi o ultramiliardari che usano fondazioni, tu suonerai quella musica.   Per cui oggi il giornalismo ufficiale ha questo dilemma: una redazione costa un sacco di soldi e se non hai uno che paga, è finita. È veramente un periodo difficile per la stampa. D’altro canto c’è sempre più bisogno di qualcuno che dica o cerchi la verità. Su questo sentimento si dimostra che nella nostra società c’è una parte importante che non si arrende e che si interroga, che cerca una rappresentanza non politica, ma proprio culturale ed editoriale. È un periodo in rapidissima evoluzione.    Lei insegna da anni all’università. C’è vera libertà d’insegnamento negli atenei italiani? In teoria sì, ma di fatto si verificano i meccanismi che descrivo ne La società del ricatto, cioè ti adegui alle logiche, agli interessi dominanti del tuo settore. Un professore che vuol far carriera, se il mondo accademico spinge verso certi valori più progressisti, il woke, la relativizzazione e la demonizzazione di certe idee, sarà spinto ad adeguarsi. In più, quel che trova conferma in quello che scrissi ne Il sistema (in)visibile, l’università negli Stati Uniti è finanziata in buona parte – in Europa è statale ed è meno marcato questo fatto – da finanziatori che mettono i soldi, per cui son persone che possono indicarti una cattedra, sponsorizzano programmi di ricerca e se uno dona cinquanta milioni di dollari, il rettore dell’università gli stende il tappeto rosso e naturalmente sarà molto sensibile ai suoi desiderata. Ecco perché le università sono diventate degli strumenti molto importanti di formazione di giovani élite e di lavaggio del cervello costante.   Negli Stati Uniti c’è stata una recente polemica che ha visto il presidente Trump scontrarsi con i principali atenei dello stato. Ha avuto ragione Trump. Sappiamo che il governo americano ha finanziato lautamente molte università. A me fa sorridere quando la gente elogia l’America come la terra delle opportunità, della libera imprenditoria e quant’altro. C’è uno stato che dietro le quinte sponsorizza e sostiene anche le università. E Trump a un certo punto ha detto: «Se voi fate dei programmi a cui io non credo, questo governo non vi sostiene più». 

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Prima di volgere alla conclusione dell’intervista, vorrei rivolgere un’altra domanda. C’è un tremendo conflitto in corso in Medioriente. Lei che idea si è fatto?  Io sono molto critico nei confronti di Israele.   Le chiedo scusa, non vorrei sbagliarmi, una parte della sua famiglia ha origini ebraiche, giusto? Foa è un cognome di tradizione ebraica, ma io sono cattolico. Tornando al conflitto e premesso che io non ho alcuna simpatia per Hamas, il cui cinismo in questi giorni è allucinante. Trattenendo gli ostaggi stanno esponendo scientemente il popolo palestinese a un massacro. Però chi sta facendo questo massacro sono gli israeliani. Di fatto Netanyahu sta applicando i piani della Grande Israele. Netanyahu è figlio di un estremista e fanatico sionista, il cui obiettivo era quello di creare una grande Israele che ha sempre negato il riconoscimento dei palestinesi come popolo. Per lui era una popolazione, è diverso.   Tutto questo sta avvenendo sotto i nostri occhi e il prezzo non lo paga tanto Hamas, ma le decine di migliaia di persone uccise, tra cui molti bambini e molte donne, persone che sono in coda per il cibo e vengono bombardate. Alcuni medici americani che sono andati laggiù all’inizio della crisi, hanno fatto le autopsie e visto i cadaveri dei bambini; molti di questi c’avevano dei proiettili in testa. Vuol dire che dei cecchini gli hanno sparato. Ad uno può anche capitare, magari colpito disgraziatamente da una granata e muore, ma se molti hanno dei proiettili in testa, vuol dire che c’è qualcuno gli ha sparato scientemente a questi bambini. Medici che vengono uccisi, ospedali bombardati, giornalisti uccisi.   Il fatto che Israele decide, da sempre, quanto cibo e quanta acqua deve entrare a Gaza, e lo decide in maniera atroce adesso. Tutto questo non è moralmente accettabile da parte di uno stato che alle sue fondamenta voleva anche essere una ragione di riscatto per gli orrori subiti durante l’olocausto. Ciò a cui noi stiamo assistendo è un orrore inaccettabile e non ho dubbi da questo punto di vista, ma è anche un tradimento di quelli che dovevano essere i valori dello stato ebraico. Come dicevo prima, Hamas è l’integralismo islamico peggiore e Israele è governata dalle forze più estreme del suo schieramento politico e quel che sta facendo, a mio giudizio, è inaccettabile.   A un certo punto ho notato che c’è stata, a distanza di molti mesi dall’inizio delle ostilità israelo-palestinesi, nei media mainstream un’attenzione maggiore per Gaza. Vediamo tanti sedicenti movimenti politici di sinistra o di ONG schierarsi, anche giustamente se vogliamo, per la Palestina. Come la spiega questa questione d’interesse improvviso? Glielo dico in maniera molto semplice. La sinistra era filopalestinese fino agli anni Novanta, poi è diventata filoisraeliana. Guardi anche come hanno fatto con la Segre erigendola a icona. Quando il 7 ottobre di due anni fa è iniziato tutto, la sinistra era pro-Israele e un po’ tutti lo eravamo, visto l’attacco che ha subito. Quando sono iniziati a uscire i report su quello che stava succedendo nella striscia di Gaza, la sinistra è rimasta silente. Fino a quando con una reazione della società civile, il popolo della sinistra ha visto cosa stava accadendo e ha iniziato a indignarsi.   Il cambiamento c’è stato quando i partiti di opposizione hanno capito che su questo terreno il governo Meloni poteva essere messo in difficoltà ed ecco che improvvisamente i vari Conte e Schlein hanno iniziato a schierarsi dalla parte dei palestinesi. È stato un atteggiamento strumentale perché dovevano capitalizzare le difficoltà del governo Meloni e non potevano staccarsi troppo da quello che è il sentimento della loro base. Han detto: «Tanto stiamo all’opposizione, chi se ne frega».   Io sono convinto che se loro fossero al governo si comporterebbero esattamente come il governo Meloni. Ci vedo una grande dose di ipocrisia   Dottor Foa, la ringrazio. Grazie a voi!   Francesco Rondolini

