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Geopolitica

Erdoğan non aspira più a essere imperatore ottomano, ma califfo

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire

 

 

Erdoğan viene accusato a torto di voler ripristinare l’Impero ottomano. Per il presidente della Turchia le conquiste territoriali non sono un fine, bensì un mezzo per allacciare alleanze. Dopo aver esitato a lungo, ora Erdoğan rinuncia a farsi proclamare sultano: vuole diventare califfo, mettendosi a capo dei sunniti del mondo intero.

 

 

 

Un mese dopo l’attacco dell’Azerbaigian agli armeni del Karabakh, gli eserciti azero e turco avanzano militarmente; al tempo stesso però Baku e Ankara collezionano insuccessi diplomatici

Un mese dopo l’attacco dell’Azerbaigian agli armeni del Karabakh, gli eserciti azero e turco avanzano militarmente; al tempo stesso però Baku e Ankara collezionano insuccessi diplomatici.

 

Nel complesso sta accadendo quanto avevamo previsto: è in preparazione un’operazione alleata contro il capo della Confraternita dei Fratelli Mussulmani, nonché presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. Ankara potrebbe essere trascinata sin da ora nel nuovo genocidio armeno.

 

Tuttavia, l’intervento nel conflitto di protagonisti inaspettati e l’esito incerto delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti potrebbero sconvolgere il piano di Washington.

 

 

La Turchia accumula conflitti irrisolti

È in preparazione un’operazione alleata contro il capo della Confraternita dei Fratelli Mussulmani, nonché presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan

  •  Sin dalla sua nascita la Turchia moderna nega il genocidio dei non-mussulmani (1894-95 e 1915-23) e si adopera per distruggerne le prove. Nel 2018 sono però stati rinvenuti documenti che confermano gli ordini impartiti dall’Impero ottomano e dai Giovani Turchi (1).

 

  •  La Turchia occupa dal 1974 la parte nordorientale di Cipro e continua a rimanervi, nonostante nel 2004 l’isola abbia aderito all’Unione Europea. Quindi l’esercito turco occupa da 16 anni una porzione di territorio della UE.

 

  •  Nel 2012 la Turchia condusse per conto della NATO un’operazione di spopolamento della Siria: propose agli abitanti del nord di questo Paese di rifugiarsi temporaneamente in territorio turco, in attesa che la situazione militare si chiarisse. Ankara costruì nuovi agglomerati per alloggiare i siriani, ma non permise loro di entrare nelle abitazioni.

Sin dalla sua nascita la Turchia moderna nega il genocidio dei non-mussulmani (1894-95 e 1915-23) e si adopera per distruggerne le prove

 

  • Nel 2012 la Turchia invase il nord della Siria, dove ancora oggi occupa il governatorato di Idlib. Indi saccheggiò l’industria di Aleppo, portando via dalle fabbriche tutte le macchine utensili.

 

  • Nel 2013, a Istanbul, il «banchiere di Al Qaeda», il saudita Yasin Al-Qadi, e il capo della sicurezza del presidente Erdoğan furono vittime di un incidente stradale. Un figlio di Erdoğan fece immediatamente visita ad Al-Qadi in ospedale.

 

  • Nel 2014 l’esercito turco inquadrò gli jihadisti in Siria e con loro attaccò molte località, fra cui la città armena di Kassab, costringendo la popolazione a fuggirne.

 

Nel 2013, a Istanbul, il «banchiere di Al Qaeda», il saudita Yasin Al-Qadi, e il capo della sicurezza del presidente Erdoğan furono vittime di un incidente stradale

  • Nel 2015 i servizi segreti turchi assistettero in tutti i modi Daesh; nel frattempo, una società del presidente Erdoğan, Powertans, organizzava il trasporto del petrolio rubato dagli jihadisti fino al porto turco di Ceyhan. Da qui una società rilevata da un figlio del presidente Erdoğan, la BMZ Group Denizcilik ve İnşaat A.Ş., convogliava il petrolio verso Israele e l’Occidente. Intanto una figlia del presidente Erdoğan dirigeva un ospedale segreto a Şanlıurfa, dove gli jihadisti venivano curati e poi rispediti in battaglia.

