Storia
Vaccinismo e nudismo
Un sito chiamato Informazione Cattolica ha ripubblicato un paragrafo di un nuovo libro di Roberto De Mattei (1948-), I sentieri del male. Congiure, cospirazioni, complotti, uscito per i tipi di Sugarco in questo 2022.
Il brano messo online si intitola «Le origini del movimento “no-vax”». A Renovatio 21 e ai suoi lettori, quindi, la cosa sembrerebbe interessantissima.
«Due studiosi francesi, Françoise Salvadori e Laurent-Henri Vignaud, rintracciano le origini del movimento antivaccinista in quell’orizzonte teosofico e naturista che caratterizzò soprattutto la Germania e l’Inghilterra tra la fine Ottocento e primi del Novecento» attacca l’articolo.
Stop. Già qui, le braccia (quelle) cadono rovinosamente al suolo: ma come, fine Ottocento? Novecento? Ogni possibile storia dell’antivaccinismo (e delle vaccinazioni tout court) per parlare delle proteste parte dai primissimi anni dell’Ottocento, a ridosso dell’attività di Edward Jenner (1749-1823). Tuttavia si può andare anche al primo Settecento, quando comunità di bostoniani si rivoltarono contro la variolizzazione, la pratica antesignana della vaccinazione, operata dal medico e pastore protestante Cotton Mather (1663-1728).
La tesi che si vuole dimostrare qui parrebbe essere un’altra. L’antivaccinismo verrebbe da un’intelligentsja tardo ottocentesca che ha radici nello spiritualismo se non nella stregoneria: «Anna Kingsford, occultista e “animalista” antelitteram, collegava la vaccinazione alla vivisezione e si propose di uccidere, attraverso le arti magiche, gli scienziati che compivano esperimenti contro gli animali».
Chiunque abbia frequentato anche minimamente il mondo antivaccinista non ha mai sentito parlare della Kingsford e dei suoi propositi di strega, che al massimo possono essere conosciuta da qualche animalista, che non possiamo dire che abbondino in maniera significativa tra i no-vax.
Il De Mattei, ad ogni modo, ne approfitta per infilarci al volo la famosa «guerra occulta» parigina tra Josef-Antoine Boullan (1824-1893) e Stanislas de Guaita (1861-1897), la lotta esoterica tra due stregoni satanisti o parasatanisti descritta nel romanzo L’abisso del romanziere decadentista Joris-Karl Huysmans (1848-1807). Si tratta di una storia che può riemergere alla mente di qualche studioso di cose religiose, tuttavia non sappiamo cosa c’entri qui, anche se è pur vero che per fare una caccia alle streghe da qualche parte ci vogliono, appunto, le streghe.
Il De Mattei tirando in ballo il fondatore dell’Antroposofia Rodolfo Steiner (1861-1925), «fondò la “medicina antroposofica” che avversava la vaccinazione, nella convinzione che essa ostacolasse l’evoluzione spirituale dell’uomo e i cicli della reincarnazione». La realtà è che, pur citato molto nel mondo del dissenso al vaccino (talvolta con aforismi attribuiti non proprio esattissimi), è esiguo il numero di passaggi dedicato dallo Steiner ai vaccini nei suoi testi; certo, il fatto che le scuole steineriane potrebbero non richiedere l’obbligo vaccinale, cosa che ha smosso qualche azione da parte di figure di potere sanitario nazionale, contribuisce a sovraesporre Steiner come maestro dell’antivaccinismo. Tuttavia, è bene vedere che, anche qui siamo in pieno Novecento, lontanissimi dalla possibile nascita dei movimenti antivaccinisti in tutto il mondo.
Tuttavia, il 74enne professore in pensione ci stupisce inserendo un nome mai udito prima, tale Richard Ungewitter (1869-1958), che troviamo descritto come «uno degli apostoli dell’antivaccinismo, ma anche uno dei primi organizzatori del movimento nudista, che ai primi del Novecento divenne una pratica popolare in Germania». Dello Ungewitter, pur avendo negli anni scandagliato la storia dell’antivaccinismo mondiale, non sapevamo nulla, e neppure del suo ruolo per la causa naturista. Siamo spiazzati. Antivaccinismo e nudismo vanno quindi a braccetto?
