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La Svezia potrebbe legalizzare gli aborti chimici fai da te e parla del «diritto» all’aborto per le donne trans

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La Svezia sta valutando importanti revisioni alle sue leggi sull’aborto a seguito di un’indagine presentata al governo la scorsa settimana. Lo riporta LifeSiteNews.

 

Le modifiche proposte includono l’autorizzazione degli aborti domestici fai da te, l’eliminazione del requisito che gli aborti siano eseguiti solo in strutture mediche e l’adozione di un linguaggio «gender-neutral». Sebbene queste misure siano inquadrate come una risposta ai progressi della medicina e alle norme sociali in evoluzione, sollevano notevoli preoccupazioni sulla salute e la sicurezza delle donne.

 

La legge svedese sull’aborto, introdotta nel 1974, ha legalizzato l’aborto su richiesta fino a 18 settimane ed è rimasta sostanzialmente invariata. A giugno 2023, il governo ha avviato un’indagine guidata da Inga-Maj Andersson, infermiera diplomata, ostetrica e dottoressa in medicina, per valutare potenziali aggiornamenti, tra cui la crescente prevalenza di aborti a domicilio.

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«La legge sull’aborto ha quasi cinquant’anni e deve essere modernizzata», ha affermato il ministro della Salute Acko Ankarberg Johansson in un comunicato stampa.

 

«Non da ultimo, la legge deve essere adattata agli sviluppi medici che si sono verificati, come il fatto che oggi vengono eseguiti un numero maggiore di aborti farmacologici che non richiedono cure ospedaliere. La proposta del rapporto è un gradito passo avanti verso una legislazione aggiornata».

 

Una raccomandazione centrale dell’inchiesta è di consentire alle donne di assumere la pillola abortiva a casa. Attualmente, il regime di pillola abortiva, costituito da mifepristone, che blocca l’ormone della gravidanza progesterone, e misoprostolo, che induce contrazioni ed espelle il corpo del bambino, viene somministrato sotto supervisione medica.

 

Nonostante le affermazioni secondo cui l’aborto a casa è sicuro, la ricerca dimostra che gli aborti chimici sono quattro volte più pericolosi degli aborti chirurgici nel primo trimestre. Una ricerca condotta da Gynuity, un istituto di ricerca americano pro-aborto, ha scoperto che il sei percento (6%) delle donne che prendono la pillola abortiva richiederà cure presso un pronto soccorso o una struttura di cure urgenti, e si ritiene che questa sia una stima bassa a causa della sottostima.

 

Senza un’adeguata supervisione medica, complicazioni come gravi emorragie, infezioni e aborto incompleto diventano più probabili. L’assenza di ecografie o esami del sangue pre-aborto aumenta anche il rischio di gravidanze ectopiche non diagnosticate, che possono essere fatali.

 

Inoltre, molte donne non sono preparate al dolore estremo e alle forti emorragie associate all’aborto chimico, lasciandole angosciate e vulnerabili senza un’assistenza medica immediata. L’ampliamento dell’accesso alle pillole abortive senza supervisione medica potrebbe mettere più donne a rischio di gravi complicazioni di salute.

 

L’inchiesta propone inoltre di aggiornare il testo della legge svedese sull’aborto per renderlo «neutrale rispetto al genere», sostituendo termini come «donna» con «la persona incinta».

 

«Oggigiorno, è possibile per qualcuno che è legalmente maschio rimanere incinta, e dovrebbe anche avere il diritto all’aborto», ha affermato Andersson, secondo la testata The Local. Ha insistito, «Questo non influisce negativamente sul diritto all’aborto per le donne, è comunque una questione di diritti delle donne».

 

Oltre a queste misure, l’inchiesta suggerisce di chiarire il diritto legale all’aborto e di garantire che gli operatori sanitari offrano un accesso tempestivo ai servizi di aborto. Il governo esaminerà ora il rapporto prima di decidere se procedere con queste modifiche.

 

L’aborto in Svezia è stato regolamentato per la prima volta da una legge del 1938, che stabiliva che un aborto poteva essere legalmente eseguito in Svezia per motivi medici, umanitari (che includono lo stupro) o eugenetici.

 

L’eugenetica, sterilizzazioni incluse, è stata una componente presente nella società svedese fino a pochi anni fa. Come riportato da Renovatio 21, il programma eugenetico di sterilizzazione forzata svedese ha colpito 30 mila persone fino al 1976.