 

  • Nel 2015 la mafia turca, capeggiata dal primo ministro Binali Yıldırım, installava nei territori controllati da Daesh laboratori di prodotti contraffatti destinati all’Europa.

 

  • Nel 2015 la Turchia minacciò di fare arrivare in Europa milioni di rifugiati afghani, iracheni e siriani, ottenendo dalla UE grosse sovvenzioni, che usò per continuare le proprie guerre.

 

Nel 2015 la mafia turca, capeggiata dal primo ministro Binali Yıldırım, installava nei territori controllati da Daesh laboratori di prodotti contraffatti destinati all’Europa.

 

  • Nel 2015-16 la Turchia rifiutò di mettere fine agli accordi segreti con Francia e Belgio per un Kurdistan in Siria. Organizzò una serie di attentati che causarono 318 morti in Francia e 35 in Belgio.

 

  • Nel 2016 le forze armate turche si rifiutarono di lasciare l’Iraq, nonostante le sollecitazioni del governo iracheno. In Iraq la Turchia aveva basi provvisorie, risalenti al periodo d’occupazione statunitense, che usava in realtà per sostenere Daesh contro l’Iraq. I militari turchi sono tutt’ora presenti in Iraq.

 

  • Nel 2017 il presidente Erdoğan organizzò una campagna propagandistica per le comunità turche all’estero. Gli fu vietato di tenere meeting in Olanda e Germania. Nell’occasione Erdoğan definì la cancelliera Angela Merkel «nazista».

 

Nel 2016 le forze armate turche si rifiutarono di lasciare l’Iraq, nonostante le sollecitazioni del governo iracheno. In Iraq la Turchia aveva basi provvisorie, risalenti al periodo d’occupazione statunitense, che usava in realtà per sostenere Daesh contro l’Iraq. I militari turchi sono tutt’ora presenti in Iraq.

 

  • Nel 2019 la Turchia firmò un accordo con il governo libico di Tripoli e un altro con la Tunisia. Cominciò a sguinzagliare gli jihadisti di stanza nella Siria occupata: al momento stanno combattendo contro le forze degli Emirati, che appoggiano il governo di Bengasi.

 

  • Nel 2020 la Turchia ha rivendicato la sovranità sui giacimenti di gas nel Mediterraneo. Quando la Turchia fu istituita, le frontiere marittime con la Grecia non furono definite con precisione. Sicuramente molte zone le appartengono, ma non tutte. In questa contesa la marina turca è arrivata a minacciare la marina francese.

 

L’elenco ovviamente non è esaustivo.

 

 

Nel 2019 la Turchia firmò un accordo con il governo libico di Tripoli e un altro con la Tunisia. Cominciò a sguinzagliare gli jihadisti di stanza nella Siria occupata: al momento stanno combattendo contro le forze degli Emirati, che appoggiano il governo di Bengasi

Il conflitto tra Stati Uniti e Turchia

Gli attriti con gli Stati Uniti iniziarono quando Erdoğan cominciò a comperare armi dalla Russia e a costruire con quest’ultima un gasdotto.

 

Da allora Washington ha tentato di far cadere democraticamente il presidente turco foraggiando il Partito Democratico dei Popoli (HDP). Ma dopo le elezioni legislative di giugno e novembre 2015, truccate dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), la CIA ha tentato più volte di assassinare il «Grand’uomo», come Erdoğan viene soprannominato. Il quarto tentativo, quello del 15 luglio 2016, degenerò e gli ufficiali che lo guidavano improvvisarono un colpo di Stato, che fallì.

 

Da allora il presidente Erdoğan, pur continuando a sottolineare l’adesione della Turchia alla NATO, ha moltiplicato le provocazioni. Per esempio, durante un viaggio ufficiale ha fatto reprimere dal servizio di sicurezza personale una manifestazione di adepti di Fethullah Gülen davanti all’ambasciata turca a Washington; ha fatto inoltre incarcerare un cittadino statunitense.

