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«Bergoglio lavora per lo scisma». Intervista di mons. Viganò

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Renovatio 21 ripubblica l’intervista di Aldo Maria Valli a monsignor Carlo Maria Viganò apparsa sul blog del del vaticanista Duc in Altum.

 

 

Eccellenza, ritengo sia il caso di ripartire da quanto Lei affermava rispondendo alla mia domanda sulla logica seguita da Bergoglio nelle ultime nomine cardinalizie. Lei spiegava:

 

«La logica di Bergoglio è evidentissima: vuole creare le premesse di uno scisma, che a parole nega e deplora, ma che sta preparando da tempo. Bergoglio vuole separare, in un modo o nell’altro, la parte buona dei fedeli e dei chierici dalla Chiesa ufficiale; e per riuscirci, per far sì che si allontanino dal Sinedrio modernista, sta mettendo nei posti chiave della Curia Romana quei personaggi che garantiscano la peggiore gestione dei Dicasteri loro affidati, col peggior risultato possibile e il maggior danno per il corpo ecclesiale».

 

«Le progressive restrizioni alla celebrazione della Liturgia antica servono per confinare i conservatori in riserve di caccia, da cui far loro spiccare il volo verso la Fraternità San Pio X, non appena il Sinodo porterà alle loro logiche conseguenze i cambiamenti dottrinali, morali e disciplinari che sono in cantiere e causerà un esodo di Cattolici in quello che, dopo la soppressione o la normalizzazione degli Istituti Ecclesia Dei, diventerà il “monopolista” della Tradizione. Ma a quel punto – quando cioè i Cattolici tradizionali saranno migrati nella Fraternità e i suoi capi crederanno di aver ottenuto una vittoria sulla concorrenza del soppresso Summorum Pontificum – una nuova provocazione intollerabile costringerà anche la Fraternità San Pio X a prendere le distanze dalla Roma bergogliana, sancendo la “scomunica” del tradizionalismo, non più rappresentato in seno alla Chiesa ufficiale, ammesso che mai lo sia stato. Per questo a mio parere è importante conservare una certa parcellizzazione, in modo da rendere più complessa la manovra dolosa di estromissione dei Cattolici tradizionali dal corpo ecclesiale».

 

«Diaconesse, abolizione del celibato ecclesiastico, benedizione delle coppie omosessuali, tolleranza per la poligamia, la teoria gender, l’ideologia LGBTQ, panteismo ecologista à la Teilhard de Chardin: sono questi i punti di scontro che deliberatamente Begoglio sta aprendo tra l’ala conservatrice (ma non tradizionalista, già distante o fuori dai giochi) e quella ultraprogressista. Il suo scopo è creare lo scontro, lasciarlo crescere, incoraggiare con nomine e promozioni i fautori delle istanze più estreme, per poi assistere alla prevedibile reazione di condanna dei pochi buoni Vescovi, sacerdoti e religiosi rimasti, i quali dinanzi al trabocchetto di Bergoglio avranno due scelte: tornare a subire in silenzio o alzarsi, denunciare il tradimento della Verità cattolica ed essere costretti a lasciare il proprio posto e a esercitare il Ministero nella clandestinità o quantomeno nell’apparente irregolarità canonica».

 

«Una volta ostracizzati i Pastori scomodi e allontanati i fedeli conservatori, la gerarchia bergogliana potrà esercitare il pieno controllo su clero e popolo, certa dell’obbedienza di chi è rimasto. E questa setta, che di cattolico avrà solo il nome (e forse nemmeno più quello), eclisserà totalmente la Sposa dell’Agnello, nel paradosso di una Gerarchia traditrice e corrotta che abusa dell’autorità di Cristo per distruggere la Sua Chiesa».

 

La logica, insomma, sembra essere quella di creare le condizioni perché i veri cattolici abbandonino la barca di Pietro. È così?

Guardi, già nel 2019 Bergoglio disse chiaramente di non temere uno scisma. E mentre affermava che «gli scismatici sempre hanno una cosa in comune, si staccano dal popolo, dalla fede del popolo, dalla fede del popolo di Dio», aggiungeva: «La morale dell’ideologia ti porta alla rigidità, e oggi abbiamo tante scuole di rigidità dentro la Chiesa, che non sono scisma, ma sono vie cristiane pseudo-scismatiche che finiranno male: quando voi vedrete cristiani, vescovi, sacerdoti rigidi, dietro di loro ci sono dei problemi, non c’è la sanità del Vangelo». Come al solito, accusava i Cattolici di ciò che si apprestava egli stesso a compiere.

 

Per evidenziare ulteriormente la strategia adottata da Bergoglio Lei richiama il saggio di un autore americano che già nel 2018 metteva in luce alcune linee che hanno poi trovato puntuale conferma. Ce ne vuole parlare?

Certamente. L’autore è Patrick Archbold e il suo saggio è apparso in cinque puntate, appunto nel 2018, su Creative Minority Report. Il titolo è Actuating schism, ossia «Realizzare uno scisma».

 

In questo saggio l’autore, con grande lucidità, delinea quella che a suo parere sarebbe stata l’azione dolosa dell’Argentino volta a causare deliberatamente uno scisma in seno alla Chiesa Cattolica.

 

Scriveva Archbold:

 

«Possiamo star certi che questo processo continuerà. Sinodi manipolati per produrre risultati finalizzati a continuare a palleggiare l’eresia sul campo da gioco. (…) La Chiesa si è trovata in uno stato di scisma de facto per qualche tempo, ma coloro che non seguono più gli insegnamenti della Chiesa si sono rifiutati di andarsene. Pur non essendo membra vive della Chiesa, vi ricoprono ruoli importanti. Non vogliono fondare una loro chiesa alternativa né una gerarchia parallela: al contrario, hanno agito sul lungo termine per appropriarsi del nome cattolico e della sua struttura gerarchica. Non volevano una loro chiesa: volevano la nostra. Adesso hanno il potere e lo usano».

 

E ancora:

 

«Questa è dunque la domanda: come facciamo a sbarazzarci di quei cattolici che stanno combattendo contro il nostro potere? Come liberarsi dei fedeli cattolici che, per definizione, si aggrappano tenacemente all’unica vera Chiesa? Come allontanare i veri cattolici dalla Chiesa? Come trasformare uno scisma de facto in uno scisma reale?»

 

E qui Archbold tratteggia sapientemente lo schema adottato dal Comitato Centrale di Santa Marta, individuandolo alcune costanti rilevabili in diversi casi: i Francescani dell’Immacolata, il vescovo Rogelio Livieres Plano in Sudamerica, il vescovo Martin Holley negli Stati Uniti, le Petites Sœurs de Marie Mère du Rédempteur in Francia. A questa breve lista potremmo aggiungere i nomi di molti altri Vescovi e Comunità religiose – specialmente femminili – che hanno potuto sperimentare da allora la misericordia bergogliana.

 

Il sistema è sempre il medesimo: la Visita apostolica con brevissimo preavviso, nessun resoconto sugli esiti, nessun rapporto sulle eventuali criticità riscontrate, nessuna possibilità di chiarimento o di difesa per chi è fatto oggetto dell’indagine.

 

«Il messaggio e il metodo sono chiari. Quando vogliono che te ne vada, possono farti andare via. Non stanno neanche più seguendo le procedure e si sentono dispensati dal rispettare le norme del giusto processo previste dal Diritto Canonico. Ciò dovrebbe mettere sul chi vive qualsiasi Vescovo, ed è esattamente questo il punto».

 

Parallelamente a questa azione canonica del tutto illegittima, gli emissari di Bergoglio non esitano a intimidire i Vescovi e le comunità dal dare accoglienza a quanti vengono ostracizzati: ricordiamo bene quando padre Fidenzio Volpi partecipò irritualmente all’Assemblea della CEI per fare terrorismo sui Francescani dell’Immacolata, minacciando l’Episcopato di non incardinare i frati conservatori nelle loro Diocesi.

 

«Ma quando le regole hanno permesso ad altri Vescovi di fornire una via possibile di fuga alle vittime, quei presuli sono stati minacciati e le regole sono state cambiate in modo da assicurarsi che nessun Vescovo permettesse a nuovi gruppi di fedeli cattolici di costituirsi in una diocesi molto lontana».