Il De Mattei prosegue facendo i nomi anche del naturopata Adolf Just (1859-1936), del teorico delle colonie agricole razziste Willibald Huntschel (1858-1947) e di tale Edgar Dacqué (1878-1945), tutti nomi che molto difficilmente anche le associazioni antivacciniste più antiche hanno mai sentito. Siamo informati, tuttavia, che tutti costoro «furono fautori della Nacktkultur, la “cultura del nudismo” collegata all’adorazione del sole, simbolo del ritorno alla mistica della natura».
Non è finita: ecco che è citato il Julius Streicher (1885-1946), questo sì un nome conosciuto a chi studia la storia, il quale era uno dei vertici del movimento nazista finito poi condannato a morte a Norimberga. Lo Streicher, scrive l’ex docente dell’Università dei Legionari di Cristo, «fu come Ungewitter un grande propagatore del nudismo e l’autore di una violenta campagna contro i sieri e i vaccini».
Per un momento rimaniamo interdetti: vuoi vedere che non avevamo capito niente? Dietro il rifiuto della siringa, si cela il rifiuto del vestito? Dietro la resistenza all’obbligo mRNA, si nasconde la resistenza al costume da bagno e financo alla mutanda?
Poi ci sovviene una cosa. Andando a leggere sul suo sito, si apprende che il De Mattei «è stato allievo e assistente ordinario del filosofo Augusto Del Noce e dello storico Armando Saitta, ma si considera innanzitutto discepolo del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, che ha personalmente frequentato nell’arco di vent’anni (1976-1995) ».
Per i tanti che non lo conoscessero, il Plinio (1908-1995) fu una figura, per alcuni controversa, appartenente al mondo cattolico brasiliano. Riguardo al suo seguito, Wikipedia riporta che «il 18 aprile 1985 la Conferenza Episcopale Brasiliana dichiarò in un comunicato stampa (…) “il carattere esoterico, il fanatismo religioso, il culto nei confronti del capo e fondatore, l’abuso del nome di Maria Santissima”». Per Il Foglio, giornale per cui ha scritto lungamente il De Mattei, «nel 1985 la Conferenza episcopale brasiliana dichiarò fuori dalla comunione ecclesiale il movimento».
Purtuttavia, non sono queste cose che qui rilevano, né lo sono le altre voci che si inseguono riguardo alle pratiche dei seguaci del personaggio (esistono da decenni pubblicazioni interi siti che ne parlano con dovizie di particolari).
Ad essere interessanti qui sono piuttosto certi pensieri di Plinio, di cui De Mattei si professa discepolo: riguardo al nudismo ebbe parole di fuoco. Nel libro Rivoluzione e Controrivoluzione, considerato il capolavoro plinico, l’intellettuale carioca tuona ancora trattando del «crollo delle tradizioni dell’Occidente nel campo dell’abbigliamento, corrose sempre più dal nudismo».
In un articolo del 1974, comparso sulla Fohla de S. Paulo e poi ripubblicato in Italia sulla rivista Cristianità, il filosofo paulista si interrogava guardando letteralmente dentro l’abisso: «in materia di costumi da bagno, la rivoluzione nell’abbigliamento ha avuto molto meno rispetti. E con una cadenza che ha conosciuto poche e irrilevanti esitazioni, la moda è arrivata fino al bikini. Sarà stato il bikini a ispirare e a precorrere il vestito a due pezzi?». Domande che, poste da un cittadino del Brasile delle spiagge e dei sambodromi, riecheggiano con una forza cosmica.
Segue un’impepata di notizie dell’epoca a base di varie categorie umane che si sono denudate: «cinque giornalisti sono comparsi completamente nudi di fronte agli 800 mila spettatori di un programma televisivo svedese (…) a Montevideo, nell’elegante quartiere di Carrasco, due giovani sono stati arrestati perché passeggiavano nudi (…) All’Università della Carolina del Sud (…) 510 studenti hanno sfilato nudi nel campus (…) l’università della Carolina del Nord ha organizzato una sfilata con 895 studenti nudi. A Necog Dochs, nel Texas (…) una sfilata di 1500 studenti nudi».
Gente nuda dappertutto. Anzi di più: «il nudismo è entrato in politica». C’è da mettersi le mani sui capelli, anche quando non ne si hanno più: «a questo punto si impone una domanda: dove arriveremo?» si chiede sconsolato il brasileiro. «Non fa meraviglia che questa domanda irriti coloro che da tanto tempo stanno dirigendosi di spalle verso l’abisso. L’abisso? Sì, l’abisso».
