Persecuzioni
Natale di paura in Nepal a causa del crescente odio anticristiano
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Alle 12 parrocchie del Vicariato Apostolico del Nepal è stato chiesto di adottare misure di sicurezza aggiuntive durante il periodo natalizio per via di possibili attacchi di estremisti indù. «Il Natale è un momento di festa gioiosa e dovremmo celebrarlo con gioia e non con paura», ha detto padre Silas Bogati, vicario generale del Vicariato Apostolico del Nepal.
Ai cristiani del Nepal è stato consigliato di stare in allerta durante il periodo natalizio a causa dei diversi episodi di violenza anticristiana accaduti nel Paese negli ultimi mesi a opera di gruppi estremisti indù: «c’è un senso di paura e insicurezza che si sta diffondendo nella comunità cristiana durante queste celebrazioni natalizie. Ci sentiamo esposti all’ostilità proprio perché siamo cristiani», ha detto a UcaNews padre Lalit Tudu, parroco della cattedrale dell’Assunzione nella capitale Kathmandu, la chiesa più grande del Paese. Che ha aggiunto: «Il diritto di praticare pacificamente la nostra fede è in una certa misura minacciato».
Tudu ha anche detto che alle 12 parrocchie del Vicariato Apostolico del Nepal è stato chiesto di adottare misure di sicurezza aggiuntive durante il periodo natalizio: «Le amministrazioni locali ci hanno fornito ulteriore sicurezza per organizzare il nostro Natale», ha sottolineato padre Lalit Tudu. Secondo il censimento nazionale del 2023, sono 513 mila i cristiani del Nepal e costituiscono meno del 2% della sua popolazione.
Ai partecipanti ai servizi religiosi inoltre viene chiesto di non portare borse o pacchetti come parte delle misure di sicurezza per evitare la possibilità che qualche membro di una cellula estremista porti in chiesa esplosivi.
La cattedrale di Kathmandu ha anche installato telecamere di sicurezza nei suoi locali. I cristiani nepalesi hanno dovuto affrontare diversi episodi di violenza a partire dallo scorso agosto, dopo che un video diventato virale sui social, sosteneva di mostrare membri di una comunità cristiana che mangiavano carne di manzo in un villaggio vicino alla città di Dharan, nel Nepal orientale.
Gli indù – che costituiscono l’80% dei circa 24 milioni di abitanti – più ortodossi considerano le mucche una rappresentazione della loro dea madre. Per questo odiano chiunque sia colto a mangiare carne di manzo. Queste accuse, riportate in modo pretestuoso anche nel video diventato virale in estate, hanno spinto i gruppi radicali indù ad attaccare sette chiese e alcuni membri della comunità cristiana in diverse parti del Paese.
Anche il partito di destra indù Rastriya Prajatantra (RPP o Partito nazionale popolare), in collaborazione con gruppi ultraortodossi indù, ha organizzato manifestazioni e proteste chiedendo il ripristino del Nepal come regno indù. Nel 2006, quando il Paese è diventato una nazione laica, il Natale è stato dichiarato giorno festivo nazionale. Dal 2018, però, le festività natalizie sono riservate ai soli cristiani.
In seguito alle violenze di agosto, i funzionari locali hanno allertato la Kathmandu International Christian Congregation e i leader locali cristiani di un «possibile attentato dinamitardo» contro la sua chiesa principale. Da allora le istituzioni cristiane sono in massima allerta, memori di quanto accaduto il 23 maggio 2009, quando alcuni membri di un gruppo fondamentalista indù hanno bombardato la chiesa uccidendo tre cattolici e ferendo 14 persone che partecipavano a un incontro di preghiera. Ma anche dell’aprile 2017 quando la cattedrale è stata danneggiata da un incendio doloso.
«Il Natale è un momento di festa gioiosa e dovremmo celebrarlo con gioia e non con paura», ha affermato padre Silas Bogati, vicario generale del Vicariato Apostolico del Nepal.
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Persecuzioni
Pakistan, conversioni forzate: tentato avvelenamento di un cristiano di 13 anni
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Saim era uscito di casa per andare a tagliarsi i capelli, quando una guardia di sicurezza, che aveva notato addosso al ragazzo una collana con la croce, ha iniziato a chiedergli di recitare preghiere islamiche. Il giovane, dopo essersi rifiutato, è stato costretto a ingerire una sostanza nociva.
In Pakistan si è verificato l’ennesimo tentativo di conversione forzata nei confronti di un ragazzo cristiano di 13 anni, costretto a ingerire una sostanza tossica dopo essersi rifiutato di abbracciare l’Islam.
L’episodio è avvenuto nella città di Lahore il 13 aprile: Saim era uscito di casa per andare a tagliarsi i capelli, ma è stato fermato da una guardia di sicurezza musulmana che aveva notato che il ragazzo aveva al collo una croce.
La guardia, di nome Qadar Khan, ha strappato la collana e costretto Saim a recitare una preghiera islamica, ma il ragazzo si è rifiutato, dicendo di essere cristiano. L’uomo ha quindi costretto Saim a ingerire una sostanza tossica nel tentativo di avvelenarlo.
Sono stati i genitori del giovane a trovare il corpo del figlio senza conoscenza dopo diverse ore che Saim mancava da casa. Il padre, Liyaqat Randhava, si è rivolto alla polizia ma ha raccontato di aver ricevuto un trattamento iniquo.
Gli agenti hanno registrato la denuncia solo dopo diverse insistenze e una copia del documento non è stata rilasciata alla famiglia di Saim, che ha detto inoltre che diverse parti del racconto non sono state incluse nella denuncia (chiamata anche primo rapporto informativo o FIR).
Joseph Johnson, presidente di Voice for Justice, ha espresso profonda preoccupazione per i crescenti episodi di conversioni religiose forzate in Pakistan e ha condannato quanto successo a Saim, aggiungendo che la polizia sta mostrando estrema negligenza nel caso. «Evitando di includere i dettagli cruciali nel FIR, la polizia ha sottoposto Saim e la sua famiglia a ulteriori abusi», ha affermato Johnson, chiedendo l’intervento del governo per un’indagine.
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Immagine di Guilhem Vellut via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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