Connettiti con Renovato 21

Satira

Altro malore di autista a Mestre, punito l’autobus a batteria

Pubblicato

il

Se il titolo qui sopra vi sembra strambo o sconnesso è un problema vostro: esso rappresenta precisamente la realtà.

 

Come avrete saputo, dopo la strage del bus caduto dal cavalcavia, Mestre si è trovata a fare i conti con un altro incidente ai mezzi di trasporto. Alle 21 del 14 ottobre l’autobus della linea 13 si è schiantato contro un porticato in via Carducci. L’incidente stavolta non ha provocato vittime, ma ci sono tredici persone ferite, nessuna in modo grave: la prognosi più dura è di 30 giorni. I passeggeri contusi sono stati tutti dimessi.

 

In ospedale è rimasto più a lungo l’autista, 60 anni. L’uomo avrebbe detto «ho visto tutto bianco, mi sentivo svenire ed ho perso il controllo del mezzo». La parola «malore» è dapprima ripetuta ovunque sui giornali.

 

«Questa volta non dovrebbero esserci dubbi: l’autista ha avuto un malore. C’è un referto medico, quello del pronto soccorso, che parla di episodio sincopale, dovuto forse a un improvviso calo di pressione» scrive Il Messaggero. Tutti i giornali nazionali, quindi, parlano di «malore dell’autista». Per poco, tuttavia.

 

Se pensavate che fosse arrivato finalmente il momento in cui si comincia ad analizzare questo nuovo, strano fenomeno dei malori di autisti di autobus e scuolabus, ovviamente, vi sbagliavate. E di grosso.

 

Perché i giornali già tornano sulla narrativa che avevamo visto con la strage del 3 ottobre: la colpa è dell’autobus, anzi, dell’autobus elettrico. È il Comune che detta la linea: «Ieri sera è avvenuto un secondo incidente che ha coinvolto un mezzo (…), un bus elettrico. Essendo dello stesso tipo di quello coinvolto nell’incidente del cavalcavia del 3 ottobre scorso, si è ritenuto di far sospendere il servizio di tutti gli autobus elettrici di questa azienda per effettuare un adeguato accertamento» ha dichiarato il sindaco Luigi Brugnaro, che parla di «una scelta prudenziale che abbiamo deciso di adottare e che ci sembra assolutamente doverosa».

Sostieni Renovatio 21

Ecco che si è riaperta la via per fuggire dalla versione del «malore», pure quando a testimoniarla è il diretto interessato. Attenzione perché a questo punto i giornalisti vengono sguinzagliati negli archivi: tutti in coro rivelano che a giugno un bus elettrico ha tamponato un camion.

 

«Un altro bus, uno Yutong E-12 elettrico, (…) fu infatti coinvolto nel pomeriggio dello scorso 16 giugno in un tamponamento lungo la statale Romea quando all’altezza di una rotatoria, a poche centinaia di metri dal centro commerciale, il mezzo finì contro un camion» ci informa Fanpage. «Fortunatamente a bordo non c’era nessuno».

 

Tre indizi fanno una prova: la colpa è degli infernali pulmini a batteria, falsi e imprevedibili, sadici e assassini come neanche in una storia di Steven King (Christine, oppure Brivido). È così: ma quale maggiordomo, l’autore del delitto è il bus. Agatha Christie attaccati al tram – ed è pure il caso di dirlo.

 

Pur di non affrontare il tema dei malori dei conducenti – e ci rendiamo conto dello sforzo che ci vuole, per ammettere questo rischio allucinante – parte il linciaggio del mezzo di trasporto, pure rasentando il politicamente scorretto: l’autobus è ecologico, come vuole il bon ton mondialista e pure il papa. Ed è pure cinese, ci dicono, ma qui però non scatta alcun razzismo: sono lontani i tempi del primo COVID, quello dell’«abbraccia un cinese a caso», con il presidente italiano e quello sinico che parlano di «amicizia eterna» tra le due Nazioni, una delle quali ha distrutto l’altra sifonandone via l’intera economia manifatturiera.

 

L’autobus, c’è da dire, era pure di colore rosa: ma al momento non risultano ancora commenti misogini e sessisti contro di esso, o, questo punto, di essa, o meglio, di ess*.