Dunque l’abisso del nudismo si manifesta enantiodromicamente con l’abisso dell’antivaccinismo?
Questa è la vera domanda. Possiamo provare a rispondere verificando, più che con i libri, con la realtà.
Prendiamo quindi il caso di Cap d’Adge, nel dipartimento dell’Hérault, in Francia, il paradiso del nudismo globale, descritto lo scorso agosto da un irresistibile articolo del notista politico del Corriere Fabrizio Roncone. Cap d’Adge, si dice, diede a Michel Houellebecq l’ispirazione per il suo romanzo Piattaforma.
Il Village naturiste della località balneare francese negli anni Novanta (proprio nel tempo in cui moriva il Plinio, ma non c’è nessuna correlazione) subì il pendìo necessariamente scivoloso che lo portò oltre, divenendo luogo di scambismo e di orge belluine, ciclicamente descritte dai giornalisti mainstream negli immancabili articoli di prurigine estiva.
Quindi, c’è da immaginarsi che il Valhalla mediterraneo dei lubrichi ignudi brulichi di individui no green pass come nemmeno alle manifestazioni del sabato che abbiamo visto un in tutte le città d’Italia e d’Europa nel biennio pandemico.
E invece… scopriamo che il «pass sanitaire», la versione francese del nostro green pass, cioè il certificato di avvenuta vaccinazione, era richiesto da una quantità di camping di nudisti.
«Il pass sanitaire sarà richiesto solo all’ingresso dei campeggi e delle residenze di vacanza, una sola volta e per tutta la durata del soggiorno. È il provvedimento adottato dal governo e dai professionisti,» scriveva Naturisme Webzine nell’estate 2021, puntualizzando su «casistiche particolari e adeguamenti a seconda del sito». Veniva quindi stilata la lista dei villaggi dove si poteva entrare vestiti del solo green pass: «È stato Euronat a dare le informazioni per primo, lunedì 19 luglio, seguito a breve da altre strutture, grandi o piccole, come Messidor, La Sablière o il CHM Montalivet. E, ora, il provvedimento è ufficiale, convalidato dalla FNHPA (federazione nazionale degli hotel all’aperto)».
Insomma, l’ordine al nudismo organizzato è stato chiaro e univoco: no agli indumenti, sì al certificato vaccinale, il quale però essendo elettronico, avranno ragionato i naturisti, non può nemmeno essere usato come foglia di fico.
E Cap d’Adge, città celeste del nudismo non teosofico-antroposofico-nazista? Ecco che siamo informati che laggiù «il pass sanitario non potrà essere richiesto ai clienti dei campeggi che offrono solo pernottamento. Sui siti pubblici, come le aree naturiste di Port Leucate o Cap d’Agde, e l’Ile du Levant, il pass sanitaire non sarà richiesto all’ingresso dell’area, ma agli ingressi degli stabilimenti interessati (ristoranti, etc.)». Cioè: come un centro commerciale dove puoi entrare nella struttura ma non nei bar o i negozi. Ad occhio e croce, direi che ad aderire, vaccinandosi con dosi plurime, potrebbe essere stata una cifra vicina al 100% dei nudisti.
E quindi? Vuoi vedere che il nudismo… è invece correlato al vaccinismo?
A questo punto il Re è nudo. Il vaccino, pure. Siringhe senza veli, che dormon nude in attesa della dissoluzione dell’umanità, dell’apocalisse. È l’abisso di cui parlava il catto-filosofo do Brazil poco sopra. È la risposta all’eterna domanda cattolica «ma dove andremo a finire»: andremo a finire verso sterminate distese di pelle umana che scopertissima si offre al solleone e all’ago mRNA.
Dopo aver chiarito questo punto, ci premerebbe dire due parole sul resto.
L’antivaccinismo non nasce con oscuri intellettuali europei di fine Ottocento, che vivono per lo più sui libri letti da chi legge solo libri.
L’antivaccinismo nasce con il vaccino, immediatamente: perché esso nasce non dalla riflessione filosofica, ma dal tragico dato di realtà dei bambini morti dopo l’inoculazione. Ciò è vero a partire dall’ora zero, dal padre della vaccinazione Edward Jenner.
