Stato
Due secoli di obbligo vaccinale in Italia
Sbaglia chi crede che l’obbligo vaccinale sia una novità introdotta dalle leggi liberticide degli ultimi governi.
In realtà è la libertà vaccinale ad essere un’eccezione nella penisola, anche prima dell’unificazione politica agita dalla massoneria (cioè, il «Risorgimento»), che come scritto di recente da Renovatio 21, ha dimostrato sempre una fortissima inclinazione verso la vaccinazione dell’intera popolazione.
L’obbligo vaccinale si diffonde con una velocità impressionante in tutta Europa già nel primissimo Ottocento, a poco più di una manciata di anni dagli esperimenti disumani di Jenner.
L’obbligo vaccinale si diffonde con una velocità impressionante in tutta Europa già nel primissimo Ottocento, a poco più di una manciata di anni dagli esperimenti disumani di Jenner.
Nel 1805 Napoleone stabilì la necessita per le sue reclute di ricevere il vaccino contro il vaiolo. Già da primo console, nel 1800, lo aveva istituzionalizzato. Bonaparte obbligò anche le popolazioni finite sotto l’amministrazione francese.
Nel 1806 è registrato forse il primo obbligo in terra italiana, quello del principato di Piombino e Lucca per la vaccinazione anti-vaiolosa estesa ai neonati nei primi due mesi di vita. Era altresì ordinata la vaccinazione di tutta la popolazione che non avesse già contrato il morbo.
Seguì nel 1812 il Regno delle due Sicilie. Già introdotta sotto i Borboni, la vaccinazione non si interruppe durante il regno del cognato di Napoleone Gioacchino Murat, Re di Napoli e delle due Sicilie nonché Supremo Consiglio di Napoli (detto delle Due Sicilie) del Rito Scozzese Antico e Accettato della Massoneria, di cui fu il primo Sovrano Gran Commendatore fino al 1815.
La legge Crispi-Pagliani prevedeva che i Comuni avessero l’obbligo di segnalare le malattie infettive. Era inoltre previsto, quindi, l’obbligo vaccinale per tutti i nuovi nati
Da Sud al Nord: nel 1859 l’obbligo dell’anti-vaiolosa fu stabilito nel Regno di Sardegna, che seguiva di pochi anni l’obbligo introdotto dal suo grande fiancheggiatore e finanziatore nell’impresa unitaria, Londa: la Gran Bretagna fu obbligata al vaccino dal 1853, con la partenza delle sanzioni per gli inadempienti dal 1867. La Prussia avrebbe poi obbligato i suoi militari al vaccino nel 1870. La Prussia e il Regno di Sardegna avevano di fatto già avuto un obbligo vaccinale per i soldati nel 1834: ciascun militare era tenuto ad avere con sé un libretto che attestasse l’avvenuta immunizzazione.
Nel 1888 il Regno d’Italia promulgo la prima legge del sistema sanitario nazionale, la legge Crispi-Pagliani. Entrambi i personaggi erano massoni di alto livello.
Crispi, presidente successore dell’ultimo governo del massone trasformista Depretis, fu il cerimoniere che assegnò a Garibaldi in un rito nella Loggia di Palermo tutti i gradi dal 4° al 33°; Pagliani, medico, era particolarmente interessato anche ad un altro tema assai caro alla massoneria, la cremazione: nel 1883 fondava Società di cremazione, per poi divenirne presidente per tre decenni dal 1902 al 1932; scrisse il libello La cremazione dei cadaveri quale costumanza civile, economica, igienica e religiosa (1904); quindi inserì la cremazione nella legge sanitaria firmata col «fratello» libero muratore Crispi.
La Crispi-Pagliani spostava il concetto di malattia da una questione di polizia ad una questione sanitaria. Fu questa legge ad introdurre nei Comuni i medici condotti, dottori pagati dagli enti che seguissero la salute nelle varie zone del Regno. Veniva inoltre ordinata la provvista di acque potabili e la creazione di statistiche sanitarie vere e proprie.
La legge inoltre prevedeva che i Comuni avessero l’obbligo di segnalare le malattie infettive. Era inoltre previsto, quindi, l’obbligo vaccinale per tutti i nuovi nati.