 

Avevamo visto le immagini dell’autobus assassino messo in castigo, in mezzo ad un deposito, solo, isolato, perché ancora armato e pericoloso (può scoppiare la batteria… alla faccia degli incentivi alle auto elettriche). Ora abbiamo capito che il linciaggio va ben oltre.

 

Di fatto, è già partita la retro marcia riguardo la strage di inizio ottobre: «Incidente di Mestre, nessuna evidenza di malore: ora avanza l’ipotesi del guasto al bus» titola il Corriere del Veneto. L’autista deceduto «potrebbe non aver avuto alcun malore», perché «pare che il primo esito dell’autopsia sia proprio la mancanza di evidenze chiare di un malore».

 

Insomma, il malessere improvviso esce di scena. Non tutti riescono a capire che razza di sospiro di sollievo devono tirare. E, guardate, che andranno avanti a ripetervelo, o meglio, a parlarvi delle colpe dei pulmini, guardrail, perfino – lo si sta facendo in queste ore – del dito rotto del conducente. Massì, è «il giallo del dito rotto dell’autista». In tanti ripeteranno: autobus, batteria, barriera di sicurezza, frattura al dito.

 

Non ascolteranno niente e nessuno, né i conducenti né le vittime, né la realtà e né il senso del ridicolo, perché continueranno a picchiare come fabbri su oggetti inerti, o qualsiasi altra cosa possa fungere da capro espiatorio e sviare la dissonanza cognitiva più micidiale del secolo: cosa sta succedendo? Perché la gente perde conoscenza d’improvviso mentre guida? Può capitare anche a me?

 

Niente importa, pur di non parlare dei malori improvvisi degli autisti, e dei piloti d’aereo, e dei conducenti dei treni – ai quali, ricordatevelo, bisogna affidare l’esistenza dei vostri figli.

 

Adessi quindi state zitti, prendete un bastone e venite anche voi a linciare un bus elettrico. Sarà catartico.

 

Roberto Dal Bosco

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21



 Immagine screenshot da YouTube
 

Animali

Le orche di Gibilterra affondano una barca a vela. È ora di dire basta

Pubblicato

il

Da

Un gruppo di orche ha assalito e affondato uno yacht turistico con cinque persone a bordo al largo delle coste portoghesi, nei pressi della spiaggia di Fonte da Telha, a sud di Lisbona.   L’episodio, riportato dal giornale britannico The Independent, si è verificato sabato scorso. I cinque occupanti sono stati tratti in salvo da un’altra imbarcazione prima che lo yacht affondasse. Un video condiviso su Instagram da Mercedes-Benz Oceanic Lounge mostra un’orca che colpisce ripetutamente lo yacht, causandone l’inclinazione e l’affondamento, mentre un testimone esclama «Mio Dio».   Poche ore dopo, lo stesso branco, noto per le ripetute aggressioni di questi anni attacchi nei pressi di Gibilterra, ha attaccato un’altra barca nella baia di Cascais, con quattro persone a bordo, anch’esse soccorse senza riportare ferite. Dal 2020, centinaia di attacchi simili da parte di orche sono stati registrati vicino alla penisola iberica.   Due settimane fa, in Galizia, due imbarcazioni sono state assalite a breve distanza di tempo da una coppia di orche, appartenenti allo stesso branco guidato dalla famigerata orca femmina nota come «White Gladis». Le agenzie stampa scrivono in coro che «gli etologi» suggeriscono che questo comportamento possa essere di natura imitativa o una «reazione difensiva dovuta a un trauma».  

