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Creazione di ventuno cardinali in un’atmosfera pre-conclave

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Renovatio 21 pubblica una somma di due articoli previamente apparsi di FSSPX.news.

 

 

Il 29 maggio 2022 il Papa ha annunciato che avrebbe creato ventuno cardinali durante il concistoro che si terrà il 27 agosto. Sedici saranno elettori e cinque non votanti, perché hanno più di 80 anni.

 

 

Oltre a tre prelati che lavorano in Vaticano (un britannico, un sudcoreano, uno spagnolo), ci sono due europei (un francese, un italiano), due africani (un nigeriano, un ghanese), quattro americani (due brasiliani, uno statunitense, un paraguaiano) e cinque dall’Asia (due indiani, un singaporiano, un timorese orientale). Il Collegio cardinalizio continua quindi a internazionalizzarsi.

 

 

Cardinali secondo il cuore del Papa

Molti di questi futuri cardinali sono considerati dai vaticanisti come prelati «bergogliani». Ad esempio, il francese Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, 63 anni, in cui il Papa vede un difensore di un «mediterraneo felice» dove la migrazione è soprattutto un arricchimento.

 

Su questo punto, mons. Aveline è senza dubbio il più «bergoggliano» dei vescovi francesi. Nell’aprile 2021 aveva incontrato Francesco per quasi un’ora faccia a faccia, evocando una «teologia mediterranea», secondo la quale il dialogo e gli scambi tra i popoli delle sponde mediterranee dovrebbero consentire di dispiegare «una grande tenda della pace».

 

Secondo l’agenzia svizzera cath.ch del 29 maggio, «Papa Francesco e il futuro cardinale condividono una certa visione della missione della Chiesa cattolica nel Mediterraneo: tra dialogo pacifico con l’Islam, fraternità e solidarietà con l’altra riva. “Marsiglia è più di una città: è un messaggio! Un messaggio in cui l’angoscia si mescola alla speranza”, ha detto mons. Aveline al presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, durante una visita nella sua città nell’agosto 2021».

 

Un altro prelato caro a papa Francesco è il britannico Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 72 anni. Nel 2012 Benedetto XVI lo ha chiamato a Roma e lo ha nominato segretario della Congregazione per il Culto Divino. Divenne poi il «numero 2» del dicastero con il cardinale Antonio Cañizares Llovera fino al 2014, poi al fianco del suo successore, il cardinale Robert Sarah, nominato da papa Francesco il 23 novembre 2014.

 

Dopo essere lui stesso succeduto al cardinale guineano nel maggio 2021, i primi mesi di monsignor Roche alla guida del dicastero per la liturgia sono stati caratterizzati dalla pubblicazione del Motu proprio Traditionis custodes, che limita le possibilità di celebrare la messa tridentina. Ha mostrato un tale zelo nell’applicazione di questo Motu proprio da meritare certamente la berretta cardinalizia.

 

Anche lui è considerato un «bergogliano» di «stretta osservanza» (…).

 

Negli Stati Uniti, Robert Walter McElroy, vescovo di San Diego, California, 68 anni, è – a differenza di alcuni suoi colleghi – contrario al principio di vietare la comunione ai leader politici favorevoli alla legalizzazione dell’aborto. È noto anche per essersi opposto a Donald Trump, di cui ha definito il progetto per un muro anti-migranti al confine messicano come «grottesco e inefficace».

 

La sua creazione a cardinale sembra essere un modo per controbilanciare l’influenza di due prelati conservatori californiani: l’arcivescovo di San Francisco, mons. Salvatore Cordileone, e l’arcivescovo di Los Angeles, mons. José Gomez, che attualmente ricopre la presidenza della Conferenza episcopale americana.

 

Per il Brasile, è Leonardo Ulrich Steiner, 71 anni, arcivescovo di Manaus, la città più popolosa dell’Amazzonia, importante punto di contatto con la grande foresta. Nell’aprile 2022 è stato nominato presidente della Commissione episcopale speciale per l’Amazzonia, succedendo al cardinale progressista Claudio Hummes.

 

Il suo ingresso nel Sacro Collegio è la continuazione del sinodo sull’Amazzonia svoltosi nel 2019 in Vaticano, al fine di garantire a questa regione visibilità nei futuri dibattiti ecclesiali, con l’idea di «amazzonizzare» la Chiesa attraverso l’ordinazione di uomini sposati e la scoperta del rito pagano di Pachamama, la dea della Madre Terra, che è stata celebrata a Roma il 4 ottobre 2019, durante il sinodo sull’Amazzonia.

