Storia
Vaccinismo e nudismo

Un sito chiamato Informazione Cattolica ha ripubblicato un paragrafo di un nuovo libro di Roberto De Mattei (1948-), I sentieri del male. Congiure, cospirazioni, complotti, uscito per i tipi di Sugarco in questo 2022.
Il brano messo online si intitola «Le origini del movimento “no-vax”». A Renovatio 21 e ai suoi lettori, quindi, la cosa sembrerebbe interessantissima.
«Due studiosi francesi, Françoise Salvadori e Laurent-Henri Vignaud, rintracciano le origini del movimento antivaccinista in quell’orizzonte teosofico e naturista che caratterizzò soprattutto la Germania e l’Inghilterra tra la fine Ottocento e primi del Novecento» attacca l’articolo.
Stop. Già qui, le braccia (quelle) cadono rovinosamente al suolo: ma come, fine Ottocento? Novecento? Ogni possibile storia dell’antivaccinismo (e delle vaccinazioni tout court) per parlare delle proteste parte dai primissimi anni dell’Ottocento, a ridosso dell’attività di Edward Jenner (1749-1823). Tuttavia si può andare anche al primo Settecento, quando comunità di bostoniani si rivoltarono contro la variolizzazione, la pratica antesignana della vaccinazione, operata dal medico e pastore protestante Cotton Mather (1663-1728).
La tesi che si vuole dimostrare qui parrebbe essere un’altra. L’antivaccinismo verrebbe da un’intelligentsja tardo ottocentesca che ha radici nello spiritualismo se non nella stregoneria: «Anna Kingsford, occultista e “animalista” antelitteram, collegava la vaccinazione alla vivisezione e si propose di uccidere, attraverso le arti magiche, gli scienziati che compivano esperimenti contro gli animali».
Chiunque abbia frequentato anche minimamente il mondo antivaccinista non ha mai sentito parlare della Kingsford e dei suoi propositi di strega, che al massimo possono essere conosciuta da qualche animalista, che non possiamo dire che abbondino in maniera significativa tra i no-vax.
Il De Mattei, ad ogni modo, ne approfitta per infilarci al volo la famosa «guerra occulta» parigina tra Josef-Antoine Boullan (1824-1893) e Stanislas de Guaita (1861-1897), la lotta esoterica tra due stregoni satanisti o parasatanisti descritta nel romanzo L’abisso del romanziere decadentista Joris-Karl Huysmans (1848-1807). Si tratta di una storia che può riemergere alla mente di qualche studioso di cose religiose, tuttavia non sappiamo cosa c’entri qui, anche se è pur vero che per fare una caccia alle streghe da qualche parte ci vogliono, appunto, le streghe.
Il De Mattei tirando in ballo il fondatore dell’Antroposofia Rodolfo Steiner (1861-1925), «fondò la “medicina antroposofica” che avversava la vaccinazione, nella convinzione che essa ostacolasse l’evoluzione spirituale dell’uomo e i cicli della reincarnazione». La realtà è che, pur citato molto nel mondo del dissenso al vaccino (talvolta con aforismi attribuiti non proprio esattissimi), è esiguo il numero di passaggi dedicato dallo Steiner ai vaccini nei suoi testi; certo, il fatto che le scuole steineriane potrebbero non richiedere l’obbligo vaccinale, cosa che ha smosso qualche azione da parte di figure di potere sanitario nazionale, contribuisce a sovraesporre Steiner come maestro dell’antivaccinismo. Tuttavia, è bene vedere che, anche qui siamo in pieno Novecento, lontanissimi dalla possibile nascita dei movimenti antivaccinisti in tutto il mondo.
Tuttavia, il 74enne professore in pensione ci stupisce inserendo un nome mai udito prima, tale Richard Ungewitter (1869-1958), che troviamo descritto come «uno degli apostoli dell’antivaccinismo, ma anche uno dei primi organizzatori del movimento nudista, che ai primi del Novecento divenne una pratica popolare in Germania». Dello Ungewitter, pur avendo negli anni scandagliato la storia dell’antivaccinismo mondiale, non sapevamo nulla, e neppure del suo ruolo per la causa naturista. Siamo spiazzati. Antivaccinismo e nudismo vanno quindi a braccetto?
Il De Mattei prosegue facendo i nomi anche del naturopata Adolf Just (1859-1936), del teorico delle colonie agricole razziste Willibald Huntschel (1858-1947) e di tale Edgar Dacqué (1878-1945), tutti nomi che molto difficilmente anche le associazioni antivacciniste più antiche hanno mai sentito. Siamo informati, tuttavia, che tutti costoro «furono fautori della Nacktkultur, la “cultura del nudismo” collegata all’adorazione del sole, simbolo del ritorno alla mistica della natura».
Non è finita: ecco che è citato il Julius Streicher (1885-1946), questo sì un nome conosciuto a chi studia la storia, il quale era uno dei vertici del movimento nazista finito poi condannato a morte a Norimberga. Lo Streicher, scrive l’ex docente dell’Università dei Legionari di Cristo, «fu come Ungewitter un grande propagatore del nudismo e l’autore di una violenta campagna contro i sieri e i vaccini».
Per un momento rimaniamo interdetti: vuoi vedere che non avevamo capito niente? Dietro il rifiuto della siringa, si cela il rifiuto del vestito? Dietro la resistenza all’obbligo mRNA, si nasconde la resistenza al costume da bagno e financo alla mutanda?
