Persecuzioni
Il parroco di Gaza: il Natale in guerra e «l’angoscia» dei cristiani della Striscia
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Da Gerusalemme padre Romanelli è in contatto costante con il vice-parroco e i fedeli ospitati nella parrocchia. Le molte richieste a Israele di poter tornare «cadute nel vuoto». Egli è «voce e memoria» delle vittime cristiane e di quanti soffrono. Serve una tregua, a Gaza si muore anche per una influenza. «Un minuto in più di guerra» comporta «altri morti, feriti, malati non curati, distruzione».
I cristiani vivono «sentimenti contrapposti» perché, da un lato, considerano la chiesa, la parrocchia «un luogo sicuro» nonostante i bombardamenti ma, dall’altro, sono «angosciati» per i «segnali» che giungono «dall’esterno: [Israele] continua la guerra, non vi sono prospettive di tregua» e i missili «si fanno sempre più vicini».
È quanto racconta ad AsiaNews padre Gabriel Romanelli, il parroco della Sacra Famiglia a Gaza, bloccato a Gerusalemme (prima ancora a Betlemme) e impossibilitato a tornare nella Striscia dell’inizio del conflitto per la chiusura delle frontiere imposta da Israele.
I raid dell’aviazione e le operazioni sul terreno dell’esercito, prosegue, sono «ormai arrivate nella zona della parrocchia» tanto da «ferire quattro persone colpite dalle schegge» oltre a vari danni materiali: pannelli solari sui tetti, in particolare l’ex asilo dove oggi dormono centinaia di persone, al cui interno entra acqua per le tegole rotte, come pure nella sala adibita ad archivio della parrocchia. Centrati anche una cisterna e il tetto di una delle strutture delle suore di Madre Teresa. Bambini e adolescenti all’interno stanno bene – sottolinea padre Romanelli – ma hanno perso la scorta di acqua e la pioggia di questi giorni penetra all’interno».
Intanto anche fra i cristiani aumentano le vittime fra decessi collegati alla guerra e morti per l’impossibilità di cure mediche, almeno 22 sinora: «Nell’attacco alla chiesa greco-ortodossa – ricorda il parroco di Gaza – sono morte 18 persone, di cui 17 cristiani e un musulmano. Dopo alcuni giorni una signora, anch’essa ferita nei bombardamenti. Poi l’anziana colpita dai cecchini israeliani, il cui corpo è stato recuperato a distanza di giorni durante la breve tregua. E ancora, due uomini di cui uno nei primi giorni della guerra e un secondo, rifugiato in parrocchia, morto perché mancava una sala dove poterlo operare. Infine, un’ultima vittima nel sud, un luogo che si diceva sicuro: un uomo di 34 anni, che non ha potuto spostarsi nella parte nord della Striscia per essere operato di appendicite, che è degenerata uccidendolo».
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Bombe e crisi igienico-sanitaria stanno creando le condizioni per una «tempesta perfetta», come denunciano in questi giorni organizzazioni internazionali. «Oggi chi si ammala a Gaza – conferma padre Romanelli – in modo anche solo in minima parte serio rischia di morire, mancano cibo e acqua potabile. Poi iniziano a farsi sentire anche il freddo e l’umido» perché la temperatura arriva o scendo sotto i 10 gradi, mentre nei rifugi di fortuna, in chiesa e nei saloni di parrocchia e asilo «dove la gente dorme per terra, sopra materassi improvvisati, non vi è il riscaldamento». «Anche una influenza – spiega – rischia di causare problemi gravissimi».
Prima da Betlemme e oggi da Gerusalemme, il parroco vuole essere «voce e memoria» di queste persone che soffrono o che muoiono. «Sanno di non essere abbandonati – afferma padre Romanelli, parlando dei sentimenti con cui i parrocchiani vivono queste settimane di guerra – e sono uniti ai 2,3 milioni di abitanti della Striscia accumunati da una enorme sofferenza».