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Immagine di Medija centar Beograd via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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Mons. Viganò: l’élite sovversiva ha infiltrato gli Stati

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha partecipato all’appello per la liberazione di Reiner Fuellmich, avvocato tedesco molto attivo durante la catastrofe pandemica.

 

Sua Eccellenza ha riportato le parole del suo appello, visibile anche in video, in un post su X.

 

«Una pericolosa élite sovversiva è riuscita a infiltrarsi ai più alti livelli delle istituzioni e dei governi occidentali per attuare il piano criminale dell’Agenda 2030» scrive monsignore.

 

«In molti Stati autoproclamatisi “democratici”, le voci che denunciano questo colpo di Stato globale vengono messe a tacere attraverso la censura, l’intimidazione, la psichiatrizzazione e persino l’arresto».

 

«Tra le vittime del regime totalitario che si sta affermando silenziosamente in Europa, Canada, Australia e altre nazioni vassalle delle Nazioni Unite, della NATO, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del Forum Economico Mondiale (tutte entità private finanziate dagli stessi poteri) c’è l’avvocato Reiner Fuellmich, ingiustamente imprigionato e ancora in attesa di un giusto processo. Il suo crimine è aver osato dire la verità in un mondo di menzogne criminali» dichiara prelato.

 

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«Invito i Cattolici e tutte le persone di buona volontà ad alzare la voce in difesa dei perseguitati dal regime globalista. Non è l’avvocato Fuellmich che dovrebbe essere in prigione, ma coloro che hanno commesso il più grande crimine contro l’umanità: Anthony Fauci, Bill Gates, Klaus Schwab, George Soros, Ursula von der Leyen, Albert Bourla, e tutti i loro complici ed emissari, soprattutto quelli che ricoprono cariche istituzionali».

 

«Liberate Reiner Fuellmich!»

 

Reiner Fuellmich è un avvocato tedesco, nato nel 1958 a Brema, noto per la sua carriera come specialista in diritto dei consumatori e processuale, con esperienza sia in Germania che in California. Ha studiato legge all’Università di Gottinga e all’Università della California a Los Angeles, ottenendo un dottorato in diritto medico e farmaceutico.

