Oligarcato
Le fondazioni di Soros finanziano direttamente gli ucraini
Due canali finanziari del miliardario anglofilo statunitense George Soros annunciano con orgoglio di sostenere e finanziare lo sforzo bellico ucraino. Lo riporta EIR.
Il 3 marzo, il sito web di Open Society Foundations di Soros ha annunciato:
«Le Open Society Foundations oggi mettono a disposizione 25 milioni di dollari iniziali per lanciare l’Ukraine Democracy Fund e sollecitano altri finanziatori a unirsi a noi nel sostenere la società civile in Ucraina in risposta all’assalto alla democrazia del presidente russo Vladimir Putin»
«”Questo è un momento decisivo per le società aperte”, ha affermato Mark Malloch-Brown, presidente delle Fondazioni. “Qualunque cosa possa dire il Cremlino, è chiaro che ciò di cui Putin ha davvero paura non sono né la NATO né le armi nucleari, ma una democrazia libera e fiorente alle sue porte».
Malloch-Brown, membro del Consiglio privato della regina Elisabetta, ha prestato servizio dal 2007 al 2009 presso il Foreign Office e il Commonwealth Office (ex Foreign and Colonial Office) come ministro di Stato incaricato dell’Africa e dell’Asia.
Nel 2007 è stato nominato vicepresidente del Quantum Fund di Soros e anche vicepresidente dell’Open Society Institute.
La regina lo ha nominato cavaliere nel 2007 come Cavaliere Comandante dell’Ordine di San Michele e San Giorgio, o KCMG, ed è membro aggiunto del Programma Queen Elizabeth di Chatham House. Lord Malloch-Brown ha quindi guidato la Royal Africa Society e ha anche servito come vicepresidente del World Economic Forum.
Nella sua carriere post-ministeriale, il Malloch-Brown è divenuto presidente del board di una holding che si occupa di tecnologia informatica per le macchine elettorali, che alcuni erroneamente hanno associato a Soros. L’ex ministro lasciò la società nel dicembre 2020.
Soros si è vantato di essere arrivato in Ucraina con i suoi programmi prima ancora che l’Ucraina indipendente esistesse a seguito della distruzione dell’URSS.
La Open Society opera dal 1990 in Ucraina, attraverso la International Renaissance Foundation (IRF), che ha pubblicato sul suo sito web il 23 marzo:
«Nelle prime tre settimane della guerra su vasta scala della Russia con l’Ucraina, abbiamo sostenuto 80 richieste e speso 22 milioni hrivnia [circa 6,8 milioni di euro, ndr] per aiutare l’Ucraina, i nostri difensori e la società civile…».
IRF ha riferito: «Abbiamo speso oltre il 30% del denaro per proteggere i nostri difensori, sia le forze armate che le forze di difesa territoriale. Abbiamo ricevuto più di 30 richieste da unità militari e gruppi di volontari in prima linea e nelle vicinanze: munizioni, droni, carburante, forniture mediche, ecc. Questo contributo è il minimo che potevamo fare nei primi giorni di guerra per rendere omaggio a i nostri difensori».
Come scrive EIR, «resta da vedere se questi “gruppi di volontariato in prima linea” includono le milizie neonaziste come il Battaglione Azov».
Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno, con gli scontri in Kazakistan era emerso che in tutti questi anni alcuni milioni di dollari sorosiani erano finiti anche in «programmi» in Kazakistan.
Lo scontro tra Soros e la Russia è risalente. Negli anni Novanta, egli tentò di fare in Russia ciò che fece in altri Paesi dell’EST (Ungheria, Polonia, etc.) ma non vi riuscì, probabilmente a causa della reazione della classe dei siloviki, cioè di uomini legati agli apparati di sicurezza, che sarebbero poi saliti al potere definitivamente con Putin.
I siloviki avevano con probabilità chiarissimo in cosa consistesse l’idea di Soros per la Russia. Lo scorno dello speculatore internazionale, nel 1992 distruttore di lira e sterlina (e di una quantità di altre monete nazionali travolte nel percorso, come il ringit della Malesia, che lo condannò all’ergastolo in contumacia) fu enorme, e mai del tutto riassorbito.
Il Soros ancora nel 2015 firmava per la prestigiosa rivista New York Review of Books un articolo in cui dichiarava senza giri di parole che «la Russia è l’aggressore geopolitico dell’Europa». La parola «aggressore», per definire la Russia, oggidì si sente piuttosto spesso.
Nell’articolo si dettagliavano gli elementi dello scontro finanziario con Mosca. Possiamo dire che la guerra, insomma, era già verbalmente dichiarata: e la guerra economica contro Mosca, abbiamo vista, si è finalmente concretata grazie all’apporto di Mario Draghi.
Renovatio 21 ha pubblicato un recente video del Soros su vaccini e lockdown cinesi. Il suo chiaro intento, ora, sarebbe far fuori l’attuale presidente della Repubblica Popolare Xi Jinping. La manovra finanziaria occulta è complessa, e riguarda uno scontro che sarebbe in corso con il supercolosso del Private Equity (10 trilioni di dollari di asset in gestione) Black Rock.