Sostieni Renovatio 21

L’Autorità marittima nazionale del Portogallo ha dichiarato di aver ricevuto un avviso alle 12.30 «a causa di un’interazione con le orche (…) Gli equipaggi della stazione di salvataggio di Cascais e della Capitaneria del porto di Lisbona sono stati immediatamente attivati».   «Una volta giunti sul posto, si è constatato che l’equipaggio stava bene fisicamente, senza aver bisogno di assistenza medica, essendo stato trasportato con l’aiuto di una barca turistica nelle vicinanze».   Una nave di soccorso marittima spagnola è intervenuta dopo che le imbarcazioni sono state speronate dalle orche a pochi minuti di distanza l’una dall’altra nelle acque della Galizia. I soccorritori hanno rimorchiato in porto la nave danneggiata dalle orche prima di essere allertati di un altro attacco.   Da maggio 2020, i ricercatori hanno documentato centinaia di episodi – almeno uno al giorno! – di orche che attaccano proditoriamente vascelli umani nei pressi della penisola iberica, dando vita a diverse teorie e ricerche sull’aumento di questa tendenza comportamentale. Gli attacchi in genere prevodono il distacco del timone da parte delle orche, che poi procedono a danneggiare lo scafo.   L’ignominia dell’accademia e dei dei mezzi di stampa, che cianciano di una banda capitanata dall’orca matriarca chiamata «White Gladis», la quale sarebbe stata traumatizzata, non conosce né pudore né vergogna. La teoria dell’Orca cattiva perché offesa dagli uomini non solo non può avere alcun fondamento, ma viene ripetuta dalle agenzie come ennesima riprova della propaganda antiumana automatica, della Necrocultura di default promanta senza posa dalle centrali del mondo moderno.  
 
Visualizza questo post su Instagram
 

Un post condiviso da Terra Incógnita (@oceaniclounge)

 

Iscriviti al canale Telegram

E quindi, eccoci ancora qui: danni per milioni di euro ed esseri umani messi in pericolo dalla torma delle killer whales iberiche.   Renovatio 21, che è l’unica testata che – con ostinazione, tra le proteste e pure gli insulti di tanti lettori (che non capiscono il senso metapolitico né comico di quanto andiamo scrivendo) – sta da anni veramente seguendo il fenomeno, dice ancora una volta: è il momento di dire basta.   La teppa orcina di Gibilterra troppo a lungo è stata tollerata. Alla ghenga di cetacei bianconeri va insegnata la legge dell’essere, che altri animali (compresi alcuni della loro stesse specie), comprendono benissimo: l’essere umano, fatto ad Imago Dei, è in cima alla piramide della vita, e non può essere toccato.   Una punizione severissima, se non la pena ultima, va comminata a questa mafia balenottera. Del resto, riflettetici: cosa si fa ad un cane «problematico»… ? Perché i cetacei –  nonostante ripetute prove della loro pericolosità e delle loro sadiche perversioni cannibaliche, drogastiche, vestimentarie, scatologiche e sessuali – godono di questo status di razza protetta? In India c’è la vacca sacra, perché nell’Occidente terminale deve esserci il delfino sacro?   Uno Stato serio provvederebbe subito a risolvere il problema. Un’appalto una bella baleniera giapponese, un gruppetto di islandesi o abitanti delle isole Fær Øer, «un paio di pinze ed una buona saldatrice», direbbe il Marcellus Wallace di Pulp Fiction. «Cura medievale» per le balene assassine, e sgherri con le nocche tatuate ACAB, nel senso del capitano di Moby Dick (pazienza se manca un’acca).   Se l’Unione Europea avesse un senso, prenderebbe subito provvedimenti, visto che ad essere in pericolo sono i suoi cittadini. Diciamo di più: se uno Stato non protegge i suoi membri (che ne rispettano le leggi e lo finanziano pure con tante, troppe tasse) a cosa serve davvero? Ecco: benvenuti nel paradosso dello Stato moderno, denunziato ogni giorno da Renovatio 21, una macchina programmata per umiliare ed uccidere gli esseri umani invece che per proteggerli.

Aiuta Renovatio 21

Perché uno Stato degno davvero di chiamarsi così, avrebbe già mandato un sommergibile (che attualmente non fanno nulla, se non muoversi negli abissi nella battaglia navale virtuale con i russi, con i quali nemmeno siamo in guerra, ufficialmente). Due siluri e il problema è bello che risolto. Provino, le orche assassine e stronze, ad affondare un sottomarino militare. Provino   Come indicato da Renovatio 21, un’idea di quello che si può fare dopo che la punizione della combriccola di mammiferi acquatici ce lo indica un ristorante di Yokohama. Sì, un bel pranzetto celebrativo a base di orca non è una prospettiva impossibile.   Anzi un banchetto in cui le orche non sono invitate sulle sedie, ma sui piatti, è auspicabile come deterrente non di poco conto: visto l’esibizionismo mostrato in un recente episodio al largo di Mossel Bay, in Sudafrica, dove un’orca ha aggredito uno squalo bianco per mangiarne il fegato dinanzi ai ricercatori, si potrebbe pensare una bella barchetta con tavolata, come di quelle che si vedono a Venezia la sera della Festa del Redentore, a consumare davanti alle stesse orche lasciate vivere le carni dei loro compagni di scorribande. Dicono che sono così intelligenti: ecco, allora potrebbero capire, e passare parola. Con gli esseri umani non si scherza. Chi tocca il figlio di Dio, viene punito.   Facciamo capire alla schifosa masnada pinnata chi comanda. È più che un imperativo metafisico e biologico, è una questione politica. Politica comunitaria vera e propria: della Comunità Europea, e della comunità umana.   È ora di dire basta. No alla prepotenza cetacea. Sì all’eccezionalismo umano.   Botte alle orche, per la legge naturale.   Roberto Dal Bosco

