Economia
Cancellazione delle importazioni di gas russo, 220 mila posti di lavoro in Baviera in bilico

Il ministro dell’economia del Land tedesco della Baviera Hubert Aiwanger ha espresso profonda preoccupazione per gli effetti negativi delle sanzioni russe sull’economia statale: il 30% di tutto l’acciaio utilizzato per le costruzioni proviene dalla Russia, ad esempio. Lo riporta EIRN.
Aiwanger ha quindi espresso un netto rifiuto agli appelli alla Germania affinché rinunci alle importazioni di gas russe e intensifichi così la pressione su Vladimir Putin.
«Il gas arriva ancora dalla Russia, e lo dico in modo abbastanza ufficiale ed enfatico: grazie a Dio il gas arriva ancora dalla Russia». (lo stesso, ricordiamo, succede anche per l’Italia: nonostante stiamo armando i nemici della Russia)
In caso contrario, i depositi sarebbero rimasti vuoti molto tempo fa, dice il bavarese.
A suo avviso, i privati cittadini che d’inverno rimarrebbero senza riscaldamento e l’economia ne risentirebbero. Perché in Baviera, secondo Aiwanger, circa 220.000 posti di lavoro «dipendono in modo relativamente diretto dalle importazioni di gas russe».
Se, tuttavia, la strategia del governo è quella di ridurre la dipendenza dal gas russo, il governo deve esaminare senza pregiudizio se abbia senso un uso temporaneamente maggiore del carbone.
Lo stesso vale, in termini di alimentazione, per prolungare la vita operativa della centrale nucleare Isar 2, ha affermato Aiwanger.
Secondo Aiwanger, sia l’agenzia di supervisione tecnica, l’operatore di Isar 2, PreussenElektra, sia il Ministero bavarese della protezione dei consumatori, che ha la supervisione del diritto nucleare, ritengono sia possibile prolungare la vita operativa dell’impianto di alcuni mesi.
Nello specifico, si parla di almeno un’estensione fino al prossimo inverno, fino a marzo 2023.
Come riportato da Renovatio 21, la Germania ha sfiorato un blackout del gas a inizio 2021.
Prima dell’inverno, il Paese aveva fatto pubblicità progresso che anticipavano interruzioni del riscaldamento.
La settimana scorsa l’assenza di elettricità ha parzialmente fermato treni della Deutsche Bahn, le ferrovie di Stato tedesche.
La rete petrolifera tedesca ha subito un pesante attacco cibernetico due mesi fa.
Il programma di rinnovabili tedesco, protagonista da quando il Paese ha pubblicamente rinunziato al nucleare, si è rivelato grottescamente inadeguato, con pale eoliche ferme causa mancanza di vento, e un lento ritorno all’inquinantissimo carbone.
Si tratta di un incredibile harakiri energetico in cui sono coinvolti tutti i Paesi NATO.
Economia
Le fabbriche italiane «intrappolate nella recessione»

Le fabbriche in Italia hanno registrato una flessione per sei mesi consecutivi, mentre la produzione continua a diminuire, segno di una profonda recessione industriale, ha riferito lunedì Bloomberg, citando un sondaggio di S&P Global.
L’indice basato sulle risposte dei responsabili degli acquisti (in inglese, purchasing manager index o PMI) si è attestato a 46,8 a settembre, rispetto a 45,4 ad agosto, ben al di sotto della soglia di 50, indicando una contrazione.
L’industria e il manifatturiero italiani, in particolare, sono stati in difficoltà negli ultimi mesi a causa della mancanza di nuovi ordini a causa dell’indebolimento della domanda globale. Non è chiaro quale sia l’incidenza delle sanzioni contro Mosca, che impediscono alle imprese italiane di vendere prodotti in Russia, fino a qualche anno fa fra i principali mercati per le aziende italiane.
«L’economia industriale italiana sembra essere intrappolata in una profonda recessione senza una chiara via d’uscita», ha affermato Tariq Kamal Chaudhry, economista della Hamburg Commercial Bank. «I nuovi ordini, sia nazionali che internazionali, si stanno riducendo, e anche le aspettative sulla produzione futura sono scese ben al di sotto della loro media a lungo termine».
Sebbene l’indagine PMI abbia indicato un certo aumento dell’occupazione nelle fabbriche, ha evidenziato principalmente una carenza di lavoratori qualificati, mentre il precedente rapporto di S&P affermava che le fabbriche italiane avevano iniziato a licenziare il personale a causa di una più profonda contrazione della produzione industriale.
Gli economisti prevedono che la recessione manifatturiera, iniziata in quella che sulla carta è la terza economia dell’Eurozona a metà dello scorso anno, continuerà.
Il settore manifatturiero rappresenta circa il 16% della produzione italiana, ma la sua debolezza continua a pesare sull’economia italiana, trascinandola in un’ulteriore contrazione.
Le ultime stime mostrano che l’economia del Paese si è contratta dello 0,4% – più dello 0,3% previsto – nel secondo trimestre dell’anno.
Sottolineando le preoccupazioni per l’indebolimento dell’economia, il governo italiano la scorsa settimana ha tagliato le sue previsioni di crescita per quest’anno allo 0,8% da una proiezione dell’1% fatta ad aprile, mentre l’obiettivo per il 2024 è stato tagliato all’1,2% dall’1,5%.
Come riportato da Renovatio 21, a settembre la stessa testata, Bloomberg, sulla scorta di dati dello stesso indice, aveva parlato di licenziamenti di massa in Italia.
Bloomberg il 1° agosto aveva pubblicato un articolo in cui parlava di una contrazione nel terzo quarto dell’anno causata dalla debolezza dell’industria, con il PIL crollato improvvisamente nel secondo quarto pure a seguito di un momento di crescita.
In un ulteriore articolo pubblicato a inizio luglio, Bloomberg scriveva che le fabbriche italiane avevano avuto il loro momento peggiore dai tempi della pandemia.
Come riportato da Renovatio 21, la disastrosa situazione è leggibile anche dai dati di consumo energetico: recenti calcoli permettono di dire che la quantità di energia elettrica consumata la scorsa settimana – la 33ª dell’annata 2023 – è inferiore a quella consumata nella 12 ª settimana del 2020, cioè dal 16 al 22 marzo 2020, in pieno lockdown, con fabbriche, ristoranti, scuole, uffici chiusi.
La quantità di #energia elettrica consumata la scorsa settimana (la n.33 dell'anno) è inferiore a quella consumata nella settimana n.12/2020: in pieno #lockdown (dal 16 al 22 Marzo 2020).
1/2 pic.twitter.com/IwxAL9r7jO
— Pagliaro Lab (@helionomics) August 21, 2023
«Nel 2020, la settimana n.33 vide il consumo di oltre 5 miliardi di kWh (5,06 miliardi). Significa che in Italia le aziende producono meno che durante il lockdown. Unica la causa: il crollo della domanda, interna ed estera» dice il professor Mario Pagliaro, chimico membro della Academia Europæa nonché docente di nuove tecnologie dell’energia al Polo Fotovoltaico della Sicilia.
È possibile pensare quindi che, nel mezzo della crisi energetica dovuta all’assenza del gas russo, l’Italia abbia evitato blackout estivi solo grazie allo stato di deindustrializzazione avanzata in cui si trova.
Economia
I prezzi del petrolio segnano un forte aumento nel terzo trimestre

