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Geopolitica

Come fermare la spirale verso la guerra

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Il conflitto ucraino si sta trasformando in guerra fra Occidente da un lato, Russia e Cina dall’altro. Entrambe le parti sono persuase che l’una voglia la rovina dell’altra. Ma la paura è cattiva consigliera. Si potrà preservare la pace solo se ognuno dei contendenti riconoscerà i propri errori. C’è bisogno di una svolta radicale, perché oggi né la linea di condotta occidentale né le azioni della Russia corrispondono alla realtà.

 

 

Nessun responsabile politico desidera la guerra nel proprio Paese. Le guerre sono in genere frutto della paura. Ogni campo teme, a torto o a ragione, l’altro. Ovviamente non mancano mai soggetti che spingono verso la catastrofe, ma sono solo dei fanatici estremamente minoritari.

 

Questa è esattamente la situazione in cui ci troviamo oggi. La Russia è convinta, a torto o a ragione, che l’Occidente voglia distruggerla; l’Occidente è altrettanto fortemente convinto che la Russia persegua fini imperialisti e voglia distruggerne le libertà. Nell’ombra, un esiguo gruppo, gli straussiani, auspica lo scontro.

 

Per fugare i malintesi dobbiamo ascoltare le narrazioni di entrambi i campi.

 

Mosca ritiene che il rovesciamento del presidente democraticamente eletto Viktor Yanukovich fu un colpo di Stato orchestrato dagli Stati Uniti. È la prima divergenza. Gli Stati Uniti infatti interpretano i fatti del 2014 come una «rivoluzione», la rivoluzione dell’Euromaidan o della Dignità. Otto anni dopo, molte testimonianze occidentali comprovano l’implicazione del dipartimento di Stato USA, della CIA, della NED [National Endowment for Democracy], della Polonia, del Canada, nonché della NATO.

 

Le popolazioni della Crimea e del Donbass rifiutarono di riconoscere la legittimità della nuova classe al potere, formata anche da molti nazionalisti integralisti, discendenti degli sconfitti della seconda guerra mondiale.

 

La Crimea – che al momento della dissoluzione dell’URSS aveva già votato per referendum l’annessione alla nascente Russia indipendente – sei mesi prima che la restante parte della Repubblica sovietica d’Ucraina si pronunciasse per l’indipendenza, si espresse con un nuovo referendum.

 

Per quattro anni la Crimea fu rivendicata sia dalla Russia sia dall’Ucraina. Mosca faceva valere il fatto di aver pagato tra il 1991 e il 1995 al posto di Kiev le pensioni e gli stipendi ai funzionari della Crimea. La Crimea continuava di fatto a essere russa, sebbene la si considerasse territorio ucraino. Alla fine il presidente russo Boris Eltsin, mentre in Russia imperversava una crisi economica gravissima, risolse il contenzioso consegnando la Crimea a Kiev.

 

La Crimea votò però una Costituzione che le riconosceva l’autonomia in seno all’Ucraina, ma Kiev non la riconobbe. Con il secondo referendum, quello del 2014, la popolazione di Crimea proclamò a larghissima maggioranza l’indipendenza. Il parlamento di Crimea chiese allora l’annessione alla Federazione di Russia, che però non acconsentì. Per rafforzare la continuità del proprio territorio, la Russia ha costruito, senza consultare l’Ucraina, un gigantesco ponte sul Mar d’Azov che collega il territorio metropolitano alla penisola di Crimea, privatizzando di fatto il piccolo mare.

 

In Crimea c’è il porto di Sebastopoli, indispensabile alla marina militare russa che, praticamente inesistente nel 1990, nel 2014 è tornata a essere una potenza.

 

Gli Occidentali hanno riconosciuto il referendum sovietico in Ucraina del 1990, ma non quello del 2014. Ma il diritto all’autodeterminazione dei popoli vale anche per gli abitanti della Crimea. Gli Occidentali asseriscono che, durante le operazioni di voto, sul posto c’erano molti soldati russi senza uniforme. È vero, ma i risultati dei referendum del 1990 e del 2014 sono simili. Non c’è ragione di sospettare la frode.