Poi ci sovviene una cosa. Andando a leggere sul suo sito, si apprende che il De Mattei «è stato allievo e assistente ordinario del filosofo Augusto Del Noce e dello storico Armando Saitta, ma si considera innanzitutto discepolo del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, che ha personalmente frequentato nell’arco di vent’anni (1976-1995) ».
Per i tanti che non lo conoscessero, il Plinio (1908-1995) fu una figura, per alcuni controversa, appartenente al mondo cattolico brasiliano. Riguardo al suo seguito, Wikipedia riporta che «il 18 aprile 1985 la Conferenza Episcopale Brasiliana dichiarò in un comunicato stampa (…) “il carattere esoterico, il fanatismo religioso, il culto nei confronti del capo e fondatore, l’abuso del nome di Maria Santissima”». Per Il Foglio, giornale per cui ha scritto lungamente il De Mattei, «nel 1985 la Conferenza episcopale brasiliana dichiarò fuori dalla comunione ecclesiale il movimento».
Purtuttavia, non sono queste cose che qui rilevano, né lo sono le altre voci che si inseguono riguardo alle pratiche dei seguaci del personaggio (esistono da decenni pubblicazioni interi siti che ne parlano con dovizie di particolari).
Ad essere interessanti qui sono piuttosto certi pensieri di Plinio, di cui De Mattei si professa discepolo: riguardo al nudismo ebbe parole di fuoco. Nel libro Rivoluzione e Controrivoluzione, considerato il capolavoro plinico, l’intellettuale carioca tuona ancora trattando del «crollo delle tradizioni dell’Occidente nel campo dell’abbigliamento, corrose sempre più dal nudismo».
In un articolo del 1974, comparso sulla Fohla de S. Paulo e poi ripubblicato in Italia sulla rivista Cristianità, il filosofo paulista si interrogava guardando letteralmente dentro l’abisso: «in materia di costumi da bagno, la rivoluzione nell’abbigliamento ha avuto molto meno rispetti. E con una cadenza che ha conosciuto poche e irrilevanti esitazioni, la moda è arrivata fino al bikini. Sarà stato il bikini a ispirare e a precorrere il vestito a due pezzi?». Domande che, poste da un cittadino del Brasile delle spiagge e dei sambodromi, riecheggiano con una forza cosmica.
Segue un’impepata di notizie dell’epoca a base di varie categorie umane che si sono denudate: «cinque giornalisti sono comparsi completamente nudi di fronte agli 800 mila spettatori di un programma televisivo svedese (…) a Montevideo, nell’elegante quartiere di Carrasco, due giovani sono stati arrestati perché passeggiavano nudi (…) All’Università della Carolina del Sud (…) 510 studenti hanno sfilato nudi nel campus (…) l’università della Carolina del Nord ha organizzato una sfilata con 895 studenti nudi. A Necog Dochs, nel Texas (…) una sfilata di 1500 studenti nudi».
Gente nuda dappertutto. Anzi di più: «il nudismo è entrato in politica». C’è da mettersi le mani sui capelli, anche quando non ne si hanno più: «a questo punto si impone una domanda: dove arriveremo?» si chiede sconsolato il brasileiro. «Non fa meraviglia che questa domanda irriti coloro che da tanto tempo stanno dirigendosi di spalle verso l’abisso. L’abisso? Sì, l’abisso».
Dunque l’abisso del nudismo si manifesta enantiodromicamente con l’abisso dell’antivaccinismo?
Questa è la vera domanda. Possiamo provare a rispondere verificando, più che con i libri, con la realtà.
Prendiamo quindi il caso di Cap d’Adge, nel dipartimento dell’Hérault, in Francia, il paradiso del nudismo globale, descritto lo scorso agosto da un irresistibile articolo del notista politico del Corriere Fabrizio Roncone. Cap d’Adge, si dice, diede a Michel Houellebecq l’ispirazione per il suo romanzo Piattaforma.
Il Village naturiste della località balneare francese negli anni Novanta (proprio nel tempo in cui moriva il Plinio, ma non c’è nessuna correlazione) subì il pendìo necessariamente scivoloso che lo portò oltre, divenendo luogo di scambismo e di orge belluine, ciclicamente descritte dai giornalisti mainstream negli immancabili articoli di prurigine estiva.
Quindi, c’è da immaginarsi che il Valhalla mediterraneo dei lubrichi ignudi brulichi di individui no green pass come nemmeno alle manifestazioni del sabato che abbiamo visto un in tutte le città d’Italia e d’Europa nel biennio pandemico.
E invece… scopriamo che il «pass sanitaire», la versione francese del nostro green pass, cioè il certificato di avvenuta vaccinazione, era richiesto da una quantità di camping di nudisti.
«Il pass sanitaire sarà richiesto solo all’ingresso dei campeggi e delle residenze di vacanza, una sola volta e per tutta la durata del soggiorno. È il provvedimento adottato dal governo e dai professionisti,» scriveva Naturisme Webzine nell’estate 2021, puntualizzando su «casistiche particolari e adeguamenti a seconda del sito». Veniva quindi stilata la lista dei villaggi dove si poteva entrare vestiti del solo green pass: «È stato Euronat a dare le informazioni per primo, lunedì 19 luglio, seguito a breve da altre strutture, grandi o piccole, come Messidor, La Sablière o il CHM Montalivet. E, ora, il provvedimento è ufficiale, convalidato dalla FNHPA (federazione nazionale degli hotel all’aperto)».
Insomma, l’ordine al nudismo organizzato è stato chiaro e univoco: no agli indumenti, sì al certificato vaccinale, il quale però essendo elettronico, avranno ragionato i naturisti, non può nemmeno essere usato come foglia di fico.