Chi nel corso della storia – prima, dopo, durante l’opera di Jenner e dei suoi seguaci, anche italiani, tutti massoni (ci arriviamo fra un attimo) – si è rivoltato subito contro le politiche vaccinali adottate dagli Stati perché posto davanti al costo umano che esse avevano. Ecco perché, il movimento antivaccinista è un vero movimento di popolo, del tipo più autentico possibile – e, forse proprio per questo, mai arrivato in due secoli davvero al potere.
Perché passano i secoli, ma la composizione del popolo antivaccinista, in ogni Paese, non è cambiata di molto. Per lo meno prima dell’enigmatica accelerazione subita con la pandemia, che ha portato a quella «vaccinazione universale» già teorizzata nell’Ottocento, il movimento antivaccinista era quasi interamente composto da genitori che hanno avuto i figli danneggiati dai sieri. Ciò non è disputabile: molti di loro, nell’era pre-COVID, hanno magari anche ottenuto indennizzi previsti dallo Stato per il danno da vaccino, con la famosa legge 210/92.
Il danno da vaccino, e non una sua astrusa concettualizzazione da parte di personaggi sconosciuti, e ciò che ha animato la protesta da sempre, in tutto il mondo. Ciò è vero anche e soprattutto nel Brasile summenzionato, teatro nel 1907 di un vero moto antivaccinista, la Revolta da vacina, che stava per sfociare in un vero e proprio golpe. In un mondo dove per due anni si è parlato di rivolte no-vax, Renovatio 21 è stata praticamente una delle uniche realtà a ricordare l’episodio storico, che dimostra come l’antivaccinismo non è nato ieri con internet, e – puntualizziamo qui – che nulla ha a che fare con esoteristi e nazisti.
Il popolo brasiliano, a partire proprio quello più povero, si era levato contro chi ti entrava in casa accompagnato da soldati per bucare il corpo tuo e quello dei tuoi bambini, talvolta pure denudando (sì! È riportato proprio così!) le ragazze in assenza del padre. Il popolo brasiliano si era levato dopo aver visto quali effetti collaterali potevano saltare fuori dai sieri venefici. Ciò è vero ancora oggi: ai tempi della legge Lorenzin si poteva notare che alcuni paesini rurali italiani avevano percentuali di bambini vaccinati bassissime, e l’unica spiegazione che ci potevamo dare è che in quella località, dove si conoscono tutti, era accaduto un danno da vaccino di cui la popolazione non poteva dubitare… Il danno da vaccino, per chi vi sta intorno – famiglia, parenti conoscenti – è un’infallibile red pill.
E poi, allo storico della religione De Mattei, che cita teosofi e antroposofi, vorremo chiedere come mai non è citato, per lo meno nel brano indicato, l’elephant in the room della storia della vaccinazione: la massoneria. Magari di essa, nel libro dedicato ai misteri e ai complotti che non abbiamo ancora avuto occasione di leggere, si parla. Tuttavia, è ben bizzarro parlare delle origini del movimento no-vax senza notare come, all’origine del movimento pro-vax – che, ribadiamo, era combattuto dall’antivaccinismo già agli inizi del XIX secolo – vi sia una quantità smodata di grembiulati, e soprattutto in Italia.
I nomi li abbiamo fatti in un pezzo dell’anno passato, Massoneria e vaccinismo, che per coincidenza ci fu chiesto dal Brasile pure di tradurre in portoghese («Maçonaria e a vacinação»).
L’articolo, che conteneva non pochi elementi di storia religiosa, molto pubblici e molto anteriori a Steiner e compagnia, come la falsa omelia del «vescovo di Goldstat» (diocesi inesistente) scritta in realtà dal medico ultravaccinatore Luigi Sacco (1769-1836) per spingere i cattolici alla vaccinazione. L’articolo di Renovatio 21 è stato di recente ripubblicato da Tosatti e Blondet, non sappiamo se in reazione a questo nuovo racconto dell’antivaccinismo nudista partita su Informazione Cattolica.
Stabilire quindi che nella storia dei vaccini non vi sia l’ombra di una trama oscura e complessa, no, non crediamo sia possibile. E questo sia guardando indietro nel tempo, sia ponendo gli occhi e la mente su cosa sta accadendo ora.