 

Nel 2020 la Turchia ha rivendicato la sovranità sui giacimenti di gas nel Mediterraneo

L’attuale piano USA consiste nell’indurre Erdoğan all’errore, così da ottenere un consenso internazionale contro di lui: una modalità già sperimentata con successo per mettere in riga Saddam Hussein (operazione «Tempesta del deserto»). Ovviamente simile scenario può essere cinicamente costruito solo se gli armeni saranno massacrati in massa e se le elezioni assicureranno la continuità alla Casa Bianca.

 

 

Il presidente Erdoğan si butta a capofitto nella trappola

Nell’ultimo mese il clan Erdoğan non ha fatto che ripetere che la NATO ha più bisogno della Turchia di quanto la Turchia ne abbia della NATO; ossia che l’Alleanza Atlantica mai estrometterà la Turchia, quindi mai potrà attaccarla.

Gli attriti con gli Stati Uniti iniziarono quando Erdoğan cominciò a comperare armi dalla Russia e a costruire con quest’ultima un gasdotto.

 

Il «Grand’uomo» continua l’offensiva su tutti i fronti: ha mandato propri consiglieri militari al posto di quelli italiani a formare i guardacoste del governo libico di Tripoli; minaccia di aprire le porte dell’Europa alle migrazioni, questa volta in arrivo dall’Africa. Ha lanciato attacchi jihadisti contro le forze russe in Siria.

 

Solo Mosca ha reagito. Il Cremlino ha ordinato di riprendere i bombardamenti a Idlib. Li ha concentrati su un gruppo filo-turco, legato in precedenza ad Al Qaeda, ma che ora afferma di aver rotto con l’organizzazione; è un attacco che viola la lettera degli accordi russo-turchi di riduzione della conflittualità e al tempo stesso rivela la sottomissione del movimento jihadista all’autorità personale di Erdoğan.

 

L’attuale piano USA consiste nell’indurre Erdoğan all’errore, così da ottenere un consenso internazionale contro di lui: una modalità già sperimentata con successo per mettere in riga Saddam Hussein (operazione «Tempesta del deserto»)

Ma soprattutto il presidente Erdoğan ha aperto un fronte con il presidente francese, Emmanuel Macron, che insulta ancora più pesantemente di quanto fece tre anni fa con la cancelliera Merkel.

 

Una querelle molto più importante di quanto appaia: riguarda la sostanza del problema.

 

 

Lo scontro di civiltà non oppone l’islam al cristianesimo, ma due principi: la religione di Stato e la libertà di coscienza

Dopo molti tentennamenti, Erdoğan tenta ora di risolvere il problema esistenziale della Turchia definendola come la patria dei Fratelli Mussulmani.

Il «Grand’uomo» continua l’offensiva su tutti i fronti: ha mandato propri consiglieri militari al posto di quelli italiani a formare i guardacoste del governo libico di Tripoli; minaccia di aprire le porte dell’Europa alle migrazioni, questa volta in arrivo dall’Africa. Ha lanciato attacchi jihadisti contro le forze russe in Siria

 

Diversamente da quanto comunemente si crede, il presidente turco ha abbandonato i sogni neo-ottomani dell’ex primo ministro Ahmet Davutoğlu (ora all’opposizione); ha altresì rinunciato ai riferimenti naturali della Turchia, ossia il mondo turcofono e l’Occidente (Unione Europea/NATO); Erdoğan spera di estendere il proprio potere sull’insieme del mondo mussulmano facendo leva sul principio di una religione di Stato di cui vuole diventare il califfo.

 

Ricordiamoci che Maometto non era un modesto falegname come Cristo. Fu uomo politico e generale vittorioso, nonché leader spirituale. Quando morì i suoi discepoli si divisero e si combatterono.