E Cap d’Adge, città celeste del nudismo non teosofico-antroposofico-nazista? Ecco che siamo informati che laggiù «il pass sanitario non potrà essere richiesto ai clienti dei campeggi che offrono solo pernottamento. Sui siti pubblici, come le aree naturiste di Port Leucate o Cap d’Agde, e l’Ile du Levant, il pass sanitaire non sarà richiesto all’ingresso dell’area, ma agli ingressi degli stabilimenti interessati (ristoranti, etc.)». Cioè: come un centro commerciale dove puoi entrare nella struttura ma non nei bar o i negozi. Ad occhio e croce, direi che ad aderire, vaccinandosi con dosi plurime, potrebbe essere stata una cifra vicina al 100% dei nudisti.
E quindi? Vuoi vedere che il nudismo… è invece correlato al vaccinismo?
A questo punto il Re è nudo. Il vaccino, pure. Siringhe senza veli, che dormon nude in attesa della dissoluzione dell’umanità, dell’apocalisse. È l’abisso di cui parlava il catto-filosofo do Brazil poco sopra. È la risposta all’eterna domanda cattolica «ma dove andremo a finire»: andremo a finire verso sterminate distese di pelle umana che scopertissima si offre al solleone e all’ago mRNA.
Dopo aver chiarito questo punto, ci premerebbe dire due parole sul resto.
L’antivaccinismo non nasce con oscuri intellettuali europei di fine Ottocento, che vivono per lo più sui libri letti da chi legge solo libri.
L’antivaccinismo nasce con il vaccino, immediatamente: perché esso nasce non dalla riflessione filosofica, ma dal tragico dato di realtà dei bambini morti dopo l’inoculazione. Ciò è vero a partire dall’ora zero, dal padre della vaccinazione Edward Jenner.
Chi nel corso della storia – prima, dopo, durante l’opera di Jenner e dei suoi seguaci, anche italiani, tutti massoni (ci arriviamo fra un attimo) – si è rivoltato subito contro le politiche vaccinali adottate dagli Stati perché posto davanti al costo umano che esse avevano. Ecco perché, il movimento antivaccinista è un vero movimento di popolo, del tipo più autentico possibile – e, forse proprio per questo, mai arrivato in due secoli davvero al potere.
Perché passano i secoli, ma la composizione del popolo antivaccinista, in ogni Paese, non è cambiata di molto. Per lo meno prima dell’enigmatica accelerazione subita con la pandemia, che ha portato a quella «vaccinazione universale» già teorizzata nell’Ottocento, il movimento antivaccinista era quasi interamente composto da genitori che hanno avuto i figli danneggiati dai sieri. Ciò non è disputabile: molti di loro, nell’era pre-COVID, hanno magari anche ottenuto indennizzi previsti dallo Stato per il danno da vaccino, con la famosa legge 210/92.
Il danno da vaccino, e non una sua astrusa concettualizzazione da parte di personaggi sconosciuti, e ciò che ha animato la protesta da sempre, in tutto il mondo. Ciò è vero anche e soprattutto nel Brasile summenzionato, teatro nel 1907 di un vero moto antivaccinista, la Revolta da vacina, che stava per sfociare in un vero e proprio golpe. In un mondo dove per due anni si è parlato di rivolte no-vax, Renovatio 21 è stata praticamente una delle uniche realtà a ricordare l’episodio storico, che dimostra come l’antivaccinismo non è nato ieri con internet, e – puntualizziamo qui – che nulla ha a che fare con esoteristi e nazisti.
Il popolo brasiliano, a partire proprio quello più povero, si era levato contro chi ti entrava in casa accompagnato da soldati per bucare il corpo tuo e quello dei tuoi bambini, talvolta pure denudando (sì! È riportato proprio così!) le ragazze in assenza del padre. Il popolo brasiliano si era levato dopo aver visto quali effetti collaterali potevano saltare fuori dai sieri venefici. Ciò è vero ancora oggi: ai tempi della legge Lorenzin si poteva notare che alcuni paesini rurali italiani avevano percentuali di bambini vaccinati bassissime, e l’unica spiegazione che ci potevamo dare è che in quella località, dove si conoscono tutti, era accaduto un danno da vaccino di cui la popolazione non poteva dubitare… Il danno da vaccino, per chi vi sta intorno – famiglia, parenti conoscenti – è un’infallibile red pill.
E poi, allo storico della religione De Mattei, che cita teosofi e antroposofi, vorremo chiedere come mai non è citato, per lo meno nel brano indicato, l’elephant in the room della storia della vaccinazione: la massoneria. Magari di essa, nel libro dedicato ai misteri e ai complotti che non abbiamo ancora avuto occasione di leggere, si parla. Tuttavia, è ben bizzarro parlare delle origini del movimento no-vax senza notare come, all’origine del movimento pro-vax – che, ribadiamo, era combattuto dall’antivaccinismo già agli inizi del XIX secolo – vi sia una quantità smodata di grembiulati, e soprattutto in Italia.
I nomi li abbiamo fatti in un pezzo dell’anno passato, Massoneria e vaccinismo, che per coincidenza ci fu chiesto dal Brasile pure di tradurre in portoghese («Maçonaria e a vacinação»).
L’articolo, che conteneva non pochi elementi di storia religiosa, molto pubblici e molto anteriori a Steiner e compagnia, come la falsa omelia del «vescovo di Goldstat» (diocesi inesistente) scritta in realtà dal medico ultravaccinatore Luigi Sacco (1769-1836) per spingere i cattolici alla vaccinazione. L’articolo di Renovatio 21 è stato di recente ripubblicato da Tosatti e Blondet, non sappiamo se in reazione a questo nuovo racconto dell’antivaccinismo nudista partita su Informazione Cattolica.
