Bioetica
USA, disabili e anziani agli ultimi posti per l’assistenza COVID-19 in almeno 25 stati
Come nel resto del mondo, quella che possiamo chiamare «morte da triage» è pienamente in azione negli Stati Uniti d’America dell’era del Coronavirus.
In pratica, la decisione di chi vive e chi muore viene presa dall’ospedale, dal personale ospedaliero. Questo laddove non intervenga una legislazione che ne limiti le decisioni – ma anche in questo caso nessuno ci assicura che le priorità di trattamento non siano assegnate secondo un principio di «qualità della vita» del paziente che eventualmente sopravvive.
Alcune linee guida statali americane affermano che i pazienti con fibrosi cistica non dovrebbero nemmeno essere considerati per i ventilatori; sei stati affermano che gli ospedali dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di togliere i ventilatori ai pazienti che ne hanno bisogno quotidianamente se altri ne hanno maggiore necessità, pratica che, secondo i sostenitori dei diritti dei disabili, scoraggerebbe le persone dal richiedere cure per il COVID-19. Lo riporta il sito nordamericano Lifesitenews, che analizza alcune situazioni negli Stati USA.
L’assassinio – o meglio il genocidio – da triage è una delle più spaventose realtà fatte emergere dal C-19. Più che con il virus, dovremo convivere e lottare con tale abominio bioetico e la sua scia di morte
I pazienti affetti da Coronavirus che presentano disabilità o in età avanzata potrebbero essere collocati in «fondo della lista per le cure salvavita» negli Stati americani in caso di carenza di forniture mediche come ventilatori; è quanto emerge da un rapporto investigativo del Center for Public Integrity.
Il rapporto ha analizzato il razionamento delle forniture di emergenza o le «politiche standard di assistenza in caso di crisi» di 30 stati e ha concluso che in 25 «le scarse disponibilità possono far sì che i disabili siano gli ultimi della lista per i trattamenti salvavita», come temono i sostenitori dei diritti civili. Il Center for Public Integrity afferma che gli altri 20 stati «non avevano stabilito politiche di razionamento o non le hanno rese note».
«Le scarse disponibilità possono far sì che i disabili siano gli ultimi della lista per i trattamenti salvavita»
Il rapporto sostiene inoltre che «gli Stati devono attuare politiche ora, prima che i casi di coronavirus raggiungano il picco, e non dovrebbero nasconderle» perché i medici senza una guida univoca per decidere chi vive e chi muore in una situazione di crisi potrebbero «basarsi su pregiudizi e stereotipi personali, anche inconsapevolmente».
I sostenitori dei diritti dei disabili avevano presentato una denuncia contro l’Alabama sostenendo che i piani dello Stato dell’Alabama in caso di emergenza «consentivano di negare i servizi di ventilazione alle persone basandosi sulla presenza di disabilità intellettive, tra cui “ritardo mentale profondo” e “demenza da moderata a grave”».
Un gruppo di avvocati statunitensi ha recentemente avvertito che il razionamento dell’assistenza sanitaria in base alla disabilità o all’età durante l’epidemia di coronavirus viola la legge federale sui diritti civili.
I medici senza una guida univoca per decidere chi vive e chi muore in una situazione di crisi potrebbero «basarsi su pregiudizi e stereotipi personali, anche inconsapevolmente»
Una donna dell’Alabama, madre di un 37enne con sindrome di Down ha detto al Center for Public Integrity di essere ancora preoccupata per suo figlio.
«Ho paura per Matthew – ha detto Susan Ellis – Mi offende che le autorità o i politici del nostro stato si possono preoccupare così poco delle persone con disabilità intellettive da affermare che il QI potrebbe determinare se una persona è degna di vivere o no».
L’assassinio – o meglio il genocidio – da triage è una delle più spaventose realtà fatte emergere dal C-19. Più che con il virus, dovremo convivere e lottare con tale abominio bioetico e la sua scia di morte.
Bioetica
La Bioetica torna a parlare delle atrocità di Gaza
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
La guerra tra Israele e Hamas a Gaza sta creando tensioni all’interno della comunità bioetica. In un articolo sul blog canadese Impact Ethics, tre bioeticisti hanno chiesto alla loro professione di pronunciarsi contro la violenza e la sofferenza.