 

Il «califfo» (ossia il “successore”) ereditò il potere temporale di Maometto, ma non il potere spirituale. D’altro canto, molti califfi furono manifestamente non-credenti. Alla fine della prima guerra mondiale il «califfo» era il sovrano ottomano che risiedeva a Costantinopoli (ora Istanbul). L’ideale per cui si batte la Confraternita dei Fratelli Mussulmani è ristabilire il califfato (il potere temporale del Profeta) grazie al diritto delle origini, la sharia.

 

Erdoğan spera di estendere il proprio potere sull’insieme del mondo mussulmano facendo leva sul principio di una religione di Stato di cui vuole diventare il califfo

Come gli europei del XVI secolo, i Fratelli Mussulmani credono che un popolo debba obbligatoriamente aderire alla religione del sovrano; una visione del mondo radicalmente opposta al principio di libertà di coscienza, fissato in Francia con l’abiura di Enrico IV (1593 (2)), e alla risoluzione sulla laicità (1905 (3)). Erdoğan e la Confraternita tentano un ritorno al passato cancellando l’eredità di Mustafa Kemal Atatürk, il fondatore della Turchia.

 

La scelta del presidente Erdoğan dell’omologo francese come emblema dei propri avversari è perciò logica. L’esito dello scontro dipenderà dagli Stati Uniti: o difenderanno l’eredità britannica dei Padri Pellegrini del Mayflower (Joe Biden, Justin Trudeau), o quella degl’immigrati del Vecchio Continente (Donald Trump). Nel primo caso manterranno innanzitutto la Turchia in seno alla NATO, nel secondo difenderanno il principio di coesistenza religiosa sino a far fallire il progetto di califfato.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

(1) Killing Orders : Talat Pasha’s Telegrams and the Armenian Genocide, Taner Akçam, Palgrave Macmillan, 2018 ; Ordres de tuer : Arménie 1915, Taner Akçam, CNRS éditions, 2020.

(2) Per diventare re di Francia, nella basilica di Saint-Denis il principe Enrico di Navarra abiurò il calvinismo e si convertì al cattolicesimo. In compenso proclamò per tutti i sudditi il diritto a quella libertà religiosa di cui si era privato.

(3) Dopo molti voltafaccia, i Repubblicani proclamarono la libertà di coscienza. Partendo da questo principio legiferarono sulla separazione fra Stato e Chiesa (1905). Non si tratta però di una distinzione totale: permane il controllo dello Stato sul sacramento del matrimonio in alcune religioni. L’opzione scelta per garantire l’uguaglianza nel diritto delle coppie omosessuali, ossia l’istituzione di un “matrimonio gay”, è da questo punto di vista un errore storico. La continuità con il movimento di laicizzazione della società avrebbe invece richiesto il collocamento del matrimonio eterosessuale nella sfera privata; un’opzione accettata dalla Chiesa francese e oggi difesa da papa Francesco.

 

 

Questo articolo è il seguito di

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Fonte: «Erdoğan non aspira più a essere imperatore ottomano, ma califfo», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 3 novembre  2020.

 

 

 

 

 

Immagine di thierry ehrmann via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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Geopolitica

Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il primo ministro Sretta Thavisin ha rinunciato alla visita, ma ha annunciato la creazione di un comitato ad hoc per gestire la situazione. Nel fine settimana, infatti, si sono verificati ulteriori combattimenti lungo la frontiera tra Myanmar e Thailandia e migliaia di rifugiati continuano a spostarsi da una parte all’altra del confine. Per evitare una nuova umiliazione l’esercito birmano ha intensificato i bombardamenti.

 

Il primo ministro della Thailandia Sretta Thavisin questa mattina ha cancellato la visita che aveva in programma a Mae Sot, città al confine con il Myanmar, e ha invece mandato al suo posto il ministro degli Esteri e vicepremier Parnpree Bahidda Nukara.

 

Nei giorni scorsi era stata annunciata la creazione di «un comitato ad hoc per gestire la situazione derivante dai disordini in Myanmar», ha aggiunto il premier. «Sarà un meccanismo di monitoraggio e valutazione» che avrà come scopo quello di «analizzare la situazione complessiva» e «dare pareri e suggerimenti per gestire in modo efficace la situazione».