Stabilire quindi che nella storia dei vaccini non vi sia l’ombra di una trama oscura e complessa, no, non crediamo sia possibile. E questo sia guardando indietro nel tempo, sia ponendo gli occhi e la mente su cosa sta accadendo ora.
Parimenti, sostenere che il movimento antivaccinista sia originato da carneadi esoterici e non da persone in carne ed ossa che hanno sofferto la tragedia infinita del danno vaccinale – o che, appreso il dramma dai racconti del prossimo, vogliono evitarselo ed evitarlo soprattutto ai loro figli – è dire qualcosa che, in fondo, può perfino ferirci.
Dopo essere entrati in contatto con tante famiglie che hanno perduto la salute – o la vita stessa – della loro prole consegnandola inconsapevolmente al Moloch vaccinale, il pensiero che la battaglia contro la siringa assetata di sangue derivi dai libri e non dalla carne e dall’anima e dal dolore ci diviene offensivo, se non semplicemente ridicolo.
Perché questa storia, iniziata centinaia di anni fa, non è finita, anzi: il vaccino è oggi divenuto il battesimo del principe di questo mondo a cui l’intera umanità si deve sottomettere. La sua corsa ora reclama ancora più sangue, ancora più morte – andando, giocoforza, ad aumentare il numero di coloro che si sveglieranno e capiranno la necessità di combattere l’abominio che affligge i figli di Dio.
Questo non è un complotto. Questo non è un libro. Questa è la verità. La nuda verità.
Roberto Dal Bosco
Pensiero
«Ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno». Israele, il sacrificio dell’Innocente: cosa ha compreso Toaff

Sta circolando da ieri con insistenza un post fatto su Facebook dadi Ariel Toaff. Molti lo conoscono già: professore di Storia presso l’Università israeliana Bar-Ilan, è figlio di Elio Toaff, già rabbino capo di Roma, noto per gli episodi di vicinanza con Giovanni Paolo II.
Le parole di Toaff, ebreo italo-israeliano, sono di una durezza tremenda. Sarebbero immediatamente condannate come «antisemitismo», e bannate dai social, se a pronunziarle fosse stato un goy, un non-ebreo.
«Israele sotto Netanyahu sta imboccando, come un ciuco ubriaco, la strada verso una debacle economica senza precedenti e l’isolamento internazionale» scrive lo storico medievale, evocando un animale, l’asino, di certo sapore biblico.
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«Se riusciremo ad uscirne, ci vorrà del tempo per rimetterci in sesto. Dell’immagine morale di Israele non parlo, perché l’ha persa da tempo». Un’ammissione drastica, ma oramai condivisibile da chiunque: il disastro morale di Israele è ora sotto gli occhi del mondo, e le denunce all’Aia e i futuri riconoscimenti promessi alla Palestina (in ultimis, in queste ore, è arrivata anche l’Australia, che pure ha una storia di lotta contro il cosiddetto «negazionismo olocaustico») ne sono la prova schiacciante. Al punto che perfino Donald Trump, accusato ora dalla sua stessa base di favorire gli israeliani rispetto agli americani in tradimento totale del principio MAGA dell’America First, ad aprile aveva dichiarato che Israele a Gaza «sta perdendo gran parte del mondo» e alimentando l’antisemitismo.
«Gaza non rischia di essere la tomba di Netanyahu e dei suoi folli seguaci, ma la nostra» continua Toaff, senza specificare se stia parlando degli ebrei o degli israeliani. «E non abbiamo fatto niente per impedirlo. Di fatto siamo suoi complici, ignobilmente complici». Parole coraggiose, di sincerità che va ben al di là dell’autocritica di rito. Si tratta di un giudizio spirituale che sa di definitivo, di epocale.
«La giusta e crudele punizione non tarderà a raggiungerci. È uno dei capitoli più infami della storia del sionismo moderno» scrive ancora lo storico nato ad Ancona. «I morti ammazzati di Gaza, donne e bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno».
Qui scatta un’immagine ancora più potente, che l’esperto di storia ha studiato e raccontato in profondità: i pogrom, gli atti di persecuzione contro gli ebrei di cui è costellata la storia di, praticamente, ogni regione del mondo. Una punizione che, incredibilmente, viene qui definita «giusta e crudele». Inseguiti con le fiamme, e poi l’inferno: sono immagini di portata spaventosa. Davanti a tanta intensità, davanti a un tale coraggio di visione e percezione, può venire la pelle d’oca. Ci togliamo il cappello.
«E ora provate a bloccarmi e a cancellare il mio post ipocriti, pavidi e vigliacchi» conclude Toaff. «Siete una vergogna nella storia del popolo di Israele». Non sappiamo a chi stia parlando ora: a chi controlla i social media? È un’implicita ammissione al fatto che gli ebrei (o i sionisti, fate voi) controllano il pubblico discorso su internet e oltre?
La carne al fuoco è tantissima. Specie se consideriamo chi sta parlando. E ricordiamo quanto accadde nel febbraio 2007, quando uscì il libro più celebre di Toaff, Pasque di sangue.
Lo studio storico, edito dalla prestigiosa casa editrice Il Mulino (in zona, diciamo così, prodiana) esamina il contesto storico e culturale dell’ebraismo ashkenazita medievale in diaspora, dove nacque l’accusa agli ebrei di compiere omicidi rituali di bambini cristiani durante la Pasqua, utilizzando il loro sangue per presunti riti anticristiani.