 

 

E se si dovesse tenere un conclave prima del concistoro…

L’annuncio del 29 maggio del concistoro che si terrà tre mesi dopo, il 27 agosto, ha fatto interrogare diversi osservatori romani su quali sarebbero i diritti di questi futuri cardinali se si tenesse un conclave prima del concistoro. In pratica, potranno eleggere il prossimo papa o no? Questa domanda mostra il clima pre-conclave che il preoccupante stato di salute del Papa crea a Roma.

 

Interrogato dall’agenzia i.media il 31 maggio, mons. Patrick Valdrini, professore emerito di diritto canonico all’Università Lateranense, risponde: «In caso di morte o di dimissioni di papa Francesco prima del 27 agosto, l’annuncio di questo concistoro, la cui convocazione è strettamente legata al pontefice regnante, sarebbe nullo. Solo i cardinali elettori già costituiti, attualmente in numero di 117, sarebbero quindi convocati in conclave. Lo status di cardinale è legato allo svolgimento del concistoro e non al semplice annuncio della sua convocazione».

 

E aggiunge che l’annuncio di un concistoro impegna solo il papa regnante. Se l’attuale pontificato dovesse interrompersi, essendo la scelta dei futuri cardinali legata a una decisione personale di papa Francesco, «il suo successore potrebbe non crearli», stima mons. Valdrini. Essendo tuttavia consuetudine di dare pegni di continuità, almeno all’inizio del pontificato, il nuovo papa potrebbe però convocare un altro concistoro con la stessa lista, o integrandola.

 

 

Cardinalis, una rivista per i cardinali in vista del conclave

Da qualche mese circola tra i cardinali una nuova rivista creata appositamente per loro, con lo scopo dichiarato di aiutarli «a conoscersi per prendere le decisioni giuste nei momenti importanti della vita della Chiesa». In altre parole: in previsione del futuro conclave, come scrive Sandro Magister sul suo blog Settimo Cielo del 12 maggio 2022.

 

La rivista Cardinalis viene inviata a tutti i membri del Sacro Collegio e può essere letta in quattro lingue, in formato cartaceo o online. È pubblicata a Versailles, in Francia. La scrittura è assicurata da «una équipe di vaticanisti di tutti i Paesi e di diverse tendenze». Il primo numero è uscito a novembre 2021, il secondo ad aprile, con in copertina il cardinale Camillo Ruini che aveva rilasciato un’intervista alla giornalista americana Diane Montagna.

 

L’alto prelato italiano, citato da Sandro Magister, sottolinea che «non deve cadere in ombra la verità di Gesù Cristo unico salvatore di tutti, affermata dal Nuovo Testamento e riaffermata dalla dichiarazione “Dominus Iesus” del 2000, un “documento fondamentale” contro il relativismo presente anche nella Chiesa».

 

Il vaticanista romano commenta: «Ruini non lo dice, ma che questa verità capitale debba tornare al centro dell’attenzione dei cardinali chiamati ad eleggere il prossimo papa è sottolineato con forza alcune pagine più avanti in questo stesso numero di Cardinalis, in un testo dal titolo inequivocabile di “Memorandum per un futuro conclave”».

 

«Firmato dal professor Pietro De Marco ma frutto di un “think tank” più allargato, il “Memorandum” mette in guardia dal parificare la rivelazione cristiana ad altre religioni e dallo spogliare la morte in croce di Gesù da ogni valenza redentrice, riducendola a un messaggio etico di trasformazione dei cuori e della società».

 

Il vaticanista italiano aggiunge: «L’affermazione del carattere unico e universale della mediazione salvifica di Cristo è, invece, parte centrale della buona novella che la Chiesa proclama ininterrottamente fin dall’epoca apostolica. “Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (Atti 4, 11-12)”».

 

«Se si offusca questa verità primordiale “ci si avvia, come purtroppo avviene, alla dissoluzione del soggetto cristiano”. E dunque anche in un conclave – avverte il “Memorandum” – dovrà tornare al centro della riflessione “la fedeltà al compito di Pietro di confermare i fratelli“ su questo caposaldo del Credo cristiano. Senza più quei cedimenti prodotti da certe letture ireniche e banalizzanti di un’enciclica come la “Fratelli tutti” di papa Francesco.».