 

Dal 1985 al 2001 ha lavorato come assistente di ricerca presso il centro di studi sul diritto medico e farmaceutico dell’Università di Gottinga, e ha insegnato in università tedesche ed estoni su temi come il diritto bancario e internazionale privato.

 

Nel luglio 2020, Fuellmich è diventato uno dei fondatori e portavoce del Comitato Investigativo Corona (Stiftung Corona Ausschuss), un’organizzazione non governativa con sede in Germania, insieme ad altri avvocati. Il comitato ha condotto audizioni con esperti per indagare su «crimini contro l’umanità» legati alla gestione della pandemia, sostenendo che si trattasse di uno «scandalo» orchestrato da governi, OMS e case farmaceutiche.

 

L’avvocato Fuellmich ha promosso l’idea di un processo stile Norimberga contro figure come Anthony Fauci, Bill Gates e Ursula von der Leyen, raccogliendo fondi e costruendo una rete di oltre 1.000 avvocati a livello internazionale. Fuellmich ha anche guidato un partito politico in Germania, stimato all’8% di consenso in alcuni sondaggi.

 

Nel settembre 2022, è stato accusato di aver sottratto fondi del comitato attraverso fatturazioni gonfiate per i suoi servizi legali.

 

Fuellmich ha respinto le accuse come «politicamente motivate» per sabotare il comitato. Un mandato di arresto è stato emesso nel marzo 2023 mentre era in Messico con la moglie; è stato estradato e arrestato all’arrivo a Francoforte il 15 maggio 2023.

 

Come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa Fuellmich aveva intervistato il cardiologo texano Peter McCullough, che aveva accennato a «infertilità e cancro come possibili conseguenze del vaccino». Nel 2021 l’avvocato ricevette dal gruppo Doctors for COVID Ethics una lettera di confutazione all’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) che metteva in guardia rispetto ai vaccini genici sperimentali.

 

Attualmente Fuellmich, 66 anni, è detenuto in custodia cautelare nel carcere di Rosdorf (Bassa Sassonia), in un penitenziario di massima sicurezza. Il processo per frode e appropriazione indebita è in corso, ma i suoi sostenitori lo descrivono come «prigionia politica» e «persecuzione» per le sue critiche alla gestione pandemica.

 

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Charlie Kirk, strategia della tensione e inferno sulla Terra

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Non abbiamo ancora visto nulla di quello che sta dietro l’assassinio di Charlie Kirk, né di quello che accadrà ora. Perché le radici di quanto successo sono profonde e oscure, mentre le ramificazioni rischiano di essere cruente ed indicibili.   Le ultime parlano di una possibile operazione sorta nell’ambito del mondo cosiddetto trantifa, attivisti transessuali armati e violenti, che operano online come offline: pochi mesi fa è emerso l’arresto sulla costa occidentale degli USA di un’intera setta di trans-terroristi dedita, a quanto riportato, all’omicidio seriale. Le informazioni all’epoca ci erano sembrate ancora confuse, ora non più; Renovatio 21 cercherà di raccontare nei prossimi giorni del caso, che rischia di diventare un ulteriore avvistamento di un pattern devastante, quello della violenza massiva trans, che ora potrebbe farsi organizzata, ed alzare il tiro.   Il cecchino era, come si dice, molto skillato (o… addestrato?) da colpire da 200 iarde la carotide del 31enne, ben conscio che diecine di smartphone avrebbero ripreso, e postato sui social, i fiotti di sangue. Non un particolare da poco: l’assassinio pare fatto proprio per l’era social, indipendentemente dagli algoritmi. Lo snuff movie della fine di Kirk ora è introvabile sui social, ma tutti noi lo abbiamo visto, perché è stato fatto circolare per il tempo giusto a traumatizzare l’utenza globale.