«Le telefonate quotidiane di papa Francesco, anche quando stava male e aveva poca voce, sono – prosegue il sacerdote – elemento di grande conforto e sostegno. Come pure la solidarietà e la vicinanza del patriarca [di Gerusalemme dei latini Pierbattista] Pizzaballa Ma vi è anche profonda delusione perché la comunità internazionale non riesce a trovare un accordo per una tregua che faccia cessare le bombe e favorisca l’ingresso di aiuti e medicine, anche nel nord dove vi sono 400mila persone. Perché i pochissimi aiuti vanno al sud, ma nella zona settentrionale non arriva nulla. La richiesta comune è di lavorare per la pace e la giustizia, oltre alla liberazione dei prigionieri» nelle mani di Hamas.
In questo contesto di conflitto, violenze e sofferenza, i cristiani della Striscia si apprestano a vivere il Natale che, un tempo, era un momento di festa. «È sempre un momento speciale – sottolinea padre Romanelli – ma oggi vi è anche grande tristezza e angoscia perché non dico la pace, ma non si riesce nemmeno a giungere a un cessate il fuoco. Un mese, una settimana, un giorno… anche solo un minuto in più di guerra significano altri morti, feriti, malati non curati, distruzione che già è enorme. Serve quantomeno una tregua permanente, come già avvenuto in passato quando vi sono stati conflitti» anche se, ammette con profonda tristezza il sacerdote, oggi a prevalere sembrano essere solo i venti di guerra.
In passato queste giornate per i cristiani di Gaza erano caratterizzate dalla visita del patriarca, con la messa celebrata alla Sacra Famiglia nella domenica precedente il Natale. «Quest’anno – racconta il sacerdote argentino del Verbo Incarnato – aveva pensato di fermarsi tre giorni e da mesi stavamo preparando l’evento. La prima comunione e le cresime di bambini e ragazzi, altri ancora vestiti da cardinale [in omaggio al neo porporato] e da santi con cartelli che raccontano la loro storia, fino alla visita ai malati e agli adulti che vivono soli… tutti eventi troncati dalla guerra. Oggi non è nemmeno possibile uscire dalla parrocchia, perché il pericolo di vita è reale».
Padre Romanelli vive «con sofferenza» queste settimane di conflitto e di lontananza: «Più volte abbiamo chiesto di poter rientrare» alle autorità israeliane, ma ogni appello è caduto nel vuoto. «Ciononostante, continuiamo a lavorare per la pace – aggiunge – e a raccontare quanto avviene in parrocchia. Sono in Medio oriente da 28 anni, la prima visita nella Striscia risale al 2005 e da quattro anni sono parroco a Gaza, conosco una a una le vittime cristiane, non ultimo un giovane padre di 30 anni che ho visto la prima volta quando era poco più che bambino».
Il sacerdote ci lascia ricordando le vittime e rinnovando la preghiera per la pace: «Certo Israele conta 5400 feriti oltre alle 1200 vittime circa [la gran parte delle quali nell’attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha innescato il conflitto nella Striscia], ma a Gaza i feriti palestinesi sono già oltre 50mila, compresi molti bambini con amputazioni, mentre i morti superano quota 18.600, di cui 7mila minori… basta, basta, basta!».
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Immagine dalla pagina Facebook di padre Romanelli via AsiaNews
Persecuzioni
Adolescente armato entra in chiesa durante le prime comunioni: fermato dai fedeli
USA
An anti Catholic terrorist was arrested after entering a Catholic Church with a rifle, intending to massacre children and families during a First Holy Communion ceremony in Abbeville, Louisiana pic.twitter.com/5MI36mq20t — Catholic Arena (@CatholicArena) May 12, 2024
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Persecuzioni
Arcivescovo prega nelle chiese distrutte in Manipur
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Un anno fa iniziavano le violenze tra Meitei e i Kuki che hanno dilaniato la Stato nord-orientale provocando almeno 220 morti. In una situazione che resta tesa e piena di ferite mons. Linus Neli ha indetto tre giornate di digiuno e preghiera: «conosciamo bene l’attuale scenario di segregazione etnica. Ma noi invochiamo il giorno in cui sapremo vivere di nuovo insieme e chiediamo gesti concreti alle autorità».