 

Si noti che questo memorandum è il secondo indirizzato ai cardinali in vista del conclave. Il primo è stato pubblicato il 15 marzo da Sandro Magister che lo ha presentato in questi termini: «Dall’inizio della Quaresima, i cardinali che eleggeranno il prossimo papa si sono trasmessi questo memorandum. Il suo autore, che usa lo pseudonimo di Demos – il popolo in greco – è sconosciuto, ma mostra grande padronanza della sua materia. Non è escluso che sia lui stesso un cardinale».

 

– Questo documento, di cui DICI n°419, aprile 2022, ha dato gli estratti più significativi, è stato presentato sotto forma di dittico: «Il Vaticano oggi» e «Il prossimo conclave».

 

Sempre in Cardinalis n° 2 si può leggere un interessante articolo del cardinale Walter Brandmüller, eloquentemente intitolato Prolegomena sulle interviste [dei cardinali] prima dei conclavi. L’ex presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche dichiara che si tratta «del rapporto reciproco tra il Papa e la Chiesa», precisando che il Papa è un membro della Chiesa che ha le funzioni di Servus servorum, Servo dei servi.

 

Quindi «il Papa non deve, o non può, regnare come monarca assoluto», poiché non è al di sopra della legge canonica. «La sua azione incontra un limite quando si tratta del nucleo fondamentale della dottrina e della costituzione della Chiesa», insiste il prelato tedesco, aggiungendo senza mezzi termini:

 

«Insomma, il Papa può commettere un reato quando non rispetta la legge», anche se è impossibile citarlo in giudizio, secondo l’adagio del IV secolo: prima sedes a nemine judicatur, la sede apostolica non può essere giudicata. Ciò ha un’implicazione significativa: «un dovere di obbedienza graduata da parte dei membri della Chiesa».

 

E insiste: «L’aumento del numero delle dimissioni di vescovi per ordine del Muftì nel recente passato va analizzato da questa prospettiva», quella del mistero della Chiesa e dei limiti del potere pontificio. L’articolo conclude con fermezza: «Spetterà al conclave eleggere un papa consapevole del suo mandato apostolico, compresi i suoi limiti».

 

 

Continuità o discontinuità rispetto al Concilio

Nella sua intervista a Diane Montagna, già citata, il cardinale Ruini afferma: «l’ermeneutica della continuità o meglio del rinnovamento nella continuità, proposta da Benedetto XVI, esprime nel migliore dei modi questi bisogni che tante persone come me hanno sentito», mostrando così le carenze di un’analisi che denuncia gli effetti della crisi, senza arrischiarsi a risalire alle loro cause conciliari.

 

Per questo è utile mettere in prospettiva le dichiarazioni dei conservatori «ratzingeriani», confrontandole con affermazioni precedenti, che sono più forti perché più lucide.

 

Il 1° luglio 2020 lo studioso Roberto de Mattei ha pubblicato sul sito Corrispondenza romana uno studio in cui mostrava l’inadeguatezza di una critica conservatrice basata sull’ermeneutica della continuità: «Pur convinti degli errori di papa Francesco, questi conservatori non hanno voluto seguire la strada aperta dalla Correctio filialis consegnata a papa Francesco l’11 agosto 2016».

 

«La vera ragione della loro riluttanza sta probabilmente nel fatto che la Correctio mette in rilievo come la radice delle deviazioni bergogliane risale ai pontificati di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II e, prima ancora, al Concilio Vaticano II […] Occorre convincersi che l’ermeneutica della continuità è fallita, perché attraversiamo una crisi in cui ci si deve misurare sui fatti, e non sulle loro interpretazioni».

 

«L’inaccettabilità di questo approccio – osserva giustamente Peter Kwasniewski [dal sito americano OnePeterFive, 29 giugno 2020. NdR] – è dimostrata, tra l’altro, dal successo infinitesimale che i conservatori hanno avuto nel rovesciare le “riforme” disastrose, le tendenze, le abitudini e le istituzioni stabilite sulla scia e nel nome dell’ultimo Concilio, con l’approvazione o la tolleranza papale.».