 

Gli Occidentali, per sottolineare che non accettavano l’«annessione», hanno adottato sanzioni collettive contro la Russia, senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Queste sanzioni violano la Carta delle Nazioni Unite, che attribuisce questo potere esclusivamente al Consiglio di Sicurezza.

 

Anche le oblast’ di Donetsk e di Lugansk si sono rifiutate di riconoscere la legittimità del governo uscito dal colpo di Stato del 2014: hanno proclamato la propria autonomia, definendosi resistenti contro i «nazisti» di Kiev. Equiparare i nazionalisti integralisti ai nazisti è storicamente giustificato, ma impedisce ai non-ucraini di capire gli avvenimenti.

 

Il nazionalismo integralista fu creato in Ucraina nei primi anni del XX secolo da Dmytro Dontsov, originariamente filosofo di sinistra, passato gradualmente all’estrema destra. Durante la prima guerra mondiale fu un agente al soldo del secondo Reich, poi partecipò al governo ucraino di Symon Petljura, nato in seguito alla Rivoluzione russa del 1917. Partecipò alla Conferenza di pace di Parigi e accettò il Trattato di Versailles.

 

Nel periodo fra le due guerre Dontsov esercitò il proprio magistero sulla gioventù ucraina, facendosi promotore del fascismo e in seguito del nazismo. Divenne violentemente antisemita, sostenendo il massacro degli ebrei molto prima delle autorità naziste, che fino al 1942 parlarono solo di espulsione.

 

Durante la seconda guerra mondiale Dontsov rifiutò di assumere la direzione dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN), che affidò al discepolo Stepan Bandera, affiancato da Yaroslav Stetsko. Quasi tutti i documenti sull’attività di Dontsov in seno al nazismo sono stati distrutti. Non si sa cosa fece durante la guerra, salvo che partecipò attivamente all’Istituto Reinhard Heydrich, dopo l’assassinio di quest’ultimo. I giornali di quest’organizzazione antisemita gli diedero molto spazio.

 

Alla Liberazione, protetto dai servizi segreti anglosassoni, fuggì in Canada, poi negli Stati Uniti. La sua virulenza non scemò nemmeno negli ultimi anni di vita: evoluto verso una forma di misticismo vichingo, predicò lo scontro finale con i «moscoviti». Oggi i libri di Dontsov, in particolare il Nazionalismo, sono una lettura obbligatoria per i miliziani, soprattutto per quelli del Reggimento Azov. Durante la seconda guerra mondiale i nazionalisti integralisti ucraini massacrarono almeno tre milioni di concittadini.

 

Washington interpreta questi fatti storici in modo diverso: i nazionalisti integralisti commisero sicuramente errori, ma si battevano per l’indipendenza sia contro i nazisti tedeschi sia contro i bolscevichi russi. La CIA ha dunque fatto bene ad accogliere Dontsov negli Stati Uniti e ad arruolare Stepan Bandera a Radio Free Europe. E meglio ancora ha fatto a creare la Lega Anticomunista Mondiale attorno al ministro nazista ucraino Yaroslav Stetsko, nonché al capo dell’opposizione al comunismo cinese, Chiang Kai-shek. Secondo Washington sono fatti che in ogni caso appartengono al passato.

 

Nel 2014, con il presidente Petro Poroshenko, il governo di Kiev ha tagliato gli aiuti ai «moscoviti» del Donbass. Ha smesso di pagare le pensioni e i salari dei funzionari. Ha vietato l’uso del russo, parlato da metà degli ucraini, e lanciato operazioni militari punitive contro questi «subumani», che in dieci mesi hanno causato 5.600 morti e 1,5 milioni di profughi. Al cospetto di questi orrori, Germania, Francia e Russia hanno imposto gli Accordi di Minsk, per ricondurre a ragione il governo di Kiev e proteggere le popolazioni del Donbass.