 

Mi sembra che Traditionis custodes sia proprio l’espressione di questo piano…

Esatto. Traditionis custodes ha avocato alla Santa Sede la facoltà di erigere canonicamente istituti «tradizionali» e ha fatto comprendere ai Vescovi che nessun sacerdote secolare avrebbe ottenuto il permesso di celebrare secondo l’antico rito. La cancellazione di Summorum Pontificum va in questa direzione, è evidentissimo. Basti pensare al caso, tra gli altri (…) alle Suore domenicane di Marradi, che guarda caso si trovano in una situazione non diversa dalle Petites Sœurs de Marie Mère du Rédempteur: «Hanno commesso il doppio crimine di essere un po’ troppo conservatrici e di possedere beni immobili bramati dall’Ordinario del luogo». Una proprietà su un poggio affacciato sulla Val d’Orcia o un enorme convento del Seicento sull’Appennino. Lo stesso è avvenuto per il Carmelo di Arlington, in Texas, dove la furia contro il conservatorismo delle monache è giunta a diffamare vergognosamente la Madre Priora, sottoposta a commissariamento e dimessa in violazione alle norme canoniche. Anche lì, un Monastero con vasto terreno e un giacimento di petrolio.

 

Ma mentre il Vaticano non esita a limitare i diritti dei Vescovi quando possono aiutare la sopravvivenza di qualche comunità tradizionale, significativamente li amplia al di là del diritto – sanando irregolarità e abusi dei propri lacchè – se ciò serve a sopprimerle e perseguitarle. A ciò si aggiungano la Costituzione Vultum Dei Quærere e l’Istruzione Cor Orans, con cui Bergoglio priva le comunità monastiche della loro autonomia e le irreggimenta in federazioni sotto lo stretto controllo ultra-progressista – e la riprogrammazione in stile cinese – del sedicente Dicastero per i Religiosi.

 

«I media cattolici approvati dal politburo vi diranno che la sinodalità è tutta una questione di decentralizzazione del governo della Chiesa più vicino al popolo, sul modello delle Conferenze Episcopali. Questo, ovviamente, non potrebbe essere più lontano dalla verità. In un’incredibile conferma della menzogna, prima che l’inchiostro fosse addirittura asciutto sul documento sinodale sulla sinodalità, il Papa è intervenuto personalmente per castrare pubblicamente la Conferenza Episcopale Americana, prima ancora che pensasse anche solo di discutere di fare qualcosa di inutile sullo scandalo degli abusi. Si sarebbe trattato comunque di una questione puramente formale, anche per gli osservatori della Chiesa più esperti».

 

Archbold riassume questo schema con le seguenti parole:

 

«Si tratta di assicurarsi che nessun Vescovo ortodosso refrattario possa costituire un bastione della Tradizione e offrire uno spazio sicuro per il Cattolicesimo tradizionale. Egli non può permettere che nuovi gruppi di Religiosi si formino nella sua Diocesi, non può invitare le Suore tradizionali ad aprire una casa nella sua Diocesi, e se fa qualcosa di troppo tradizionale, sarà il destinatario di una Visita Apostolica per il crimine di non andare d’accordo con la sua Conferenza Episcopale. Tutto ciò ha comportato la chiusura di tutte le vie di fuga per i Cattolici tradizionali».

 

A questo punto Archbold cita un passo dell’Arte della guerra di Sun Tzu: «a un nemico circondato, devi lasciare una via di fuga». E glossa:

 

«Per circondare il nemico, si devono chiudere tutte le vie di fuga. Occorre catturare il nemico, i Cattolici tradizionalisti e i conservatori che hanno assunto la pillola rossa, concentrandoli tutti in un luogo dove si sentono più sicuri, prima di dargli la mazzata finale. Ma la mazzata è imminente. […] Credo che intendano abolire il Summorum Pontificum e il diritto individuale dei sacerdoti a dire la Messa e far convergere tutti i Cattolici tradizionali in una o poche fonti approvate, forse la Fraternità San Pietro e l’Istituto di Cristo Re o qualche altra entità creata dalla Commissione Ecclesia Dei, laddove non sia possibile chiudere l’affare con la Fraternità San Pio X. […] Ci riporteranno all’era dell’Indulto e ci ammasseranno in alcuni gruppi (Fraternità San Pietro, Istituto di Cristo Re etc.) e in alcuni centri di indulto esentati dalla liturgia ordinaria. Poi dichiareranno – e i loro servi leccapiedi nei media cattolici mainstream andranno in brodo di giuggiole – che questa non è una mossa anti-tradizionale: “Il Papa non ha abolito una sola Messa tradizionale, si tratta solo di un atto di governo”. Così il gioco è fatto. Qualsiasi gruppo approvato che resista ai cambiamenti o si lamenti troppo forte verrà sottoposto alla Visita Apostolica e verrà eliminato per aver rifiutato di sottomettersi al Pontefice. Qualsiasi comunità diocesana dell’Indulto che opponga resistenza verrà fatta fuori. E ogni Cattolico che pensi di poter scendere nelle catacombe e avere solo Messe celebrate in case private? No: i singoli sacerdoti non hanno più il diritto di dire la Messa. Chi ci prova vuol dire che si rifiuta di sottostare all’autorità del Papa: è uno scismatico, e così pure qualsiasi Vescovo. O si accetta la sottomissione al Vaticano II o si è considerati scismatici. Qualsiasi tentativo di vivere un’autentica vita cattolica tradizionale, sia come religioso, o semplicemente frequentando la Messa antica, ti renderà automaticamente uno scismatico. Se ti rivolgi alla Fraternità San Pio X sei scismatico. Se vai a una Messa clandestina, sei scismatico. Se costituisci un gruppo di fedeli sotto una regola tradizionale senza il permesso di Roma, sei scismatico. Trasformeranno qualsiasi tentativo di vivere una vita cattolica tradizionale in un atto di disobbedienza».

 

Sembra chiaro, monsignore, che a distanza di cinque anni l’allarme lanciato dal lungimirante saggio di Archbold si è dimostrato fondato. Ma, come giustamente si chiedono tanti chierici, religiosi e fedeli, a questo punto in quale modo possiamo resistere a questa azione eversiva, se qualsiasi strada da noi intrapresa può farci accusare di scisma?

La risposta la troviamo nella ferma resistenza di chi ci ha preceduto: dall’eroismo dei Martiri e dei Confessori della Fede alla silenziosa fedeltà di moltissimi Cattolici – chierici, religiosi e laici – che nel corso dei secoli si sono trovati dinanzi alla stessa scelta: scegliere la via larga e comoda del compromesso e dell’apostasia o la via stretta e impervia della fedeltà a Cristo. Una scelta spesso dolorosa, ma alla quale ci ha preparati il Signore: Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa (Mt 10, 34-36).

 

Questa spada – che San Paolo identifica con la spada dello Spirito, la Parola di Dio (Ef 6, 17) – separa i fedeli di Cristo da una gerarchia ribelle e corrotta, i religiosi dai loro Superiori eretici, i sacerdoti dai loro Vescovi modernisti. E i nostri nemici sono quelli della nostra casa, i nostri parroci, i Vescovi, e colui che usurpa il Soglio di Pietro per diffondere l’errore e la divisione.

 

Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! (Mt 18, 7). Queste parole ci ammoniscono sulla gravità degli scandali presenti – dottrinali, morali e liturgici – e sulla loro inevitabilità, data dal temporaneo trionfo dei malvagi, prima del Giudizio finale. Ma ci esortano parimenti a resistervi, a denunciarli, a non darli per normali solo perché sono diffusi ad ogni livello della vita quotidiana.

 

Non dimentichiamo che da sessant’anni ci siamo abituati a vedere usare l’autorità dei Pastori contro i fedeli e contro la Chiesa stessa, mantenendo un’apparenza di legittimità formale. Lo stesso «Concilio» – l’unico Concilio che stia tanto a cuore ai modernisti, perché è l’unico di cui essi sono artefici e che non ha nulla di cattolico – fu un colossale inganno ai danni del corpo ecclesiale, perché manteneva l’autorevolezza di un Concilio Ecumenico pur insinuando fraudolentemente dottrine eterodosse; manteneva l’autorità dei Padri e del Romano Pontefice proprio quando essa era usata per demolire l’edificio cattolico; imponeva obbedienza cieca e servile a norme in contrasto con l’ininterrotto e immutabile Magistero.

 

Fu una frode l’abolizione della Liturgia tradizionale, voluta con apostolica autorità da Paolo VI. E non è meno doloso il tentativo attuale di cancellare il Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI con un analogo Motu proprio – apparentemente della medesima efficacia canonica – che non ha come scopo il bene della Chiesa e la salvezza dei fedeli, ma la rovina di entrambi. D’altra parte, anche l’accusa di blasfemia che il Sinedrio mosse a Nostro Signore aveva tutte le apparenze di un’azione formalmente ineccepibile, pur essendo intrinsecamente illegittima e nulla, perché usata contro il divino e innocentissimo Legislatore.

