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Le elezioni presidenziali nella Repubblica Araba Siriana

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21

 

 

 

Le elezioni presidenziali siriane sono state una celebrazione della vittoria contro le aggressioni straniere. Una conferma dell’autorità di Bashar al-Assad, non tanto per le idee politiche, ma per il coraggio e la tenacia come capo di guerra. I perdenti di questa guerra, gli Occidentali, continuano a non accettarlo, perciò considerano anche queste ultime elezioni non valide, quindi mai avvenute. Si ostinano a considerare la classe dirigente siriana un’accolita di aguzzini che non vuole riconoscere i propri crimini.

 

 

Nella Repubblica Araba Siriana si sono appena svolte le elezioni presidenziali, a dispetto dell’ostilità degli Occidentali, che insistono a volere smembrare il Paese, nell’intento di rovesciarlo e instaurare un governo di transizione, sull’esempio di quanto accadde alla fine della seconda guerra mondiale con la Germania e il Giappone (1). Secondo gli osservatori internazionali, designati dai Paesi che hanno un’ambasciata in Siria, il voto si è svolto correttamente. Bashar al-Assad ha ottenuto la rielezione per un quarto mandato con un imponente numero di voti.

 

Sono fatti che meritano alcune spiegazioni. La sostanza di questo articolo avrebbe potuto essere scritta nel 2014, all’indomani delle precedenti elezioni presidenziali. Gli Occidentali non hanno cambiato posizione su nulla, nonostante la sconfitta militare.

Gli Occidentali non hanno cambiato posizione su nulla, nonostante la sconfitta militare.

 

 

Il contesto

Nel 2010, ossia prima della guerra, la Repubblica Araba Siriana era uno Stato in forte sviluppo demografico ed economico. Il suo presidente era il capo di Stato arabo più popolare nel Paese e nella regione. Si spostava con la moglie in qualunque località della Siria senza scorta. In Occidente era considerato un esempio positivo di semplicità e modernità.

 

Quando, in base a false informazioni, le Nazioni Unite autorizzarono gli Occidentali a intervenire in Libia, la rete televisiva del Qatar, Al-Jazeera, per mesi esortò invano i telespettatori siriani a sollevarsi contro il partito Baas.

 

Dopo la caduta della Jamahiriya Araba Libica sotto le bombe della NATO, in Siria gruppi armati distrussero i simboli dello Stato e attaccarono civili. Come già in Libia, anche in Siria nelle strade si rinvennero corpi smembrati. Alla fine, su incitazione di Al-Jazeera, di Al-Arabiya e dei Fratelli Mussulmani, i siriani cominciarono a manifestare contro Bashar al-Assad, non per una ragione precisa, ma solo perché che non era «un vero mussulmano», ma un «infedele alauita». Mai fu rivendicato il diritto alla democrazia, un concetto che gli islamisti aborrono.

 

Le Nazioni Unite trasferirono in Turchia, come «rifugiati», soldati armati del Gruppo dei Combattenti Islamici in Libia (GCIL) − issato al potere a Tripoli dalla NATO − che in seguito fonderanno l’Esercito Siriano Libero

Ciononostante, cominciarono a nascere altre manifestazioni, organizzate dal PNSS (Partito Nazionalista Sociale Siriano), che denunciavano l’organizzazione amministrativa e il ruolo illecito dei servizi segreti. Le Nazioni Unite trasferirono in Turchia, come «rifugiati», soldati armati del Gruppo dei Combattenti Islamici in Libia (GCIL) − issato al potere a Tripoli dalla NATO − che in seguito fonderanno l’Esercito Siriano Libero (2).

 

Ebbe così inizio la “guerra civile”, accompagnata dal coro dei dirigenti occidentali che scandivano «Bashar deve andarsene» (non «Democrazia!»).

 

Per due anni la popolazione siriana dovette confrontarsi con due versioni dei fatti. Da un lato i media siriani, che denunciavano un attacco esterno ma non davano conto delle manifestazioni contro l’organizzazione statale; dall’altro i media arabi che annunciavano l’imminente caduta del «regime» e l’instaurazione di un governo della Confraternita dei Fratelli Mussulmani. Di fatto, soltanto una piccola parte della popolazione sosteneva quest’organizzazione segreta. I disordini facevano più vittime fra la polizia e l’esercito che tra la popolazione civile. Gradatamente i siriani si resero conto che, quali che fossero i torti della loro Repubblica, era questa a proteggerli, non certo gli jihadisti.