 

Prendendo atto che i primi Accordi non avevano prodotto risultati, la Russia fece avallare dal Consiglio di Sicurezza l’Accordo di Minsk 2. È la risoluzione 2202 del 12 febbraio 2015, adottata all’unanimità. Nella dichiarazione di voto gli Stati Uniti articolarono la loro interpretazione dei fatti: i «resistenti» del Donbass erano solo «separatisti», sostenuti militarmente da Mosca; specificarono anche che l’Accordo di Minsk 2 non sostituiva gli Accordi di Minsk 1, del 5 e 19 settembre 2014, ma vi si aggiungeva.

 

Gli Stati Uniti esigevano perciò il ritiro delle truppe russe senza uniforme presenti in Donbass. Germania e Francia fecero aggiungere una dichiarazione comune, cofirmata dalla Russia, che garantiva l’applicazione «obbligatoria» dell’insieme degli «impegni».

 

Poco tempo dopo però il presidente Poroshenko dichiarò di non voler applicare alcunché e rilanciò le ostilità; una posizione reiterata dal governo del presidente Zelensky. Nei sette anni successivi alla risoluzione 2202 vi furono altre vittime: 12 mila secondo Kiev, 20 mila secondo Mosca.

 

In questi anni Mosca non è intervenuta. Il presidente Vladimir Putin non solo ha ritirato le proprie truppe, ma ha vietato a un oligarca di mandare mercenari a sostenere le popolazioni del Donbass, che sono state così abbandonate dai garanti degli Accordi di Minsk, nonché dagli altri membri del Consiglio di Sicurezza.

 

In Russia la politica funziona così: prima di annunciare qualsiasi cosa si deve essere in grado di compierla. Mosca ha quindi preparato in silenzio le successive mosse.

 

Addestrata dalle sanzioni che la colpiscono dall’annessione della Crimea, si aspettava che, in caso di un suo intervento per far applicare la risoluzione 2202, gli Occidentali le rafforzassero. Mosca ha perciò preso contatto con altri Stati colpiti da sanzioni, in particolare con l’Iran, per aggirare le misure già in atto e prepararsi a farlo con quelle future.

 

Chi si reca regolarmente in Russia sa che l’amministrazione Putin stava da tempo incrementando un’autarchia alimentare – compresi carne e formaggi – prima inesistente. Per quanto riguarda il sistema bancario, la Russia si è avvicinata alla Cina; un’iniziativa che tutti abbiamo ritenuto essere un piano contro il dollaro. In realtà Mosca si stava preparando all’esclusione dal sistema SWIFT.

 

Quando il presidente Putin ha inviato in Ucraina l’esercito, ha specificato che non intendeva dichiarare una «guerra» per annettere l’Ucraina, ma condurre un’«operazione speciale» in forza della risoluzione 2202 e della propria «responsabilità nella protezione» delle popolazioni del Donbass.

 

Com’era prevedibile gli Occidentali hanno reagito con sanzioni economiche che per due mesi hanno perturbato gravemente l’economia russa. Poi le parti si sono invertite e le sanzioni si sono rivelate proficue per la Russia, che già da tempo vi si era preparata.

 

Gli Occidentali hanno mandato in Ucraina una grande quantità di armi, poi vi hanno dispiegato consiglieri militari e qualche forza speciale. Per l’esercito russo, tre volte inferiore a quello ucraino per numero di soldati, sono iniziate le difficoltà. Per garantire un ricambio di uomini, senza tuttavia sguarnire il sistema nazionale di difesa, le forze armante hanno così decretato una mobilitazione parziale.

 

La NATO  ha da parte sua predisposto un piano per mobilitare un gruppo centrale di Stati, cui si aggiunge un gruppo di alleati più distanti, in modo da ripartire su un numero di partner il più possibile allargato lo sforzo finanziario necessario per sfinire la Russia.

 

Mosca ha risposto annunciando che a un ulteriore passo degli Occidentali risponderà usando nuove armi.

 

Le forze armate russe e cinesi posseggono lanciamissili ipersonici, che gli Occidentali non hanno. In pochi minuti Mosca e Pechino possono distruggere qualsiasi obiettivo in ogni parte del mondo. Gli Occidentali non hanno per il momento strumenti per impedirlo. Un divario che non sarà colmato almeno fino al 2030, secondo i generali statunitensi.