 

L’autorità può trovare obbedienza in virtù della propria autorevolezza, o imporsi con l’autoritarismo. Nel primo caso il potere è esercitato per il fine per cui è stato istituito; nel secondo diventa esso stesso il fine.

 

L’autoritarismo sovverte l’ordine divino – tanto nelle cose temporali quanto in quelle religiose – perché prescinde dall’unica Autorità di Cristo e dalla vicarietà dell’autorità terrena che Lo rappresenta. Esso agisce insomma come se una persona costituita in autorità – un governante, un Vescovo – possedesse in sé la propria legittimazione, e non in quanto vicaria dell’autorità di Cristo. Ciò fa di lei un potere eversivo, svincolato da ogni dovere di conformarsi alla volontà di Cristo nel perseguire il bonum commune, e per ciò stesso destinata inesorabilmente a trasformarsi in odiosa tirannide.

 

 

 

Fine prima parte

 

 

 

 

Immagine di Republic of Korea via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

 

 

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Verso il liberalismo omotransumanista. Tucker Carlson intervista Dugin

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Il giornalista americano Tucker Carlson ha pubblicato una potente intervista con il filosofo russo Aleksandr Dugin. La conversazione è stata pubblicata lunedì sul sito Tucker Carlson Network e sul suo canale YouTube.

 

L’incontro è avvenuto durante in viaggio di Carlson a Mosca – città nella quale Dugin gli dà il benvenuto – per la notoria intervista che il californiano ha ottenuto con il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.

 

Come riportato da Renovatio 21, Dugin in un editoriale aveva sottolineato l’intervista di Carlson a Putin come un evento epocale in grado di riunire due anime della società russa, sia quella tradizionalista che quella filo-occidentale. Durante il suo soggiorno a Mosca – dove secondo alcuni sarebbe pure scampato ad un attentato, cosa di cui non vuole parlare – Tucker ha voluto incontrare Dugin, perché, racconta, curioso delle sue idee.

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Nella sua introduzione, il giornalista statunitense – dopo aver detto di credere ai servizi segreti americani quando dicono che la figlia di Dugin, Darja Dugina, è stata uccisa dagli ucraini – racconta di essere interessato a sentire qualcuno i cui libri sono stati proibiti dall’amministrazione Biden: quando lavorava ancora a Fox, Carlson fece un servizio sull’improvvisa sparizione dei libri di Dugin da Amazon, fenomeno notato da Renovatio 21 due mesi prima.

 

Parlando con il filosofo, ha quindi deciso di filmare i discorsi. Secondo Alex Jones, Carlson avrebbe filmato molto materiale, di cui è uscito questo segmento editato.

 

La conversazione pubblicata, della durata di 20 minuti, è stata particolarmente ricca di spunti di pensiero.

 

 

Carlson chiede a Dugin cosa sta succedendo nei paesi di lingua inglese: «gli Stati Uniti, il Canada, la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda, l’Australia hanno deciso all’improvviso di rivoltarsi contro se stessi con questo grande tumulto. E alcuni comportamenti sembrano molto autodistruttivi. Da dove pensa, come osservatore, che provenga questo?»

 

«Credo che tutto sia iniziato con l’individualismo» risponde Dugin. «L’individualismo era una comprensione sbagliata della natura umana, della natura dell’uomo. Quando si identifica l’individualismo con l’uomo, con la natura umana, si tagliano tutti i suoi rapporti con tutto il resto. Quindi si ha un’idea molto particolare del soggetto, del soggetto filosofico come individuo».

 

Qui Dugin offre una visione in linea con quella del tradizionalismo cattolico: «tutto è iniziato nel mondo anglosassone con la riforma protestante e prima ancora con il nominalismo: l’atteggiamento nominalista secondo cui non esistono idee, ma solo cose, solo cose individuali» spiega il filosofo.

 

«Quindi l’individuo, era la chiave ed è tuttora il concetto chiave che è stato posto al centro di un’ideologia liberale e del liberalismo poiché, nella mia lettura, è una sorta di processo storico e culturale, politico e filosofico di liberazione, dell’individuo, di qualsiasi tipo di identità collettiva, collettiva o che trascenda quella individuale».

 

«Tutto è iniziato con il rifiuto della Chiesa cattolica come identità collettiva, dell’impero, dell’impero occidentale come identità collettiva. Successivamente si è trattato di una rivolta contro uno Stato nazionalista come identità collettiva a favore di una società puramente civile. Dopo quella guerra, nel XX secolo ci fu la grande battaglia tra liberalismo, comunismo e fascismo. E il liberalismo ha vinto ancora una volta. E dopo la caduta dell’Unione Sovietica è rimasto solo il liberalismo».

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«Francis Fukuyama ha giustamente sottolineato che non esistono più ideologie all’infuori del liberalismo… il liberalismo, cioè la liberazione degli individui da ogni tipo di identità collettiva» spiega Dugin, citando il politologo noto negli anni Novanta per la nozione di «fine della Storia» a seguito del crollo del blocco sovietico.

 

«Erano rimaste solo due identità collettive da cui liberarsi: l’identità di genere perché è identità collettiva. Sei un uomo o una donna collettivamente (…) Quindi una liberazione dal genere. E questo ha portato ai transgender, alla comunità LGBT e a una nuova forma di individualismo sessuale. Quindi il sesso è qualcosa di facoltativo».

 

«Questa non era solo una deviazione del liberalismo. Erano elementi necessari per l’attuazione e il vincitore di questa ideologia liberale. E l’ultimo passo non ancora compiuto è la liberazione dall’identità umana. L’umanità è facoltativa. E ora stiamo scegliendo te in Occidente. Stai scegliendo il sesso che vuoi, come vuoi».

 

«L’ultimo passo in questo processo di liberalismo, nell’attuazione del liberalismo, significherà proprio l’umano come opzionale. Quindi puoi scegliere la tua identità individuale per essere umano, e per essere non umano. Questo ha un nome. Transumanesimo. Postumanesimo. Singolarità. Intelligenza artificiale».

 

«Klaus Schwab, Harari, dichiarano apertamente che il futuro dell’umanità è inevitabile. Arriviamo così alla storica stazione terminale: cinque secoli fa, siamo saliti su questo treno ed ora stiamo finalmente arrivando all’ultima stazione. Quindi questa è la mia lettura».

 

«Tutti gli elementi, tutte le fasi di questo, tagliano la tradizione con il passato. Quindi non sei più protestante. Sei un materialista ateo laico. Non hai più lo Stato nazionale che servì ai liberali per liberarsi dall’impero. Ora lo Stato nazionale diventa a sua volta un ostacolo. Ti stai liberando dallo Stato nazionale. Infine, la famiglia viene distrutta a favore di questo individualismo».

 

«E poi l’ultima cosa, il sesso, che è già quasi superato. Sesso facoltativo. E nella politica di genere c’è solo un passo per arrivare agli estremi di questo processo di liberazione, di liberalismo, cioè l’abbandono dell’identità umana come qualcosa di prescritto. Quindi essere liberi dall’essere umani, avere la possibilità di scegliere tra essere e non essere umani».

 

«Questa è l’agenda politica, l’agenda ideologica di domani. Ecco perché, come vedo il mondo anglosassone che mi ha chiesto» dice Dugin a Carlson. «Penso che sia solo avanguardia, perché è iniziato con gli anglosassoni, l’empirismo, il nominalismo, il protestantesimo. E ora siete in vantaggio con gli anglosassoni che sono più prosciugati dal liberalismo rispetto agli altri europei».

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Carlson procede con una domanda di approfondimento: «quindi le opzioni – per come le concepivo crescendo – erano l’individuo che può seguire la propria coscienza, dire quello che pensa, difendersi dallo Stato contro lo statalismo, il totalitarismo incarnato nel governo contro cui si lottava: il governo sovietico. E penso che la maggior parte degli americani la pensi in questo modo. Qual è la differenza?»

 

«Penso che il problema risieda in due definizioni di liberalismo» puntualizza Dugin. «C’è il vecchio liberalismo, il liberalismo classico. E nuovo liberalismo. Quindi il liberalismo classico era a favore della democrazia. Democrazia intesa come potere della maggioranza, del consenso, della libertà individuale. Ciò dovrebbe essere combinato in qualche modo con la libertà dell’altro».

