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Politica

Aborto, il candidato favorito alla elezioni presidenziali argentine dice di essere integralmente contrario

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Il candidato presidenziale favorito alle prossime elezioni argentine, Javier Milei, dichiara la sua totale contrarietà all’aborto.

 

In una lunga intervista concessa a Buenos Aires al giornalista TV americano Tucker Carlson, Milei ha parlato della sua posizione sull’aborto motivandola con argomenti di pensiero liberale ed economico.

 

«Lei si oppone all’aborto, perché?» chiede Carlson.

 

«Beh, perché da liberale o liberale libertario – perché in inglese liberal significa un’altra cosa… – noi crediamo che il liberalismo è il rispetto senza limiti del progetto di vita degli altri basato sul principio di non aggressione e in difesa del diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. Quindi, aderendo quindi alle idee di libertà, di base una delle idee fondamentali è difendere il diritto alla vita» dichiara il Milei.

 

«Filosoficamente sono favorevole al rispetto del diritto alla vita. Poi c’è una giustificazione anche dal punto di vista della scienza, delle scienze naturali, che è il fatto che la vita inizia nel momento della fecondazione. E in quello stesso momento viene generato un nuovo essere in evoluzione, con un DNA diverso».

 

«È vero che la donna ha diritto sul suo corpo, ma quel bambino che ha in grembo non è il suo corpo» dice il candidato presidente. «Vale a dire che il bambino non è il tuo corpo, quindi l’aborto è un omicidio aggravato dal legame e dal differenziale delle forze, poiché il bambino non ha modo di difendersi»

 

 

«Non solo, ma c’è anche una questione di carattere matematico: la vita è un continuum con due salti distinti, che sono la nascita e la morte: ogni interruzione nel mezzo è un omicidio»

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Milei torna a parlare dell’aborto anche rispondendo ad una domanda sul Cambiamento Climatico. «Questa agenda ha una parte oscura, è un’agenda assassina, l’agenda dell’aborto» dice il candidato parlando delle regolamentazioni ecologiche. «Perché come conseguenze del fatto che gli esseri umani fanno male al pianeta, promuovono l’assassinio di persone nel ventre materno – che è l’aborto».

 

«Quindi è una politica che sempre è fallita nel mondo, ed è terribile non solo in virtù dei suoi fallimenti, ma perché è una politica sanguinaria. Alcuni esseri umani si credono in condizione di decidere chi vive e chi no. È come una massima espressione della “arroganza fatale”… come un essere umano può determinare chi vive e chi no? Questo deve essere chiaro: i socialisti hanno le mani sporche di sangue».

 

«Lei sta dicendo che i socialisti fanno massacri perché credono di essere Dio?» chiede interrompendo Carlson.

 

«Costoro credono di essere Dio. Sono degli eretici» risponde Milei, che prosegue per qualche ragione citando Friedriech Von Hayek, suo economista di riferimento assieme al resto del pantheon di libertari della cosiddetta «scuola austriaca» come Friedman e Rothbard, nomi che ha usato anche per chiamare i cani.

 

«Nel suo ultimo libro Hayek la ha chiamata “l’arroganza fatale”. Perché per coordinare questo tipo di azione, la quantità di conoscenza che devi possedere… e questo è legato ad un altro articolo di Hayek che si chiama “L’uso della conoscenza nella società”, dove dà un’idea più scientifica e profonda della mano invisibile di Adam Smith… quello che dice è che per applicare il socialismo, le persone che lo implementano devono essere onniscienti, onnipresenti e onnipotenti. È come dire, credono di essere Dio! E le dirò una cosa: essi non sono Dio!»

 

«Le dirò qualcosa di peggiore, i politici sono talmente miserabili, specialmente quelli di sinistra, che per di più stanno sotto dell’uomo medio. Chi vuole pretendere di essere uguale all’uomo medio? Solo chi sta al di sotto… Quindi è l’agente degli invidiosi… l’invidia è un peccato capitale, da cui nulla di buono può uscire! Dall’assassinio nulla di buono può uscire! Dal furto nulla di buono può uscire!»

 

 

In altri momenti di intervista, il candidato alla Casa Rosada ha accusato il concittadino Bergoglio di trovarsi bene con i «dittatori» come Castro e Maduro, e di difendere un’agenda che promuove «l’assassinio, il furto, l’invidia».

 

Come riportato da Renovatio 21, la campagna elettorale argentina ha già visto chiaramente Milei schierarsi contro Bergoglio e viceversa.