Parimenti, sostenere che il movimento antivaccinista sia originato da carneadi esoterici e non da persone in carne ed ossa che hanno sofferto la tragedia infinita del danno vaccinale – o che, appreso il dramma dai racconti del prossimo, vogliono evitarselo ed evitarlo soprattutto ai loro figli – è dire qualcosa che, in fondo, può perfino ferirci.
Dopo essere entrati in contatto con tante famiglie che hanno perduto la salute – o la vita stessa – della loro prole consegnandola inconsapevolmente al Moloch vaccinale, il pensiero che la battaglia contro la siringa assetata di sangue derivi dai libri e non dalla carne e dall’anima e dal dolore ci diviene offensivo, se non semplicemente ridicolo.
Perché questa storia, iniziata centinaia di anni fa, non è finita, anzi: il vaccino è oggi divenuto il battesimo del principe di questo mondo a cui l’intera umanità si deve sottomettere. La sua corsa ora reclama ancora più sangue, ancora più morte – andando, giocoforza, ad aumentare il numero di coloro che si sveglieranno e capiranno la necessità di combattere l’abominio che affligge i figli di Dio.
Questo non è un complotto. Questo non è un libro. Questa è la verità. La nuda verità.
Roberto Dal Bosco
Storia
Il Cremlino: gli autori del massacro di Odessa devono essere puniti
Il fallimento di Kiev nel perseguire i responsabili dell’uccisione di massa degli attivisti anti-colpo di stato a Odessa dieci anni fa è una “pagina vergognosa” nella storia ucraina, ha detto il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov. Lo riporta RT.
Decine di manifestanti sono stati uccisi nel cuore della città portuale il 2 maggio 2014, dopo essere stati inseguiti da una folla in un edificio governativo, la locale Casa dei sindacati, che è stato poi dato alle fiamme e barricato. Nell’incendio morirono almeno 40 persone.
Gli aggressori avevano appoggiato il colpo di stato armato di Kiev settimane prima e appoggiato le nuove autorità che avevano preso il potere in Ucraina. Le vittime organizzavano manifestazioni quotidiane contro i cambiamenti.
«Ricordiamo tutti coloro che morirono tragicamente allora. Siamo convinti che le persone dietro questo crimine debbano essere punite», ha detto Peskov ai giornalisti. «Per tali reati non si applica la prescrizione».
Funzionari ucraini hanno affermato che le morti a Odessa erano il risultato di una provocazione da parte di aspiranti separatisti. Affermano che un piccolo gruppo ha attaccato un raduno molto più numeroso di tifosi di calcio e li ha condotti in un vicino accampamento di protesta di attivisti anti-colpo di Stato, provocando uno scontro.
Sostieni Renovatio 21
Le autorità di Kiev attribuiscono la mancata reazione rapida dei vigili del fuoco all’incendio scoppiato nella Camera dei sindacati al caos generale della situazione. Il conteggio ufficiale delle vittime dell’incidente è stato di 48, comprese sei persone morte negli scontri di strada.
Mosca ritiene che l’esplosione di violenza sia stata un tentativo deliberato di terrorizzare la popolazione della città di lingua russa affinché si sottomettesse al governo post-colpo di stato e alle sue politiche anti-russe.
«Odessa era un osso nella gola del regime, che voleva mettere in ginocchio gli abitanti della città che odiava e soffocare nel sangue ogni resistenza», ha affermato il ministero degli Esteri russo in una dichiarazione in occasione del decimo anniversario della la tragedia.
«I radicali hanno dato fuoco all’edificio. Hanno ucciso quelli che cercavano di scappare dal fuoco», ha affermato il ministero.
La dichiarazione condanna specificamente l’inerzia del presidente Volodymyr Zelens’kyj, che durante la campagna elettorale del 2019 aveva promesso che «sotto il suo governo, le leggi ucraine e il principio dell’inevitabilità della punizione sarebbero stati rigorosamente rispettati».
I commenti di Peskov di giovedì sono arrivati in risposta alle osservazioni fatte da Viktor Medvedchuk, l’ex leader dell’opposizione ucraina costretto all’esilio sotto la presidenza di Zelen’skyj. Il politico ha affermato che gli alti dirigenti post-colpo di Stato, compreso il presidente ad interim Aleksandr Turchinov e funzionari a livello di gabinetto, avevano orchestrato le uccisioni di massa.
