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Persecuzioni

Rapporto Open Doors 2024: in Asia perseguitati 2 cristiani su 5

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Presentata la World Watch List, lista dei 50 Paesi in cui si registrano i più alti livelli di discriminazioni ai danni di cristiani: 365 milioni i più colpiti nel mondo, dato in aumento dal 2023. La Corea del Nord stabile al primo posto. Per l’Asia seguono Yemen, Pakistan, Iran e Afghanistan. Nell’India undicesima preoccupa l’aumento degli atti ostili alla vigilia delle elezioni.

 

 

In Asia 2 cristiani su 5 subiscono alti livelli di persecuzione e discriminazione per ragioni di fede. Si tratta della macro-area al mondo maggiormente colpita da questa ferita, seguita da Africa (1 su 5) e America Latina (1 su 16). Su scala globale, i cristiani perseguitati sono oltre 365 milioni (1 su 7): la cifra più alta degli ultimi 31 anni. Gli atti ostili comprendono aggressioni, torture, rapimenti; nei casi estremi uccisioni. Ma non è solo violenza fisica: si riscontrano anche maltrattamenti e pressioni quotidiane sul luogo di lavoro, nell’accesso a sanità, istruzione e luoghi di culto, e una burocrazia spesso asfissiante.

 

È il triste quadro che emerge dal rapporto annuale dell’ong internazionale Open Doors sulla persecuzione dei cristiani nel mondo (World Watch List 2024) diffuso oggi, riferito al periodo ottobre 2022 – settembre 2023.

 

In Italia la WWL è stata presentata nella sala stampa della Camera dei Deputati, su invito dell’Intergruppo per la tutela della libertà religiosa dei cristiani nel mondo, rappresentato per l’occasione dall’on. Emanuele Loperfido. Presenti anche Timothy Cho, attivista nord coreano, e Cristian Nani, direttore di Porte Aperte/Open Doors dal 2015. «In 31 anni di ricerca registriamo un costante aumento della persecuzione anticristiana in termini assoluti. Il 2023 è stato un anno record», ha affermato quest’ultimo.

 

La World Watch List di Open Doors è realizzata ogni anno seguendo una specifica metodologia. L’organizzazione si serve del sostegno «dei cristiani perseguitati in oltre 70 Paesi», si legge nel rapporto, svolgendo ricerca sul campo grazie a numerose «reti locali». A queste si aggiungono ricercatori, esperti e analisti, per un totale di circa 4mila persona coinvolte. Sono circa 100 i Paesi «potenzialmente interessati dal fenomeno della persecuzione» e da questi ne emerge ogni anno una lista di 50, che rappresentano le situazioni più preoccupanti di persecuzione e discriminazione nei confronti dei cristiani appartenenti a tutte le denominazioni e confessioni.

 

Nella lista diffusa oggi la Corea del Nord, come accade ormai da anni, si conferma stabile al primo posto, seguita al secondo e terzo da Somalia e Libia. I Paesi che registrano un «livello estremo» di persecuzione sono saliti da 11 a 13 rispetto allo scorso rapporto. Guardando all’Asia e al Medio Oriente, oltre a Pyongyang sono presenti anche Yemen, Pakistan, Iran, Afghanistan, India, Siria e Arabia Saudita. A livello globale si rileva un crescendo dell’instabilità nell’area dell’Africa subsahariana, con un aumento della violenza perpetrata per motivi religiosi.

 

Diminuiscono invece le uccisioni di cristiani, da 5621 dello scorso anno alle 4998 registrate in questo rapporto. Il motivo è il calo rilevato in Nigeria, ma il Paese rimane lo stesso “epicentro di massacri” come purtroppo accaduto anche a Natale.

 

Preoccupante il numero, in aumento e difficile da raccogliere, delle vittime di «abusi, stupri e matrimoni forzati»: 3231 persone.

 

Aumento «senza precedenti» anche degli attacchi contro le chiese: da 2110 a 14766. Ad aggravare il quadro, poi, l’esportazione del «modello di persecuzione digitale» cinese e le violenze in India, cresciute con l’avvicinarsi delle elezioni. A ciò si aggiunge una rapida diffusione del fenomeno della Chiesa «profuga», accelerata dall’influenza di Cina e Russia. In Medio Oriente e Nord Africa, inoltre, «i cristiani si sentono sempre meno a casa», sottolinea il rapporto 2024.

 

Dando uno sguardo generale alla situazione in Asia e Medio Oriente, la Corea del Nord mantiene la prima posizione a causa della politica di «tolleranza zero per i cristiani» adottata dal regime di Pyongyang. Tra gli atti persecutori più rilevanti si annoverano «i rimpatri forzati di fuggitivi nordcoreani da parte della Cina», spiega Open Doors, che la configurano come un Paese in cui «essere scoperti cristiani è a tutti gli effetti una condanna a morte».