 

«Ora siamo già completamente nella prossima stazione, nella fase successiva: il nuovo liberalismo. Ora non si tratta del governo della maggioranza, ma del governo delle minoranze. Non si tratta di libertà individuale, ma di wokismo. Quindi puoi essere così individualista da criticare non solo lo Stato, ma anche l’individuo, la vecchia concezione dell’individuo. Quindi ora hai bisogno di essere invitato a liberarti dall’individualità per andare oltre in quella direzione».

 

Dugin ricorda di averne parlato con Fukuyama in TV, «Come ha già detto in precedenza, la democrazia significa il governo della maggioranza. E ora si tratta del dominio delle minoranze contro la maggioranza, perché la maggioranza potrebbe scegliere Hitler o Putin. Quindi dobbiamo stare molto attenti con la maggioranza, e la maggioranza dovrebbe essere tenuta sotto controllo e le minoranze dovrebbero governare sulla maggioranza. Non è democrazia, è già totalitarismo».

 

«Ora non si tratta della difesa della libertà individuale, ma della prescrizione di essere woke, di essere moderni, di essere progressisti. Non è un tuo diritto essere o non essere progressista. È tuo dovere essere progressisti e seguire questo programma. Quindi sei libero di essere un liberale di sinistra. Non sei più abbastanza libero per essere un liberale di destra. Devi essere un liberale di sinistra. E questo è una sorta di dovere. È una prescrizione. Il liberalismo ha lottato nel corso della sua storia contro ogni tipo di prescrizione. E ora è diventato a sua volta totalitario, prescrittivo e non più libero com’era».

 

«E le crede che questo processo sia stato inevitabile? Sarebbe comunque successo?» domanda il Tucker.

 

«Percepisco qui una sorta di logica. Quindi un tipo di logica che non è solo un ritorno o una deviazione. Inizi con uno scopo: vuoi liberare l’individuo. Quando arrivi al punto in cui è possibile, viene realizzato. Quindi è necessario andare oltre. Da questo momento inizia la liberazione dalla vecchia comprensione dell’individuo in favore di concetti più progressisti. Non ci si poteva fermare qui. Questa è la mia visione».

 

«Quindi se dici “Oh, preferisco il vecchio liberalismo”, direbbero, i progressisti, direbbero, non si tratta del vecchio liberalismo, ma di fascismo: divieni il difensore del tradizionalismo, del conservatorismo, del fascismo. Quindi fermati qui. O divieni progressista liberale o sei finito, o ti cancelleremo. Questo è ciò che osserviamo».

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«E vedere i sedicenti liberali bandire il suo libro, che non è un manuale per fabbricare bombe o invadere l’Ucraina» dice Carlson. «Sai, queste sono opere filosofiche. Ti dice che non è, ovviamente, non è liberale in alcun senso. Mi chiedo però, quando si arriva al punto in cui l’individuo non riesce più a liberarsi da nulla, quando non è nemmeno più umano. Qual è il prossimo passo?»

 

«Ciò è descritto nei film, nei film americani, nei film, in molti modi. Quindi penso che, sai, tutta la fantascienza, quasi tutta quella del XIX secolo, è stata realizzata nella realtà negli anni Venti. Quindi non c’è niente di più realistico della fantascienza. E se consideriamo Matrix o Terminator, abbiamo tantissime versioni del futuro più o meno coincidenti, il futuro con la situazione post-umana o umana opzionale o con l’Intelligenza Artificiale», replica Dugin.

 

«Hollywood ha realizzato molti, molti, molti film. Penso che rappresentino correttamente la realtà del prossimo futuro. Ad esempio, se consideriamo l’uomo, la natura umana, come una specie di animale razionale, allora con la nostra tecnologia si può produrli, così da poter creare animali razionali o combinarli o costruirli con l’Intelligenza Artificiale».

 

«È una specie di re del mondo. Direi che non solo può manipolare, ma creare realtà perché le realtà sono solo immagini, solo sensazioni, solo sentimenti. Quindi penso che il futurismo post-umanista sia non solo una sorta di descrizione realistica di un futuro molto possibile e probabile, ma anche una sorta di manifesto politico. Questo è un pio desiderio».

 

«Il fatto che i film non descrivono un brillante futuro tradizionale. Non conosco nessun film sul futuro e sull’Occidente che dipinga un ritorno alla vita tradizionale, alla prosperità, alle famiglie con molti figli… e tutto è abbastanza nell’ombra, abbastanza oscuro. Quindi, se sei abituato a dipingere tutto di nero soprattutto nel futuro, quindi questo futuro nero una volta arriva e penso che sia il fatto che non abbiamo altra scelta. O Matrix o Intelligenza Artificiale o qualcosa del genere o Terminator. Quindi la scelta è già fuori dai limiti dell’umanità. E questa non è solo fantasia, credo. Questo è una sorta di progetto politico. Ed è facile immaginarlo, poiché abbiamo visto i film, seguono più o meno da vicino questa agenda progressista, direi».

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Carlson procede con un’ultima domanda, chiedendo del fenomeno per cui «per oltre 70 anni un gruppo di persone in Occidente e negli Stati Uniti, liberali, hanno difeso efficacemente il sistema sovietico e lo stalinismo, e molti vi hanno partecipato personalmente spiando per Stalin, lo ha sostenuto nei nostri media» dice il giornalista. «Amavano Boris Eltsin perché era ubriaco. Ma nel 2000, la leadership di questo Paese è cambiata e la Russia è diventata il loro principale nemico. Quindi, dopo 80 anni e passa di difesa della Russia, si sono messi ad odiare la Russia. Che cosa è tutto questo? Perché il cambiamento?»

 

«Penso che, prima di tutto, Putin sia un leader tradizionale. Quando Putin salì al potere, fin dall’inizio, ha cominciato a sottrarre il nostro Paese, la Russia, all’influenza globale. Così ha iniziato a contraddire l’agenda progressista globale. E queste persone che sostenevano l’Unione Sovietica erano progressisti, che hanno avuto la sensazione di avere a che fare con qualcuno che non condivide l’agenda progressista e che ha tentato con successo di restaurare i valori tradizionali, la sovranità dello Stato, il cristianesimo, la famiglia tradizionale».

 

«Questo non era evidente fin dall’inizio, da fuori. Ma quando Putin ha insistito sempre di più su questa agenda tradizionale, direi, sulla particolarità e spiritualità della civiltà russa come un tipo speciale di regione del mondo che aveva e ha ora, pochissime somiglianze con i progressisti, gli ideali progressisti. Quindi penso che abbiano scoperto, abbiano identificato cosa esattamente è Putin. È una sorta di leader, un leader politico che difende i valori tradizionali».

 

Solo di recente, un anno fa, Putin ha emanato un decreto di difesa politica dei valori tradizionali. É stato un punto di svolta, direi. Ma gli osservatori del campo progressista in Occidente, penso che lo abbiano capito correttamente fin dall’inizio del suo governo. Quindi, questo odio non è solo casuale, qualcosa di casuale o uno stato d’animo. Non lo è… È metafisico».

 

«Quindi, se il tuo compito principale e il tuo obiettivo principale è distruggere i valori tradizionali, la famiglia tradizionale, gli stati tradizionali, le relazioni tradizionali, le credenze tradizionali e qualcuno con l’arma nucleare – questo non è l’argomento più piccolo, ma nemmeno il meno importante – può resistere e difendere i valori tradizionali che stai per abolire… Ecco, penso che ci sia qualche fondamento per questa russofobia e per l’odio per Putin. Quindi non è solo un caso. Non si tratta di un cambiamento irrazionale dal filosovietismo alla russofobia. È qualcosa di più profondo direi. Questa è la mia ipotesi».

 

Tanto, tanto materiale su cui riflettere.

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Immagine screenshot da Tucker Carlson Network

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Buona festa dei lavoratori! Ve lo ripetono da tutte le parti, del resto è una festa importantissima per la Repubblica: il Venerdì Santo, il giorno in cui Dio muore per l’umanità secondo quella che in teoria è la religione maggioritaria del Paese, si lavora. Il giorno dei morti, pure. Il Primo maggio, invece, no: vacanza.   Questo basterebbe a far comprendere qual è la vera religione che lo Stato italico vuole imporre alla sua popolazione – del resto, il suo libro sacro, la Costituzione, scrive al suo primo articolo che la Repubblica stessa è fondata sul lavoro – espressione incomprensibile, se non comprendendo la smania sovietica che avevano i comunisti e la sciocca acquiescenza dei democristiani che glielo hanno lasciato scrivere, accettando pure di lasciare fuori dalla Carta la parola «Dio».   Il dio della Costituzione, il dio della Repubblica è il lavoro?

