Persecuzioni
Birmania, bombardati una chiesa e un convento di suore
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Questa mattina la giunta militare birmana ha colpito un edificio utilizzato come casa di riposo e ospedale dalle Suore della Riparazione. Due giorni fa attaccata anche una chiesa. Il Governo di unità nazionale chiede all’Occidente sanzioni più stringenti come nei confronti della Russia. Onu: oltre 500mila gli sfollati interni e almeno 100 le abitazioni incendiate.
Una chiesa cattolica e un convento di suore hanno subito gravi danni dopo essere stati bombardati. Non è successo in Ucraina, ma in Myanmar, dove da oltre un anno imperversa un conflitto civile.
L’8 marzo la giunta militare birmana, che il primo febbraio del 2021 ha rovesciato il governo civile guidato da Aung San Suu Kyi, ha colpito con un attacco aereo la chiesa di Nostra Signora di Fatima nel villaggio di Saun Du La, danneggiandone il soffitto e le finestre.
Questa mattina ha invece bombardato il convento delle Suore della Riparazione, utilizzato come casa di riposo e ospedale dalle consorelle più anziane nel villaggio di Doungankha. La chiesa vicino al convento era stata bombardata il 6 giugno 2021.
Entrambi gli edifici si trovano vicino alla città di Demoso, in una regione a maggioranza cristiana dove le milizie anti-golpe delle Forze di difesa del popolo stanno combattendo contro le truppe del Tatmadaw, l’esercito birmano.
Come in Ucraina, anche in questo caso l’attacco è stato condotto al preciso scopo di terrorizzare la popolazione civile: «In quella zona non c’era nessun conflitto armato in corso. È stato un attacco pianificato contro la chiesa e i civili innocenti», ha detto un sacerdote.
I militari birmani, sostenuti con armamenti dal presidente russo Vladimir Putin, utilizzano contro la popolazione anche gli stessi velivoli dispiegati in Ucraina: gli M-24 e i Sukhoi 30 di produzione russa.
E come per la guerra in Ucraina, le forze anti-golpe stanno chiedendo un divieto alla vendita di petrolio alla giunta militare birmana: «Senza carburante l’esercito non può usare l’aviazione», ha dichiarato Zin Mar Aung, ministra degli Esteri del Governo di unità nazionale formato da ex deputati della Lega nazionale per la democrazia (il partito di Aung San Suu Kyi) ora in esilio. «Se i loro jet non possono volare, non possono bombardare. È molto semplice».
Non è noto quante riserve di carburante abbia a disposizione la giunta militare birmana, scrive il Wall Street Journal. Negli ultimi anni il Myanmar ha sempre importato il 100% del proprio carburante dall’estero, ottenendolo da compagnie occidentali che lo vendevano a intermediari. Partiva da Singapore, India e Malaysia per arrivare a destinazione finale nei porti birmani.
Di recente il Consiglio dell’Unione europea ha inserito nell’elenco delle entità sanzionate alcune personalità del Tatmadaw e alcune imprese statali birmane, tra cui la Myanma Oil and Gas Enterprise (MOGE), la compagnia nazionale del gas e del petrolio.
Nella diocesi di Loikaw, nello Stato orientale del Kayah, la giunta militare ha colpito almeno otto chiese negli attacchi aerei, ignorando gli appelli dei vescovi di risparmiare i civili che cercano riparo nei luoghi di culto. Almeno 16 parrocchie su 38 sono state bombardate, costringendo le suore e i sacerdoti a fuggire.
L’ultimo rapporto dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni unite uscito a inizio mese stima che il conflitto abbia finora generato oltre 500mila sfollati interni, con un aumento di 50mila persone solo nell’ultima settimana. A Loikaw, capoluogo dello Stato Kayah, e nella vicina Demoso, almeno 100 abitazioni sono state incendiate.
Di fronte a questa situazione la Fondazione PIME ha deciso di aprire il Fondo S145 Emergenza Myanmar, per sostenere le iniziative delle Chiese locali, molte delle quali fondate proprio dai missionari del Pime prima dell’espulsione dei missionari stranieri nel 1966.
L’obiettivo della campagna è dare un aiuto immediato a migliaia di persone, andando a sostenere la rete di accoglienza che le diocesi di Taungoo e di Taunggyi stanno allestendo.
Tante realtà religiose locali hanno risposto a questa emergenza e lo stanno facendo mostrando il volto più bello del Myanmar: quello di un popolo che, nonostante le tante sofferenze che hanno segnato la sua storia, sceglie la strada della solidarietà.
È a loro che invieremo aiuti, partendo dai bisogni elementari delle persone: un tetto, il cibo, una scuola per i più piccoli, che da due anni ormai – tra pandemia e guerra – non la frequentano più.