 

E lo storico italiano giustamente aggiunge: «Papa Francesco non ha mai teorizzato l ‘ermeneutica della “discontinuità”, ma ha voluto realizzare il Vaticano II nella prassi e l’unica risposta vincente a questa prassi sta nella realtà concreta dei fatti teologici, liturgici, canonici e morali, e non in uno sterile dibattito ermeneutico. Sotto questo aspetto, il vero problema non sarà la continuità o la discontinuità del prossimo Pontefice con Papa Francesco, ma il suo rapporto con il nodo storico del Concilio Vaticano II».

 

Per la cronaca, la Correctio filialis de hæresis propagatis citata da Roberto de Mattei è una lettera aperta del 16 luglio 2017, e indirizzata a papa Francesco il mese successivo da oltre 60 chierici e studiosi laici. Vi si affermava senza mezzi termini: «È stato dato scandalo alla Chiesa e al mondo, in materia di fede e di morale, mediante la pubblicazione di Amoris laetitia e mediante altri atti attraverso i quali Vostra Santità ha reso sufficientemente chiari la portata e il fine di questo documento.»

 

«Di conseguenza, si sono diffusi eresie e altri errori nella Chiesa; mentre alcuni vescovi e cardinali hanno continuato a difendere le verità divinamente rivelate circa il matrimonio, la legge morale e la recezione dei sacramenti, altri hanno negato queste verità e da Vostra Santità non hanno ricevuto un rimprovero ma un favore».

 

«Per contro, quei cardinali che hanno presentato i dubia a Vostra Santità, affinché attraverso questo metodo radicato nel tempo la verità del vangelo potesse essere facilmente affermata, non hanno ricevuto una risposta ma il silenzio».

 

Indicava poi l’intenzione dei suoi autori: «Desideriamo ora mostrare come alcuni passaggi di Amoris laetitia, insieme ad atti, parole e omissioni di Vostra Santità, servono a propagare sette proposizione eretiche».

 

Infine, la Correctio filialis torna alle cause generali di questi grandi errori dottrinali: il modernismo e il protestantesimo: «Al fine di delucidare la nostra Correctio e di redigere una difesa contro la diffusione degli errori, desideriamo ora attirare l’attenzione su due fonti generali di errori che ci appaiono quale veicolo delle eresie che abbiamo elencato. Parliamo per primo di una falsa comprensione della Divina Rivelazione che generalmente riceve il nome di Modernismo e poi degli insegnamenti di Martin Lutero».

 

 

Neomodernismo e Neoprotestantismo

Il 26 settembre 2017, monsignor Bernard Fellay, allora superiore generale della Fraternità San Pio X, e firmatario della Correctio filialis, accostava questo documento alla dichiarazione di mons. Marcel Lefebvre del 21 novembre 1974: «Questo atteggiamento [degli autori della Correctio] è stato quello di mons. Lefebvre e della Fraternità San Pio X fin dall’inizio. Nella sua dichiarazione del 21 novembre 1974, il nostro fondatore disse»:

 

«Aderiamo con tutto il cuore, con tutta la nostra anima, alla Roma cattolica, custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie per mantenere questa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e verità. D’altra parte rifiutiamo e ci siamo sempre rifiutati di seguire la Roma di tendenze neomoderniste e neoprotestanti».

 

E monsignor Fellay ha aggiunto: «È proprio questo neomodernismo e questo neoprotestantesimo che giustamente denunciano gli autori della Correctio filialis come le cause dei cambiamenti operati da Amoris laetitia nella dottrina e nella morale del matrimonio. Con ogni fibra del nostro essere siamo attaccati a Roma, Mater et Magistra».

 

«Non saremmo più romani se rinunciassimo alla sua dottrina bimillenaria; al contrario, diventeremmo gli artefici della sua demolizione, con una morale di circostanza pericolosamente fondata su una dottrina debole. La nostra fedeltà alla Tradizione non è un ritiro nel passato, ma una garanzia di sostenibilità per il futuro. Solo a questa condizione possiamo servire utilmente la Chiesa».

 

Questi sono i principi che dovrebbero illuminare un futuro papa, veramente desideroso di servire la Chiesa, attaccando risolutamente la radice dei mali che la stanno consumando.

 

 

 

Somma di articoli previamente apparsi su FSSPX.news

 

 

 

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