Negli anni Sessanta era prevista, con l’obbligatorietà, anche una sanzione penale per i genitori che non vaccinavano i figli: omessa vaccinazione
La Crispi-Pagliani rimase in vigore sino al 1978, cioè all’introduzione della 833/1978 che creò l’Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Le sue funzioni che secondo la Crispi-Pagliani affidava ai Comuni vennero di fatto trasferite alle unità sanitarie locali (USL) poi divenute azienda sanitarie locali (ASL).
La politica di vaccinazione obbligatoria tuttavia venne ritoccata varie volte nella storia anche per l’introduzione di nuovi tipi di vaccino.
Nel 1929 arrivò la disponibilità del vaccino contro antidifterite, che venne reso obbligatorio di tutti i bambini nel 1939 (decreto legge n. 891) e inoculato in combinazione con quello antivaiolo.
Nel 1959 arrivò il vaccino per la polio, prima con la formula di Salk e poi con quella di Sabin: tutti i nuovi nati italiani saranno obbligati a subire questo vaccino dal 1966. I vaccini antipolio sia Salk che Sabin, prodotti con cellule di rene di macaco, infettarono miliardi di esseri umani del virus SV-40, latente e asintomatico nella scimmia ma sospettato di essere alla base dell’insorgenza di tumori (mesoteliomi, osteosarcomi) una volta introdotto negli esseri umani.
Nel 1963 arrivò l’obbligo dell’antitetanica per i lavoratori ritenuti a rischio («lavoratori agricoli, pastori, allevatori di bestiame, stallieri, fantini, sorveglianti o addetti al lavori di sistemazione e di preparazione delle piste negli ippodromi, spazzini, cantonieri, stradini, operai e manovali addetti all’edilizia, asfaltisti, straccivendoli, operai addetti alla manipolazione delle immondizie, operai addetti alla fabbricazione della carta e dei cartoni»); nel 1968 l’obbligo venne esteso a tutta la popolazione neonata.
Negli anni Sessanta era prevista, con l’obbligatorietà, anche una sanzione penale per i genitori che non vaccinavano i figli: omessa vaccinazione. Le scuole avevano il dovere di verificare lo status vaccinale dell’alunno, pena l’esclusione dalla frequenza scolastica. La depenalizzazione della mancata vaccinazione dei figli sarebbe arrivata solo con la legge 689/1981, che trasformava il reato in illecito amministrativo.
Con la legge Lorenzin, l’Italia divenne il primo Paese al mondo a autoinfliggersi la nuova ondata dell’obbligo vaccinale globale. La Francia seguirà a ruota, e così altri Paesi. Dietro vi sono gli sforzi di enti transnazionali come l’OMS o l’ONG semi-privata GAVI, così come altre sigle ancora che hanno tutte in comune il lauto finanziamento (parliamo di miliardi di dollari) della Fondazione Bill & Melinda Gates
La legge 833/1978 (l’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale) aveva ridotto l’aspetto repressivo della vaccinazione, assicurando che i vaccini introdotti successivamente fossero non obbligatori, ma «raccomandati». Parola che non sempre riesce a convincerci.
Nel 1991 vi fu l’entrata in vigore dell’obbligo per il vaccino contro l’epatite B (legge 165/1991), una malattia che contagia per lo più per contatto sessuale ma per la quale si vogliono misteriosamente vaccinare i bambini piccoli. Una scelta, quella del governo, ritenuta da alcuni sospetta: «a prendere questa decisione fu l’allora ministro della Sanità, Francesco De Lorenzo che, insieme al responsabile del settore farmaceutico del ministero, Duilio Poggiolini, intascò ben 600 milioni di lire dall’azienda Glaxo-SmithKline, unica produttrice del vaccino Engerix B» scrive nel 2013 Yahoo! Finanza. Nonostante questa storia, il vaccino oggi resta obbligatorio per tutti i bimbi italiani.
Sempre il ministro De Lorenzo (medico e figlio dell’ex sottogretario alla Sanità Ferruccio De Lorenzo) nel 1992 varò la legge 210, «Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati»: la famosa legge che sposta sullo Stato i costi del danno da vaccino e da trasfusione, qualora sia provato il nesso causale («ragionevole probabilità scientifica») tra la malattia e il farmaco in assenza di altre cause.