In un’intervista alla TASS, Medvedchuk ha bollato i presunti cospiratori come «fascisti selvaggi» e ha condannato «il fatto che le “democrazie” occidentali non abbiano contestato questo crimine terribile e crudele negli ultimi dieci anni».
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine screenshot da YouTube
Pensiero
I biofascisti contro il fascismo 1.0: ecco la patetica commedia dell’antifascismo
Sostieni Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Sostieni Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Arte
La Russia di Alessandro I e la disfatta di Napoleone, una lezione attuale
Renovatio 21 ripubblica questo articolo comparso su Ricognizioni.
Ideatore della società filosofico-religiosa nella città di San Pietroburgo e della rivista «Novyj Put» (che tradotto significa «La via nuova»), padre riconosciuto del Simbolismo russo, Dmitrij Sergeevic Merežkovskij è stato uno dei più interessanti scrittori russi della prima metà del ‘900. Esule a Parigi dopo la Rivoluzione d’Ottobre, dove visse e morì nel 1941, spirito profondamente religioso passato anche per la massoneria durante il periodo zarista, viene finalmente tradotto e pubblicato in Italia dall’editore Iduna.
Lo Zar Alessandro I (pagine 450, euro 25) è un’avvincente biografia in forma di romanzo dello Zar che sfidò Napoleone, una figura leggendaria e romantica, uno dei più affascinanti personaggi della dinastia dei Romanov.
Il libro è stato curato da Paolo Mathlouthi, studioso di cultura identitaria, che per le case editrici Oaks, Iduna, Bietti ha curato già diversi volumi in cui ha indagato il complesso rapporto tra letteratura e ideologia lungo gli accidentati percorsi del Novecento, attraverso una serie di caustici ritratti dedicati alle intelligenze scomode del Secolo Breve. Ricognizioni lo ha intervistato.
Sostieni Renovatio 21
Paolo Mathlouthi, lei ha definito questo romanzo un’opera germogliata dalla fantasia titanica ed immaginifica di Merežkovskij. Cosa significa?
In una celeberrima intervista rilasciata nel 1977 ad Alberto Arbasino che, per spirito di contraddizione, lo incalzava sul tema del realismo, ipnotico mantra di quella che allora si chiamava cultura militante, Jorge Luis Borges rispondeva lapidario che la letteratura o è fantastica oppure, semplicemente, non è. «Il realismo – precisava – è solo un episodio. Nessuno scrittore ha mai sognato di essere un proprio contemporaneo. La letteratura ha avuto origine con la cosmogonia, con la mitologia, con i racconti di Dèi e di mostri».
La scellerata idea, oggi tanto in voga, che la scrittura serva a monitorare la realtà, con le sue contraddizioni e i suoi rivolgimenti effimeri è una stortura, una demonia connaturata al mondo moderno. Merezkovskij si muove nello stesso orizzonte culturale e simbolico tracciato da Borges. Sa che è la Musa a dischiudere il terzo occhio del Poeta e ad alimentare il sacro fuoco dell’ispirazione. Scrivere è per lui una pratica umana che ha una strettissima correlazione con il divino, è il riverbero dell’infinito sul finito come avrebbe detto Kant, il solo modo concesso ai mortali per intravedere Dio.
Erigere cattedrali di luce per illuminare l’oscurità, spargere dei draghi il seme, «gettare le proprie arcate oltre il mondo dei sogni» secondo l’ammonimento di Ernst Junger: questo sembra essere il compito gravido di presagi che lo scrittore russo intende assegnare al periglioso esercizio della scrittura. Opporre alle umbratili illusioni del divenire la granitica perennità dell’archetipo, attingere alle radici del Mito per far sì che l’Eterno Ritorno possa compiersi di nuovo, a dispetto del tempo e delle sue forme cangianti.
Merezkovskij si è formato nell’ambito della religiosità ascetica e manichea propria della setta ortodossa dei cosiddetti Vecchi Credenti, la stessa alla quale appartiene Aleksandr Dugin. Una spiritualità, la sua, fortemente condizionata dal tema dell’atavico scontro tra la Luce e le Tenebre. Quello descritto da Merezkovskij nei suoi romanzi è un universo organico, un mosaico vivente alimentato da una legge deterministica che, come un respiro, tende alla circolarità. Un anelito alla perfezione, riletto in chiave millenaristica, destinato tuttavia a rimanere inappagato poiché la vita, nella sua componente biologica calata nel divenire, è schiava di un rigido dualismo manicheo non passibile di risoluzione.