 

Segue lo Yemen, in quinta posizione. Si tratta, come Somalia e Libia, di una nazione rigidamente islamica dove l’«intolleranza anticristiana», alimentata da dinamiche tribali, «estremismo attivo» e «instabilità endemica», spinge i cristiani a vivere la loro fede spesso in segreto. Al settimo posto si trova il Pakistan, Paese stabile nei primi posti della lista da molti anni: dopo la Nigeria, è «la seconda nazione al mondo dove si manifesta più violenza anticristiana», si legge nella WWL.

 

Indicativo di ciò è l’attacco avvenuto a Jaranwala nell’agosto 2023. Segue al nono posto l’Iran, che scende di una posizione rispetto al rapporto 2023. Qui i cristiani, «cittadini di seconda classe», sono costretti a «incontrarsi in piccoli gruppi in casa»; il regime islamico infatti percepisce le chiese come «minacce», viene sottolineato. Al decimo posto si posiziona l’Afghanistan, dove si registra una diminuzione del «punteggio relativo alla violenza contro i cristiani», dovuta all’attenzione dedicata dai Talebani al consolidamento del proprio potere.

 

L’India è invece stabile all’undicesimo posto. «Denunciamo da anni il declino delle libertà fondamentali della minoranza cristiana, bersaglio di violenze e discriminazioni», comunica Open Doors. Segue al dodicesimo posto la Siria, Paese in cui «le sfide dei cristiani continuano ad essere numerose e gravi» e, infine, l’Arabia Saudita, al tredicesimo.

 

Qui il «piccolo numero di cristiani sauditi è lentamente cresciuto», spiega Porte Aperte, ma «ad un costo»: quello di maltrattamenti e vessazioni, nei confronti anche delle persone più giovani, perché la conversione dall’islam al cristianesimo è diffusamente considerata «inaccettabile».

 

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Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

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Il 4 agosto 2025, il Centro Europeo per il Diritto e la Giustizia (ECLJ) ha presentato una dichiarazione scritta al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulla drammatica situazione dei cristiani siriani dopo la presa del potere da parte dell’ex jihadista Ahmed al-Sharaa. L’ECLJ mette in guardia dal rischio che il modello di governo islamista centralizzato a Idlib si diffonda a livello nazionale.   Le cifre purtroppo parlano da sole: i cristiani siriani hanno perso tre quarti del loro numero dall’inizio della Primavera araba, passando da due milioni a 500.000 dopo la caduta di Bashar al-Assad. Da allora, l’esodo ha subito una pericolosa accelerazione. Un vescovo ha testimoniato che i suoi fedeli vogliono andarsene perché temono per i loro figli e mogli.   L’attacco del 22 giugno 2025 alla chiesa greco-ortodossa di Mar Elias a Damasco, che ha causato 25 morti e 63 feriti durante la messa, non li rassicura molto. Soprattutto perché il governo ha praticamente ignorato la questione.

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Le forze governative massacrano alawiti e drusi

Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città.   Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.  

La graduale islamizzazione della Siria

Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi.   Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.

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Sul fronte giudiziario, ex membri del regime di Assad sono stati perseguiti, ma non è stata aperta alcuna indagine contro figure di HTS integrate nel governo. I massacri di alawiti del marzo 2025 hanno portato all’arresto solo di pochi subordinati. «I gruppi armati vogliono farsi giustizia da soli senza aspettare l’istituzione di una giustizia pseudo-transizionale. Stiamo vivendo una giustizia di vendetta piuttosto che una giustizia di riconciliazione», ha confidato un leader cristiano.   Un opaco sistema di predazione è stato istituito sotto la guida del fratello del presidente, Hazem al-Sharaa. «È come se il partito laico baathista ora avesse una barba islamista», ha ironicamente commentato un leader cristiano. Un comitato segreto, composto da ex funzionari di HTS, ha recuperato oltre 1,6 miliardi di dollari di beni attraverso accordi riservati con gli oligarchi del precedente regime.   Di fronte a questi abusi, l’ECLJ invita gli Stati membri del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a:   – Riconoscere i cristiani in Siria come un gruppo a rischio. – Richiedere un’indagine internazionale indipendente sui recenti massacri. – Rafforzare le sanzioni mirate contro gli autori di violazioni dei diritti umani.   Queste raccomandazioni fanno parte di una dichiarazione formale da presentare al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite il 4 agosto 2025.   Articolo previamente pubblicato da FSSPX.News

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Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

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Prelevati la croce d’oro, chiavi, telefono e altri effetti personali al vicario generale Naaman. Due uomini hanno detto di appartenere alla «sicurezza» e lo hanno colpito, ferendolo. Attivisti contro i nuovi leader del Paese, incapaci di tutelare le minoranze. A Idlib dopo 14 anni riapre la chiesa di Sant’Anna.