La riparazione del danno poteva essere richiesta da «chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica». Anche i non vaccinati, danneggiati dal contatto con i vaccinati, potevano chiedere l’indennizzo; tuttavia esso riguardava esclusivamente i vaccini determinati come «obbligatori» e non quelli «consigliati», che verranno inclusi nelle riparazioni solo con la sentenza 107/2012 della Corte Costituzionale.
Nel 1998 si ebbe l’importante pronunciamento della Corte Costituzionale (sentenza 27) la quale stabiliva che «se il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività (art. 32 della Costituzione) giustifica l’imposizione per legge di trattamenti sanitari obbligatori, esso non postula il sacrificio della salute individuale a quella collettiva. Cosicché, ove tali trattamenti obbligatori comportino il rischio di conseguenze negative sulla salute di chi a essi è stato sottoposto, il dovere di solidarietà previsto dall’art. 2 della Costituzione impone alla collettività, e per essa allo Stato, di predisporre in suo favore i mezzi di una protezione specifica consistente in una equa indennità, fermo restando, ove se ne realizzino i presupposti, il diritto al risarcimento del danno».
L’obbligo, come abbiamo visto, non è un’eccezione: è la norma dello Stato moderno.
Forte dell’articolo 34 della Costituzione («La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita»), nel 1999 vide la luce un decreto del Presidente della Repubblica Ciampi (il n.355) che aboliva l’esclusione dalle aule per il bambino non vaccinato.
Nel 2017 si è avuto il decreto legge sull’obbligo vaccinale chiamato per semplicità «decreto vaccini» o «legge Lorenzin». I vaccini obbligatori sono inizialmente 12, ma alla fine ci si accontenta solo di 10: antipolio, antidifterica, antitetanica, anti-epatite B, antipertosse e anti-Haemophilus influenzae tipo B, antimorbillo, antirosolia, antiparotite e antivaricella. 4 ulteriori sieri vengono quindi «fortemente consigliati» dalle ASL e inoculati a spese del contribuente: anti-meningococco C e B, anti-rotavirus e anti-pneumococco.
Il decreto Lorenzin subordina l’ingresso a scuola all’avvenuta vaccinazione. Le scuole per l’infanzia non possono accettare iscrizioni di bambini non-vaccinati, mentre le scuole elementari possono farlo ma con la prospettiva di multa ai genitori. Non sono mancate tensioni di presidi e direttori scolastici che hanno imposto un regime perfino più rigido di quello richiesto dal governo.
Come noto, l’avventura dell’obbligo vaccinale per l’infanzia inizia alla Casa Bianca di Obama nel 2014, quando il ministro Lorenzin firmò un protocollo che rendeva l’Italia «designata quale capofila per i prossimi cinque anni delle strategie e campagne vaccinali nel mondo».
Il governo della massoneria e della Cultura della Morte, cosa altro poteva produrre se non decenni e secoli di obbligo alla siringa?
Con la Lorenzin, l’Italia divenne il primo Paese al mondo a autoinfliggersi la nuova ondata dell’obbligo vaccinale globale. La Francia seguirà a ruota, e così altri Paesi. Dietro vi sono gli sforzi di enti transnazionali come l’OMS o l’ONG semi-privata Global Alliance for Vaccine Initiative (GAVI), così come altre sigle ancora che hanno tutte in comune il lauto finanziamento (parliamo di miliardi di dollari) della Fondazione Bill & Melinda Gates.
Il 2017, amiamo ripetere qui a Renovatio 21, altro non era se non il prodromo del 2021: ecco quindi la legge 44/2021, che introduce l’obbligo vaccinale più draconiano per i sanitari. Poco più in là, obbligheranno gli insegnanti… E ora l’obbligo vaccinale (pardon, di green pass) coinvolge tutte le categorie di lavoratori, praticamente senza eccezione (sì, gli avvocati ne possono fare a meno, per qualche misterioso motivo).
La storia tuttavia non è finita.
L’obbligo, come abbiamo visto, non è un’eccezione: è la norma dello Stato moderno.
Il governo della massoneria e della Cultura della Morte, cosa altro poteva produrre se non decenni e secoli di obbligo alla siringa?