Fanno presente che alcune importanti associazioni mediche e di bioetica si sono rifiutate di commentare, pur avendo preso posizione nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina.
«Noi, come bioeticisti, rifiutiamo una posizione di silenzio perché crediamo nella responsabilità disciplinare di dimostrare coraggio morale e promuovere la giustizia».
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«L’American Public Health Association è la nostra unica grande organizzazione professionale negli Stati Uniti ad aver chiesto un cessate il fuoco umanitario a Gaza, attingendo alla sua politica del 2009 sul ruolo degli operatori sanitari, degli accademici e dei sostenitori della sanità pubblica in relazione ai conflitti armati e alla guerra».
«In netto contrasto, i delegati interni dell’American Medical Association (AMA) hanno votato contro una risoluzione di novembre a sostegno di un cessate il fuoco a Gaza, citando che la questione non soddisfaceva i criteri di advocacy, urgenza o considerazione etica. L’American Society for Bioethics and Humanities è rimasta silenziosa, nonostante la sua forte politica sulla libertà accademica».
Concludono:
«Come possiamo definirci esperti di etica e testimoniare silenziosamente migliaia di morti civili, sanzioni crescenti, privazione di beni di prima necessità, crimini di guerra, rapimenti di ostaggi, aggressioni sessuali e disumanità? Cosa stiamo insegnando ai nostri studenti se non siamo disposti a riconoscere i nostri pregiudizi e a parlare apertamente?»
Michael Cook
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Bioetica
Polonia, l’aborto avanza in Parlamento
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Bioetica
Bioeticiste contro la genitorialità genetica: «usare liberamente gli embrioni congelati»
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Alcuni bioeticisti mettono in dubbio l’importanza di una relazione genetica tra genitori e figli. Ciò che conta, sostengono, è un ambiente familiare favorevole, non i geni.
Nel Journal of Medical Ethics, una bioeticista svedese, Daniela Cutas, e una collega norvegese, Anna Smajdor, affermano che la riproduzione assistita apre le porte a nuove relazioni tra generazioni. Ma, purtroppo, l’aspettativa è che le persone imitino una famiglia nucleare convenzionale e una struttura genitore-figlio. C’è pochissima varietà o creatività.
Ad esempio, dopo la donazione di sperma postumo, una madre o una nonna portano in grembo il bambino in modo da mantenere una relazione genetica. Ma perché la genitorialità genetica e quella sociale dovrebbero coincidere?
Cutas e Smajdor sono realiste. Nel mondo di oggi, è improbabile che le persone abbandonino il loro attaccamento alle relazioni genetiche. Nel frattempo, ciò che propongono è una maggiore creatività nell’uso degli embrioni fecondati in eccedenza.
«Considerando la crescente prevalenza di infertilità in combinazione con una scarsità di gameti donati, qualcuno potrebbe, ad esempio, scegliere di utilizzare gli embrioni di propri zii. Oppure potrebbero desiderare di avere gli embrioni rimanenti dei loro fratelli. Se la preferenza delle persone ad avere una prole geneticamente imparentata è importante nei servizi di fertilità, allora ha importanza quale sia l’esatta relazione genetica?»
Esaminano più in dettaglio il caso di una donna i cui genitori hanno creato embrioni IVF. Se sono ancora disponibili, perché non dovrebbe dare alla luce i suoi fratelli? In un certo senso, questo potrebbe essere migliore di una relazione eterosessuale convenzionale:
«Innanzitutto perché gli embrioni sono già creati: non è necessario sottoporsi alla stimolazione ovarica per raccogliere e fecondare gli ovociti. In secondo luogo, le relazioni genitore-figlio sono piene di tensioni, alcune delle quali derivano da una lunga tradizione di non riconoscimento completo dello status morale dei bambini e di vederli come parte dei loro genitori in modo quasi proprietario».
Sembra un peccato sprecare tutti quegli embrioni congelati. Concludono con questo pensiero:
«In un mondo in cui i tassi di infertilità sono in aumento e i costi sociali, medici e sanitari dei trattamenti per la fertilità sono elevati, suggeriamo che ci siano motivi per ampliare le nostre prospettive su chi dovrebbe avere accesso ai materiali riproduttivi conservati».
Michael Cook
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