Politica
La Svizzera emette la prima multa per il divieto del burqa
Le autorità svizzere hanno emesso la prima multa nell’ambito del divieto nazionale di coprirsi il volto, entrato in vigore quest’anno, dopo che una donna di Zurigo ha indossato il burqa in pubblico. Lo riporta il quotidiano locale Blick, citando il portavoce della polizia Michael Walker.
Il cosiddetto «divieto di burqa», è una legge federale che proibisce di coprire il viso negli spazi pubblici, compresi gli abiti musulmani, come burqa e niqab, così come maschere e passamontagna indossati da dimostranti o teppisti sportivi.
Lo Walker ha rifiutato di rivelare l’età della donna o i dettagli del suo abbigliamento, citando le leggi sulla privacy, ma ha confermato che «non era una turista» dicendo che la donna si è rifiutata di pagare la multa, che ammontava a 100 franchi svizzeri (circa 100 euro), il che significa che il caso ora andrà all’ufficio del governatore cantonale per un’ulteriore elaborazione.
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Il divieto deriva da un referendum svizzero del 2021 che è stato approvato di misura con il 51,2% di sostegno, in seguito a una campagna a favore della misura guidata dal Partito Popolare Svizzero. Sebbene inizialmente proposta come misura mirata all’«Islam radicale», la legge mira anche a migliorare la sicurezza pubblica, proibendo le maschere durante le proteste e gli eventi sportivi. I trasgressori rischiano quindi una multa immediata di 100 franchi, che può salire a 1.000 franchi se contestata in tribunale.
La legge prevede eccezioni per motivi di salute, clima freddo, eventi carnevaleschi, culto religioso in aree designate, viaggi aerei e determinate circostanze diplomatiche o legate allo spettacolo.
Oltre la metà dei cantoni svizzeri aveva già promulgato divieti di mascherina durante le manifestazioni prima che la legge federale entrasse in vigore. La nuova legge nazionale, tuttavia, sostituisce la legislazione cantonale.
I critici hanno sostenuto che la legge colpisce ingiustamente la comunità musulmana svizzera, forte di 400.000 persone, di cui solo una piccola minoranza indossa il velo. Inizialmente, il governo svizzero si è opposto alla misura in quanto eccessiva, sostenendo che il divieto avrebbe potuto danneggiare il turismo. La legge è stata condannata anche dalle associazioni musulmane del Paese.
I sostenitori, tuttavia, hanno ribattuto che il divieto risponde a preoccupazioni più ampie in materia di sicurezza pubblica. L’anno scorso, la polizia di Zurigo ha emesso 98 multe per partecipanti mascherati a proteste e rivolte sportive, mentre le autorità di Berna hanno imposto simili divieti cantonali contro gli hooligan del calcio.
I divieti sul burqa, un velo che copre tutto il corpo con una rete attorno agli occhi, e sul niqab, un velo che lascia una fessura per gli occhi, sono stati introdotti per la prima volta in Francia nel 2011. Da allora, divieti totali o parziali sui veli sono stati applicati anche in Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Paesi Bassi, Germania, e Spagna.
Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi mesi la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha stabilito che i datori di lavoro governativi possono vietare l’uso di abiti religiosi nell’interesse di mantenere un «ambiente amministrativo del tutto neutrale». La decisione è arrivata dopo che una donna musulmana ha citato in giudizio il suo datore di lavoro municipale in Belgio per averle detto di togliersi l’hijab sul lavoro.
In Italia ancora oggidì, una legge in materia di disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, la 152/75, che vieta di coprirsi completamente il volto nei luoghi pubblici – vieta dunque di indossare il velo integrale ma anche un casco.
Come riportato da Renovatio 21, il divieto elvetico del burqa è stato annunziato ancora mesi fa.
Il niqab è stato recentemente vietato in Kirghizistan, Paese ex sovietico centrasiatico musulmano.
Come riportato da Renovatio 21, secondo statistiche recenti attualmente il numero di persone che si dichiarano «senza religione» ora superano i cattolici.
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Politica
Il Bangladesh condanna a morte l’ex primo ministro
Lunedì, il Tribunale internazionale per i crimini del Bangladesh (ICT) ha irrogato una condanna capitale in contumacia all’ex prima ministra Sheikh Hasina, nell’ambito di un processo per crimini contro l’umanità.
Dalle cronache giornalistiche, la pronuncia la giudica responsabile di aver impartito l’ordine di una sanguinosa soppressione delle dimostrazioni studentesche del 2024.
Le contestazioni a carico di Hasina annoverano omicidi, tentati omicidi, sevizie e, verosimilmente, il comando di adoperare armi letali contro i manifestanti.
«Le pronunce pronunciate nei miei confronti emanano da un’istituzione corrotta, eretta e presieduta da un esecutivo non legittimato dal voto popolare e privo di autorità democratica. Sono parziali e orientate da logiche politiche», ha replicato Hasina in un comunicato.
Hasina, riparata in India dopo la sommossa del 2024, ha liquidato il verdetto come «un esito inevitabile». La leader bengalese ora risiede ora in India.
Le stime ONU quantificano in fino a 1.400 le vittime della repressione, prevalentemente abbattute dalle forze dell’ordine. Le agitazioni si estinsero dopo la sua fuga dal territorio nazionale.
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Tra gli ulteriori accusati compaiono l’ex ministro dell’Interno Asaduzzaman Khan Kamal e l’ex capo della polizia Chowdhury Abdullah Al-Mamun. Solo quest’ultimo ha presenziato al processo.
Il leader del governo transitorio del Bangladesh, che esercita al momento il potere esecutivo, è il Nobel per la Pace Muhammad Yunus. Le consultazioni elettorali nel Paese sono calendarizzate per il 2026.
Come riportato da Renovatio 21, alla Lega Awami della Hasina, dominante per un quindicennio prima della ribellione, è stato precluso l’accesso alle urne.
La Lega Awami, guidata dall’ex premier Hasina, è stata estromessa dal potere il 5 agosto dello scorso anno da una rivolta studentesca. La Hasina è fuggita in India e il Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus ha assunto la guida di un governo ad interim. Da allora, i rapporti tra i due vicini dell’Asia meridionale sono tesi, con attacchi alla minoranza induista del Paese. Il golpe ha gettato anche la comunità cristiana nell’incertezza.
Hasina è figlia del fondatore del Bangladesh, lo sceicco Mujibur Rahman, vittima di un colpo di Stato militare nel 1975.
Prima della sentenza, centinaia di contestatori hanno marciato su Dhanmondi 32, l’ex abitazione di Rahman.
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Immagine di DelwarHossain via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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