 

a Russia ha già annunciato che obiettivo prioritario sarebbe il ministero degli Esteri britannico, ritenuto la mente che guida i nemici, nonché il Pentagono, il braccio armato. Qualora attaccassero, le forze armate russe e cinesi distruggerebbero innanzitutto i satelliti di comunicazione strategica degli Stati Uniti (CS3), che in poche ore sarebbero privati della capacità di guidare missili nucleari, quindi di rispondere.

 

Ci sono pochi margini di dubbio sull’esito di una guerra di simile portata.

 

Quando la Russia parla di attaccare con armi nucleari, non intende bombe atomiche strategiche come quelle sganciate dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki, ma armi tattiche utili a distruggere obiettivi delimitati, come Whitehall e Pentagono. Le magniloquenti dichiarazioni del presidente Biden sul rischio che la Russia farebbe correre al mondo sono dunque insussistenti.

 

Non è escluso che ci si possa imbarcare in uno scontro di tale portata. Negli Stati Uniti un piccolo gruppo di politici non-eletti, gli Straussiani, è determinato a provocare l’apocalisse. Sono convinti che gli Stati Uniti, pur non potendo più dominare il mondo intero, possano continuare a tenere in pugno gli alleati. Per farlo devono essere pronti a sacrificarne una parte: danneggiarli in modo che gli Stati Uniti continuino a essere i primi (non i migliori).

 

Come in ogni conflitto le popolazioni hanno paura, ma un pugno di individui le spinge verso la guerra.

 

La Russia ha organizzato quattro referendum per l’autodeterminazione e l’annessione: nelle due repubbliche del Donbass, nonché nelle due oblast’ di Novorossia. Il G7, i cui ministri degli Esteri hanno partecipato all’Assemblea Generale dell’ONU a New York, ha immediatamente dichiarato che i referendum non possono essere validi perché si svolgono in situazione di guerra. Un’opinione discutibile. Hanno poi denunciato una violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, nonché dei principi della Carta delle Nazioni Unite. Queste sono invece falsità. Per definizione, il diritto dei popoli all’autodeterminazione non contrasta con la sovranità e l’integrità dello Stato da cui vogliono separarsi.

 

Sono principi che del resto tutti i membri del G7, a esclusione del Giappone, si sono impegnati a difendere firmando l’Atto finale di Helsinki.

 

È particolarmente esecrabile constatare come il G7 interpreti il diritto a proprio favore, in particolare quello dell’autodeterminazione dei popoli.

 

Per fare un esempio, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha condannato l’occupazione illegale da parte del Regno Unito dell’arcipelago delle Ciago, ordinandone la restituzione all’Isola Mauritius entro il 22 ottobre 2019. Non solo la restituzione non è mai avvenuta, ma una delle isole Ciago, Diego Garcia, è data in uso agli Stati Uniti, che vi alloggiano la più grande base militare dell’Oceano Indiano.

 

Altro esempio, nel 2009 la Francia ha illegalmente trasformato la colonia di Mayotte in dipartimento. Parigi ha organizzato un referendum, violando le risoluzioni 3291, 3385 e 31/4 dell’Assemblea Generale, che affermano l’unità delle Comore e vietano l’indizione di referendum in una sola delle sue parti, lo Stato delle Comore o la colonia francese di Mayotte. Ed è proprio per evitare la decolonizzazione che la Francia ha indetto il referendum; nelle Mayotte la Francia ha infatti installato una base militare della marina, ma soprattutto una base militare d’intercettazione e Intelligence.

 

Dal punto di vista russo, se questi referendum fossero internazionalmente riconosciuti metterebbero fine alle operazioni militari. Respingendoli, gli Occidentali prolungano il conflitto. Intendono aspettare che il resto della Novorossia cada nelle mani della Russia. Ebbene, se Odessa tornasse russa, Mosca dovrebbe accettare anche l’adesione della Transnistria, contigua alla Federazione di Russia. Ma la Transnistria non appartiene all’Ucraina, bensì alla Moldavia, da qui l’attuale nome di Repubblica Moldava del Dnestr.