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
   
Continua a leggere

Satira

La rete impazzita per Greta trasformata in He-Man

Pubblicato

il

Da

Greta Thunberg, passionaria un tempo giovanissima della causa climatica, è ora alle prese con un oceano di lazzi scatenatisi in rete per il look esibito nelle ultime sue apparizioni.

 

La ragazza, ora in forze alla protesta nautica (motorizzata a combustibile fossile) della flotilla pro-palestinese, ha scioccato tutti con un taglio di capelli conosciuto tecnicamente come pageboy («taglio da paggio» medievale) che a molti ha ricordato un personaggio dello cartone Shrek, il principe Farquaadd. Ai più, tuttavia, ha ricordato un altro personaggio dei disegni animati, He-Man, il protagonista della serie anni Ottanta Masters of the Universe.

 

Sostieni Renovatio 21

La Greta, evidente strumento mondialista che anni fa smuoveva (con il consenso dei governi!) milioni di studenti per i gli scioperi del «venerdì climatico» e parlava all’ONU («how dare you…») arrivando sulla barca a vela «Malizia II» con il principe (quello sì, tipo) monegasco marito della giornalista santoro-travagliana Isabella Borromeo, ora a ridotta a zimbello della rete, con la piattaforma X eretta a quartier generale degli zimbellatori, che zimbellano come non ci fosse un domani.

 

È un fiume zimbellante inarrestabile. He-Greta è realtà.

 

 

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Tuttavia, molti sono offesi al riferimento, magari pure involontario, al biondo personaggio della Mattel. Parlare di He-Man significa toccare l’infanzia di tanti individui della generazione X.

 

Lo stretto collaboratore di Renovatio 21 Francesco Rondolini, possessore di un copia originale del Castello di Greyskull (così come un altro tizio che scrive per la testata, che se lo porta dietro da quando aveva otto anni, quello e pure la Cittadella del Serpente) ci fa sapere tutta la sua indignazione: «non è giusto, ma come si permette… giù le mani da He-Man, giù le mani dai Masters, i pupazzi della nostra infanzia».

 

Al culmine dell’ira funesta, Francesco ci manda pure un video di pochi secondi della sua collezione: un grattacielo impressionante di concrezioni in plastica di fantasie antiche. Lo He-manno è visibile all’ultimo piano della teca, dove, evolianamente, cavalca la tigre.

 

Iscriviti al canale Telegram

Pupazzi che citano pupazzi, la vertigine socio-metafisica sale di brutto.

 

Non si tratta del primo assalto che i fan del biondo forzuto devono subire. Anni fa è emerso l’interesse delle torme omotransessualiste, che hanno tentato di trasformare l’eroe del pianeta Eternia in un’icona gay, con saggi accademici sul sottotesto omoerotico del cartone e continui meme sui sul suo rapporto con altri muscolosi personaggi, incluso il perfido deutoragonista Skeletor.

 

 

He-Man si traduce letteralmente come «lui-uomo», e forse è questo che attrae la popolazione gaia, che con la figura del maschio, secondo un certo pensiero psicanalitico, ha un rapporto incompleto – da qui la passione per ruoli in teoria molto maschili, come quelli dei Village People: il poliziotto, l’indiano, il pompiere, il marinaio… etc.