Immagine di Wellcome Images via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Stato
Kennedy denuncia la direttiva della Difesa USA che autorizza l’esercito a «sparare e uccidere» chi protesta
Robert F. Kennedy, Jr. ha condannato la direttiva autoritaria del Dipartimento della Difesa dell’amministrazione Biden-Harris di ampliare l’autorità militare degli Stati Uniti per supportare le attività di applicazione della legge nazionale ed esercitare l’uso della forza letale contro gli americani.
Intervenendo mercoledì durante un grande comizio di Trump a Duluth, in Georgia, Kennedy ha sottolineato la preoccupante direttiva e ha smascherato l’ipocrisia del regime di Biden nell’emanare una direttiva del genere e, allo stesso tempo, definire Trump un dittatore totalitario.
«La vicepresidente Harris ha detto oggi, nel suo post, nel suo discorso, che il presidente Trump avrebbe messo l’esercito americano contro il pubblico americano e avrebbe usato il pubblico per promuovere il suo programma», ha detto Kennedy alla folla, che è esplosa in un coro di fischi.
Thanks to @charliekirk11 and @tpaction_ for a roaring Trump Rally in Georgia. 🇺🇸 pic.twitter.com/rntlhOBdBG
— Robert F. Kennedy Jr (@RobertKennedyJr) October 24, 2024
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«Ciò che trovo interessante è che l’amministrazione Biden-Harris ha fatto due settimane fa qualcosa che non era mai stato fatto nella storia americana, ovvero inviare… una direttiva al Pentagono per modificare la legge e rendere legale l’uso della forza letale da parte dell’esercito statunitense contro cittadini americani su suolo americano».
«Tecnicamente, ora che è legale per l’esercito americano in base a questa direttiva, diventerà legale per l’esercito americano sparare e uccidere gli americani che prendono parte a proteste politiche perché non sono d’accordo con le politiche della Casa Bianca!» ha continuato Kennedy.
«Non me lo sto inventando. Chiunque di voi può cercarlo. Questa è un’iniziativa democratica. Non è arrivata durante l’amministrazione Trump. Non è arrivata da Donald Trump. È arrivata dal Partito Democratico. Ed è per questo che ho lasciato il Partito Democratico», ha aggiunto, suscitando applausi dalla folla.
Mercoledì la Harris ha rilasciato una breve dichiarazione di 3 minuti che ripeteva a pappagallo un articolo pubblicato da The Atlantic in cui si affermava che l’ex capo dello staff della Casa Bianca, il generale John Kelly, aveva affermato che Trump una volta gli aveva detto che pensava che «Hitler avesse fatto delle cose buone», con un post di accompagnamento su X che avvisava che Trump avrebbe «usato l’esercito per portare a termine vendette personali e politiche».
Donald Trump vowed to be a dictator on day one. He vowed to use the military to carry out personal and political vendettas. His former chief of staff said he wanted generals like Hitler’s.
Trump wants unchecked power. In 13 days, the American people will decide what they want. pic.twitter.com/p26wvGiN4i
— Kamala Harris (@KamalaHarris) October 23, 2024
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Come riportato da Renovatio 21, l’amministrazione Biden aveva iniziato immediatamente la persecuzione di ogni tipo di dissidenza, etichettando coloro che si opponevano alle restrizioni pandemiche (vaccini, lockdown, mascherine) e genitori di scolari (contrari a indottrinamento su razza e gender) come possibili «domestic terrorists».
Come riportato da Renovatio 21, un documento dell’FBI trapelato indicava una strategia del Bureau per infiltrare le messe in latino, considerandole fucine di «radicali» potenziali nemici degli USA.
È emerso di recente che migliaia di soldati USA sono stati addestrati con diapositive che definiscono i pro-life «terroristi».
La volontà di distruzione totale dell’avversario, per la creazione di un sistema monopartitico in USA, risultava evidente già nell’inquietante discorso di Philadelphia Biden, illuminato in stile Albert Speer da luci rosse, ribattezzato come Dark Brandon.
La questione della tendenza dei partiti dell’establishment di annichilire gli avversari non riguarda solo gli Stati Uniti.