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La divinizzazione politica di un concetto astratto, di un’attività umana, non solo l’indice della volontà di laicizzazione dello Stato. Poggia, essenzialmente, nel rigetto di avere per la cosa pubblica il fondamento del Cristianesimo.   Non è un caso che la festa del dio-lavoro avvenga l’indomani della notte di Valpurga, ritenuta nei secoli un momento di vertice dell’ attività del male sulla Terra – in genere, su Renovatio 21, facciamo ogni anno un articolo sull’argomento, annotando gli eventi concomitanti. La realtà è che la festa del Primo maggio è un tentativo di inculturazione, o meglio, di reintroduzione di usanze pagane – in particolare la festa celtica chiamata Beltane, di cui parla anche J.G. Frazer nel suo studio su magia e religione dell’antichità europea Il ramo d’oro.   La prima menzione di Beltane è nella letteratura irlandese antica dell’Irlanda gaelica. Secondo i testi altomedievali Sanas Cormaic (scritto da Cormac mac Cuilennáin) e Tochmarc Emire, Beltane si teneva il 1° maggio e segnava l’inizio dell’estate. I testi dicono che, per proteggere il bestiame dalle malattie, i druidi accendevano due fuochi «con grandi incantesimi» e guidavano il bestiame in mezzo a loro.   La vulgata progressista del Primo maggio, nata nel secondo Ottocento, si attacca quindi a questo sostrato antico, non cristiano, alla guisa di come ha fatto la Chiesa con alcune festività nel corso dell’anno.   Quindi: un nuovo dio, una nuova religione. Ma il problema è che neanche i suoi stessi sacerdoti ci credono. I loro discorsi – i loro incantesimi – sono inganni, sempre più infami, sempre più ridicoli.   Abbiamo sentito ieri il segretario generale CGIL Maurizio Landini dichiarare che «il governo Meloni difende il fossile e nega il cambiamento climatico, come si può pensare di cambiare modello di produzione?». Lo ha detto ad un evento dell’«Alleanza Clima Lavoro», di cui apprendiamo l’esistenza. Stendiamo un velo pietoso sull’attacco ai combustibili fossili, che fossili non sono (no, il petrolio non è succo di dinosauro!), che dimostra un allineamento con i gruppi ecofascisti più estremi e grotteschi visti negli ultimi anni – e pagati da chi, possiamo intuirlo.   Quindi: prima il «clima», poi i lavoratori. L’intero sistema industriale va cambiato per favorire l’ambiente, non l’uomo che lavora: conosciamo questa solfa, ora condita automaticamente dal terrorismo climatico. Si tratta di un’idea che avanza da tanto tempo, e si chiama deindustrializzazione.   Come abbiamo ripetuto tante volte su questo sito, la deindustrializzazione altro non è che deumanizzazione. Cioè, riduzione non dei lavoratori, ma della quantità stessa di esseri umani che camminano sul pianeta. Ciò era chiaramente esposto nelle opere di Aurelio Peccei e compagni oligarchi, quando l’élite – la stessa che stava dietro al Club di Roma, Club Bilderberg, WWF, etc. – cominciò a lavorare decisamente alla riduzione della popolazione.   Non è possibile diminuire il numero di esseri umani sul pianeta se si continua a produrre. Perché l’industria – il lavoro – dà cibo, e il cibo dà la vita, e la vita si moltiplica. La filiera dell’essere deve essere interrotta, molto prima. Niente industria, niente lavoro, niente vita. Niente persone. Niente umanità. Ora potete capire da dove vengono la povertà e la fame, che sembrano di ritorno anche nel Primo Mondo.   In alcuni testi risalenti a più di mezzo secolo fa, la cosa era messa nera su bianco: avrebbero creato deliberatamente un concetto prima sconosciuto, quello di inquinamento, per avere uno strumento di controllo del comportamento di popoli e Nazioni. Se ci pensate, anche questa è una scopiazzatura del cattolicesimo: non il peccato, ma l’impronta carbonica. Non il peccato originale, ma l’essere umano in sé, alla cui nascita c’è già un debito ecologico personale importante. Non la Santa Trinità, non l’Incarnazione, ma Gaia, dea terrifica che si fa pianeta.   Non ci sorprende, ma nondimeno continua a riempirci di orrore, vedere che chi è pagato per difendere i lavoratori è in realtà alleato delle forze che ne vogliono l’eliminazione. Lo aveva capito, con decenni di anticipo, il filosofo marxista Gianni Collu, che nel libro Apocalisse e rivoluzione notava che il paradigma non era più quello rivoluzionario della crescita operaia, cioè industriale, ma quello di una contrazione dell’intera società produttiva.   In pratica, Collu aveva compreso che stava venendo innestato, specie presso partiti, sindacati, intellettuali di sinistra, l’odio per l’uomo – in una parola, era stata avviata la Necrocultura. Non per niente il filosofo cominciò a scoprire, e rivelare, l’interesse crescente che molti circoli goscisti cominciavano a sentire verso un tema divenuto tabù nei millenni cristiani, cioè il sacrificio umano.

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Ora, guardate celebrare il vostro lavoro da chi è inserito, con stipendio, nel disegno per togliervelo – ed eliminare la vostra esistenza e la vostra discendenza. Non dobbiamo ricordare qui gli sforzi, fatti anche in sede europea, che i sindacati hanno fatto per il feticidio.   Nessuno dei vostri lavori è al riparo dal disegno mortale che avanza: se vi hanno detto che imparando a programmare avreste avuto sempre lavoro, provatelo a ripetere alle migliaia di licenziati alla IBM, come in tantissimi altri colossi tecnologici, sostituiti dall’Intelligenza Artificiale.   Nessuno è al sicuro: i grafici, cosa pensano di fare davanti alla presenza di incredibili programmi text-to-image, dove digiti cosa vuoi vedere e ti viene servito in un’immagine perfetta?   Attori, registi, produttori cinetelevisivi, cosa potranno di fronte ai software come Sora di ChatGPT, che promette di generare sequenze video a partire da semplici richieste? Sappiamo che l’ultimo sciopero ad Hollywood verteva su questo, e che già operano società di computer grafica talmente ultrarealista da aver disintermediato regioni immense della filiera.   Domani, cioè già oggi, tocca agli insegnanti. Ai bancari. Ai lavoratori dei fast food. A qualsiasi lavoratore. Alla realtà stessa.   Tuttavia, notatelo, nessun sindacato parla di fermare l’Intelligenza Artificiale. Vi parlano di cambiamento climatico, combustibili fossili, etc.   Lo fanno dopo aver assistito all’assassinio, con il green pass e l’obbligo al vaccino genico, dell’articolo 1 del loro libro sacro, il dogma primigenio della loro religione: ve lo abbiamo detto, non ci credono nemmeno loro.   E quindi, se anche quest’anno un boss sindacale, dinanzi al milione di ebeti ammassati per il concertone del Primo maggio, dovesse d’improvviso farsi scappare di nuovo l’espressione «Nuovo Ordine Mondiale», beh, sappiamo bene di cosa si tratta.   Non c’entrano le ricorrenze druidiche primaverili, qui siamo altrove nel calendario, in un’altra festa importante: sotto sotto, negli auguri ai bravi lavoratori, vi stanno dicendo che arriva il Natale. E che voi siete i tacchini.   Buon lavoro.   Roberto Dal Bosco

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Pensiero

I biofascisti contro il fascismo 1.0: ecco la patetica commedia dell’antifascismo

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Ho sempre provato un certo disagio di fronte agli eroi di cartapesta creati dalla filiera economica della «cultura» nazionale. È l’apparato industrial-intellettuale che passa dai grandi editori (una volta soprattutto Feltrinelli, ma in realtà un po’ tutti, specie in era marinaberlusconiana), si innerva sui giornali (Repubblica, a seguire, come sempre il Corriere, e giù gli altri), corre per le librerie di tutta Italia (con incontri dove vanno, magari, trenta persone pensionate in tutto) e si riversa, oltre che nei teatri, nella TV pubblica a tutte le ore, soprattutto quelle notturne.

 

Avete presente: gli «intellettuali», gli «scrittori», quelli che hanno pubblicato un libro, a volte, tragicamente, un «romanzo». I giornalisti, i librai, gli enti teatrali, i dirigenti televisivi ve li indicano come persone da ascoltare, da seguire. Sono dei contenuti importanti, cui dovete dare la vostra attenzione.