 

Sappiamo dell’esistenza dei «Bear», gli «orsi», un sottogruppo di omosessuali il cui ideale erotico è l’uomo grande, grosso, villoso: in pratica Babbo Natale. Un’ammissione implicita, secondo la teoria psicologica (da Sigismondo Freud alla cosiddetta terapia riparativa di Joseph Nicolosi) proibita e censuratissima, dei problemi del rapporto con la figura paterna, che è stata troppo debole o assente…

 

E Greta cosa c’entra? in effetti sembra un po’ mascolina nelle foto, ma non sappiamo nulla delle sue vere inclinazioni – questo gossip globalista ce lo hanno risparmiato, e ci saranno delle ragioni. Possiamo attaccare un paio di sinapsi, e ricordare che il transessualismo, secondo sempre più studi, pare correlato allo spettro autistico, e ci era stato detto che la ragazzina era Asperger: ma sono illazioni, e siamo convinti che la diagnosi psichiatrica spiattellata urbi et orbi possa fare parte del trend globale, partito da Hollywood diversi anni fa, di glamourizzare l’autismo, visto che la sua crescita è inarrestabile almeno quanto l’ascesa dei vaccini e dei loro obblighi.

 

Ci colpisce, tuttavia, nella foto che sta facendo il giro della rete, qualcos’altro. L’icona climatico-oligarchica, schiena leggermente curva e gambette un po’ piegate, sembrerebbe infatti come spingere con le budella, uno sforzo che taluni ritengono possibile leggerle pure in volto. Come mai? Non è che…

 

Aiuta Renovatio 21

Ricordiamo che certi gas organici, nella narrazione climatista, sono il grande nemico da abbattere: i peti prodotti dalla civiltà che si alimenta a carne bovina, sostengono gli scienziati, sono la causa della catastrofe ambientale in atto – e di qui ai progetti eccezionali, spesso ben finanziati da Gates, come quelli per i tecno-pannoloni anti-scureggia per le mucche

 

Anche di questo aspetto della nuova incarnazione pro-pal (dopo essere stata pro-Ucraina, ovvio) della svedese non abbiamo lumi, e non ci interessa nemmeno: anche perché, viste certe conferenza stampa in cui faceva scena muta, non siamo sicuri che se glielo chiedessimo saprebbe risponderci.

 

Il campione catodico laico (diciamo così) Piero Angela diceva che la prima vera Greta Thunberg che aveva conosciuto portava i baffi e si chiamava Aurelio Peccei – vero, grande signora della Necrocultura depopolazionista, vero e proprio inventore, committente dell’ambientalismo moderno.

 

Ecco, un bel suggerimento: la prossima volta, Greta, vai con i baffoni. Magari la gente ride meno.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine screenshot da YouTube; modificata

 

 

 

 

 

Continua a leggere

Satira

Auguri e figli gender

Pubblicato

il

Da

Accade a Padova, provincia del Veneto bigotto e benpensante, di sani e robusti principi morali e costituzionali. Un assessore (assessora, cioè), che ha appena dato alla luce una creatura, è riuscito/a a fare della propria riproduzione una notiziona planetaria grazie a una spontaneissima trovata: il superamento del fiocco monocromatico. Niente più rosa, niente più celeste, ecco il fiocco arcobaleno, tinto dell’ineffabile iride omotransessualista.    L’assessoressa, che porta l’impegnativo cognome di Colonnello (da cui possibili cortocircuiti istituzionali dal sapore golpista: «assessore colonnello», anzi «assessora colonnella»), lo aveva già annunziato al Gay Pride dello scorso 31 maggio, cui aveva partecipato, cinta con la bandiera della gaiezza a mo’ di pareo, insieme al suo concittadino sempre sul pezzo, l’onorevole Zano.   «Mio figlio o figlia non avrà un fiocco rosa o azzurro per indicare il sesso bensì arcobaleno, simbolo di inclusione e di libertà». Ed eccallà. La stampa riporta strafelice che l’assessore colonnello è stato di parola: accanto alla puerpera – si può dire, puerpera? – compaiono cinque (perché cinque? c’è qualche numerologia simbolica LGBTina che ci sfugge?) coccarde arcobalenate.  
 