 

La Russia si rifiuta di accogliere un territorio moldavo, che certamente ha ragioni storiche per proclamarsi indipendente. Ma non ha accettato nemmeno l’adesione dell’Ossezia e dell’Abkhazia, che hanno anch’esse ragioni storiche per proclamarsi indipendenti, però sono georgiane. Né la Moldavia né la Georgia hanno commesso crimini paragonabili a quelli dell’Ucraina moderna.

 

Alla fine di quest’esposizione prendiamo atto che i torti sono da entrambe le parti, ma non sono ripartiti in uguale misura. Gli Occidentali hanno riconosciuto il colpo di Stato del 2014; hanno tentato di fermare il massacro conseguente, ma alla fine hanno permesso ai nazionalisti integralisti di perseverare; hanno armato l’Ucraina invece di costringerla a rispettare gli Accordi di Minsk 1 e 2.

 

La Russia ha invece costruito senza concertazione un ponte che chiude il Mar di Azov. La pace potrà essere preservata solo se i due campi riconosceranno i propri errori.

 

Ne saremo capaci?

 

 

Thierry Meyssan

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

Immagine di Amakuha via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

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Geopolitica

Israele colpisce ancora in Siria

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Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno colpito un edificio utilizzato dalle forze di sicurezza siriane fuori Damasco, ha riferito Reuters giovedì sera, citando una fonte della sicurezza allineata con il governo siriano.

 

L’agenzia di stampa statale siriana SANA ha citato una propria fonte di sicurezza che ha affermato che otto soldati sono stati uccisi. Ha segnalato “danni materiali” a terra, senza specificare l’obiettivo. Secondo SANA, i missili sono stati lanciati dalle alture di Golan occupate da Israele.

 

Le autorità israeliane non si sono ancora pronunciate sulla questione. Gerusalemme Ovest raramente ha riconosciuto gli attacchi al di fuori del suo territorio.

 


 

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L’attacco segnalato ha avuto luogo nel contesto delle continue tensioni tra Israele e Iran, nonché della guerra di Israele con Hamas a Gaza, che entrerà nel suo settimo mese la prossima settimana. Israele ha accusato l’Iran di armare e guidare Hamas e le milizie filo-palestinesi con sede in Siria, Iraq e Libano. Teheran, tuttavia, sostiene che Hamas e i gruppi allineati agiscono in modo indipendente.

 

Il 1° aprile, Israele aveva bombardato un complesso diplomatico iraniano a Damasco, uccidendo diversi ufficiali militari, tra cui due generali del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica.

 

Poco più di una settimana dopo, l’Iran ha risposto con una raffica di droni e missili lanciati contro Israele. Secondo l’IDF, la maggior parte dei proiettili sono stati intercettati e l’attacco non ha causato vittime.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi due anni oltre a Damasco (bombardata anche in raid diurni) gli aeroporti della capitale e di Aleppo sono ripetutamente colpiti. Nel 2022, la Russia, che ha truppe presenti sul territorio siriano, dopo l’ennesimo raid emise una rara, molto inusuale condanna pubblica degli attacchi israeliani all’aviosuperficie della capitale.

 

È emerso negli scorsi giorni che le forze armate israeliane utilizzerebbero l’Intelligenza Artificiale negli attacchi aerei.

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Immagine di Clemens Vasters via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Geopolitica

Ancora botte dentro e fuori il Parlamento della Georgia. Ma la legge sugli «agenti stranieri» passa

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Mercoledì i deputati georgiani si sono scontrati in parlamento in vista della sessione plenaria in cui verrà deciso il destino di un controverso disegno di legge sugli «agenti stranieri» che ha scatenato violente proteste.   La legislazione, ufficialmente nota come disegno di legge «Sulla trasparenza dell’influenza straniera», è una nuova versione di un disegno di legge simile proposto lo scorso anno dal partito al potere K’art’uli Ots’neba, «Sogno Georgiano», che richiede alle organizzazioni e agli individui con più del 20% di finanziamenti esteri di registrarsi come «agenti stranieri» e rivelare i propri donatori.   Il disegno di legge è stato ripresentato in parlamento con piccole modifiche all’inizio del mese scorso, e da allora è stato approvato in due letture. L’opposizione considera la legislazione autoritaria e si oppone fermamente ad essa.