 

Un nuovo episodio di violenza anti-cristiana alimenta le preoccupazioni della comunità ancora scossa dalla strage alla chiesa di Damasco e che fatica a «guarire le ferite» provocate dagli anni di guerra, dalla bomba della povertà e dall’ascesa al potere di una fazione islamica radicale HTS.

 

Nella serata del 2 settembre scorso (ma le informazioni stanno emergendo solo in queste ore), il corepiscopo Michel Naaman, vicario generale dell’arcidiocesi siro-cattolica di Homs, Hama e Al-Nabek, è stato derubato con pistole puntate alla tempia all’esterno della propria abitazione. Il religioso vive nel villaggio a maggioranza cristiana di Zaidal, a circa 7 km dalla città di Homs, dove è avvenuto l’attacco che secondo alcune testimonianze «gli è quasi costato la vita».

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Fonti locali raccontano che due uomini «armati e mascherati» lo hanno sorpreso, bloccandolo, sostenendo di essere membri di una milizia che auto-proclama della «Sicurezza generale». Lo hanno minacciato «con armi», prosegue il racconto, derubato «della sua croce d’oro assieme ad altri effetti personali», per poi abbandonarlo e fuggendo indisturbati.

 

Lo stesso corepiscopo Naaman ha confermato la violenza, raccontando di essere stato «sorpreso da uomini armati al rientro a casa» che «mi hanno minacciato con una pistola» premendolo contro il muro dell’abitazione per poi «sfilargli la croce d’oro» che conservava da oltre 50 anni. Assieme al simbolo religioso lo hanno derubato «di altri effetti personali», per poi abbandonarlo «in preda al panico e al tremore, da solo e senza chiavi di casa e portando via anche il telefono». «Sono un uomo di Dio» ha detto loro «non porto armi e non farò resistenza. Ma uomini preposti alla sicurezza non agiscono in questo modo».

 

Riguardo l’assalto il sacerdote siro-cattolico, che ha riportato ferite alla spalla strattonata dagli assalitori, ha poi aggiunto «di non aver temuto per me stesso, perché il mio pensiero andava alle vittime di simili aggressioni» e la sopravvivenza «era nelle mani di Dio». Egli ha infine ringraziato gli abitanti del villaggio e i sacerdoti che lo hanno soccorso dopo l’assalto.

 

Fra i primi a rilanciare, condannandolo, l’ennesimo episodio di violenze anti-cristiane nella Siria di Ahmed al-Sharaa e di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nuovi leader del Paese dopo il crollo repentino nei mesi scorsi del regime di Bashar al-Assad, vi è l’Assyrian Human Rights Monitor. «Questo doloroso incidente, che avrebbe potuto costargli la vita, non è semplicemente un crimine isolato, ma piuttosto» afferma il gruppo in una nota «un nuovo anello in una crescente catena di aggressioni contro cittadini innocenti, scuotendo la sicurezza e la stabilità della società». Padre Michel Naaman è stato «terrorizzato con il pretesto della “sicurezza”» che non risulta garantita a larghe fasce della popolazione siriana, a partire delle minoranze cristiana, alawita, fino ai drusi.

 

Il movimento attivista assiro punta il dito contro i nuovi leader legati ad HTS ritenendoli «direttamente responsabili» per due motivi: l’incapacità di garantire sicurezza e protezione ai cittadini, un compito che spetta allo Stato; la continua facilità con cui il personale preposto in linea teorica alla sicurezza ricorre a maschere e travestimenti per attaccare, colpire, incutere timore o coprire singoli o gruppi di malintenzionati. Invocando una «indagine immediata e trasparente» sull’incidente che ha coinvolto il corepiscopo, il gruppo invoca «misure rigorose ed efficaci per porre fine a tali pratiche criminali ricorrenti e ricostruire la fiducia tra cittadini e forze di sicurezza».

 

Infine, dalla Siria giungono anche notizie fonte di speranza per il futuro, in particolare nell’area dove a lungo hanno dominato gruppi jihadisti ed estremisti islamici anche quando nel resto del Paese era ancora presente il regime di Assad.

