Economia
Caccia cinesi su Taiwan, l’editorialista cinese dice: «abituatevi»
Il ministero della Difesa di Taiwan ieri ha affermato che almeno nove jet militari cinesi sono entrati in quello che l’isola autogovernata chiama «il suo spazio aereo».
I caccia di Pechino sarebbero stati allontanati dalle forze aeree di Formosa.
«L’aereo dell’aviazione ha emesso allarmi radio e sistemi missilistici di difesa aerea sono stati schierati per monitorare le attività», ha affermato il ministero militare di Taipei.
Il ministero ha aggiunto che i jet cinesi sono entrati in quella che Taiwan chiama la zona di identificazione della difesa aerea (ADIZ), nella regione sud-occidentale dell’isola, che ospita oltre 24 milioni di persone.
L’alto numero di aerei militari della Repubblica Popolare Cinese entrati nell’ADIZ si è verificato nel mentre il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato un intervento militare in Ucraina all’alba del 24 febbraio, poche ore dopo aver riconosciuto le due enclave separatiste di Donetsk e Lugansk.
Gli sconfinamenti di aerei cinesi in spazi contesi con Taiwan e Giappone non sono una novità, sono diverse centinaia ogni anno, così come quelli dei russi verso i Paesi NATO, talvolta molto spettacolari.
Tuttavia, la sincronia degli eventi lascia pensare ad un coordinamento tra Mosca e Pechino, suggellato dall’incontro olimpico tra Putin e Xi, con la Russia spinta tra le braccia cinesi dalla miope politica occidentale.
I cinesi stanno approfittando della situazione per rivendicare Taiwan – un ulteriore punto di frattura globale che metterebbe gli USA dinanzi a punti di pressione sui due estremi del blocco continentale eurasiatico, come del resto avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale, ma senza milioni di soldati russi alleati a sacrificare la propria vita, anzi: con milioni di soldati russi e decine di milioni di soldati cinesi pronti a sacrificarsi contro un’eventuale aggressione americana.
È così che un influente ex redattore e attuale commentatore del quotidiano statale cinese di lingua inglese Global Times ha rilasciato un commento scioccante nelle ore dell’invasione russa dell’Ucraina.
Hu Xijin ha valutato la violazione dee caccia dell’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) di giovedì nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan dicendo «Abituatevi. Potrebbero esserci più aerei dell’EPL che volano lì domani».
Get used to it. There may be more PLA aircraft fly there tomorrow. https://t.co/viU4vlEye5
— Hu Xijin 胡锡进 (@HuXijin_GT) February 24, 2022
«Sebbene l’eminente esperto di lingua inglese legato allo stato sia noto per aver trollato l’Occidente e aver denunciato ampiamente la politica di Washington a Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale, in genere fa eco anche al pensiero degli alti funzionari del PCC a Pechino» scrive Zerohedge.
Come riportato da Renovatio 21, Taiwan rimane uno snodo fondamentale per l’economia globale, perché la sua produzione di microprocessori non può essere al momento sostituita, nemmeno dalla Cina Popolare.
Si tratta del cosiddetto «scudo del microchip», che rende la sicurezza di Taipei una questione precipua dell’equilibrio mondiale. Se lo scudo fosse infranto, le conseguenze sull’economia mondiale – dall’automotive a ogni prodotto che oggi incapsula microprocessori per il suo funzionamento – sarebbero catastrofiche.
Come riportato da Renovatio 21, le tensioni in Ucraina potrebbero compromettere la produzione di chip anche senza attacchi cinesi: la carenza di materiali come neon e palladio, utilizzati dall’industria dei semiconduttori, potrebbe far saltare il banco, togliendo lo scudo di silicone dei taiwanesi. La Russia è tra i principali produttori di questi materiali.
Secondo taluni analisti, la Cina potrebbe invadere Taiwan nei prossimi 5 anni. Secondo altri, l’invasione potrebbe avvenire già entro il 2025. Vi sono tuttavia vertici militari USA che sostengono che Pechino non abbia in questo momento le capacità e neppure l’intenzione per invadere l’isola.
Il presidente pechinese Xi Jinping ha dichiarato apertis verbis la volontà di riannettere la «provincia ribelle» parlando, vestito da Mao, alla mega-celebrazione del centenario del Partito Comunista Cinese.
L’escalation su Taiwan, forse più ancora di quella ucraina, potrebbe avere risvolti nucleari.
Immagine di Alert5 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Cina
La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale
Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.
Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.
Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.
«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».
Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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