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Mercoledì un video pubblicato online dalla deputata dell’opposizione Salome Samadashvili mostrava diversi suoi colleghi che si afferravano e urlavano nella sala conferenze principale del parlamento. Non è chiaro cosa si sia detto esattamente durante l’alterco, ma si può sentire una voce che grida «istigatore!», secondo quanto riportato da RT.   La stessa Samadashvili non sembra aver preso parte all’alterco ma, secondo quanto riportato dai media, le è stato successivamente chiesto di lasciare la sessione plenaria.  

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Si tratta del secondo incidente questa settimana in cui le discussioni parlamentari sulla nuova legislazione sono diventate violente. Lunedì la deputata dell’opposizione Khatia Dekanoidze ha colpito con una bottiglia d’acqua Guram Macharashvili, un deputato del partito al governo.   Due settimane prima, in un’altra sessione dedicata al disegno di legge era scoppiata una rissa dopo che il deputato dell’opposizione Aleko Elisashvili aveva dato un pugno in faccia a Mamuka Mdinaradze, un forte sostenitore della legislazione.   La proposta di legge ha scatenato proteste di massa anche fuori dal parlamento. I filmati girati negli ultimi giorni mostrano manifestanti dell’opposizione che si scontrano con agenti di polizia, che vengono visti usare spray al peperoncino, gas lacrimogeni e idranti per disperdere la folla.   Gli stati occidentali, inclusi Stati Uniti e Unione Europea, hanno criticato la proposta di legge, sostenendo che complicherebbe il lavoro di molte ONG straniere nel paese. Bruxelles ha persino avvertito la Georgia, alla quale è stato recentemente concesso lo status di candidata all’UE, che l’adozione della legislazione potrebbe mettere a repentaglio la candidatura del paese all’adesione.   Tuttavia, la scorsa settimana il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze ha insistito sul fatto che il disegno di legge è una «condizione necessaria per andare avanti» nel percorso verso l’adesione all’UE perché renderebbe la Georgia più trasparente.   Ieri il Parlamento georgiano ha approvato la seconda lettura del disegno di legge. Il ministero della Sanità georgiano, in un bollettino citato dai media georgiani, ha detto che 11 persone, tra cui sei agenti di polizia, hanno ricevuto cure ospedaliere dopo gli scontri seguiti all’approvazione del disegno di legge.  

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Il vice ministro dell’Interno Aleksandre Darakhvelidze, citato dai media georgiani, ha affermato che i manifestanti hanno tentato di entrare in parlamento utilizzando vari oggetti e hanno attaccato i poliziotti. Darakhvelidze ha detto che l’azione della polizia martedì ha provocato 63 arresti e il ferimento di sei agenti di polizia.   La Georgia ad inizio degli anni 2000 è stata teatro di una «rivoluzione colorata», la cosiddetta «rivoluzione delle rose», guidata da Mikheil Saakashvili, personaggio politico ora in carcere, dopo essere fuggito in Ucraina dove il presidente Poroshenko lo aveva fatto governatore dell‘oblast’ di Odessa.   Secondo quanto riportato, all’epoca l’Open Society Institute (OSI), finanziato da George Soros, sosteneva Mikheil Saakashvili e una rete di organizzazioni filo-democratiche. L’OSI ha inoltre pagato un certo numero di studenti attivisti affinché andassero in Serbia e imparassero dai serbi che avevano contribuito a rovesciare Slobodan Milosevic nel 2000.I promotori della democrazia occidentale hanno anche diffuso sondaggi di opinione pubblica e analizzato i dati elettorali in tutta la Georgia.   Una significativa fonte di finanziamento per la Rivoluzione delle Rose fu quindi la rete di fondazioni e ONG associate al finanziere miliardario ungherese-americano George Soros. La Fondazione per la Difesa delle Democrazie riporta il caso di un ex parlamentare georgiano che ha sostenuto che nei tre mesi precedenti la Rivoluzione delle Rose, «Soros ha speso 42 milioni di dollari per rovesciare Shevardnadze».   «Queste istituzioni sono state la culla della democratizzazione, in particolare la Fondazione Soros… tutte le ONG che gravitano attorno alla Fondazione Soros hanno innegabilmente portato avanti la rivoluzione. Tuttavia, non si può concludere la propria analisi solo con la rivoluzione e si vede chiaramente che, in seguito, la Fondazione Soros e le ONG sono state integrate al potere» ha dichiarato alla rivista dell’Istituto Francese per la Geopolitica Herodote l’ex ministro degli Esteri Salomé Zourabichvili, ora presidente della Georgia.  