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L’esempio più noto è quello di Simonino di Trento, noto da tutti come San Simonino (1472-1475), bambino di due anni e mezzo trovato morto durante la Pasqua del 1475, venerato come beato dalla Chiesa cattolica sino al Concilio Vaticano II. A seguito del ritrovamento in una roggia del corpo (che, secondo voci, da qualche parte ancora dovrebbe esserci…), quindici ebrei di Trento furono interrogati con la tortura, e confessarono. Furono messi a morte. Il culto di Simonino divenne nei secoli, e non solo per il mondo cattolico, la prova dell’esistenza dell’omicidio rituale ebraico, la cosiddetta «Accusa del sangue»: l’idea, diffusa dall’Inghilterra Medievale all’Europa rinascimentale alla Germania nazista al mondo arabo odierno, secondo cui gli ebrei consumano sangue umano, specialmente di bambini, durante la Pasqua ebraica (Pesach) per scopi magici o rituali.
In Pasque di sangue, se da un lato Toaff rigetta l’idea di omicidi rituali come mito cristiano, in linea con la storiografia tradizionale che considera tali accuse una montatura delle autorità cristiane, dall’altro suggerisce che, pur mancando prove dell’uso magico o superstizioso del sangue, non si può escludere che singoli individui, forse legati a gruppi estremisti ashkenaziti, possano aver compiuto tali pratiche. In particolare, vi sarebbero elementi che farebbero pensare a collegamenti con culti cabalistici dell’ebraismo dell’Europa orientale.
In pratica, Toaff ammette che l’omicidio rituale ebraico potrebbe essere realtà. Secondo Toaff, non è corretto rigettare completamente i documenti processuali, ritenuti dalla vulgata attuale come «inattendibili». Ad esempio, si riscontra una chiara corrispondenza tra le confessioni del processo di Trento e le fonti ebraiche relative all’uso magico e simbolico del sangue in riti e liturgie specifiche durante la Pasqua ebraica, tipici di gruppi estremisti ashkenaziti, con intenti anticristiani (il cosiddetto «rituale della maledizione»). Ciò conferma che, nonostante le confessioni ottenute sotto tortura, è possibile estrarne elementi autentici della cultura sotto processo. Nelle confessioni del processo di Trento emergono frasi in ebraico ashkenazita – invettive anticristiane corroborate da altre fonti – trascritte erroneamente dai notai, dimostrando che i giudici non conoscevano né l’ebraico né lo yiddish, il che avvalora l’autenticità di tali espressioni.
Lo scandalo all’uscita del libro fu immediato. In una reazione di velocità e potenza mai prima vedute, il volume fu ritirato prepotentemente dalle librerie (un fenomeno che avremo visto anni dopo con il libro sul COVID dell’allora ministro della Sanità Speranza), ma l’effetto fu l’opposto di quello desiderato dai censori: in un classico della golemica ebraica, l’interesse verso le tesi del libro accrebbero ancora di più. Nel momento in cui scrivo, su eBay una copia di Pasque di sangue prima edizioni si può comprare per 550 euro, mentre se volete risparmiare e comprarlo su Amazon dovete sborsarne 480. Racconterò pure di aver scoperto che un’amica serba, moderatamente religiosa, aveva pure lei sentito parlare del caso, che evidentemente viene discusso anche dalle comunità ortodosse in Italia.
Sì, Golem. Il mostro sfugge dal controllo: la seconda edizione, uscita nel 2008, pure ribadiva in qualche modo le tesi, ma voleva mettere in chiaro i concetti espressi «per non consentire equivoci di sorta», ma lo scandalo non viene dimenticato, il segno lasciato dal saggio è indelebile.
Vale la pena qui notare come dentro al mondo ebraico le reazioni non siano state univoche, e per un motivo che tenteremo di spiegare.
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Le reazioni dell’ebraismo italiano, e di conseguenza dell’intellighenzia democratica tutta (con paginoni su Corriere e Repubblica, ma anche, ma guarda un po’, sul giornale dei vescovi Avvenire) fu di rigetto alle tesi di Toaff. Valga la risposta del rabbino Elio Toaff, massimo rappresentante del giudaismo nazionale, nonché padre dell’autore: «la cultura ebraica è basata sulla pace e sul perdono. Si tratta di leggende che non hanno nessun fondamento».
Al contrario, l’università di Tel Aviv dove insegna il professor Toaff, la Bar-Ilan, difese le ricerche del suo cattedratico. Lì per lì, uno si potrebbe chiedere perché: stiamo parlando di un rito diabolico, di combustibile per l’antisemitismo nei millenni, di un argomento ancora usato oggi da palestinesi e altri musulmani mediorientali. Com’è possibile che non abbiano negato a basta?
Il motivo riesco a spiegarmelo ricordando le parole di uno sconosciuto incontrato per caso nell’estate del 2007. Ero a Roma, e non potevo resistere all’idea di una passeggiata serale. Davanti alla fontana di Piazza Navona incontro, incredibilmente, un amico compaesano trasferitosi a Los Angeles, che era lì con la famiglia messa su in America – che coincidenza incredibile trovarlo lì. Quando ci salutiamo, vedo seduto lì a fianco un ragazzo calvo, dall’aspetto anglo. Sta leggendo una fotocopia con un articolo su Pasque di Sangue. Non resisto e attacco bottone.