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Il colpo è stato, quindi, militarmente e mediaticamente, perfetto. Qualcuno dice: attenzione, a colpire il collo del ragazzo non sarebbe stato un tiro preciso, ma potrebbe essere stato un proiettile rimbalzato dal petto, perché Charlie, come si vede nelle foto, sotto la t-shirta indossava un giubbotto antiproiettile… qualcosa si aspettava, e da tempo. Il risultato, ad ogni modo, non cambia: sparare al petto è un atto da killer professionista, perché è un obbiettivo più largo della testa, e il torso è un insieme infinito di vasi e tubicini, per cui il dissanguamento interno od esterno è assicurato.   A colpire, tuttavia, sono state le reazioni all’assassinio più social del millennio: ci sono i media mainstream, che lo ricordano come putiniano, climate-change scettico e diffusore di fake-news durante il COVID (aggiungiamo: era sempre più tiepido sulla fornitura di armi e danari a Kiev…). Poi ci sono i leoni da tastiera sparsi per tutto l’Occidente, quelli che gioiscono, per un qualche motivo: tanti LGBT fanno festa in rete (notiamo che una bandiera omotransessualista sventolava poco sopra Kirk in un video della sua morte, il quale è spirato mentre rispondeva ad una domanda sugli stragisti trans), poi, come è già stato detto, ci sono i pro-pal pavloviani, che saltellano, anche in Italia, perché Kirk era filoisraeliano – anche se, a quanto pare, sempre meno…   Ci sono stati in rete commenti indicibili: gente che dice che si guarderà in loop il filmato dello «sporco sionista» che viene trafitto appena sotto la testa, di certo un video dell’orrore che non può non colpire l’anima, o lo stomaco, di chi lo consuma. Un ragazzo, ancora giovanissimo, sorridente, padre di due figli piccoli. Un giovane che stava, semplicemente, parlando.   Kirk era, come tutto l’apparato conservatore USA, filoisraeliano, sì. Qualcosa, tuttavia, stava cambiando. Max Blumenthal, il direttore del sito Grayzone che ha pubblicato la storia di Kirk che stava rivoltandosi contro Netanyahu e i suoi donatori sionisti, ha detto in un’intervista con il comico Tim Dillon che la cosa lo aveva stupito, perché essenzialmente Turning Point USA era un’operazione dei filoisraeliani per mantenere un qualche appiglio presso le giovani generazioni, che non ne vogliono sapere di sostenere Israele, semplicemente aggiungendo la causa della difesa dello Stato Ebraico a tutte quelle tipiche dei conservatori.   Su tutto il resto, di fatto, era schierato bene: con Donald sin dalla prima ora, contro la tirannide COVID, contro la balla climatica, contro la geremiade razziale USA e la sua trappola violenta, vista durante i moti cruenti di Black Lives Matter nel 2020, una vera rivoluzione colorata perpetrata contro gli USA: lo schema è quello che conosciamo, il Deep State prima testa i suoi schemi all’estero, e poi li ritorce contro la stessa popolazione americana   È proprio sull’assassinio Kirk come catalizzazione di una violenza più vasta che bisogna ragionare.   Gioire per la morte di qualcuno perché si dissente da lui è un atto di barbarie vera e propria – è approvare la violenza, gratuita, contro gli inermi, solo perché sono «diversi», cioè non la pensano come te..   È proprio vero: applaudire l’effusione del sangue del ragazzo conservatore non sta a molta distanza da quei soldati IDF che sghignazzano e piazzano su Telegram le loro torture ai palestinesi (il famigerato canale «72 vergini»), gli spari alla folla in cerca di cibo, etc. Anzi: il commentatore internettista non si assume nemmeno la responsabilità dell’azione, gode per interposto carnefice, parassita con voluttà un orrore di cui con probabilità non sarebbe neppure capace. Almeno al momento.   Lo schifo che proviamo deve cedere il posto alla riflessione sul momento del pericolo: stiamo diventando, davvero, quello che un manuale dell’ISIS chiamava «il territorio della crudeltà», il luogo di barbarie in cui, con ulteriore violenza, bisogna implementare una gestione. Quella che i jihadisti stragisti chiamavano, appunto, «gestione della barbarie».   È qui che capiamo come anche coloro che plaudono al sangue siano, involontariamente, pedine di un piano programmato per portare l’inferno sulla Terra: se è lecito uccidere che la pensa in altro modo (apoteosi finale della Cancel Culture, del wokismo realizzato) allora abbiamo davanti a noi una prospettiva di massacri continui, ubiqui.   