Politica
Per vincere le elezioni Erdogan abbraccia l’estremismo islamico

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il fronte unito delle opposizioni, con il possibile sostegno del più importante partito curdo, apre la partita elettorale. In risposta la coalizione di governo accoglie l’Yrp e l’Huda-Par, due partiti che raggiungono a fatica l’1% dei consensi. Nell’accordo elettorale l’abrogazione della legge che punisce la violenza sulle donne e i minori. Nel mirino anche i diritti LGBTQ+.
Per allargare l’alleanza e allontanare l’ipotesi di una sconfitta alle elezioni presidenziali del 14 maggio, anche in considerazione della ritrovata alleanza dei partiti di opposizione che puntano anche al voto dei curdi, Recep Tayyip Erdogan imbarca l’ala (radicale) islamica. In questi ultimi giorni, due nuove formazioni politiche si sono alleate alla coalizione governativa, il New Welfare Party (YRP) e l’Huda-Par. Un matrimonio di interessi per l’Alleanza popolare che rischia però di affossare i diritti di donne e minoranze (oltre ai rifugiati siriani) e sposta sempre più a destra l’asse di un futuro esecutivo guidato dall’AKP.
Analisti ed esperti concordano nel ritenere che le elezioni presidenziali e legislative in programma fra poche settimane si presentano come le più incerte e combattute degli ultimi 20 anni, in cui ha dominato il Partito della Giustizia e dello Sviluppo e il suo leader Erdogan. Da qui la scelta del «sultano» di inglobare anche alleati un tempo scomodi, a conferma di un panico crescente negli ambienti governativi per la presenza di una opposizione sempre più unita e con un seguito nel Paese.
Corteggiare due formazioni politiche che, a stento, superano l’1% dei consensi alle urne non è segno di grande salute, anche se risulta in linea con la progressiva radicalizzazione delle politiche di Erdogan, improntate a colpi di nazionalismo e islam. Fatih Erbakan, leader YRP, ha rinnovato nel 2018 il partito fondato dal padre nel 1983 conservandone la linea religiosa e anti-laica che aveva già ispirato il movimento Milli Gurus, ben radicato nella diaspora soprattutto in Europa grazie a una rete capillare di scuole e moschee. Di recente, un membro del gruppo giovanile ha sollevato aspre polemiche augurandosi una introduzione «a breve» della sharia in Turchia.
Il sostegno dei movimenti estremisti ha, come ovvio, un prezzo: i due schieramenti hanno presentato almeno 30 richieste, fra le quali emerge la cancellazione della legge 6248 del 2012 che contrasta e punisce la violenza contro donne e bambini. Una posizione folle, secondo l’avvocato Gokcecicek Ayata interpellata da al-Monitor, in una nazione in cui ogni giorno vengono uccise almeno tre donne per violenze che si consumano fra le pareti domestiche.
Una condizione definita «linea rossa» persino da una parte dell’AKP, partito che nel luglio 2021 – dietro esplicito sostegno del suo leader Erdogan – ha sancito il ritiro del Paese dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza di genere e domestica. Un’altra richiesta non negoziabile per il leader del New Welfare Party è la chiusura di tutte le associazioni e gruppi che difendono i diritti LGBTQ+ o si battono per la parità in società. «Il nostro presidente – spiega una nota di partito – è estremamente meticoloso al riguardo».
(…)
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Immagini di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Politica
Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.
Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».
«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».
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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.
«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.
Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.
Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.
Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Politica
Il governo francese collassa

Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.
Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.
Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.
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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.
Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.
La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.
Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.
Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni
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