Il vecchio distruggitore di Stati è parso un po’ invecchiato. Come tutti noi, del resto, dopo questi infami anni di forsennato lockdowno.
Oligarcato
Soros finanzia le proteste universitarie filopalestinesi in America
Diversi gruppi studenteschi che hanno organizzato accampamenti di protesta nelle principali università statunitensi hanno ricevuto denaro dall’attivista miliardario George Soros, ha riferito venerdì il New York Post.
Le proteste iniziate all’inizio di questo mese alla Columbia University di New York City si sono poi diffuse in 40 università e college negli Stati Uniti e in Canada, tra cui Harvard, Yale e UC Berkeley. La protesta in Colombia è stata organizzata da Students for Justice in Palestine (SJP), Jewish Voice for Peace (JVP) e Within Our Lifetime.
Tutti e tre hanno ricevuto finanziamenti dalla Open Society Foundations di Soros attraverso una rete di organizzazioni no-profit, ha affermato il giornale neoeboraceno, citando la propria ricerca. Altri importanti donatori ai gruppi studenteschi furono identificati come il Rockefeller Brothers Fund e l’ex banchiere di Wall Street Felice Gelman.
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L’organo di informazione ha anche nominato tre «membri» della Campagna statunitense per i diritti dei palestinesi (USCPR), finanziata da Soros, che hanno pagato diverse migliaia di dollari per organizzare campagne nel campus. Due di loro sono ex stagisti per i democratici del Congresso.
Gli attivisti hanno chiesto che le università americane, che hanno enormi fondi impegnati in borsa, «disinvestano» da aziende come Amazon, Google e Microsoft, nonché Lockheed Martin, che hanno contratti con il governo israeliano. Vogliono anche che il governo degli Stati Uniti smetta di fornire risorse a Israele, citando il suo «genocidio» dei palestinesi a Gaza.
Il leader del gruppo filo-israeliano Anti-Defamation League, Jonathan Greenblatt, ha attribuito le proteste ai «delegati nei campus» dell’Iran in un’intervista con MSNBC questa settimana.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che «folle antisemite hanno preso il controllo delle principali università» negli Stati Uniti e chiedono «l’annientamento di Israele», paragonando i manifestanti ai nazisti tedeschi negli anni Trenta e ha detto che le loro azioni dovevano essere «condannate e condannate inequivocabilmente».
I rapporti tra Soros e Netanyahu sono tesi da decenni.
Come riportato da Renovatio 21, molti segni facevano proprio pensare che l’anno scorso, durante le proteste massive contro le riforme giudiziarie del governo Netanyahu, in Israele fosse in corso una «rivoluzione colorata» del tipo utilizzato dagli americani (con l’aiuto, in genere persistente, di George Soros e delle sue fondazioni «filantropiche») i per i tentativi di regime change in Paesi di tutto il mondo a cavallo tra gli anni Novanta e i 2000.
A quel tempo, il figlio di Netanyahu, Yair, ha affermato che il Dipartimento di Stato americano era «dietro le proteste in Israele, con l’obiettivo di rovesciare Netanyahu, apparentemente per concludere un accordo con gli iraniani».
Come noto, il ragazzo qualche anno fa pubblicò un meme, incredibilmente definito come «antisemita» pure dalla stampa italiana, che ritraeva George Soros come puparo del mondo.
Prime Minister Netanyahu's son posts anti-Semitic Soros meme on his Facebook page. pic.twitter.com/1rtzNATdg0
— Yashar Ali 🐘 (@yashar) September 9, 2017
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Lo scontro nelle università americana sulla questione palestinese ha provocato sconquassi inaspettati, come nel caso del rettore di Harvard, la donna di colore Claudine Gay, costretta alle dimissioni dopo essere stata accusata di non aver contenuto l’odio anti-israeliano nel campus.
La Gay, che ha rappresentato il più breve rettorato nella storia del prestigioso ateneo americano (si era insediata nel luglio precedente) era stata trascinata in polemiche accesissime con scavo ossessivo sul suo operato, fino a trovare segni di plagio in alcuni suoi lavori.
Le proteste anti-Israele nei campus USA sembrano una continuazione della campagna BDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), una campagna globale avviata nel 2005 da 171 ONG palestinesi, che coinvolse moltissime facoltà, professori e studenti, al punto che nel 2014 il ministro delle finanze israeliano Yair Lapid disse che i boicottaggi stavano portando Israele nella situazione internazionale del Sudafrica prima della fine dell’apartheid.
38 stati hanno approvato progetti di legge e ordini esecutivi volti a scoraggiare il boicottaggio di Israele. Separatamente, il Congresso degli Stati Uniti ha preso in considerazione una legislazione anti-boicottaggio in reazione al movimento BDS.
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Immagine di Can Pac Swire via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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«Epstein rap»: Puff Daddy avrebbe segreti su «politici» e «principi»
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NEW: Diddy’s former bodyguard Gene Deal suggests that Diddy may have tapes of politicians, princes and even preachers which could now be in the hands of the feds.