Gradatamente i siriani si resero conto che, quali che fossero i torti della loro Repubblica, era questa a proteggerli, non certo gli jihadisti

 

Durante i tre anni di questa «guerra civile», gli jihadisti, armati e coordinati dalla NATO a partire da Izmir (Turchia), inquadrati da ufficiali turchi, francesi e britannici, occupavano le campagne, mentre l’Esercito Arabo Siriano difendeva la popolazione, radunatasi nelle città.

 

Su richiesta della Siria, nel 2014 intervenne l’aviazione russa per bombardare le installazioni sotterranee costruite dagli jihadisti. L’Esercito Arabo Siriano poté così cominciare a riconquistare il proprio territorio. Sempre nel 2014, la NATO favorì la trasformazione di un gruppo jihadista iracheno, che assunse il nome di Daesh, Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (3). In un anno, gli jihadisti stranieri che combattevano contro la Repubblica Araba Siriana divennero oltre 250 mila: assurdo continuare a chiamare questo conflitto «guerra civile».

 

Nel 2014 la Repubblica Araba Siriana istituì il ministero per la Riconciliazione, guidato dal leader del PNSS, Ali Haïdar. Nei successivi sette anni di guerra la Repubblica si adoperò per amnistiare i siriani che avevano collaborato con gli invasori e per reintegrarli nella società.

In un anno, gli jihadisti stranieri che combattevano contro la Repubblica Araba Siriana divennero oltre 250 mila: assurdo continuare a chiamare questo conflitto «guerra civile»

 

Oggi il Paese è diviso in quattro parti: la parte essenziale controllata dal governo di Damasco; a nord-ovest il governatorato di Idlib − ove sono raggruppati gli jihadisti − protetto dall’esercito d’occupazione turco; a nord-est la zona d’occupazione dell’esercito statunitense e delle milizie kurde; infine a sud l’altopiano del Golan, che Israele, con atto unilaterale, si annesse prima della guerra.

 

 

La posizione delle potenze straniere

Secondo il diritto internazionale, la presenza in Siria di Russia e Iran è legale; invece Israele, Turchia e Stati Uniti ne occupano illecitamente parti di territorio.

 

Gli Stati Uniti, che avevano radunato la più grande coalizione militare della storia − paradossalmente denominata «Amici della Siria» − non sono riusciti a mantenere coesi i Paesi aderenti, che progressivamente hanno riacquistato autonomia e ricominciato a perseguire obiettivi propri:

Secondo il diritto internazionale, la presenza in Siria di Russia e Iran è legale; invece Israele, Turchia e Stati Uniti ne occupano illecitamente parti di territorio

 

  • Il Pentagono voleva distruggere lo Stato siriano, conformemente alla dottrina Rumsfeld/Cebrowski (4).

 

  • La Turchia sperava di annettere territori ottomani perduti, definiti dal “giuramento nazionale” del 1920 (5).

 

  • Il Regno Unito cercava di ristabilire gli interessi imperiali.

 

  • La Francia desiderava ripristinare il mandato affidatole nel 1922 dalla Società delle Nazioni (6).

Dopo dieci anni di guerra, in cui hanno parlato le armi, è ora evidente che il popolo siriano vuole mantenere la Repubblica e che quest’ultima è entrata nell’orbita della Russia. Gli Occidentali non riusciranno, nel breve e medio termine, a plasmare il Paese a proprio piacimento

 

 

Dopo dieci anni di guerra, in cui hanno parlato le armi, è ora evidente che il popolo siriano vuole mantenere la Repubblica e che quest’ultima è entrata nell’orbita della Russia. Gli Occidentali non riusciranno, nel breve e medio termine, a plasmare il Paese a proprio piacimento. Era lecito aspettarsi che le potenze occidentali prendessero atto della sconfitta e cambiassero atteggiamento mentale. Nient’affatto. In politica, come nella scienza, le dottrine non spariscono perché sconfitte o smentite, ma solo quando sparisce la generazione che le sostiene.