Da solo, in ginocchio con le braccia rivolte al cielo, tra le macerie della chiesa di San Giuseppe a Sugnu, una delle centinaia di chiese distrutte nel Manipur.
Con questa immagine risalente al febbraio scorso l’arcivescovo di Imphal, mons. Linus Neli, ha voluto aprire sui social network le tre giornate consecutive di digiuno e preghiera per la pace e la riconciliazione a cui ha chiamato a partire da oggi tutta la comunità diocesana nell’anniversario dell’inizio delle gravi violenze etniche che da un anno ormai insanguinano lo Stato nord-orientale indiano del Manipur.
«Ho detto al mio popolo: pregate per la pace e la riconciliazione, non rinunciate alla speranza» commenta mons. Neli ad AsiaNews. «Ma gli strumenti della pace sono molto deboli. Abbiamo bisogno di azioni concrete del governo statale e delle altre autorità. Che Dio ci doni forza e sapienza».
Tre giorni di digiuno e preghiera, come quelli terribili tra il 3 e il 5 maggio 2023, quando la violenza dilagò nella città di Imphal, abitata in prevalenza dei Meitei, e nell’area delle colline, dove vivono i Kuki. Un conflitto scatenato da conflitti sulle terre alimentati dai politici locali in quest’area molto povera dell’India. Ma è anche uno scontro che finisce per ammantarsi anche di motivazioni religiose, essendo la grande maggioranza dei Kuki popolazioni cristiane in uno Stato governato dai nazionalisti indù del VJP, sostenuti dalla maggioranza dei Meitei.
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Il bilancio ufficiale parla di almeno 220 morti, ma molte fonti ritengono questo numero ampiamente sottostimato. Oggi ci sono 60mila soldati federali a cercare di tenere separate tra loro le due comunità, con fiammate di violenza che avvengono ancora sporadicamente a livello locale. E soprattutto con migliaia di persone che hanno perso tutto e restano tuttora sfollate. Il disagio per una situazione tutt’altro che pacificata è emerso in maniera chiara anche qualche giorno fa, quando in Manipur hanno fatto tappa i seggi per le elezioni del parlamento federale a New Delhi, in corso in questo mese tutta l’India.
È dunque in questo contesto che l’arcivescovo Neli ha invitato tutti i fedeli cattolici dello Stato a vivere nel digiuno e nella preghiera questo triste anniversario. Nonostante infatti la situazione appaia relativamente più calma, «conosciamo fin troppo bene – ha scritto mons. Neli in un messaggio ai fedeli – l’attuale scenario di segregazione etnica e il fatto che diverse centinaia di nostri cittadini ancora languono in grande sofferenza, dolore e incertezza nei campi di soccorso e in condizioni indesiderate. Preghiamo costantemente per il giorno in cui le persone di tutte le etnie e comunità religiose possano vivere insieme pacificamente in questa bellissima terra del Manipur».
Ricordando le giornate terribile vissute dal 3 al 5 maggio 2023, l’arcivescovo invita a «inginocchiarci per intensificare le nostre preghiere per una genuina riconciliazione e per una pace nella giustizia tra tutti gli esseri umani».
Come altre comunità e organizzazioni, la Chiesa cattolica del Manipur in questi mesi è stata in prima linea negli interventi umanitari, nel dialogo di pace e nella costante preghiera per una rapida soluzione. Citando una pagina biblica del profeta Isaia (Is 57:18-19) mons. Neli spiega che «crediamo fermamente che Dio ascolterà le nostre preghiere e guarirà la nostra terra, guiderà e consolerà il nostro popolo, darà pace a quanti sono lontani e pace a quanti sono vicini».
Facendo umilmente appello a tutte le persone di buona volontà del Manipur affinché diano una possibilità alla pace, il presule conclude esortando i cattolici dell’arcidiocesi di Imphal a «vivere con intensità» il digiuno e la preghiera nelle loro rispettive parrocchie. Lui stesso oggi ha diffuso attraverso i social network alcune immagini che lo vedono solo in preghiera in alcune delle chiese bruciate e devastate nelle violenze e che tuttora restano inagibili. Secondo il censimento più aggiornato sono ben 369 le chiese che hanno subito devastazioni, come pure centinaia di templi indù.