L’esistenza, per Merezkovskij, è dominata dalla polarità, dal conflitto inestinguibile tra due verità sempre equivalenti e tuttavia contrarie: quella celeste e quella terrena, ovvero la verità dello spirito e quella della carne, Cristo e l’Anticristo. La prima si manifesta come eterno slancio a elevarsi verso Dio rinunciando a se stessi, la seconda, al contrario, è un impulso irrefrenabile in senso inverso teso all’affermazione parossistica del propria volontà individuale.
Queste due forze cosmiche, dalla cui costante interazione scaturisce il corretto ordine delle cose, sono in lotta tra loro senza che mai l’una possa prevalere sull’altra.
Cielo e terra, vita e morte, libertà e ordine, Dio e Lucifero, l’uomo e le antinomie della Storia, l’Apocalisse e la funzione salvifica della Russia: come in uno scrigno, ecco racchiusi tutti i motivi fondanti del Simbolismo russo, gli stessi che il lettore non avrà difficoltà a rintracciare nella vita dell’illustre protagonista di questa biografia.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Chi era veramente Alessandro I?
La formazione liberale ricevuta in gioventù dal precettore ginevrino Frédéric Cesar Laharpe, messogli accanto dalla nonna Caterina II perché lo istruisca sull’uso di mondo, diffonde tra i membri della corte, sempre propensi alla cospiratoria maldicenza, la convinzione che Alessandro sia un debole, troppo innamorato di Voltaire e Rousseau per potersi occupare dell’Impero con il necessario pugno di ferro.
Mai giudizio è stato più malriposto. Se la Russia non è crollata sotto l’urto della Grande Armée lo si deve innanzitutto alle insospettabili attitudini al comando rivelate dallo Zar di fronte al pericolo incombente. I suoi dignitari hanno in tutta evidenza sottovaluto la lezione di cui Alessandro I ha fatto tesoro durante gli anni trascorsi nella tenuta di Gatcina dove il padre Paolo I, inviso alla Zarina che lo tiene lontano dagli affari di governo, impone al figlio una rigida educazione di tipo prussiano: la vita di caserma con i suoi rigori e le sue privazioni, le marce forzate e la pratica delle armi fortificano il principe nel corpo e gli offrono l’opportunità di riflettere sulla reale natura del ruolo che la Provvidenza lo ha chiamato a ricoprire.
Matura in lui, lentamente ma inesorabilmente, la consapevolezza che le funamboliche astrazioni dei filosofi illuministi sono argomenti da salotto, utilissimi per intrattenere con arguzia le dame ma assai poco attinenti all’esercizio del potere e alle prerogative della maestà. La Svizzera e l’Inghilterra sono lontanissime da Carskoe Selo e per fronteggiare la minaccia rappresentata da Napoleone e impedire che l’Impero si frantumi in mille pezzi, allora come oggi alla Russia non serve un Marco Aurelio, ma un Diocleziano.
Dopo la vittoria a Bordino contro le truppe di Napoleone, non ebbe indugi nel dare alle fiamme Mosca, la città sacra dell’Ortodossia sede del Patriarcato, la Terza Roma erede diretta di Bisanzio dove gli Zar ricevono da tempo immemorabile la loro solenne investitura, pur di tagliare i rifornimenti all’ odiato avversario e consegnarlo così all’ inesorabile stretta del generale inverno. Un gesto impressionante…
Senza dubbio. Merezkovsij fa propria una visione della vita degli uomini e dei loro modi (Spengler avrebbe parlato più propriamente di «morfologia della Civiltà») segnata in maniera indelebile dall’idea della predestinazione. Un amor fati che si traduce giocoforza in un titanismo eroico tale per cui spetta solo alle grandi individualità il compito di «portare la croce» testimoniando, con il proprio operato, il compimento nel tempo del disegno escatologico in cui si estrinseca la Teodicea.
Per lo scrittore russo lo Zar è il Demiurgo, appartiene, come l’Imperatore Giuliano protagonista di un’altra sua biografia, alla stirpe degli Dèi terreni, che operano nel mondo avendo l’Eternità come orizzonte. Nella weltanschauung elaborata da Merezkovskij solo ai santi e agli eroi è concesso il gravoso privilegio di essere l’essenza di memorie future: aut Caesar, aut nihil, come avrebbe detto il Borgia. Ai giganti si confanno gesti impressionanti.