Biden ha recentemente espresso il desiderio di «rinchiudere» Trump, salvo poi correggersi in qualche modo. La lawfare, cioè la guerra legale contro Trump, sta intanto continuando nei tribunali, lasciando intendere che potrebbe riservare qualche sorpresa.
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Stato
Il privilegio israeliano di sparare sugli italiani. Più qualche domanda abissale
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Stato
Alta Corte di Taipei: «Pena di morte non viola la Costituzione». Ma pone limiti
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Rigettata una petizione presentata dai 37 detenuti che si trovano nel braccio della morte, ma con l’invito ad applicarla solo in casi «eccezionali». L’ultima esecuzione risale al 2020. Le critiche del Kuomintang che definisce il verdetto dei giudici una “abolizione di fatto”. Amnesty International Taiwan parla di “passo avanti” e chiede al governo di decretare una moratoria ufficiale.
Taiwan continuerà a mantenere in vigore la pena di morte, ma dovrà applicarla solo in casi «eccezionali». Lo ha stabilito ieri la Corte Costituzionale di Taipei, con una sentenza che – pur non accogliendo la richiesta di dichiarare incostituzionali le sentenze capitali – indica comunque alcuni limiti significativi nella loro loro applicazione. E rappresenta un altro punto di distinzione importante rispetto alla Repubblica popolare cinese, che – pur non diffondendo dati ufficiali – è ritenuta dalle organizzazioni per i diritti umani il Paese al mondo dove di gran lunga vengono eseguite ogni anno più condanne a morte.
La legislazione di Taiwan prevede la possibilità della pena di morte per alcuni reati tra cui omicidio, alto tradimento, stupro e rapimento. L’ultima esecuzione a Taiwan è avvenuta nel 2020. A sollevare il caso davanti alla Corte Costituzionale è stato Wang Xinfu, la persona più anziana che si trova nel braccio della morte di Taiwan, con una petizione sottoscritta anche dagli altri 36 detenuti che si trovano nella stessa condizione.
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Nella sua sentenza l’Alta Corte ha stabilito che la pena di morte è conforme alla Costituzione di Taiwan, ma dovrebbe essere applicata solo in casi «eccezionali». Sebbene il diritto alla vita sia protetto dalla Costituzione – ha sostenuto il Presidente della Corte Costituzionale Hsu Tzong-li – «tale protezione non è assoluta». Allo stesso tempo, ha però aggiunto, essendo «la punizione più severa e di natura irreversibile, la sua applicazione e le garanzie procedurali – dalle indagini all’esecuzione – devono essere sottoposte a uno scrutinio rigoroso».
La Corte non è entrata nel merito della costituzionalità di infliggere la pena di morte per reati come l’alto tradimento o il traffico di stupefacenti. Ma ha inoltre stabilito che è «proibita» per «imputati con problemi di salute mentale, anche se questi non hanno influenzato il reato nei casi in questione».
Il tema della pena di morte è anche una questione politica a Taiwan. I deputati del Partito Democratico Progressista (DPP) û a cui appartiene il presidente Lai Ching-te – sono in gran parte favorevoli all’abolizione e ieri hanno affermato che rispetteranno l’indicazione della Corte. Al contrario il Kuomintang – il partito nazionalista – ha criticato la sentenza, sostenendo che si tratterebbe di una «abolizione di fatto» della pena capitale. Nei sondaggi di opinione il sostegno alla pena di morte risulta ancora prevalente tra la popolazione.
Da parte sua il direttore di Amnesty International Taiwan, E-Ling Chiu, ha salutato la sentenza come «un piccolo passo avanti per i diritti umani a Taiwan. La Corte costituzionale ha rafforzato le tutele dei diritti umani per i condannati a morte. Tuttavia, la pena di morte rimane in vigore per diversi reati. Questo segna un inizio nel cammino di Taiwan verso l’abolizione, e dobbiamo assicurarci che non si fermi qui».
Resta la preoccupazione «per il fatto che questa decisione mette di fatto quasi 40 persone a rischio di esecuzione», ha aggiunto. «Esortiamo il governo di Taiwan a stabilire immediatamente una moratoria ufficiale sulle esecuzioni come primo passo fondamentale. La pena di morte è intrinsecamente crudele e non ci rende più sicuri».
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