Voglio chiedergli come mai si interessa della questione. Nasce una conversazione più generale, durata ore, del perché si trovava a Roma: è un ragazzo britannico, che viveva in America, mi racconta la sua storia di conversione, lavorava per una ricca signora cattolica, ma lui non aveva tanta fede. Poi un giorno davanti a altre persone si mette a parlare di Cristo e della sua chiesa, e si rende conto di avere dentro di sé qualcosa di simile ad una vocazione. Era volato nel centro della cristianità, quindi, per capire il da farsi: non so se sia entrato in qualche seminario, non so se ora sia un consacrato, posso però dire che credevo completamente all’energia della sua conversione.
E allora, caro amico, perché ti interessi di Pasque di sangue? Al momento trovai la risposta ingenua, «dilettantistica», direi, ma ora capisco meglio. «Perché gli ebrei stanno rivendicando questo segno di forza sanguinaria, di violenza a fondamento della loro storia. I cattolici non hanno niente del genere». Parlava quasi come la cosa gli dispiacesse, forse perché lui sognava uno Stato Cattolico come Israele è lo Stato Ebraico, e nella sua foga di neoconvertito si rendeva conto che la chiesa moderna ha tolto ogni fondamento all’idea di uno Stato Cristiano.
È la prima parte del discorso di questo ragazzo conosciuto casualmente (che ha un nome, che non farò) che ora mi risuona dentro: gli ebrei rivendicano la propria forza sanguinaria. Pure se essa è ingiusta, orrenda, crudele, inumana – esoterica, infernale. E quindi: per sfuggire all’immagine di passività inane, gli ebrei rivendicano il sacrificio umano…?
Ciò sicuramente può venire dalla vulgata ebraica del Novecento, che vedeva l’ebreo come debole prima, come vittima poi: si va dall’idea dell’ebreo come razza femmina espressa in Sesso e Carattere (1903) di Otto Weininger – libro apparso in Italia con traduzione di Giulio Evola e apprezzato da Adolfo Hitler, malgrado l’autore fosse ebreo: il führer tuttavia apprezzava il fatto che il Weininger si fosse suicidato – alla successiva presentazione dell’ebreo come vittima definitiva con i campi di sterminio, quella che Norman Finkelstein ha chiamato L’industria dell’Olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei (2000).
L’etichetta di razza debole, insomma, non va più bene agli ebrei. Non è vero che sono stati eterne vittime, e mai hanno alzato un dito contro i cristiani maggioritari: «Anche gli ebrei avevano voce. E non era sempre una voce sommessa e soffocata dalle lagrime» scrive Toaff in Pasque di Sangue.
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Quello dell’ebreo che non ne può più del senso di vittimismo, della narrativa dell’impotenza della propria genìa è un tema che meglio di ogni saggio accademico descrive il film capolavoro The Believer (2001), con un giovane e bravissimo Ryan Gosling nei panni di uintern naziskin americano che in realtà è ebreo. Una storia che riprende quella, vera, di Dan Burros (1937-1965), esponente del Partito Nazismo Americano (ANP) e della frangia più violenta del Ku Klux Klan che era in realtà di una famiglia di ebrei di Nuova York.
Burros, definito come non plus ultra post-bellico di jüdische selbsthass («odio dell’ebreo verso se stesso»), finì, come Weininger, suicida. Non era l’unico ebreo a finire ai vertici dell’ANP. Era il giro che parlava di Washington come il luogo dello ZOG, cioè Zionist occupied Government («Governo di occupazione sionista»), espressione classica dei neonazisti statunitensi desunta dal loro libro-manifesto The Turner Diaries, di cui anni fa era apparsa finalmente una traduzione in italiano chiamata La seconda guerra civile americana. I diari di Turner, ora – abbiamo appena visto – misteriosamente sparita da Amazon, dove poco tempo fa pure l’avevamo comprata. Notiamo che che in questi giorni l’espressione del «governo occupato dagli israeliani» sionisti si sente tranquillamente in bocca a commentatori americani critici dell’influenza di Israele che magari nemmeno sono di destra.
Qui si introduce un discorso più ampio, che è quello della sostituzione dell’olocausto. Alcuni hanno sostenuto che la propaganda del dopoguerra ha tentato di sostituire presso la spiritualità cristiana l’Agnello, cioè l’Innocente, cioè Cristo, con il massacro degli ebrei: di fatto, proprio il termine per descrivere il sacrificio, «Olocausto», è ora occupato dalla questione dello sterminio operato dai tedeschi.
Il popolo ebraico massacrato diviene il vero Agnello, il vero sacrifizio dell’Innocente. Per questo, è stato detto, si può considerare l’Olocausto come «unica religione rimasta», l’unica di cui lo Stato moderno, Stato laico (cioè, massonico) obbliga il culto: ecco le «Giornate della Memoria». Ecco le leggi sul «negazionismo dell’Olocausto». Ecco la censura sui social se anche solo si prova a dire qualcosa contro non l’ebraismo, ma il sionismo…
Tutto questo è finito, e non solo Toaff sembra averlo capito. La vittima è divenuta carnefice. L’abusato, abusatore. Chi ha gridato per quasi un secolo al genocidio subìto, ora è accusato all’Aia di genocidio.
Il nuovo agnello mostra le forme di un lupo sanguinario: bombarda civili, uccide bambini, affama un intero popolo. Il rovesciamento del paradigma, sembrano dire tanti come Toaff, è incontrovertibile. Nessuna carta di vittimismo pare funzionare più: non il genocidio nazista, non la strage del 7 ottobre 2023.