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Come riportato da Renovatio 21, il fatto che in Isvezia il feticidio fosse legale ha portato a risalenti traffici di tessuti da utilizzare per la creazione di linee cellulari immortalizzate da feto abortito, alcune delle quali utilizzate nella produzione dei vaccini. È il caso della linea cellulare diploide umana WI-38, ottenuta a partire dall’«esemplare 38, 32° aborto», ottenuto in Svezia espedito al dottor Leonard Hayflick, Istituto Wistar, Filadelfia, Utilizzato per la coltura di RA273 per i vaccini contro la rosolia e MMR e studiare la vita delle linee cellulari in vitro.

 

Vi è inoltre la linea cellulare WI-44, «campione n.44, 38° aborto» sempre spedita al dottor Hayflickr all’Istituto Wistar di Filadelfia. La WI-44 è usata insieme a WI-26 e 38 per studiare la vita delle linee cellule in vitro.

 

Il Wistar Institute è un istituto scientifico situato nel campus dell’Università della Pennsylvania a Filadelfia, specializzato nei campi dell’immunologia e della biologia cellulare.

 

Lavorando per l’Istituto nel 1961, il dottor Leonard Hayflick pubblicò per la prima volta un documento che descriveva venticinque HDCS: da WI-1 a WI-25 (campioni fetali del Wistar Institute n. 1–25). Queste linee cellulari sono state prelevate da polmoni, pelle, muscoli, rene, cuore, tiroide, timo e fegato di diciannove feti separati, abortiti volontariamente. Lo scopo della scelta di organi diversi era testare la differenza nelle caratteristiche dei tessuti. La sua ricerca ha incluso anche il test della suscettibilità di queste linee cellulari per diversi virus.

 

L’aborto era illegale negli Stati Uniti a quel tempo, quindi il tessuto fetale venne fornito dal dottor Sven Gard della Karolinska Institute Medical School di Stoccolma, in Svezia

 

Hayflick e i suoi collaboratori (incluso Anthony Girardi del Merck Institute for Therapeutic Research) iniziarono a lavorare con queste linee cellulari per sviluppare vaccini virali: nel 1962 fu sviluppato un vaccino contro il poliovirus nel ceppo cellulare WI-1. A questo punto erano stati realizzati cinquanta HDCS. Infine, dopo questi miglioramenti nella tecnica, Hayflick pubblicò i suoi rapporti sullo sviluppo di WI-38.

 

Come riportato da Renovatio 21 il WI-38 era stato ottenuto da un feto femmina di tre mesi: «questo feto fu scelto dal dottor Sven Gard, appositamente per questo scopo» scrive un saggio sul virus della rosolia del 1969. «Entrambi i genitori sono noti e, sfortunatamente per la storia, sono sposati, ancora vivi e vegeti, e presumibilmente vivono a Stoccolma. L’aborto è stato fatto perché sentivano di avere troppi figli. Non c’erano malattie familiari nelle famiglie dei due genitori, e nessun caso di cancro nelle famiglie».

 

Hayflick divenne uno sviluppatore di un vaccino contro la poliomielite e ha combattuto e vinto il diritto legale di detenere un brevetto e trarre profitto da WI-38. Il ricercatore è stato uno dei co-firmatari di una lettera inviata al presidente Bush nel 2001 per sostenere la distruzione di embrioni umani che avviene nella ricerca sulle cellule staminali embrionali.

 

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Bioetica

Circa il 40% delle donne soffre di un dolore profondo per anni dopo un aborto: studio

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Secondo uno studio pubblicato di recente, quasi il 40 percento delle donne che hanno subito una perdita di gravidanza, a causa di un aborto o di un aborto spontaneo, riferiscono di provare un dolore intenso anche 20 anni dopo. Lo riporta LifeSite.   La straordinaria scoperta proviene da uno studio sul dolore per la perdita di una gravidanza, pubblicato lunedì, che ha coinvolto in modo casuale donne americane sui 40 anni. Lo studio ha classificato le donne che hanno abortito in base al grado in cui desideravano o accettavano l’aborto.   La percentuale più alta di donne ha dichiarato che l’aborto è stato accettato ma non è coerente con i propri valori (35,5%), seguita dalle donne che desideravano abortire (29,8%), dalle donne che non desideravano abortire (22,0%) e dalle donne che sono state costrette ad abortire (12,7%).   Il 70,2% delle donne che hanno segnalato l’aborto come incoerente con i propri valori, indesiderato o forzato presentava un rischio significativamente più elevato di soffrire di un lutto intenso e prolungato, noto come disturbo da lutto prolungato (PGD) o lutto complicato. Secondo lo studio, questo disturbo è «caratterizzato dall’incapacità di passare dal lutto acuto al lutto integrato… e può influire negativamente sulla salute fisica, sulle relazioni e sulla vita quotidiana».