Anche l’All Manipur Christian Organization – l’organismo che riunisce tutte le confessioni cristiane – ha fatto proprio l’invito a vivere in preghiera in questo anniversario convocando un incontro che si è tenuto questa mattina presso la Tangkhul Baptist Church nel quartiere di Dewlahland a Imphal.
Gesti importanti perché il ricordo di quanto avvenuto dodici mesi fa non si trasformi nuovamente in una miccia capace di riaccendere l’incendio nel Manipur.
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Immagine da AsiaNews
Persecuzioni
Due chiese francesi profanate in poche ore
Furto del tabernacolo a Livry-Gargan
Secondo il comunicato stampa del vescovado di Seine-Saint-Denis, è stato nella notte tra domenica 5 maggio e lunedì 6 maggio che il tabernacolo della chiesa Notre-Dame de Livry-Gargan è stato strappato dalla sua sede. L’osservazione è stata fatta dal parroco, padre Joseph Zhao, lunedì mattina intorno alle 8:00. Contattata, la polizia municipale è accorsa sul posto e ha trovato il tabernacolo abbandonato su un marciapiede cittadino. Apparentemente il tabernacolo era troppo pesante per essere trasportato. «Realizzato in marmo e ferro, il tabernacolo, installato nella chiesa solo un anno e mezzo fa, pesa più di 250 kg», spiega il comunicato. «Due agenti di polizia hanno cercato di sollevarlo e non sono riusciti a trasportarlo», precisa il sacerdote per il quale è impossibile che all’origine del furto ci sia una sola persona. Stranamente, però, non è stata notata alcuna traccia di effrazione. Le porte della chiesa non erano rotte. Padre Zhao ha sporto denuncia contro ignoti e sta cercando di trovare una soluzione con il municipio per migliorare la sicurezza dell’edificio, che è al quarto atto di vandalismo in un anno. Come precisa ancora il comunicato: «questa profanazione fa seguito a danni avvenuti in precedenza in questa stessa chiesa, come la distruzione dell’impianto audio qualche settimana prima e un tentativo di effrazione la sera del Giovedì Santo». Questa mattina, martedì 7 maggio, nella chiesa è stata celebrata una messa di riparazione. «Sono scandalizzato da questo atto», reagisce il sindaco di Livry-Gargan, Pierre-Yves Martin (Horizons). «Spero che le indagini chiariscano le circostanze di questo crimine e trovino i responsabili. Cambieremo le serrature della chiesa per rendere l’edificio più sicuro». Una telecamera è già posizionata all’ingresso della chiesa.Sostieni Renovatio 21
A Louvroil, rubato il Santissimo Sacramento
Poche ore prima, la chiesa della Sainte-Trinité a Louvroil (Nord) era stata presa di mira da una profanazione. Domenica 5 maggio, al mattino, un parrocchiano ha scoperto il tabernacolo vuoto. Il Santissimo Sacramento è stato rubato e da allora non è più stato ritrovato. «Abbiamo notato un tentativo di scasso nella sagrestia. Furono attaccati i tre tabernacoli, quello degli altari laterali e quello dell’altare centrale che contenevano un ciborio e la lunula [contenitore rotondo e trasparente contenente l’ostia per l’adorazione del Santissimo Sacramento, ndr]», racconta padre Pascal Romefort, decano di Val de Sambre, molto addolorato per questa profanazione. «È stupore totale, incomprensione. È molto preoccupante perché non sappiamo cosa ne faranno», lamenta il sacerdote. La parrocchia ha sporto denuncia e padre Romefort celebrerà mercoledì 8 maggio una messa di riparazione alla presenza del sindaco e del consiglio comunale. Tra tutte le profanazioni, quella che colpisce le ostie consacrate è la più grave, perché attacca direttamente Nostro Signore Gesù Cristo realmente presente nel Santissimo Sacramento. Viene punita anche con la scomunica. Articolo previamente apparso su FSSPX.news.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
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