 

La Thailandia, dopo i ripetuti fallimenti da parte dell’ASEAN (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) di far rispettare l’accordo di pace in Myanmar, sta cercando di evitare che un esodo di rifugiati in fuga dalla guerra civile si riversi sui propri confini proponendosi come mediatore. «Il ruolo della Thailandia è quello di fare tutto il possibile per aiutare a risolvere il conflitto nel Paese vicino, e un ruolo simile è atteso anche dalla comunità internazionale», ha dichiarato ieri il segretario generale del primo ministro Prommin Lertsuridej.

 

Durante il fine settimana si sono verificati ulteriori scontri a Myawaddy (la città birmana dirimpettaia di Mae Sot), nello Stato Karen, tra le truppe dell’esercito golpista e le forze della resistenza, che hanno strappato il controllo della città ai soldati, grazie anche al cambio di bandiera della Border Guard Force, che, trasformatasi nell’Esercito di liberazione Karen (KLA), è passata a sostenere la resistenza e sta combattendo per la creazione di uno Stato Karen autonomo.

 

Giovedì scorso, l’Esercito di Liberazione Nazionale Karen (KNLA, una milizia etnica da non confondere con il KNA) aveva annunciato di aver intercettato l’ultimo gruppo di militari rimasto, il battaglione di fanteria 275. Alla notizia, l’esercito ha risposto con pesanti bombardamenti, lanciando l’Operazione Aung Zeya (dal nome del fondatore della dinastia Konbaung che regnò in Birmania nel XVIII secolo), nel tentativo di riconquistare Myawaddy ed evitare così un’altra umiliante sconfitta.

 

The Irrawaddy scrive che l’aviazione birmana ha sganciato nei pressi del Secondo ponte dell’amicizia (uno dei collegamenti tra Mae Sot e Myawaddy) circa 150 bombe, di cui almeno sette sono cadute vicino al confine thailandese dove sono di stanza le guardie di frontiera. Si tratta di una tattica a cui l’esercito birmano sta facendo ricorso sempre più frequentemente a causa delle sconfitte registrate sul campo a partire da ottobre, quando le milizie etniche e le Forze di Difesa del Popolo (PDF, che fanno capo al Governo di unità nazionale in esilio, composto dai deputati che appartenevano al precedente esecutivo, spodestato con il colpo di Stato militare) hanno lanciato un’offensiva congiunta. Una tattica realizzabile, però, solo grazie al continuo sostegno da parte della Russia. Fonti locali hanno infatti dichiarato che gli aerei e gli elicotteri «utilizzati per bombardare i villaggi e per consegnare rifornimenti e munizioni» a «circa 10 chilometri dal confine tra Thailandia e Myanmar» erano «tutti russi».

 

Bangkok è stata presa alla sprovvista dalla situazione. Sabato un proiettile vagante ha colpito il retro di una casa sulla parte thailandese del confine, senza ferire nessuno, ma l’episodio ha costretto il Paese a rafforzare le proprie difese di confine, aumentando i controlli su coloro che attraversano i due ponti che collegano Myawaddy e Mae Sot, al momento ancora aperti.

 

La polizia thai ha anche arrestato 15 birmani e due thailandesi che stavano cercando di fuggire in Malaysia in cerca di migliori opportunità di lavoro. Il gruppo ha raccontato di aver valicato il confine a Mae Sot grazie all’aiuto di intermediari. Viaggi di questo tipo rischiano di diventare sempre più frequenti con l’esacerbarsi della violenza in Myanmar, sostengono gli esperti, i quali si aspettano un prosieguo dei combattimenti, almeno finché non comincerà la stagione delle piogge, che ogni anno pone un freno agli scontri.

 

Ma la Thailandia ha anche inviato aiuti in Myanmar (sebbene tramite enti gestiti dai generali) e attivato una risposta umanitaria a Mae Sot. Il Governo di unità nazionale in esilio ha ringraziato Bangkok per aver fornito riparo e assistenza ai rifugiati, prevedendo tuttavia ulteriori sfollamenti. Almeno 3mila persone – perlopiù anziani e bambini – hanno varcato il confine solo nel fine settimana, ha dichiarato due giorni fa il ministro degli Esteri Parnpree Bahidda Nukara, ma circa 2mila sono tornati a Myawaddy lunedì.