 

Basta leggere qualche pagina delle loro opere per capire di trovarsi davanti al vuoto pneumatico, e quindi tornare con la mente all’ineludibile legge di Marshall McLuhan: il medium è il messaggio.

 

Cioè, qualsiasi «scrittore» vi propongano – in libreria, in televisione, al teatro comunale, sul giornale – non è che vogliano davvero portarvi un suo messaggio, una sua riflessione, un suo pensiero (di solito, anzi, non ce n’è traccia), ma vogliono semplicemente tenervi incollati al medium, cioè al sistema. Consuma questo importante autore di libri, ti dicono, ma in verità quello che stanno davvero chiedendo è che non cambi canale: resta con noi, non staccarti dal continuum dell’industria culturale nazionale.

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È una questione di rinforzo della dipendenza sistemica, camuffata da nobile impulso illuminista all’educazione: leggi qui, sarai migliore. O con più sincerità: fatti intrattenere da noi, è l’unica via.

 

Una questione di identità, di classe sociale. Ecco perché ci ritroviamo, tra i tanti scrittori che ci infliggono, un discreto numero di professori. Essi divengono la proiezione del famigerato «ceto medio riflessivo», cioè di quantità di insegnanti di elementari, medie e superiori (e università: vertice della sottocasta dell’istruzione statale) che si sentono migliori perché leggono i libri, e che sperano che, un giorno, leggendo Repubblica e collane Feltrinelli magari anche a loro un giorno daranno 15 minuti di gloria letteraria.

 

La cultura di sinistra – cioè la cultura italiana – vive di fatto su un grande ricatto identitario: se non consumi il prodotto culturale nazionale, se quindi non credi a tutti gli assiomi che vi sono inseriti (civili, storici, politici, religiosi, «laici»), se fuori dalla storia. Impresentabile, invisibile. Questa cesura, come in ogni altro campo della vita, si è rivelata in tutta la sua oscenità durante il COVID.

 

Ricordate, infatti, dove stavano gli intellettuali, durante il biennio di lockdown e sieri genici? Ricordate gli editoriali sui giornali? Gli inni al generale vaccinaro, e magari pure l’occhiolino fatto ad un possibile «golpe» pro-siero? Ricordate gli articoli in cui lo scrittore diceva, sconsolato, di aver trovato tra i suoi amici dei no-vax? Ricordate le preghiere dei saggi affinché nel Paese fosse realizzata l’apartheid biotica, che poi di fatto è stata concretata?

 

Per questo sul «caso Scurati», che tiene banco sui giornali ancora adesso, ho delle idee un po’ diverse da quelle che avrete letto in giro.

 

Diciamo intanto, che la figura dello Scurati ce la ho in qualche modo presente, perché rammento quando fu inserita nel circuito culturale ancora anni fa. Nel 2005, ad un premio letterario – il gateway per far entrare nel sistema-Paese nuovi personaggi cartonati con le loro idee sincero-democratiche – attaccò Bruno Vespa: di suo una cosa per cui, visti gli ultimi anni di mRNA e Zelens’kyj, sarebbe da stringergli la mano, ma il tono sarebbe stato un po’ pesante: «se dovessi uccidere qualcuno, questo sarebbe lei», avrebbe detto criticando il conduttore di Porta a Porta.

 

Il personaggio del resto pare essere focoso: nei giorni scorsi ha accusato, in un’intervista su un giornale straniero, il TG1, per poi scusarsi, e dare la colpa a tutta questa situazione che lo turba molto.

 

La simpatia a pelle che mi sale subito: le foto che lo ritraggono, alto e severo, mostrano questo sguardo duro e non centratissimo, e profili dove pare mancare il mento – cosa che potrebbe essere, in realtà, un preciso messaggio politico, ma è un pensiero che butto lì, come altro, per satira.

 

Perché l’uomo ha pubblicato una serie di libri sul mento più pronunciato del secolo – quello del Duce Benito Mussolini. Migliaia e migliaia di libri intitolati tutti grottescamente M., come se fosse M il Mostro di Duesseldorf, in realtà è uno dei babau assiomatici che servono al sistema culturale italiano per tenersi in piedi.

 

Eccerto: Roberto Saviano, uno dei principi del sistema culturale nazionale, scrive libri contro la Camorra, anche se gli effetti – visibili soprattutto in TV – hanno fatto esclamare a qualcuno che alla fine, eterogenesi dei fini, quello che si ottiene è la sua apologia.

 

Quindi: addosso – ancora – al cadavere appeso a Piazzale Loreto (che Renovatio 21 un anno fa ha modestamente chiesto di ribattezzare come «Piazzale Angleton»). Scriviamoci sopra un romanzo, anzi dei romanzi, una saga che Il Trono di Spade deve spostarsi. Ma quale banalità del male: fatecelo scrivere, fatecelo vendere, ‘sto male!

 

Mi viene in mente l’articolo di ferocia assoluta che gli riservò, sul Corriere, Ernesto Galli della Loggia, che descrisse il suo senso di sgomento di fronte ad errori storici incredibili – perché provenienti da uno scrittore, un intellettuale, un editore, e la ridda di correttori di bozze, consulenti, editor del caso – contenuti nel testo.

 

Il Gallo della Loggia non fu tenero: «Voglio sperare che ancora oggi se a un esame di licenza liceale uno studente attribuisse a Carducci l’espressione «la grande proletaria» (invece che a Giovanni Pascoli, che la coniò per l’Italia che si accingeva a occupare la Libia ), e definisse Benedetto Croce un «professore» (lui che per tutta la vita gratificò di tutto il disprezzo immaginabile l’Università e i suoi professori, che fu l’antiaccademismo vivente), voglio sperare, dicevo, che lo sciagurato correrebbe seri rischi di essere bocciato».

 

Giù duro: «Non si tratta di due errori qualunque, infatti. Sommati significano in pratica non essere in grado di orientarsi nella storia culturale italiana della prima metà del Novecento. Non possedere alcuni punti di riferimento essenziali. Se poi il medesimo studente avesse pure sbagliato la data di Caporetto, avesse detto che Antonio Salandra, presidente del Consiglio che decise l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, “porta sulla coscienza sei milioni di morti” (un antesignano pugliese di Hitler insomma), avesse poi definito Antonio Gramsci “un politologo”, avesse scritto che alla Scala nel 1846 lavoravano degli «elettricisti» e che nel 1922 al Viminale ticchettavano «le telescriventi», e poi ancora, come se non bastasse, a commento della marcia su Roma avesse riportato alcune righe attribuendole a “Monsignor Borgongini Duca, ambasciatore inglese presso la Santa Sede” (!!) , e a commento della seduta della Camera sulla fiducia al governo Mussolini avesse citato una lettera di Francesco De Sanctis datandola 17 novembre 1922 (quando l’autore avrebbe avuto 105 anni!), beh: spero proprio che a questo punto il suddetto studente sarebbe sicuro di prendersi una solenne bocciatura».

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Tanta roba. Tuttavia soprattutto uno di questi inguardabili errori ci sembra interessante: nel suo romanzone mussoliniano, lo Scurati scrive che gli italiani morti durante la Prima Guerra Mondiale erano sei milioni. Secondo i calcoli storici, i morti sono stati – compresi quelli della pandemia della Spagnola (chiamata così anche se può darsi che venga, come tante altre epidemie, dai vaccini) – un milione. Tuttavia, come resistere alla coazione a ripetere la cifra fatale dei sei milioni? Difficile: l’industria culturale, i sei milioni te li ripete ogni cinque minuti.

 

Ma che importa, alla fine. Rileva – ribadiamolo bene – solo che il canale resti saldo. Qualche refrain, qualche tormentone piazzato magari anche in modo errato, fa giuoco alla tenuta dell’impianto di trasmissione. Tenetelo sempre a mente: il medium è il messaggio.

 

Ecco perché quando è scoppiato lo scandalo della RAI melonica che «censura» il tizio, non è che ci siamo scomposti più di tanto.

 

In primis, perché sappiamo da dove arriva, che cosa rappresenta, qual è il messaggio – cioè il medium. Il mezzo dell’industria cultura italiana deve ripetere i suoi triti dogmi (perché agli intellettuali non è richiesta la fantasia, né l’estro, né il genio: anzi) con cui è stata imbastita da quando, durante il famoso patto racconto da Ettore Bernabei nel libro L’uomo di fiducia, De Gasperi cedette la cultura a Togliatti e al PCI – e le banche a Mattioli e alla massoneria.