Per chi scrive è evidente che la volgare esibizione di potenza di Israele, mostrata in tutta la sua crudeltà gratuita non solo sui canali social interni dei soldati IDF, sia animata proprio dalla volontà di sembrare, finalmente, non più vittime. Con il problema che, dicotomicamente, se non si è vittime, si diviene carnefici…
Dal dolore della vittima, all’estasi del carnefice: non possiamo non vedere come, davvero, ciò avvicini alle versioni più caricaturali, fumettistiche, del nazismo, inteso come sadismo massivo nei confronti del più debole.
Memento Golem: quello che non viene calcolato qui, come non lo era stato l’altra volta, sono le conseguenze di quanto si fa. Certo non ce lo dice la storiografia dell’establishment, ma sappiamo che i nazisti pagarono non solo con la distruzione del loro Stato (e la creazione di uno Stato castrato, uno Stato in istato di umiliazione e impotenza permanente) ma con l’uccisione e la diaspora, nel dopoguerra, di milioni di tedeschi.
Toaff sembra averlo capito quando parla della punizione in arrivo, con «i morti ammazzati di Gaza, donne e bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno». L’inferno di Israele, al di là della questione personale e metafisica, potrebbe coincidere con la sua fine: non si tratta di un’idea peregrina, almeno non più, nemmeno presso gli stessi ebrei, con alcuni che si stanno convincendo della «maledizione dell’ottava decade»: lo Stato degli ebrei non dura più di ottant’anni, non visse più a lungo il Regno di re Davide, né il regno di Giudea (140-37 a.C.) degli asmonei che, per beghe interne tra fazione giudaiche, finì come protettorato romano.
Ora ci avviciniamo all’ottantesimo anniversario della nascita di Israele. Che sia questo che forza la mano dei sionisti? Che vi sia questo senso di apocalisse politica dietro alla frenesia assassini di questi mesi? Non sappiamo rispondere. Vediamo, tuttavia, come costoro possono immaginare, e temere, un mondo post-Israele…
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Se la sono cercata, potrebbe essere il commento superficiale. Forse in realtà non avevano scelta: con boria, ti prendi gioco dell’Innocente, sgozzi sghignazzando l’Agnello, pretendendo pure di essere tu, l’Agnello – e credi che ciò non chiamerà l’Ira di Dio?
Chiudo con una nota personale. Sono stato a Trento, per un gita domenicale, mesi fa. Parcheggiato davanti al Duomo, siamo entrati, e dopo un po’ abbiamo cercato qualcosa che ricordasse San Simonino, da qualche parte nella mia testa c’è l’idea che ci fosse una statua, forse poi cancellata con l’abolizione voluta dal Concilio Vaticano II del culto del beato bambino. Non si tratta di una figura minore per la città e per la Chiesa cattolica: fino al 1965, il Martirologio Romano in data 24 marzo segnava la celebrazione a Trento della «passione di san Simone, fanciullo trucidato crudelmente dai Giudei, autore di molti miracoli».
Chiediamo a quello che sembra un lavoratore della cattedrale. Ci dice che sì, c’è un segno rimasto, è un dipinto, dove, tra tanti altri soggetti, si intravede San Simonino… andiamo a vederlo, sulla navata sinistra: c’è, il bimbo beato è appena accennato. Quindi chiediamo dove sia la chiesa di San Simonino, e il ragazzo ci risponde che non c’è, c’è una cosa che si chiama «Aula del Simonino», è uno spazio pubblico, «laico», è un luogo FAI, ci fanno conferenze, cose così, è in fondo alla via fuori dal Duomo, che si chiama ancora via del Simonino. Andiamo a verificare: tutto vero. Tuttavia, apprendiamo che lo scorso 27 gennaio (l’immancabile «giorno della memoria») è stata piazzata in Piazza Duomo una targa commemorativa degli ebrei uccisi nel processo di quasi sei secoli fa…
Ora non ci sorprenderemmo se l’interesse per San Simonino, sepolto da decenni come hanno cercato di sotterrare il libro di Toaff, facesse un’impennata. Magari tracimando pure in altri casi della zona, come quello di Lorenzino da Marostica, bambino trovato cadavere nel 1485 e per il cui omicidio furono accusati gli ebrei di Bassano: un altro infanticidio rituale giudaico, con culto del bambino martire abolito, anche quello, dal Concilio nel 1965.
Simonino, Lorenzino, potrebbero essere tra quei «bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno». Qualcuno lo sta capendo. Sta capendo che le conseguenze, quando si tocca l’Innocente, possono davvero seguirti sino alla fine, sino al giudizio. Perché il giudizio, alla fine, ci sarà.
Sì: il sacrificio umano ha un costo. Lo diciamo non solo per quanto riguarda la guerra di Gaza, ma anche per i nostri ospedali: forse chi uccide i bambini, ad un certo punto, dovrà pagare.
Davvero.
Roberto Dal Bosco
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Immagine: Bassorilievo rappresentante l’assassino di San Simonino di Trento
Immagine di Andreas Caranti via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic; immagine modificata
Economia
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Pensiero
Il samurai di Cristo e il profeta del nulla: un sabato a Kanazawa

Sabato scorso ho avuto la fortuna di passare la giornata a Kanazawa, un piccolo gioiello di città situato nell’Ovest del Giappone.
Sul lato sud dell’area del castello, il centro ideale della città, poco meno di un chilometro separa due luoghi che rappresentano i due estremi della storia della regione. Vicino alla zona commerciale di Korinbo, si trova la chiesa Cattolica di San Giuseppe, dove, appena entrati, da subito si fa sentire la presenza del Beato Giusto Takayama Ukon.