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Le donne costrette ad abortire presentavano il rischio più elevato di PGD, pari al 53,8%, mentre le donne che dichiaravano di voler abortire presentavano il rischio più basso, pari al 13,9%.   Ben il 39 percento delle donne che hanno subito una qualsiasi forma di aborto ha dichiarato che «i peggiori sentimenti negativi persistono in media per 20 anni dopo la perdita», evidenziando la necessità di educare le donne sui rischi dell’aborto per la salute mentale.   Livelli elevati di dolore sono stati associati anche a eventi dirompenti come pensieri intrusivi, incubi, flashback e, in generale, «interferenze con la vita quotidiana, il lavoro o le relazioni».   In particolare, quando questo dolore segue un aborto, è spesso esacerbato dal senso di colpa e può anche essere prolungato dalla riluttanza a parlarne in terapia o con un confessore, un pastore o un direttore spirituale. Come osserva lo studio, «casi di studio hanno dimostrato che molte donne, anche quelle che cercano assistenza per la salute mentale, sono riluttanti a rivelare la propria storia di aborti a meno che non vengano espressamente invitate a farlo».   La ricerca supporta un altro studio pubblicato a settembre, «Persistent Emotional Distress after Abortion in the United States», che ha scoperto che sette milioni di donne statunitensi soffrono di grave stress emotivo post-aborto.   Entrambi gli studi confutano l’affermazione spesso citata del Turnaway Study, basata su un campione non rappresentativo di centri per l’aborto, secondo cui qualsiasi sofferenza post-aborto che una donna possa provare è lieve e scompare dopo circa due anni.   Gli studi mettono in discussione anche la base fattuale dell’«aborto terapeutico», ovvero l’affermazione che l’aborto in genere migliora la salute mentale delle donne con gravidanze problematiche, che è la base per pensare alla pratica come una forma di «assistenza sanitaria» e per la sua giustificazione legale in molte giurisdizioni.

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Aborto legalizzato alle isole Faroe

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Il 4 dicembre, il Parlamento delle Isole Faroe, un arcipelago autonomo di 18 isole che fa parte del Regno di Danimarca, ha votato per legalizzare l’aborto su richiesta fino a 12 settimane con uno stretto margine di 17 a 16. Gli attivisti per l’aborto hanno trionfato, poiché molte organizzazioni internazionali avevano da tempo fatto pressione sulle Isole Faroe, uno degli ultimi Paesi europei a mantenere un regime ampiamente pro-life.

 

La stampa internazionale ha trascurato di raccontare la storia di come questa legge sia stata effettivamente approvata in un Paese a maggioranza cristiana e in gran parte conservatore, con una popolazione di 55.000 abitanti. La lotta per la legalizzazione dell’aborto è stata segnata da incessanti manovre dietro le quinte, giochi di prestigio e un’intensa tensione politica, culminata in un acceso dibattito parlamentare di sette ore, conclusosi con la più risicata delle sconfitte per i pro-life e con l’impegno a combattere contro il risultato.

 

«È stato un progetto lungo e articolato, con diverse tattiche» ha detto l’attivista Björk Sadembou a LifeSite. «Per anni, il lavoro degli attivisti si è concentrato principalmente sul cambiamento dell’atteggiamento delle persone nei confronti dell’aborto, con campagne come “Ho abortito”, in cui giovani donne faroesi apparivano in video in cui dichiaravano di aver abortito, alcune delle quali ne descrivevano le circostanze».

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«Le nostre ultime elezioni parlamentari si sono svolte nel dicembre 2022 e molti hanno ritenuto che la posizione di un politico sulla vita fosse essenziale per esprimere il nostro voto. Ma la maggior parte dei politici era titubante nell’esprimere la propria opinione prima delle elezioni. So che molti cristiani pro-life hanno votato per uno dei partiti (Javnaðarflokkurin), che è stato volutamente vago sull’argomento. Lo Javnaðarflokkurin è finito per essere uno dei partiti chiave nella legalizzazione dell’aborto». Notiamo qui come la grande tradizione democristiana, che in Italia vide proprio un governo dei «cattolici» della DC approvare la legge figlicida e genocida 194/78.

 

«Al politico pro-life di Javnaðarflokkurin è stato offerto un nuovo posto da ministro (con uno stipendio significativamente migliore), e così ha lasciato il suo seggio parlamentare lo stesso giorno in cui si è tenuta la prima votazione per legalizzare l’aborto, il 2 dicembre. Era necessaria una seconda votazione, che si è tenuta il prima possibile, il 4 dicembre» accusa l’attivista.

 

Anche nelle Faroe nel 2025, gli schemi della propaganda feticida sembra gli stessi di sempre.