“I don’t think it’s only celebrities gonna be shook. He had politicians in there, he had princes in there. He also… pic.twitter.com/hheJPwrKMe — Collin Rugg (@CollinRugg) April 5, 2024
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Oligarcato
«Corruzione e conflitto di interessi»: la Procura Europea indaga su Von der Leyen e vaccini Pfizer
I procuratori dell’UE hanno preso in carico un’indagine di corruzione in corso sulla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Lo riporta il sito Politico, che cita un portavoce anonimo della procura di Liegi in Belgio.
L’indagine riguarda l’acquisto di quasi due miliardi di dosi di vaccino Pfizer COVID-19 per l’UE al culmine della pandemia di coronavirus. L’accusa sostiene che il capo della UE abbia negoziato l’accordo multimiliardario con l’amministratore delegato del colosso farmaceutico, Albert Bourla, in privato tramite messaggi di testo prima che gli studi clinici sul vaccino fossero completati.
La Von der Leyen si è rifiutata di rivelare il contenuto di quei messaggi, sostenendo di non riuscire a trovarli.
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Gli investigatori della Procura Europea (EPPO), che hanno lavorato sul caso negli ultimi mesi, ritengono che Von der Leyen possa essere colpevole di «interferenza nelle funzioni pubbliche, distruzione di SMS, corruzione e conflitto di interessi», scrive Politico citando i documenti legali che avrebbe visionato.
Nonostante le accuse e la stessa von der Leyen abbia ammesso di aver comunicato privatamente con Bourla per quasi un mese prima di firmare l’accordo da quasi 20 miliardi di euro (21,5 miliardi di dollari), nessuna accusa formale è stata ancora mossa contro il capo della Commissione Europea.
Il caso è stato sostenuto dai governi di Polonia e Ungheria, che hanno anche presentato denunce ufficiali sul ruolo di Von der Leyen nei negoziati sui vaccini, hanno detto fonti di Politico. Il quotidiano ha osservato, tuttavia, che Varsavia si è mossa per ritirare la denuncia dopo che il governo pro-UE del primo ministro Donald Tusk è salito al potere lo scorso anno.
Il New York Times, che per la prima volta nel 2021 riferì che conversazioni private tra Von der Leyen e Bourla erano effettivamente avvenute prima della firma dell’accordo sui vaccini, ha anche intentato una causa contro la CE per essersi rifiutata di rivelare il contenuto degli SMS e respingere una richiesta di accesso ai documenti.
Il caso contro il capo della Commissione europea ha raccolto «un interesse pubblico estremamente elevato», secondo i funzionari dell’UE, tra le preoccupazioni che il blocco abbia acquistato significativamente più vaccini COVID del necessario.
Nel dicembre dello scorso anno, Politico riferì che gli stati dell’UE avevano scaricato almeno 215 milioni di dosi, che erano costate ai contribuenti fino a 4 miliardi di euro. Nonostante ciò, i vaccini continueranno ad arrivare nell’UE secondo il contratto con Pfizer, almeno fino al 2027.
La presidenza Von der Leyen ha una storia carica di scandali, alcuni dei quali sembrano ripetere altre controversie che le erano capitate quando era in forze al governo della Repubblica Federale Tedesca.
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Come riportato da Renovatio 21, la Von der Leyen, quando era ministro della Difesa tedesco, era incappata in accuse dopo aver «ripulito» il suo cellulare che doveva divenire prova importante all’interno di uno scandalo di appalti militari. La medesima situazione pare esser capitata con i messaggini che si sarebbe scambiata con Albert Bourla, CEO di Pfizer, spariti nel nulla proprio quando le si chiede conto dei contratti per l’iniezione massiva di mRNA nei corpi di centinaia di milioni di europei. (Bourla ha riconosciuto la preparazione del presidente della Commissione sui sieri genici, ma non ha poi avuto il coraggio di presentarsi davanti ai deputati europei, mandando una sua sottoposta a fare l’ammissione sulla mancanza di test di trasmissibilità del COVID dopo il vaccino Pfizer).
L’Ursula è inoltre incappata in ulteriore scandalo famigliare basato riguardo proprio l’mRNA, quando è emerso un conflitto di interessi con il marito, che lavora presso un’azienda di terapia genica, partecipante ad una cordata di aziende-università che dovrebbe intercettare fondi europei.
La sua posizione di falco nella questione Ucraina ha visto, oltre ai continui inutili e dannosi round di sanzioni antirusse, con il programma di sequestro di 300 miliardi russi presenti su banche straniere nonché con l’esortazione al governo tedesco di «dare a Kiev tutte le armi di cui hanno bisogno».
Secondo alcune indiscrezioni, il presidente americano Joe Biden vorrebbe la Von der Leyen a capo della NATO – altra istituzione transnazionale che, guarda caso, sempre sta a Bruxelles…
Immagine di Kuhlmann/MSC via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Germany
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