 

Gli Occidentali insistono perciò a diffondere false notizie e ad accusare il presidente al-Assad, nonché la Repubblica, di essere dei carnefici, proprio come il III Reich definiva Charles De Gaulle un servo degli ebrei e degli inglesi, a capo d’una banda di mercenari e seviziatori.

 

Appena prima delle elezioni siriane, Washington e Bruxelles hanno concordato una posizione comune: lo scrutinio non può essere legittimo perché contrario alla risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

 

Ebbene, questo testo (7), adottato sei anni fa, non cita mai le elezioni presidenziali. Stabilisce invece che il futuro della Siria spetta unicamente ai siriani e conferma la legittimità della lotta della Repubblica contro i gruppi jihadisti. Si dà il caso che alla risoluzione siano seguite in Svizzera, e poi parallelamente in Russia, trattative tra le parti in causa siriane. Le delegazioni avevano convenuto di riformare la Costituzione, ma non vi sono riuscite. I Collaboratori della NATO (gli «oppositori») hanno progressivamente deposto le armi, sicché oggi non ci sono delegati titolati a portare avanti i negoziati.

Era lecito aspettarsi che le potenze occidentali prendessero atto della sconfitta e cambiassero atteggiamento mentale. Nient’affatto. In politica, come nella scienza, le dottrine non spariscono perché sconfitte o smentite, ma solo quando sparisce la generazione che le sostiene

 

 

I rifugiati siriani

Nel 2010 vivevano in Siria 20 milioni di cittadini siriani, nonché 2 milioni di rifugiati palestinesi e iracheni. Nel 2011 la Turchia ha costruito alla frontiera siriana nuovi quartieri e ha sollecitato i siriani a stabilirvisi, in attesa del ripristino della pace nel loro Paese. Ankara stava soltanto mettendo in atto una tattica della NATO (8): sottrarre popolazione civile alla Siria.

 

In seguito, la Turchia ha fatto una selezione fra i rifugiati, utilizzando i sunniti nelle fabbriche e spedendo gli altri in Europa. Nel medesimo tempo molti altri siriani hanno lasciato il Paese per sfuggire alla guerra, rifugiandosi in Libano e Giordania. I dati dell’UNHCR dicono che oggi i rifugiati siriani all’estero sono 5,4 milioni.

 

Considerato il disordine che regna in Siria, è impossibile stabilire con precisione il numero dei morti causati dalla guerra: i siriani uccisi sarebbero 400 mila, forse più, gli jihadisti stranieri almeno 100 mila. Non si conosce nemmeno il numero e la nazionalità degli abitanti dei territori sotto controllo turco e statunitense. Durante la guerra gli Occidentali hanno diffuso cifre assurde: si è parlato di un milione di «democratici» nella Ghuta orientale, ma alla caduta di questa vi si trovavano soltanto 140 mila persone (90 mila siriani e 50 mila stranieri). Il dato di 3 milioni di persone che si trovano nelle zone occupate, fornito dagli Occidentali, non è probabilmente più affidabile.

I siriani uccisi sarebbero 400 mila, forse più, gli jihadisti stranieri almeno 100 mila. Non si conosce nemmeno il numero e la nazionalità degli abitanti dei territori sotto controllo turco e statunitense

 

In ogni caso, la Repubblica Araba Siriana calcola che i cittadini siriani attuali sono 18,1 milioni. Ma molte persone non hanno dato segno di vita alle autorità siriane, forse vivono ancora come rifugiati all’estero.

 

Gli Occidentali, che si sono dimenticati della tattica demografica da loro messa in atto e sono intossicati dalla propaganda, sono persuasi che i rifugiati abbiano lasciato la Siria per sfuggire alla «dittatura». Tuttavia, all’ambasciata del Libano, in occasione del voto per le presidenziali si sono viste incredibili manifestazioni di esultanza per la vittoria contro gli aggressori stranieri, nonché di fedeltà alla Repubblica. Scene analoghe si svolsero durante le elezioni del 2014.

 

La stragrande maggioranza dei rifugiati siriani ha ripetutamente proclamato di aver fuggito gli jihadisti, non il «regime».