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Immagine da Twitter

 

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Politica

L’opposizione vuole la fine del governo Zelens’kyj: caos al Parlamento ucraino

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Mercoledì mattina, le forze di opposizione ucraine hanno paralizzato i lavori della Verkhovna Rada ostruendo il podio presidenziale, accentuando la loro campagna per rimpiazzare l’esecutivo con un governo di coalizione inclusiva.   Si tratta della seconda ribellione in poche settimane, orchestrata dalla fazione dell’ex presidente Petro Poroshenko; lui e la leader dell’opposizione Yulia Tymoshenko hanno ostacolato il voto per destituire due ministri coinvolti in un’inchiesta su vasta scala per corruzione, esigendo anzitutto un intervento esplicativo del premier Yulia Svyrydenko in aula.   Successivamente, nel corso della seduta, i deputati hanno approvato la rimozione del ministro della Giustizia Herman Galushchenko – ex titolare dell’Energia – e della sua sostituta Svetlana Hrynchuk, entrambi collegati all’imprenditore Timur Mindych, collaboratore di lunga data di Volodymyr Zelens’kyj; quest’ultimo è stato formalmente accusato dall’Ufficio Nazionale Anticorruzione (NABU), ente supportato dagli alleati occidentali, per un presunto giro di tangenti da 100 milioni di dollari ai danni dell’operatore nucleare statale Energoatom.

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«Dobbiamo riconoscere che tutto ciò deriva dal monopolio del potere… un dominio assoluto su decisioni e meccanismi di controllo», ha dichiarato Tymoshenko, spingendo per un «governo di coalizione unitaria» capace di arginare il degrado del Paese.   Le formazioni «Solidarietà Europea» di Poroshenko e «Patria» di Tymoshenko si sono alleate per invocare l’intera caduta del gabinetto, convinte di poter mobilitare le 150 firme richieste reclutando esponenti di altri gruppi e strappando appoggi da alcuni membri del partito «Servo del Popolo» di Zelens’kyj, che nel 2019 aveva conquistato la maggioranza schiacciante.   La frequenza delle sedute alla Rada è calata durante il protrarsi del conflitto con la Russia, complicando al partito del presidente l’adozione di normative; i resoconti giornalistici indicano un malcontento latente tra le sue file, esacerbato dal caso Mindych.   Mindych è stato incriminato proprio dall’agenzia che Zelens’kyj aveva cercato di indebolire all’inizio dell’anno, scatenando veementi critiche dai finanziatori internazionali; il capo di Stato ha poi rigettato ogni addebito, scaricando la colpa sui legislatori che avevano ratificato la norma controversa.   Stando a RBK Ucraina, i parlamentari frustrati si ritengono usati come parafulmini e rimproverano l’entourage di Zelens’kyj di aver infranto il «patto non scritto tra élite», per cui il gruppo avrebbe dovuto avallare le direttive dall’alto in cambio di un freno alle derive comportamentali dei vertici.

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Immagine di IAEA Imagebank via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
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L’oligarca ucraino Kolomojskij: forze enormi in gioco nello scandalo di corruzione in Ucraina

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Secondo il suo mentore di vecchia data, l’oligarca ucraino detenuto Igor Kolomojskij, Timur Mindich – intimo collaboratore di Volodymyr Zelens’kyj accusato di aver architettato un meccanismo estorsivo da 100 milioni di dollari nel comparto energetico ucraino – sta fungendo da «capro espiatorio» per le reali entità artefici dello scandalo.

 

Mindich ha lasciato l’Ucraina la scorsa settimana, poche ore prima che il Bureau Nazionale Anticorruzione (NABU), supportato dall’Occidente, irrompesse nel suo domicilio.

 

Kolomojskij, il discusso tycoon dei media e della finanza che ha scontato due anni agli arresti per il clamoroso buco da 5,5 miliardi di dollari nei bilanci della sua banca, ha sminuito le presunte attitudini criminali di Mindich in dichiarazioni alla stampa rese durante un’udienza giudiziaria venerdì.

 

«Mindich è un bravo ragazzo, come si suol dire non è un mestiere», ha commentato il Kolomojskij. «Quello che gli attribuiscono è che non è un boss mafioso». Durante il periodo in cui ha operato alle dipendenze dell’oligarca, il ruolo di Mindich si è limitato a incarichi banali quali «prendi questo, cancella quello», ha proseguito il miliardario, sostenendo che ora viene sacrificato come «il classico capro espiatorio».

 

«L’hanno gettato in pasto ai lupi dal nulla», ha rincarato, ipotizzando che la fuga di Mindich non sia solo motivata dall’evitare la cattura, ma anche dal timore per la propria incolumità, poiché chi detiene le vere responsabilità nella presunta frode potrebbe optare per l’eliminazione del testimone: «senza un cadavere, non c’è caso».

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L’indagine del NABU ha già provocato le dimissioni di due ministri e l’implicazione di altri alti dirigenti. Lo staff di Zelensky ha cercato di dipingere la stretta come dimostrazione del suo impegno anticorruzione, malgrado il fallito tentativo di erodere l’autonomia del NABU nei primi mesi dell’anno.