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Dal villaggio di al-Yaqoubiya, a ovest di Idlib, nella provincia settentrionale confinante con la Turchia e zona di origine degli attuali leader di HTS, arrivano immagini di festa per la riapertura della chiesa di sant’Anna. Nel fine settimana scorso l’arcivescovo armeno-ortodosso di Aleppo Makar Ashkarian ha celebrato la funzione che ha segnato l’inaugurazione del luogo di culto distrutto e abbandonato nel tempo.

 

La celebrazione di Sant’Anna si tiene tradizionalmente ogni anno nell’ultima settimana di agosto ed è una delle festività religiose più importanti per i membri della comunità ortodossa armena in Siria; dopo 14 anni si è potuta celebrare di nuovo una messa a Idlib, cui ha partecipato un consistente numero di pellegrini provenienti da Aleppo, Latakia, Hasakah, Damasco e altre ancora.

 

L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 2020 dopo il terremoto che ha colpito la regione su iniziativa del monachesimo francescano, spiega una fonte cristiana locale, per essere un simbolo di fermezza, radicamento e fede.

 

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Parlamentare finlandese trascinata di nuovo in tribunale per aver citato contro l’omosessualità

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La Corte Suprema finlandese ha fissato la data per l’udienza orale nel caso di libertà di parola che coinvolge la parlamentare finlandese Päivi Räsänen e il prelato luterano Juhana Pohjola. Lo riporta LifeSite.   Entrambe le figure erano state precedentemente assolte all’unanimità dalle accuse di «incitamento all’odio» da due tribunali di grado inferiore dopo aver espresso pubblicamente la propria fede cristiana. Con l’udienza fissata per il 30 ottobre 2025, la campagna di censura del pubblico ministero contro Räsänen e Pohjola entrerà nel suo settimo anno.   Räsänen, medico, ex ministro degli Interni finlandese e parlamentare dal 1995, è stata formalmente accusata di «agitazione contro un gruppo minoritario» nel 2021. È stata incriminata ai sensi di una sezione del codice penale finlandese intitolata «crimini di guerra e crimini contro l’umanità» per aver condiviso le sue convinzioni cristiane sul matrimonio e l’etica sessuale in un tweet del 2019, nonché in un dibattito radiofonico in diretta del 2019 e in un opuscolo parrocchiale del 2004.

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La Pohjola è stata incriminata per aver pubblicato l’opuscolo di Räsänen del 2004.   I processi di alto profilo tenutisi presso tribunali di grado inferiore hanno ricevuto notevole attenzione a livello mondiale, in particolare dopo che l’accusa ha attaccato i fondamentali insegnamenti cristiani e ha controinterrogato Räsänen e Pohjola sulla loro teologia durante le udienze in tribunale.   «Non è un reato twittare un versetto della Bibbia o impegnarsi in un dibattito pubblico da una prospettiva cristiana. I tentativi di criminalizzarmi per aver espresso le mie convinzioni hanno portato a degli anni estremamente difficili, ma spero ancora in un risultato positivo che costituisca un precedente fondamentale per la tutela del diritto umano alla libertà di parola in Finlandia», ha affermato Räsänen, nonna di 12 nipoti.   Due tribunali di grado inferiore avevano precedentemente assolto Räsänen e Pohjola da tutte e tre le accuse nell’aprile 2022 e nel novembre 2023. Il pubblico ministero ha presentato ricorso per la terza volta, portando le accuse relative all’opuscolo e al tweet alla Corte Suprema, che ascolterà le argomentazioni orali il 30 ottobre 2025.   In precedenza, la difesa aveva sostenuto in tribunale che l’uso della parola «peccato» da parte di Räsänen nel suo tweet, che l’accusa aveva definito «offensivo» e quindi illegale, era una citazione diretta dalla Bibbia, e qualsiasi sentenza che ne condannasse l’uso condannerebbe direttamente la Bibbia stessa.   Ad essere sotto processo, quindi, sarebbe la stessa Sacra Scrittura dei cristiani.   Durante l’importante processo davanti alla Corte d’appello nel 2023, l’accusa ha spesso attaccato i fondamentali insegnamenti cristiani e ha controinterrogato Räsänen, uno dei membri più longevi del Parlamento finlandese, e la Pohjola sulla loro teologia.

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Il procuratore di Stato finlandese, Anu Mantila, ha affermato che «si può citare la Bibbia, ma sono l’interpretazione e l’opinione di Räsänen sui versetti biblici a essere criminali». In pratica, è l’ermeneutica a divenire passibile di penale, e galera.   Come riportato da Renovatio 21, la Bibbia era stata assolta dal tribunale finnico due anni fa.   Non si tratterebbe tuttavia solo di una tendenza della magistratura del vecchio continente. Un sondaggio del 2023 in Inghilterra ha rilevato che un giovane britannico su quattro sarebbe pronto a censurare la Bibbia.

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