 

Il mese scorso Parnpree aveva annunciato che il Paese avrebbe potuto ospitare fino a 10mila rifugiati birmani a Mae Sot e dintorni.

 

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Geopolitica

L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele

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Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.   Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.   «Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.   Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in ​​Israele.   L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.   La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.

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Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.   Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.   Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.   Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.   Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».

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Geopolitica

Fosse comuni negli ospedali di Gaza

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Il capo dei diritti delle Nazioni Unite Volker Turk ha dichiarato martedì di essere «inorridito» dalla distruzione delle strutture mediche di Nasser e Al-Shifa a Gaza da parte delle truppe israeliane e dalle notizie di fosse comuni scopertevi.

 

Le autorità palestinesi hanno riferito di aver trovato decine di corpi in fosse comuni presso l’ospedale Nasser di Khan Younis questa settimana, dopo che era stato abbandonato dall’IDF. Sono stati segnalati corpi anche nel sito di Al-Shifa a seguito di un’operazione delle forze speciali israeliane.

 

Secondo il servizio di emergenza civile di Gaza gestito da Hamas, citato dall’agenzia Reuters, finora sono stati trovati un totale di 310 corpi in una fossa comune presso l’ospedale Nasser, la principale struttura sanitaria nel sud di Gaza. Secondo quanto riferito, altre due fosse comuni sarebbero state identificate ma non ancora scavate.

 

«Sentiamo il bisogno di lanciare l’allarme perché chiaramente sono stati scoperti più corpi», ha detto Turk, rivolgendosi a un briefing delle Nazioni Unite tramite un portavoce.

 

«Alcuni di loro avevano le mani legate, il che ovviamente indica gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, e queste devono essere sottoposte a ulteriori indagini”, ha affermato il responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite.

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L’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha detto che sta lavorando per corroborare i rapporti dei funzionari palestinesi, sostenendo che alcuni dei corpi erano sepolti sotto cumuli di rifiuti e includevano donne e anziani.

 

Israele afferma di essere stato costretto a combattere all’interno degli ospedali perché i militanti di Hamas usano le strutture come basi, un’affermazione che il personale medico e lo stesso gruppo militante negano. Il governo dello Stato Ebraico ha riferito che le sue forze hanno ucciso circa 200 militanti ad Al-Shifa e hanno evitato di danneggiare i civili.

 

Turk ha anche criticato gli attacchi israeliani su Gaza degli ultimi giorni, che secondo lui hanno ucciso soprattutto donne e bambini.

 

Il dirigente onusiano ha messo ancora una volta in guardia Israele da un’incursione su vasta scala nella città di Rafah, nel sud di Gaza, dove circa 1,4 milioni di sfollati palestinesi hanno cercato rifugio dall’inizio del conflitto Hamas-Israele. L’offensiva potrebbe portare a «ulteriori crimini atroci», ha avvertito il Turk.

 

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sostiene che Israele non può raggiungere il suo obiettivo di «vittoria totale» senza lanciare un’offensiva su Rafah.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Turko ha dichiarato il 18 marzo che «la portata delle continue restrizioni poste da Israele all’ingresso di aiuti a Gaza, insieme al modo in cui continua a condurre le ostilità, possono equivalere all’uso della fame come metodo di guerra, che è un crimine di guerra».

 

Il portavoce di Türk, Jeremy Laurence, ha sottolineato che «Israele, in quanto potenza occupante, ha l’obbligo di garantire la fornitura di cibo e assistenza medica alla popolazione in misura adeguata ai suoi bisogni e di facilitare il lavoro delle organizzazioni umanitarie per fornire tale assistenza».

 

Un mese fa l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani aveva affermato che gli insediamenti illegali di Israele in Cisgiordania sono aumentati a livelli record e rischiano di eliminare ogni possibilità pratica di uno Stato palestinese.

 

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