Economia
La banca centrale turca prevede che l’inflazione raggiunga il 55%
La Banca Centrale della Repubblica di Turchia (CBRT) prevede che l’inflazione raggiunga il 50% entro la fine di gennaio e il 55% a maggio.
Questo secondo loro sarà il «picco» dopo il quale affermano che scenderà al 23,2% entro la fine del 2022.
Quest’ultima cifra è una revisione al rialzo della precedente previsione di inflazione dell’11,8%. Non c’è alcuna spiegazione per cui dovrebbe scendere dal 55%. Il governatore della Banca centrale Sahap Kavcioglu ha dichiarato in una riunione tenutasi per pubblicare il primo rapporto trimestrale sull’inflazione della banca quest’anno, che il suo obiettivo è ancora quello di raggiungere il 5%, ma non ha detto quando l’obbiettivo può essere raggiunto.
Kavcioglu ha inoltre affermato che la previsione annuale di inflazione per la fine del 2023 è stata aumentata all’8,2% dal 7%. «Sembra essere un ottimismo selvaggio» scrive EIRN. A dicembre il tasso di reflazione era del 36%.
«L’aumento dell’inflazione nel recente periodo è stato determinato da un comportamento distorto dei prezzi a causa di formazioni malsane dei prezzi nel mercato dei cambi, fattori dal lato dell’offerta come l’aumento dei prezzi globali delle materie prime alimentari e agricole, vincoli di offerta e sviluppi della domanda», ha dichiarato Kavcioglu.
la Turchia di Erdogan si è con probabilità cacciata in un cul-de-sac economico (con probabili ripercussioni sulla popolazione, con rischi di contestazioni durissime) e pure geopolitico
Come riportato da Renovatio 21, la Turchia di Erdogan si è con probabilità cacciata in un cul-de-sac economico (con probabili ripercussioni sulla popolazione, con rischi di contestazioni durissime) e pure geopolitico, dove il grande nemico (ma fornitore di armi e amico per altri versi) è il grande Orso russo, pungolato magari con l’appoggio, se non l’ambiguo mandato, degli angloamericani. Si arrivò a dire l’anno scorso che vi erano jihadisti reclutati dalla Turchia per essere mandati a combattere in Ucrania.
Nonostante i successi in Libia e Azerbaigian, il caos in Kazakistan è stato visto come una perdita di influenza da parte di Ankara.
Da più parti giungono accuse di utilizzare veterani della guerra di Siria nelle zone calde – perfino, sei mesi fa, in Afghanistan… – dove la Turchia offre appoggio militare e tecnologico, specialmente con i suoi droni, venduti in questi mesi anche all’Ucraina, facendo infuriare i russi.
Nel frattempo, Erdogan si sta costruendo un Pentagono per il suo esercito.
A detta di molti analisti, l’economia distrutta e altri fattori potrebbero porre fine al regno del sultano, pardon, dell’aspirante califfo.
Come riportato da Renovatio 21, il nervosismo è tale che vi è andata di mezzo anche l’Italia, con un’accusa di spionaggio non ancora chiarita, ma di cui i giornali italiani non hanno insistito più di tanto a scrivere.
Cina
La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale
Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.
Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.
Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.
«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».
Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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