 

Che ci volete fare: mica la mela può cadere lontano dall’albero. Piante cresciute con decadi di letame «laico» e sincero-democratico, che frutti possono dare?

 

Il problema, quindi, è più profondo di un’eventuale museruola ad un intellettuale sistemico: è l’esistenza del sistema, e la sua persistenza nonostante qualsiasi governo di destra sperimentato dal 1994 ad oggi.

 

Non è questo, il punto che ci interessa sviluppare qui, purtuttavia.

 

La cosa che ci sconvolge, e vedere, a quattro anni dalla catastrofe di Wuhan, quanti anni luce il sistema politico-culturale sia distante dalla nostra visione – cioè dalla realtà. La politica, la storia, la letteratura dei normaloidi è a tal punto divorziata dalla sostanza dalle cose, che lo spettacolino delle sue beghe interne ci crea imbarazzo, malessere, se non ci fa vomitare punto e basta.

 

È stato ricordato che Scurati, quello della lettera «antifascista» da leggere alla TV pubblica, aveva scritto sul Corriere un editoriale in cui osannava il premier Draghi, lo implorava di tornare al suo posto: massì, il tecnocrate che nessuno aveva votato, calato per motivi imperscrutabili in luoghi fondamentali – il panfilo Britannia, dove salutò con affetto gli «Invisibili Britannici»; l’Eurotorre di Francoforte, luogo dove i tedeschi mai dovrebbero volere un italiano, e invece – piace tanto all’intellettuale antifascista.

 

Scommettiamo che, se lo sapesse, godrebbe anche al pensiero del ruolo primario del Draghi nel primo vero atto di guerra economica della storia umana, ovvero il congelamento dei beni della Banca di Russia detenuti all’Estero. Contro ogni legge internazionale, contro ogni decoro diplomatico (nemmeno durante la Seconda Guerra Mondiale…), contro ogni prospettiva a medio termine (l’effetto subitaneo: l’accelerazione della de-dollarizzazione): ma che importa, al cervello antifascistico? Bisogna applaudire i Draghi della palude, sempre, e spellarsi le mani.

 

Non solo. In una clip del novembre 2020 proveniente da La7 – lo sfogo televisivo del gruppo di via Solferino – lo Scurati affrontava di petto l’altra grande questione democratica degli ultimi anni. «Il 25% degli italiani, che secondo un sondaggio SVG sono complottisti o negazionisti» incalzava Lili Gruber. «Un dato assolutamente inquietante» replicava Scurati (mentre, a lato, l’idolo grillino Andrea Scanzi scuoteva la testa con vigore). Dice che il dato deve far riflettere «su cosa è stata l’Italia negli ultimo 10, 20 anni (…) su quale piccolo e significativo arretramento di civiltà abbiamo patito in questi decenni».

 

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L’esitazione davanti al siero genico sperimentale è un segno della decadenza della civiltà italiana – quella, di cui parlava imperialmente Mussolini, o quella della Costituzione, calpestata in ogni sua parte dall’obbligo vaccinale? Un attimo, questi ultimi sono pensieri nostri.

 

«Il discorso ha a che fare con l’educazione, con l’istruzione, con la cultura», dice ancora lo scrittore. Insomma, sei no-vax, perché sei ignorante – non hai studiato a scuola, né letto i libri propostiti dalla libreria, compresi magari quelli fondamentali dello stesso Scurati.

 

«Il fatto che un italiano su quattro stia arretrando su posizioni oscurantiste premoderne di ignoranza arrogante e professa, non nascosta, nella diffidenza dei riguardi dei vaccini, che sono una delle grandi invenzioni dell’umanità, nella diffidenza nei riguardi della scienza, ci deve far ricordare che la scuola, l’istruzione e l’educazione sono fondamentali per il Paese, non solo durante l’emergenza» continua lo Scurato.

 

Sì davvero: sta parlando della scuola, dove abbiamo visto ogni sorta di discriminazione biologica (il green pass anche per entrare nel sito dell’Università!), dove è penetrato il proselitismo omotransessualista più agghiacciante, dove ai bambini di otto anni vengono lette lettere anti-femminicidio sull’onda di casi di cronaca ancora tecnicamente irrisolti, dove sono in corso programmi rivoltanti di digitalizzazione tecnocratica della vita dei ragazzi?

 

Sta parlando sul serio di arretramento della civiltà, per poi tirare fuori, come esempio, la scuola, distruttrice della civiltà?

 

È così. Parlano per ritornelli sempreverdi («vaccini grande conquista»… «la scuola è importante»… «sei milioni di morti»), discorsi che non aggiungono nulla, non hanno un pensiero alcuno da offrire. Non dati, non riflessioni, né profondità di alcun tipo – niente.

 

È chiaro, soprattutto, che la nostra idea di civiltà è oramai incompatibile con quella che loro chiamano «civiltà», che per noi è invece dissoluzione, è anti-civiltà, è Cultura della Morte. E non è questione solo di idee – si tratta della nostra stessa esistenza quotidiana, della vita nostra, e di quella dei nostri figli.

 

Perché quelli che si dicono «democratici», quelli che ci vendono i loro discorsi «antifascisti», sono gli stessi che hanno inflitto alle nostre vite gli orrori più atroci, perfino a livello biomolecolare.

 

Gli «antifascisti», hanno spinto affinché la nostra esistenza personale e famigliare fosse devastata. Vi ritorna in mente? C’è chi ha perso il lavoro, c’è chi ha perso i parenti, c’è chi ha perso tutto – mentre tutti quanti perdevamo la libertà.

 

Però scusate: ma se la parola «fascista» è semanticamente riferibile a ciò che è autoritario, soverchiante, incapace di discutere, irriguardoso della dignità della persona, altamente discriminante (fino al razzismo), violento… allora, che cos’è, quella che abbiamo vissuto in pandemia, se non una piccola era fascista?

 

È meglio chiamarli con un termine più appropriato: essendo alla base dell’immane processo di sottomissione subìto un fattore biologico – la malattia, il siero genico sperimentale – è il caso di definirli, più che fascisti, «biofascisti». Gli antifascisti – come esattamente i fascisti ipoteticamente ancora in circolazione ed i postfascisti al governo – sono, esattamente, biofascisti.

 

Dal ventennio fascista, al biennio biofascista: che non è finito, perché nessuno, né al governo né all’opposizione, ha accettato di rivedere lo stupro della supposta democrazia popolare visto col COVID. Anzi: rilanciano, la Meloni firma a Bali per i passaporti vaccinali elettronici transnazionali, mentre masnade di operatori sanitari e trafficanti politici lavorano alacremente – pagati da voi – per l’approvazione sottotraccia del Trattato Pandemico OMS, che sarà un bel capitolo della fine certificata delle democrazie costituzionali.

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E già, la Costituzione. Gli intellettuali credono sia un testo importantissimo, ce lo hanno ripetuto ad nauseam, e il motivo è semplicissimo: avendo cacciato per ordine massonico il sacro dalla politica, non resta che basare lo Stato su un libro.

 

Abbiamo visto quanto ci credono: la Costituzione è stata tradita perfino nel suo primo, ridicolmente sovietico, articolo, quello della Repubblica fondata sul lavoro – se hai il green pass, ovvio, e i sindacati sono d’accordo con Draghi, gli scrivono lettere d’amore in concerto con i padroni di Confindustria, mentre dal palco, circondati da mascherine, i lider maximos sindacalisti parlano veramente di Nuovo Ordine Mondiale.

 

Diventa a questo punto definitivamente insopportabile guardare la pantomima «democratica» dei personaggi TV.

 

Palano di popolo, e sono quelli che una parte consistente del popolo italiano – qualcuno dice, dal 1978, sei milioni, sul serio – lo ha sterminato per legge, con l’aborto di Stato.

 

Parlano di democrazia, ma il popolo lo hanno chiuso in casa, sottomesso, capovolgendo lo Stato di Diritto: non più il cittadino latore di diritti, ma obbligato a coercizioni che riguardano la sua stessa biologia.

 

Parlano di Costituzione, e hanno tradito l’articolo 1, l’articolo 16, l’articolo 21, l’articolo 32 e tutti gli altri che il lettore vorrà aggiungere.

 

Parlano di antifascismo, dopo aver inflitto alla popolazione anni di terrore biofascista, dove se non accettavi di modificare la tua genetica cellulare non potevi entrare nei negozi – sì, come gli ebrei dopo le leggi razziali, come mostrano tutti quei filmetti strappalacrime come La vita è bella, che certamente in parte avete pagato sempre voi.