Visualizza questo post su Instagram
 

Un post condiviso da Jack Calcetto (@anticosimo)

Sostieni Renovatio 21

Nihil novum sub sole: la pratica lungimirante di delegare al diretto interessato la libera scelta del proprio sesso è inveterata tra le star hollywoodiane, e perché mai un’assessor* piddina non dovrebbe conformarvisi.   Evvi tuttavia qualche ragionamento da farsi riguardo al nome scelto per la creatura. Molto gettonato per chi programma la neutralità sessuale della prole è Andrea, perché in effetti basta varcare la soglia della provincia autonoma di Bolzano e Andrea diventa femmina. Invece, secondo le cronache, al piccolo colonnello è stato imposto (quale inaccettabile prepotenza!) il nome di «Aronne». Biblica nomea, all’apparenza, tutta maschile. Come si concilia con l’arcobaleno? Ma dove è poi finita la strombazzata libertà del neonato?    E perché non Aronnə con lo schwa? Capiamo che non è facile trovarlo sulla tastiera, ma si poteva allora optare per Aronn*, in attesa dell’autodeterminazione onomastica del pargolo (a che età? E se poi strada facendo cambia idea?). Ancora meglio, considerando gli ingombri delle lettere, sarebbe stato un «Aaronn*», con quella doppia «a» davanti che può arricchirlo di un effetto di stupefazione. Con lo stesso numero di lettere, ad una certa, la «a» in eccedenza a inizio parola potrebbe essere trasportata infine, come desinenza: vi presento Aronna. A meno che, ora che ci pensiamo, Aronne non sia stato scelto già come termine femminile, ma plurale: le Aronne. Sappiamo che in effetti per qualche ragione il genderismo anglofono consiglia l’uso di pronomi plurali (they/them) per le persone cosiddette «non binarie», o meglio per chi vuole.   Ragionandoci su, ci rendiamo conto però che si tratta di problemi inesistenti: con la sfolgorante carriera della carriera alias per tutti, qualsiasi studente può cambiare nome al volo, e pretendere di farsi chiamare col nuovo nome da tutta la scuola anche senza passare all’anagrafe. Che poi, pure il passaggio all’anagrafe per il cambio (di sesso, di nome, etc.) non è che sia cosa difficile: si può già fare, senza bisogna di castrazioni o chirurgie plastiche, in tanti Paesi, come la vicina Svizzera, o la Germania, dove si può fare una volta l’anno, da cinque anni in su. In futuro si potrà fare, molto presumibilmente, più volte. Lo si farà, se non lo si fa già, via internet, dal telefonino, con la app.   Insomma: perché mai, a questo punto, intraprendere quello sforzo indicibile che è la scelta del nome per la creatura (mettendo insieme gusti, statistiche, date, santi, faccia) quando questa può sceglierselo democraticamente in autogestione più in là? Se può scegliersi il sesso, perché non può scegliersi il nome?   Facciamo ufficialmente una proposta seria allo Stato moderno: ma perché mai dare nomi ai bambini, che poi magari non sono quelli che vogliono? Non sarebbe molto più facile assegnare loro un codice numerico, e via? Ad una certa, potranno sbloccarlo, come si fa quando si sceglie la password di un nuovo account dopo quella provvisoria iniziale, e piazzarci l’appellativo che vogliono, magari pure capolavori di digitazione come X Æ A-12, l’eccezionale, battaglianavalesco nome del figlio di Elone e dell’allora concubina cantante.   Si immagini la dolcezza sottesa alla nostra proposta: «THX1138, è pronta la cena!». A emettere l’annuncio qui, ovviamente, non è la madre, ma il genitore 1, oppure quello 2.   Havvi, infine, da farsi una considerazione riguardo al passare del tempo e dei costumi – o tempora, o mores, direbbe Ciceron* – con i relativi rischi: se a uno scappa «auguri e figli maschi», in quali conseguenze incorre? Denunzie? Rieducazioni? Deportazioni? Torture? Sostituzione coatta del nome anagrafico?   Che non sia il caso di conformare tutti al mondo nuovo? Suggeriamo all’onorevole Zan* di prendere spunto dal lieto evento che lo vede coinvolto per presentare un veloce disegnino di legge – un articoletto e via – per istituire, come unico auspicio proferibile a chi ancora si ostina a fare i figli con l’utero senza sesso predefinito, «auguri e figli gender».    Roberto Dal Bosco Elisabetta Frezza

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
 
Continua a leggere

Più popolari