Ho già avuto modo di rievocare la sua figura sulle pagine di Renovatio 21, ma vale la pena di ricordare ancora una volta la meravigliosa figura di questo samurai cristiano: dopo avere preferito rinunciare alle ricchezze garantite dal suo status di signore feudale pur di non abiurare la sua fede (una specie di San Francesco nipponico), Giusto Takayama passò a Kanazawa gli ultimi anni della sua vita giapponese, prima dell’esilio nelle Filippine e della morte ivi presto soppravvenuta a causa dei lunghi anni di persecuzione.
La sua presenza a Kanazawa ha lasciato tracce che esulano dalla sola testimonianza religiosa: visitando la ricostruzione del castello, si trovano cartelli illustrativi che ricordano il suo ruolo nella progettazione delle mura esterne e del fossato, oltre che del complesso sistema di canali che ancora attraversano la città.
Il clan Maeda, che ha continuativamente detenuto il potere sulla regione fino alla fine dello shogunato di Edo e all’ingresso del Giappone nell’era moderna, aveva dato asilo a Takayama quando questi si era trovato ormai senza più casa né averi a causa della sua fede religiosa, il che fa davvero onore a questo clan di guerrieri e mecenati.
Il beato Giusto, oltre che rinomato capo militare e ingegnere civile, era anche uno dei sette principali maestri della cerimonia del tè dell’epoca. Sul sado (茶道, la via del tè), ovvero la cerimonia del tè giapponese, bisognerebbe aprire un capitolo a parte: la maniera in cui in esso si fondono austerità e disciplina militare, ricercatezza estetica, enfasi sulla finitezza e l’imperfezione delle cose, attenzione nei confronti dell’ospite e umiltà nell’atteggiamento di chi officia rappresenta una delle vette assolute raggiunte dalla cultura di questo popolo contraddittorio e meraviglioso.
La chiesa di Kanazawa è appunto dedicata a San Giuseppe, ma già nel parcheggio ci dà il benvenuto una statua del samurai di Cristo. Nelle vetrate della chiesa, l’unica figura distintamente giapponese è quella del beato (con tanto di chonmage, la caratteristica pettinatura dei samurai!), e, a coronare il tutto, si trova anche in esposizione costante una reliquia della veste del Beato Giusto Takayama (per la sua santificazione si richiedono cortesemente le preghiere dei lettori).
La chiesa risulta suggestiva, vi si celebra una Messa post conciliare un po’ raffazzonata ma visibilmente molto sentita dalla comunità, come spesso capita qui in Giappone.
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Il contrasto con il museo D.T. Suzuki, a soli 15 minuti di distanza, non potrebbe essere più grande. In mezzo al verde delle piccole colline a sud del castello e del meraviglioso giardino Kenrokuen, in una zona punteggiata di musei (e vicino a un santuario shintoista dedicato al demone Inari: Quoniam omnes dii gentium daemonia), si trova questa austera e minimale struttura in cemento: in tutta onestà si tratta di un edificio indiscutibilmente bello, opera dell’architetto Yoshio Taniguchi.
Il problema è il personaggio a cui è dedicato: Daisetsu Teitaro Suzuki, probabilmente il principale divulgatore del nichilismo zen in occidente. Ci sono entrato senza sapere nulla del soggetto, su consiglio di un amico che aveva apprezzato l’architettura del museo, ma dopo pochi metri già la faccenda puzzava.
Foto del Suzuki con Erich Fromm, copia de Le porte della percezione del mefitico Aldous Huxley nella biblioteca del museo e altri cascami del milieu venefico che ha fatto da brodo di cultura ai vari sessantotti, sono gli indizi che mi hanno fatto capire di essere di fronte a una celebrazione del degrado morale e culturale militarizzato.
Una scorsa alla biografia del Suzuki sull’enciclopedia online basta a fare cadere dubbi, braccia e altre appendici. Riporto a seguire: «nel 1911, Suzuki sposò Beatrice Erskine Lane Suzuki, una laureata di Radcliffe e teosofa con molteplici contatti con la fede Baháʼí sia in America che in Giappone. In seguito Suzuki stesso si unì alla Società Teosofica Adyar e fu un teosofo attivo». Perché scrivere semplicemente che era un burattino dei servizi britannici pareva brutto. Direi che può bastare.
Ci tengo a riportare uno dei cartoncini con le profondissime massime del nostro distribuiti nel museo, che vale come promemoria della sconfinata inanità delle bubbole zen che sono state inoculate in occidente negli anni critici del dopoguerra. Si tratta chiaramente di frasette da imbonitore che devono apparire profonde e intimidire il lettore, ma che di fatto non sono degne di un Bacio Perugina scaduto.
Dietro a un linguaggio complesso, che senza definizioni precise non significa niente, si nasconde a stento il nulla. Che vuol dire trascendere? Cos’è un oggetto? Scapellamento a destra come fosse antani per due?
Di fronte a tanta aria fritta si capisce come lo zen d’accatto si sia diffuso così rapidamente in un ambiente culturale perennemente adolescente come quello statunitense, perché un adulto che legge cotante dabbenaggini risponde di regola a pernacchie o, se ha studiato, a rutti.
Il contributo che il popolo giapponese può dare all’umanità risiede altrove, nei gesti sobri di chi, attraverso il linguaggio della sua gente, celebrava la bellezza che emana dall’Unica Verità.
Mi piace pensare che, in questo momento, Giusto Takayama stia servendo il matcha a San Pietro in Paradiso.
Taro Negishi
Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo
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