 

Parlano di antifascismo, e sono gli stessi che finanziano ed armano un regime dove i collaborazionisti del Terzo Reich sono celebrati pubblicamente come eroi (anche fuori dai confini: ricorderete il caso di Trudeau che porta l’ex SS al Parlamento canadese per farlo applaudire) e dove armi e danari finiscono a Reggimenti provenienti da gruppi dove la svastica e le lettere runiche sono la norma, come simbolo, come tatuaggio, come ideologia.

 

Gli antifascisti, oggi, sostengono i neonazisti. Lo spettacolo lugubre degli ultimi cortei 25 aprile con tripudi di bandiere ucraine e della NATO rimarrà negli annali per i posteri che giustamente si gratteranno la testa cercando di capire.

 

I biofascisti, del resto, non è che si tirano indietro nei confronti dei paradossi. Prendiamo, ad esempio, il grande tema «antifascista» della provetta. Un idolo, per la sinistra: libertà riproduttiva, che vuol dire che anche gli LGBT si possono produrre la prole che la natura non consentirebbe loro di avere – si chiama progresso, bellezza.

 

Arrivano, tuttavia, tante storie aneddotiche interessanti. Per esempio: coppie lesbiche che spesse volte si rivolgono a banche del seme… in Danimarca. Essì: il bimbo lo vogliono biondo dolicocefalo occhioceruleo, esattamente come prescritto da Zio Adolf, che, poverino, lui la biotecnologia per farlo non ce l’aveva, limitandosi nel fallito programma Lebensborn a fare montare ragazzotte di paese ben disposte a giovinotti dai chiari capelli scelti tra le SS, per poi ucciderli subito dopo gettandoli nella fornace della guerra. È così: infatti quello si chiamava, appunto, «nazismo», e non «bionazismo», come invece dobbiamo chiamarlo oggi.

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E chiedetevi pure anche, cari antifascisti biofascisti: quanti dei politici gay, magari con figlio prodotto via utero in affitto all’estero fatto entrare in Italia in spregio alla legge 40/2004 (i giudici, dove sono?), secondo voi hanno sfogliato un bel catalogo delle «donatrici» di ovulo, scegliendo magari una bella ragazza bionda e atletica, come ad esempio l’Ucraina – capitale mondiale della surrogata anche sotto le bombe – offre a bizzeffe?

 

È difficile rendersi conto di cosa si tratta? La parola è conosciuta, in verità: eugenetica.

 

È più arduo capire che l’eugenetica biofascista opera ogni giorno anche al di fuori dei casi arcobalenati: la selezione degli embrioni, compiuta dagli «esperti della fertilità» che ora sono pagati dal contribuente (la FIVET è nei LEA) è, molto semplicemente un’altra forma di eugenetica, solo che invece dei cataloghi delle «biobanche» qui si usa il microscopio.

 

La sostanza non cambia, ed è quello che andiamo da sempre ripetendo su Renovatio 21. La continuità tra il nazismo e la moderna società riprogenetica è assoluta. Hitler ha perso la guerra cinetica, ha vinto quella bioetica. O meglio: i padroni di Hitler – quelli che ne hanno finanziato l’ascesa – sono esattamente gli stessi che hanno, da più di un secolo, elargito danari affinché si instaurasse l’eugenetica in America, in Europa, perfino in Cina.

 

E sono gli stessi – un nome lo vogliamo fare: la famiglia Rockefeller – che hanno suscitato e foraggiato quantità di movimenti fondamentali per la sinistra antifascista, cioè biofascista: il femminismo, ad esempio, o il movimento globale per l’aborto.

 

Capite, cari lettori, che questa è una visione della Storia abissalmente distante da quella che possono avere Scurati o la Meloni e chiunque altro vi propongano TV e giornali.

 

Perché quello che possono fare, loro, è farvi rimasticare quello che è stato dato loro da masticare, ricordando che a nessuno di loro è stata chiesta originalità e profondità di pensiero. La Storia, vi dicono, è fatta così… i fascisti, gli antifascisti, etc.

 

Qui abbiamo una visione radicalmente diversa. L’unico modo possibile per vedere il mondo, l’universo stesso, è quello che ha al suo centro il fenomeno più fondamentale del cosmo tutto: la vita.

 

Non comprendere che la Storia si sta rivelando semplicemente come una danza, fisica e metafisica, tra la Vita e la Morte – con lo Stato moderno e le sue schiere a combattere per quest’ultima – significa non aver compreso nulla. E quindi, accettare ogni possibile angheria che l’Impero della Morte prepara: l’aborto, la provetta, il vaccino… tutte realtà che qui abbiamo dimostrato essere intimamente interrelate, tutte questioni che toccano direttamente, carnalmente, le vostre esistenze, e soprattutto quelle dei vostri figli.

 

Così, in questa ignoranza invincibile, quella per lo stesso dono più alto che si è ricevuti dal creatore, l’antifascismo può trasformarsi tranquillamente in biofascismo, e continuare la sua patetica sceneggiata di lamento contro il fascismo 1.0.

 

In un articolo per il 25 aprile di diversi anni fa («Quello che Mussolini non ha capito: il dominio della Cultura della Morte»), scrivevamo parole che ci va qui di ripetere.

 

«Non è il capitale, non è il danaro ad essere in gioco. Non è nemmeno la terra, lo spazio, la geopolitica che interessa ai potenti dell’universo, oggi come allora. Ai principi di questo mondo interessa la distruzione dell’uomo. La sua umiliazione, il suo controllo, la sua riduzione».

 

«Non è visibile, per chi pensa ancora con le categorie ideologiche pubbliche dell’Ottocento o del Novecento, il cambio del paradigma già avvenuto. Non siamo più in una fase espansiva dell’essere (la produzione dell’acciaio dei sovietici, il Lebensraum dei nazisti, il natalismo dei fascismi, il consumismo delle democrazie liberali) ma in una fase di contrazione programmata, forzata. Meno figli, meno lavoro, meno esseri umani: decrescita».

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«Mussolini non poteva capire che è l’ascesa del biopotere il vero verso della Storia; i suoi oppositori nemmeno: anzi, ora sono divenuti kapò di qualcosa di molto peggiore del fascismo, il biofascismo: tutti i tuoi diritti sono sospesi, perfino il lavoro, la censura è operata su tutti i livelli, ogni libertà, perfino quella di spostamento, perfino quella di vedere i famigliari, è distrutta».

 

Già, Mussolini non aveva capito che il fascismo non serviva più al programma: il signore del mondo non voleva controllare più solo gli imperi e le nazioni, ma il corpo umano stesso, perfino nel codice più sacro contenuto dentro le sue cellule. Il Duce non poteva capire che il fascismo andava sostituito con il biofascismo. Lo hanno fatto, tra bandiere arcobaleno e ghigni pannelliani, facendo pure continuare l’oscena commedia dell’antifascismo militante, televisivo, autistico – perché altre sceneggiature, con evidenza, non ne hanno, né ne saprebbero scrivere.

 

Il programma è più vasto, ad ogni modo, di quello visibile tra Mussolini e gli intellettuali prodotti dal sistema culturale nazionale. Il programma è contenuto in un grande bestseller, nell’ultimo testo che lo compone. Si chiama Sacra Bibbia, da leggersi soprattutto quello che è definito Il libro della Rivelazione. Ci rendiamo conto che pochi scrittori e professori lo hanno fatto, ancora meno ci hanno creduto, o anche lo hanno preso sul serio per un secondo.

 

Qui noi lo facciamo, eccome. Il programma finale non riguarda la politica partigiana, riguarda l’umanità, la vita e la morte, il mistero dell’iniquità, la catastrofe globale, la fine dei tempi – insomma la vostra anima, e il vostro corpo.

 

Non è che chiediamo a chicchessia di accettarne i segni – i nostri lettori già lo fanno, a giudicare dalle lettere che ci arrivano.

 

Quello che domandiamo, è: non prestate attenzione a nessuna polemica, né alla voce degli intellettuali di cartapesta, né a quella dei politici.

 

Pensate, piuttosto, quanto è lontana da loro, oramai, la vostra concezione del mondo, la vostra visione della Storia, la vostra percezione della realtà, la vostra fede nella Verità.

 

È così: scrittori, deputati, giornalisti, professori, ministri, editori, fascisti, antifascisti, non hanno capito un cazzo.

 

Evitate, cari lettori, di perderci tempo, e concentratevi su ciò che è importante: onorate il Vero, e, soprattutto, cercate la pace interiore – perché a breve, quando sarà la tribolazione, servirà davvero.

 

Roberto Dal Bosco

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