I prezzi mondiali del petrolio hanno registrato un massiccio aumento trimestre su trimestre di quasi il 30% nel periodo luglio-settembre di quest’anno, poiché l’offerta è limitata a causa dei tagli alla produzione concordati dall’OPEC e dai suoi alleati, guidati dalla Russia.
Il greggio Brent con consegna a novembre è sceso di quasi lo 0,1%, a 95,31 dollari al barile venerdì, ma è aumentato del 2,2% nella settimana, del 9,7% nel mese e ha guadagnato il 27,3% nel trimestre.
Nel frattempo, il greggio WTI di novembre è sceso di un punto percentuale attestandosi a 90,79 dollari al barile, dopo aver segnato un guadagno settimanale dello 0,8%, un progresso mensile dell’8,6% e chiudendo il trimestre in rialzo del 28,5%.
Gli esperti prevedono che i tagli all’offerta annunciati dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio e dai suoi alleati, noti insieme come OPEC+, domineranno il mercato petrolifero globale per il resto dell’anno, mentre si prevede che i prezzi rimarranno elevati. Il comitato di monitoraggio ministeriale congiunto dell’alleanza è previsto per il 4 ottobre.
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All’inizio di questo mese, l’Arabia Saudita, uno dei pesi massimi produttori di petrolio e leader di fatto dell’OPEC, ha esteso il taglio volontario della produzione petrolifera di un milione di barili al giorno (bpd) fino alla fine dell’anno.
Nel frattempo, anche il suo alleato dell’OPEC+ e secondo produttore mondiale di greggio, la Russia, si è recentemente impegnato a estendere il taglio volontario delle esportazioni di petrolio di 300.000 barili giornalieri fino alla fine dell’anno.
La settimana scorsa, il governo russo ha introdotto un divieto temporaneo sulle vendite all’estero di diesel e benzina al fine di stabilizzare il mercato interno dei carburanti.
Motivo di ulteriore preoccupazione è la riduzione delle forniture a Cushing, Oklahoma, hub di consegna dei futures Nymex WTI, poiché le scorte sono diminuite di 943.000 barili nella quarta settimana di settembre a causa della forte domanda di raffinazione e di esportazione.
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Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa la banca d’affari Goldman Sachs ha previsto per il petrolio la domanda «più alta di tutti i tempi». Due mesi prima aveva previsto un imminente aumento del prezzo del greggio, con stime di superamento dei 100 dollari al barile entro l’anno.
Gli USA quest’anno ha quindi sostituito la Russia come principale fornitore di petrolio alla UE, che ha rinunciato anche alle importazioni del petrolio venezuelano.
Ciononostante, si prevede che la Russia supererà l’Arabia Saudita come il più grande produttore di petrolio OPEC +.
Il caos sul tetto al prezzo dell’oro nero piazzato da Bruxelles ha creato caos con petroliere occidentali bloccate sul Bosforo. Il paradosso grottesco dell’ora presente vuole che i Paesi occidentali stiano in qualche modo continuando ad acquistare petrolio e gas russi.
Grazie alle sanzioni occidentali, il petrolio sta divenendo anche la leva per la de-dollarizzazione globale, con vari Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, che hanno iniziato a commerciare in altre valute. Pakistan, India, Emirati Arabi hanno eseguito transazioniper il petrolio in yuan o perfino in rupie.
Come riportato da Renovatio 21, la Francia sei mesi fa ha comperato 65 mila tonnellate di gas liquefetto da Pechino pagando in yuan.
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Ambiente
Bruxelles impone la prima carbon tax doganale

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