Perché, a questo punto, chi ride plaude alla violenza sugli inermi, ritenendola politicamente giustificata, non esce di casa e spara su una manifestazione? Cosa lo trattiene? Perché non aggredire chi è diverso, anche solo per il pensiero, da noi?   Di fatto, la cosa sta già accadendo: le stragi dei trans degli ultimi mesi, con scuole e chiese attaccate, mostrano esattamente questa ferale, nichilista, ideologica, sete di sangue, certo condita da ormoni steroidei e psicofarmaci SSRI, e pure questo bisogno di sacrificare l’innocente, qualcosa che nella storia si ripete dagli agnelli sacrificali all’Agnello… la faccia da bravo ragazzo di Kirk, l’evidente mancanza di impulsi violenti in lui, lo rendono forse la vittima più innocente che nel settore poteva trovarsi per questo sacrificio.   E il sacrificio è stato consumato. Ma – attenzione – non per riportare l’ordine nella società, come sostiene la filosofia di Réné Girard, sempre più letto e citato, ultimamente, dai vertici politici ed economici americani. No, qui il sacrificio dell’innocente è stato fatto per evocare nella società il caos. L’oscenità dei commenti in rete è il segno più evidente.   La via è quella che porta non solo ad una guerra civile, ma ad una società di violenza continua, sempre più gratuita, sempre più accettata dalle fazioni di un mondo polarizzato in maniera irreversibile. Non più avversari politici o rivali ideologici, ma nemici da abbattere, anche e soprattutto quando non possono difendersi.   Qualcosa di simile, a dire il vero, lo abbiamo già vissuto anche in Italia: erano gli anni di Piombo, annunciati da violenze politiche belluine su grandi personaggi, poi amplificate in lotte di strada, e poi bombe sui treni, nelle banche, nelle stazioni, nelle piazze piene di gente innocente. A quel tempo, ricordiamo, se credevi che dietro questo gioco di sangue ci fosse una regia, non eri tacciato di complottismo ed espulso dal discorso pubblico. Era evidente che si trattava di una manovra oscura di poteri grandi, occulti, indicibili, che epperò costituivano lo Stato moderno, lo Stato democratico.   Déjà vu. Il gioco è ancora in piedi: ci sono due, forse tre, superpotenze atomiche, e la strategia della tensione non è uno schema che forse vogliono mettere in soffitto. Anzi, a quanto pare l’importazione negli USA delle tecniche di Gladio et similia, dopo che sono state testate negli anni altrove e soprattutto in Italia, è partita da parecchio tempo: l’anniversario dei trent’anni della bomba di Oklahoma City ha sospinto in superficie rivelazioni abissali, come quella riguardo al PATCON, un progetto dei federali americani di infiltrare l’estrema destra americana, e magari dirigerla verso atti precisi. (Renovatio 21 ne parlerà a breve, con un’intervista all’avvocato che più di tutti si è battuto per la verità su Oklahoma City, Jesse Trentadue, che ha visto il fratello arrestato, torturato e ucciso perché ritenuto erroneamente uno degli autori della strage).   La strategia della tensione è viva, e certo, a differenza dell’altra volta, ci sono forme di psicoguerra più potenti: i social. E quindi, c’è la possibilità di isterizzare l’intera popolazione, portarla, tramite traumi e propaganda, alla ferocia più infame e sanguinaria. È possibile, con le camere d’eco algoritmiche dei social, radicalizzare qualsiasi utente, desensibilizzarlo, de-umanizzarlo. È possibile trasformare il cittadino in qualcuno che applaude l’assassinio, e quindi, è forse possibile perfino dire che i social possono trasformare i loro utenti in assassini.

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Non sono più fazioni specifiche della società ad essere polarizzate nel radicalismo sanguinario: non più «gli studenti», «gli autonomi», «i militari», etc., ma l’intera popolazione inghiottita dalla piattaforme informatiche.   La società che può venire fuori da un simile programma dovrebbe terrorizzarci, e pure più degli orrori immani di Gaza, più del massacro dell’Ucraina, più della catastrofe del COVID.   Attenti a fare il gioco degli sterminatori – specie se poi a parole si pensa di combatterli senza capire di esserne in realtà programmati. L’impulso al genocidio, a quanto sembra, qualcuno sta riuscendo ad inocularlo a tutta la società moderna, che ha abbandonato l’unico antidoto alla perpetrazione del ciclo della violenza: Nostro Signore Gesù Cristo.   Togli Dio dalla Terra, e credi che essa non si trasformi in un inferno?   Roberto Dal Bosco

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  Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
 
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