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Geopolitica

I palestinesi cacciano via l’ambasciatore tedesco

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L’ambasciatore tedesco presso l’Autorità Palestinese è stato braccato da una folla inferocita e costretto a fuggire durante una visita all’Università di Birzeit in Cisgiordania. Lo riporta RT.

 

I media riferiscono che gli studenti hanno preso di mira il diplomatico a causa del sostegno del suo paese a Israele nella guerra contro Hamas.

 

Un video dell’incidente pubblicato sui social media mostra l’ambasciatore Oliver Owcza che cammina velocemente verso il suo veicolo mentre i manifestanti lo seguono e lo disturbano martedì. Un’altra clip mostra una folla che circonda e prende a calci l’auto di Owcza, strappa uno specchietto laterale e lancia oggetti mentre si allontana.

 

Owcza faceva parte di un gruppo di inviati europei che sono stati «attaccati» mentre partecipavano a un incontro al Museo Nazionale Palestinese, situato nel campus dell’Università Birzeit a nord di Ramallah, secondo il Jerusalem Post. Diversi veicoli del corteo degli ambasciatori sono rimasti danneggiati, compreso almeno uno con il finestrino posteriore rotto.

 

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Un diplomatico ha detto a Reuters che una folla è apparsa fuori dall’incontro, chiedendo che gli inviati se ne andassero, e che i tentativi di parlare con i manifestanti non hanno avuto successo e che i visitatori sono dovuti fuggire. Nessuno è rimasto ferito o minacciato gravemente, ha aggiunto.

 

La Germania ha storicamente sostenuto Israele politicamente e militarmente. L’esercito israeliano acquista gran parte dei suoi armamenti da Berlino, scrive RT. Tuttavia, i leader tedeschi sono stati critici nei confronti delle politiche israeliane e hanno donato oltre 1 miliardo di euro (1,07 miliardi di dollari) in aiuti all’Autorità Palestinese, sostenendo i diritti dei palestinesi e hanno spinto per un accordo di pace a due Stati.

 

Amr Kayed, uno studente dell’Università di Birzeit, avrebbe affermato che i diplomatici dell’UE sono stati costretti ad andarsene perché «chiunque sia complice del genocidio e dell’offensiva su Gaza» non è il benvenuto a scuola.

 

L’ambasciatore Owcza ha minimizzato l’incidente, affermando in un post su X (ex Twitter) che Jla protesta pacifica e il dialogo hanno sempre il loro posto» e aggiungendo che «ci rammarichiamo che l’incontro di oggi dei capi missione dell’UE presso il Museo Nazionale di Birzeit sia stato indebitamente interrotto dai manifestanti. Ciononostante, rimaniamo impegnati a lavorare in modo costruttivo con i nostri partner palestinesi».

 

Come riportato da Renovatio 21, ad inizio mese il Nicaragua ha portato la Germania davanti alla Corte Internazionale per complicità nel genocidio di Gaza.

 

La complicità europea è stata sottolineata dall’eurodeputata irlandese Clare Daly che ha apostrofato la presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula Von der Leyen, come «frau genocidio».

 

La complicità europea è stata sottolineata dall’eurodeputata irlandese Clare Daly che ha apostrofato la presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula Von der Leyen, come «frau genocidio».

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