Si può donare con causale «S145 – Emergenza Myanmar»:
- direttamente on line a questo link scegliendo tra le opzioni il progetto “S145 – Emergenza Myanmar”
- con bonifico bancario intestato a Fondazione Pime Onlus
IBAN: IT 11 W 05216 01630 000000005733
(si raccomanda di inviare copia dell’avvenuto bonifico via email a uam@pimemilano.com indicando nome, cognome e indirizzo, luogo e data di nascita, codice fiscale) - sul conto corrente postale n. 39208202 intestato a Fondazione Pime Onlus via Monte Rosa, 81 20149 Milano
- in contanti o con assegno presso il Centro Pime di Milano in via Monte Rosa 81 dal lunedì al venerdì (9.00-12.30 e 13.30-17.30).
Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.
Persecuzioni
La Pasqua è stata soppressa nella Repubblica Democratica del Congo
Nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC), ai cattolici è stato impedito di celebrare la Pasqua a causa dei raid mortali effettuati dal gruppo ribelle ugandese ADF – Forze Democratiche Alleate – affiliato all’organizzazione Stato Islamico (IS).
Nella provincia del Nord Kivu lo spirito è quello di non celebrare la Pasqua: «Sono cattolico. Prima i sacerdoti venivano tutte le domeniche e durante il triduo pasquale organizzavano il catechismo e le messe serali, ma ora questo è impossibile. Ci siamo riuniti nella nostra cappella, ma oggi tutti restano a casa; abbiamo paura che i ribelli ci attacchino lì durante la messa», confida Zahabu Kavira, residente a Maleki, un piccolo villaggio vicino a Oicha, nella parte orientale del Paese.
Nella notte tra il 2 e il 3 aprile 2024, in piena settimana di Pasqua, almeno dieci persone hanno perso la vita nella regione e diversi edifici sono stati dati alle fiamme in seguito ad un attacco attribuito agli islamisti dell’ADF.
Tra le strutture prese d’assalto dagli aggressori c’era il centro sanitario locale, parzialmente bruciato, oltre a una dozzina di abitazioni ed edifici commerciali. Da parte loro, gli abitanti del villaggio non capiscono come gli aggressori abbiano potuto agire così facilmente in una zona dove sono presenti soldati congolesi e ugandesi.
L’ADF è un gruppo ribelle ugandese da tempo stabilito nel Nord Kivu e nell’Ituri, che terrorizza le popolazioni locali. Nel 2019 il gruppo ha annunciato la sua affiliazione all’organizzazione dello Stato Islamico e ha preso il nome ISCAP (Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico).
Uno dei principali bersagli degli islamisti sono i giovani che vogliono essere tagliati fuori dall’ambiente educativo in cui la Chiesa è molto presente. Quasi trentamila studenti, tra cui undicimila ragazze, non possono più andare a scuola nel territorio di Irumu nell’Ituri e nel settore Eringeti nel Nord Kivu.
Sostieni Renovatio 21
Secondo una recente indagine condotta da un team di ispettori scolastici, 79 scuole primarie e secondarie di queste zone sono state chiuse a causa dell’insicurezza. Alcuni edifici scolastici furono bruciati dai ribelli.
Gli attacchi jihadisti contro i villaggi di Beni non hanno risparmiato le chiese. Attualmente le erbacce crescono attorno alle cappelle abbandonate. Frà Omer Sivendire è parroco della chiesa dello Spirito Santo di Oicha. Parla delle sue difficoltà nello svolgere il suo ministero in una regione sempre più afflitta dall’insicurezza.
Contrariamente alla sua abitudine, il sacerdote non ha potuto unirsi ai suoi parrocchiani per celebrare la Messa della Resurrezione: «in passato potevamo spostarci facilmente ovunque, ma oggi è impossibile, poiché i nostri cristiani vivono nell’insicurezza e anche noi. Abbiamo difficoltà ad arrivarci. Speriamo che l’anno prossimo potremo andare ovunque, ma quest’anno purtroppo no», lamenta il sacerdote cattolico.
Ma gli islamisti non sono gli unici a gettare la parte orientale della RDC in un caos spaventoso: da diversi mesi, altri ribelli conosciuti come M23 (Movimento 23 marzo) destabilizzano la regione con il sostegno attivo del vicino Ruanda che desidera esercitare controllo su una regione di transito per le risorse minerarie del Congo.
Un anno fa, il coordinatore del programma di disarmo, smobilitazione, recupero comunitario e stabilizzazione della RDC (P-DDRCS) identificò 266 gruppi armati presenti e attivi in cinque province della parte orientale della RDC.
Le province di Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu, Maniema e Tanganica ospitano 252 gruppi armati locali e 14 gruppi stranieri.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di United Nations Photo via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
Persecuzioni
Cristiana palestinese arrestata e bendata senza mandato né capi di imputazione
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Persecuzioni
Sudan, un anno di guerra ha lasciato il Paese senza seminarista
Dal 15 aprile 2023, violenti combattimenti hanno contrapposto l’esercito sudanese comandato dall’attuale presidente di transizione, il generale Abdel Fattah al-Burhan, e le Rapid Support Forces (RSF), un gruppo paramilitare guidato dal vicepresidente, il generale Mohammed Hamdan Dagalo, conosciuto anche con lo pseudonimo di Hemedti.