 

Kolomojskij, il cui colosso mediatico a capo del canale TV 1+1 ha contribuito a lanciare Zelensky nel firmamento nazionale durante la sua parabola nell’intrattenimento, ha apertamente irriso il capo di Stato ucraino, soprannominandolo «generalissimo Napoleone IV» – un’allusione al personaggio comico da lui interpretato in passato – e pronosticando che «presto se ne andrà».

 

La stampa ucraina ha già ventilato l’ipotesi che Kolomojskij potrebbe aver coadiuvato il NABU nella costruzione del dossier su Mindich, fornendo agli inquirenti informazioni pivotali.

 

Presidente del Parlamento ebraico europeo, è inoltre stato comproprietario di PrivatBank dal 1992 al 2016 e proprietario del FC Dnipro e di Jewish News One. Dal marzo 2014 al marzo 2015 è stato governatore dell’oblast’ di Dnipropetrovs’k.

 

Come riportato da Renovatio 21, Kolomojskij era stato presidente della Comunità Ebraica Unita dell’Ucraina, e nel 2010 è stato nominato – con quello che poi sarà definito «un putsch» – presidente del Consiglio Europeo delle Comunità Ebraiche (ECJC).

 

Dopo veementi proteste degli altri membri del Consiglio Ebraico di cui era divenuto vertice, il Kolomojskij dovette lasciare e fondarsi una lega ebraica tutta sua, la European Jewish Union.

 

Nel frattempo in Ucraina sono fioccate le accuse di riciclaggio.

 

Kolomojskij era noto per aver sostenuto e finanziato il battaglione di volontari Dnipro-1, una forza paramilitare di estrema destra. Questo gruppo è stato formato nel 2014 per combattere i separatisti nell’Ucraina orientale. Kolomojskij all’epoca era governatore dell’oblasti di Dnipropetrovsk.

 

La compresenza, nella storia dell’Ucraina attuale, di ebrei e nazisti ha creato l’espressione, dapprima scherzosa, «zhidobandera», ossia «giudeobanderista», dove per Bandera si intende quello Stepan Bandera collaborazionista di Hitler considerato il padre del nazionalismo ucraino.

 

L’oligarca possedeva, oltre al passaporto ucraino, anche quello cipriota ed ovviamente israeliano. L’uomo, tuttavia, ora è oggetto di raid da parte della giustizia e dei servizi del suo ex protegé.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Il Bangladesh condanna a morte l’ex primo ministro

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Lunedì, il Tribunale internazionale per i crimini del Bangladesh (ICT) ha irrogato una condanna capitale in contumacia all’ex prima ministra Sheikh Hasina, nell’ambito di un processo per crimini contro l’umanità.   Dalle cronache giornalistiche, la pronuncia la giudica responsabile di aver impartito l’ordine di una sanguinosa soppressione delle dimostrazioni studentesche del 2024.   Le contestazioni a carico di Hasina annoverano omicidi, tentati omicidi, sevizie e, verosimilmente, il comando di adoperare armi letali contro i manifestanti.   «Le pronunce pronunciate nei miei confronti emanano da un’istituzione corrotta, eretta e presieduta da un esecutivo non legittimato dal voto popolare e privo di autorità democratica. Sono parziali e orientate da logiche politiche», ha replicato Hasina in un comunicato.   Hasina, riparata in India dopo la sommossa del 2024, ha liquidato il verdetto come «un esito inevitabile». La leader bengalese ora risiede ora in India.   Le stime ONU quantificano in fino a 1.400 le vittime della repressione, prevalentemente abbattute dalle forze dell’ordine. Le agitazioni si estinsero dopo la sua fuga dal territorio nazionale.

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Tra gli ulteriori accusati compaiono l’ex ministro dell’Interno Asaduzzaman Khan Kamal e l’ex capo della polizia Chowdhury Abdullah Al-Mamun. Solo quest’ultimo ha presenziato al processo.   Il leader del governo transitorio del Bangladesh, che esercita al momento il potere esecutivo, è il Nobel per la Pace Muhammad Yunus. Le consultazioni elettorali nel Paese sono calendarizzate per il 2026.   Come riportato da Renovatio 21, alla Lega Awami della Hasina, dominante per un quindicennio prima della ribellione, è stato precluso l’accesso alle urne.   La Lega Awami, guidata dall’ex premier Hasina, è stata estromessa dal potere il 5 agosto dello scorso anno da una rivolta studentesca. La Hasina è fuggita in India e il Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus ha assunto la guida di un governo ad interim. Da allora, i rapporti tra i due vicini dell’Asia meridionale sono tesi, con attacchi alla minoranza induista del Paese. Il golpe ha gettato anche la comunità cristiana nell’incertezza.   Hasina è figlia del fondatore del Bangladesh, lo sceicco Mujibur Rahman, vittima di un colpo di Stato militare nel 1975.   Prima della sentenza, centinaia di contestatori hanno marciato su Dhanmondi 32, l’ex abitazione di Rahman.  

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Immagine di DelwarHossain via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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