 

«I dibattiti pro-aborto si sono concentrati solo sulla questione: “Dovrebbe decidere la donna o il medico?”. Non erano affatto disposti ad affrontare il tema del nascituro. La legge attuale richiede che due medici firmino un certificato che attesti che la persona che desidera abortire soddisfa i requisiti stabiliti dalla legge. La legge è vecchia e vaga, il che mette i medici in una posizione scomoda. I pro-aborto sostenevano che, poiché “nessuno sceglierebbe un aborto se non in caso di assoluta necessità”, spetta alla persona che “si assumerà tutte le conseguenze e ogni responsabilità in seguito” decidere».

 

«Uno degli argomenti che continuavano a ripetere era che le giovani donne avrebbero lasciato il Paese se non avessero avuto “diritti” paragonabili a quelli dei Paesi vicini».

 

On connait la chanson.

 

Come riportato da Renovatio 21, egli ultimi anni vari Paesi hanno cambiato la legislazione sull’aborto. La Colombia quattro anni fa ha legalizzato il feticidio. L’India ha reso legale abortire per «povertà», mentre la Thailandia ha esteso la tempista a 20 settimane. Londra ha invece confermato la legalità dello sterminio dei down in grembo materno, mentre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sentenziato per il libero figlicidio eugenetico in Polonia.

 

Una proposta di legge sull’aborto è stata avanzata mesi fa ad Andorra, mentre un altro piccolo Stato, il principato di Monaco, ha visto il principe Alberto rifiutarsi di firmare la legge.

 

 

Secondo alcuni calcoli, negli USA l’aborto ha spazzato via il 28% della generazione Z.

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Pericolo di introduzione dell’aborto in un testo europeo

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La Fondazione NEOS e l’Assemblea per la Vita hanno espresso in una dichiarazione la loro profonda preoccupazione e il loro categorico rifiuto all’inclusione di riferimenti all’aborto nella bozza di Direttiva (UE) 2024/1385 sulla violenza contro le donne e la violenza domestica.   Questo sarebbe il primo testo giuridico europeo a legittimare l’aborto. Queste organizzazioni sono particolarmente preoccupate per il fatto che questo sviluppo avvenga con il sostegno del Partito Popolare Europeo (PPE). Le due entità denunciano quello che considerano un uso fraudolento del processo legislativo europeo.   La loro dichiarazione spiega che, nel contesto della stesura di una norma che mira a stabilire un quadro comune per la lotta contro reati come la violenza sessuale, la violenza domestica, le mutilazioni genitali femminili e il matrimonio forzato, viene introdotta una questione completamente estranea a questo obiettivo.

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È particolarmente grave che l’inclusione dell’aborto nella risposta istituzionale alla violenza contro le donne, oltre a essere estranea all’obiettivo di questa direttiva, contraddica la finalità stessa della norma. Sostengono che ciò equivarrebbe a sancire, come diritto, l’esercizio di una specifica forma di violenza «perpetrata contro gli esseri umani più vulnerabili, non ancora nati».  

Primo testo giuridico europeo a legittimare l’aborto

Tuttavia, secondo queste organizzazioni, la natura fraudolenta della procedura non ne attenua la gravità. Se adottata definitivamente, la direttiva potrebbe diventare il primo testo giuridico europeo a legittimare di fatto l’aborto come diritto, attraverso una strategia di approcci successivi già osservata in altri ambiti e i cui effetti a lungo termine si sono rivelati disastrosi.   Inoltre, questa manovra costituisce un’ulteriore violazione del principio di sussidiarietà, in quanto comporta un’ingerenza dell’Unione Europea in un ambito di competenza esclusiva degli Stati membri.

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Critiche al Partito Popolare Europeo

Queste organizzazioni sono particolarmente preoccupate che questo cambiamento avvenga con il sostegno del Partito Popolare Europeo (PPE).   Sebbene i risultati delle ultime elezioni europee riflettano una maggioranza di forze politiche che, almeno sulla carta, rifiutano il riconoscimento dell’aborto come diritto europeo e difendono il principio di sussidiarietà, le contraddizioni interne del Partito Popolare Europeo e, in particolare, del Partito Popolare Spagnolo, hanno portato questi partiti ad allinearsi con le forze di sinistra, tradendo così le aspettative e, a volte, gli impegni assunti con i propri elettori.   Dato che questo testo deve ancora essere votato nella sessione plenaria del Parlamento europeo, NEOS e l’Assemblea per la Vita lanciano un forte appello a:   Rimuovere tutti i riferimenti all’aborto dalla direttiva. Rispettare le competenze nazionali esclusive. Porre fine alle iniziative che incoraggiano l’accesso transfrontaliero all’aborto. Riaffermare l’umanesimo europeo e la difesa della vita in tutte le sue fasi.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News    

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