Dopo la destituzione di Omar al-Bashir – insediato al potere con un colpo di stato nel 1989 – i due uomini hanno rovesciato il governo instaurato l’11 aprile 2019. Ma hanno litigato sull’integrazione delle forze di sicurezza nell’esercito regolare e nella distribuzione della ricchezza: il Sudan è il terzo produttore di oro in Africa e Hemedti possiede miniere d’oro nel Nord del paese.
Nell’aprile 2023 la situazione è cambiata: in un Paese già indebolito è scoppiata la «guerra dei generali». La popolazione è in agonia e la piccola comunità cristiana si sta riducendo al nulla. Senza che nessuno dei belligeranti si tiri indietro, il futuro appare cupo. I dati ufficiali mostrano più di 13.900 morti e 8,1 milioni di sfollati, di cui circa 1,8 milioni fuori dal Paese.
«Data l’intensità della guerra, molti residenti si chiedono come entrambe le parti possano avere così tante armi dopo un anno di combattimenti e, quindi, chi le finanzia», afferma la coordinatrice del progetto Kinga Schierstaedt per l’organizzazione benefica cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre (ACN) nel Sudan.
La popolazione muore di fame a causa di un conflitto dimenticato. Quanto alla Chiesa locale, «prima della guerra rappresentava il 5% della popolazione, ma era tollerata e poteva gestire alcuni ospedali e scuole, anche se non era autorizzata a proclamare apertamente la fede», spiega Kinga Schierstaedt.
Sostieni Renovatio 21
La caduta di Omar al-Bashir ha portato alcuni miglioramenti in termini di libertà religiosa e sono state abolite le pene previste dal codice penale della sharia. È stato allora che ACS ha potuto finanziare e contribuire all’importazione di un computer per la diocesi di El Obeid, cosa che negli anni precedenti sarebbe stata impossibile, continua Kinga Schierstaedt. Ma questa nuova libertà fu di breve durata.
Pur essendo minoritaria, la Chiesa è sempre stata un «porto di pace» per la popolazione e molte persone si sono rifugiate nelle chiese all’inizio della guerra. Oggi, questo rifugio è esso stesso indebolito. Molti missionari e comunità religiose hanno dovuto lasciare il Paese, parrocchie, ospedali e scuole cessarono le loro attività.
Il seminario di Khartum ha dovuto chiudere i battenti. Fortunatamente alcuni seminaristi riusciti a fuggire hanno potuto continuare la loro formazione nella diocesi di Malakal, nel vicino Paese del Sud Sudan. Mons. Michael Didi, arcivescovo di Khartoum, si trovava a Port Sudan, sulla costa del Mar Rosso, quando è scoppiata la guerra e non ha potuto tornare nella sua città.
Mons. Tombe Trile, vescovo della diocesi di El Obeid, ha dovuto trasferirsi nella cattedrale perché la sua casa era parzialmente distrutta. Molti cristiani sono fuggiti a piedi o attraverso il Nilo e si sono stabiliti in campi profughi dove la sopravvivenza è una lotta quotidiana. Oggi l’esistenza stessa della Chiesa in Sudan è messa in discussione.
Tuttavia, ci sono alcune luci in mezzo all’oscurità. «Se è vero che la guerra continua, non può soffocare la vita. Sedici nuovi cristiani sono stati battezzati a Port Sudan durante la Veglia Pasquale e 34 adulti sono stati cresimati a Kosti!» confida un testimone.
La Chiesa rimane molto attiva anche in Sud Sudan, assistendo i rifugiati provenienti dal vicino nord e aiutando i seminaristi sudanesi a continuare la loro formazione, grazie, tra gli altri, al sostegno di ACS. «La Chiesa del Sud Sudan si sta preparando per il futuro aiutando i cristiani sudanesi a prepararsi per la pace di domani», conclude Kinga Schierstaedt.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di Quodvultdeus via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
-
Pensiero1 settimana fa
La giovenca rossa dell’anticristo è arrivata a Gerusalemme
-
Cervello1 settimana fa
«La proteina spike è un’arma biologica contro il cervello». Il COVID come guerra alla mente umana, riprogrammata in «modalità zombie»
-
Scuola2 settimane fa
Dal ricatto del vaccino genico alla scuola digitalizzata: intervento di Elisabetta Frezza al convegno su Guareschi
-
Salute1 settimana fa
I malori della 15ª settimana 2024
-
Cina2 settimane fa
Vescovi e preti cattolici cinesi imprigionati e torturati, chiese e croci demolite con l’accordo sino-vaticano
-
Vaccini2 settimane fa
Vaccini contro l’influenza aviaria «pronti per la produzione di massa». Un altro virus fuggito da un laboratorio Gain of Function?
-
Spirito2 settimane fa
Bergoglio sta «ridimensionando» il papato: parla mons. Viganò
-
Spirito2 settimane fa
Vescovo sposa scrittrice di romanzi erotici divorziata – con rito cattolico, grazie alla dispensa di Bergoglio