Aiuta Renovatio 21
Lei ha visto una similitudine tra l’aggressione napoleonica alla Russia di Alessandro a quanto sta avvenendo oggi…
Lo scrittore francese Sylvain Tesson, in quel bellissimo diario sulle orme del còrso in ritirata che è Beresina. In sidecar con Napoleone (edito in Italia da Sellerio) ha scritto che «davanti ai palazzi in fiamme e al cielo color sangue Napoleone comprese di aver sottovalutato la furia sacrificale dei Russi, l’irriducibile oltranzismo degli slavi». Questa frase lapidaria suona oggi alle nostre orecchie quasi come una profezia.
Quando l’urgenza del momento lo richiede, il loro fatalismo arcaico, l’innato senso del tragico, la capacità di immolare tutte le proprie forze nel rogo dell’istante, senza alcuna preoccupazione per ciò che accadrà, rendono i Russi impermeabili a qualunque privazione, una muraglia umana anonima e invalicabile, la stessa contro la quale, un secolo e mezzo più tardi, anche Adolf Hitler, giunto alle porte di Stalingrado, avrebbe visto infrangersi le proprie mire espansionistiche. Identico tipo umano, stesso nemico, medesimo risultato. Una duplice lezione della quale, come testimoniano le cronache belliche di questi mesi, i moderni epigoni di Napoleone, ormai ridotti sulla difensiva e prossimi alla disfatta nonostante l’impressionante mole di uomini e mezzi impiegata, non sembrano aver fatto tesoro.
«Ogni passo che il nemico compie verso la Russia lo avvicina maggiormente all’Abisso. Mosca rinascerà dalle sue ceneri e il sentimento della vendetta sarà la fonte della nostra gloria e della nostra grandezza». Sono parole impressionanti quelle di Merežkovskij.
A voler essere pignoli questa frase non è stata pronunciata da Merezkovskij, ma da Alessandro I in persona, a colloquio con il Generale Kutuzov poco prima del rogo fatale. Dostoevskij ci ricorda che «il cuore dell’anima russa è intessuto di tenebra». Quanto più intensa è la luce, tanto più lugubri sono le ombre che essa proietta sul muro. Ai nemici della Russia consiglio caldamente di rileggere queste parole ogni sera prima di coricarsi…
A quali scrittori si sentirebbe di accostare Merežkovskij?
L’editoria di casa nostra, non perdonando allo scrittore russo il fatto di aver salutato con favore, negli anni del suo esilio parigino, il passaggio delle divisioni della Wehrmacht lungo gli Champs Elysées, ha riservato alle sue opere una posizione marginale, ma in Russia Merezkovskij è considerato un nume tutelare, che campeggia nel pantheon del genio nazionale accanto a Tolstoj e al mai sufficientemente citato Dostoevskij che a lui sono legati, come i lettori avranno modo di scoprire, da profonda, intima consanguineità.
Paolo Gulisano
Articolo previamente apparso su Ricognizioni.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine: Adolph Northen, La ritirata di Napoleone da Mosca (1851)
Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
-
Salute2 settimane fa
I malori della 16ª settimana 2024
-
Pensiero2 settimane fa
Foreign Fighter USA dal fronte ucraino trovato armato in Piazza San Pietro. Perché?
-
Vaccini2 settimane fa
Lanciati i vaccini RNA monodose contro COVID e influenza per i bambini. I critici: «livelli di follia senza precedenti»
-
Cina2 settimane fa
TongTong, la «ragazzina» creata con l’Intelligenza Artificiale per la Cina senza figli
-
Cancro2 settimane fa
Vaccino mRNA, «aumenti significativi» delle morti per cancro dopo la terza dose: studio giapponese
-
Droni2 settimane fa
I droni israeliani attirano i palestinesi con audio di bambini che piangono e poi gli sparano
-
Salute6 giorni fa
I malori della 17ª settimana 2024
-
Pensiero1 settimana fa
«Preghiera» pagana a Zeus ed Apollo recitata durante cerimonia di accensione della torcia olimpica. Quanti sacrifici umani verranno fatti, poi, con l’aborto-doping?