 

 

La stragrande maggioranza dei rifugiati siriani ha ripetutamente proclamato di aver fuggito gli jihadisti, non il «regime»

La candidatura di Bashar al-Assad

Al contrario di quanto comunemente si crede, Bashar al-Assad non ha ereditato la presidenza. Del resto non era destinato alla politica: viveva a Londra dal 1992, dove faceva l’oculista. Dedito ai pazienti, si rifiutò sempre di aprire uno studio per ricchi e continuò a lavorare in ospedale, al servizio di tutti.ù

 

Alla morte del fratello Bassel, accettò tuttavia di rientrare in Siria ed entrò in un’accademia militare. Nel 1998 il padre, il presidente Hafez al-Assad, lo mise a capo della Società Informatica Siriana e poi gli affidò missioni diplomatiche. Quando Hafez morì, Bashar non era designato alla successione.

 

Tuttavia, a fronte del periodo d’incertezza che aveva investito il Paese, su pressione del partito unico dell’epoca, il Baas, Bashar al-Assad accettò la presidenza della Repubblica; una decisione ratificata dal popolo non con elezioni, ma attraverso un referendum.

 

Diventato presidente, al-Assad s’impegnò nella liberalizzazione e modernizzazione del Paese, comportandosi né meglio né peggio dei dirigenti occidentali. Ma nel 2011, quando gli Occidentali gli offrirono privilegi in cambio dell’allontanamento, il presidente non si piegò ma si ribellò. La famiglia Assad (che in arabo significa «Leone») è nota per il senso del dovere e il controllo della paura.

Il voto non poteva essere che un plebiscito: il ringraziamento della Nazione all’uomo che l’ha salvata. Ha votato il 76,64% degli iscritti a votare e il 95,1% ha scelto Bashar al-Assad. Un numero di consensi molto superiore al 2014

 

E Bashar al-Assad, sino a questo momento personaggio di basso profilo, si rivelerà un dirigente eccezionale, passando, come Charles De Gaulle, dallo status di uomo ordinario a quello di liberatore del Paese.

 

 

Le elezioni presidenziali del 2021

La legislazione siriana ha stabilito che soltanto i cittadini rimasti in Siria negli ultimi dieci anni, ossia durante la guerra, hanno il diritto di candidarsi. Un modo per delegittimare coloro che sono andati a vendersi agli Occidentali. E così i candidati alle elezioni presidenziali del 2021 sono stati soltanto tre. Tutti hanno avuto modo di mettere in luce i problemi sociali causati dalla guerra e di dibattere su come risolverli.

 

Ma il voto non poteva essere che un plebiscito: il ringraziamento della Nazione all’uomo che l’ha salvata. Ha votato il 76,64% degli iscritti a votare e il 95,1% ha scelto Bashar al-Assad. Un numero di consensi molto superiore al 2014.

 

La folla ha celebrato ovunque la vittoria: la vittoria alle elezioni presidenziali e la vittoria contro gli invasori.

La folla ha celebrato ovunque la vittoria: la vittoria alle elezioni presidenziali e la vittoria contro gli invasori.

 

Gli Occidentali non l’ammettono. Sono ossessionati dai crimini da loro stessi commessi e che tentano di mascherare: la maggior parte delle abitazioni, intere città, non sono che mucchi di macerie; 1,5 milioni di siriani sono handicappati e almeno 400 mila sono morti.

 

 

Thierry Meyssan

Thierry Meyssan ha vissuto dal 2011 al 2020 a fianco dei siriani, sotto le bombe della NATO e d’Israele, sotto gli attacchi di Al Qaeda e di Daesh. Ha scritto un libro autorevole, Sotto i nostri occhi, dedicato alla strategia degli Occidentali in Medio Oriente e, in particolare, alla guerra contro la Siria.

NOTE

1) «La Germania e l’ONU contro la Siria», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Al-Watan (Siria) , Rete Voltaire, 28 gennaio 2016.

2) «L’esercito libero siriano è comandato dal governatore militare di Tripoli», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 19 dicembre 2011.

3) «I Fratelli Mussulmani come ausiliari del Pentagono», di Thierry Meyssan, Traduzione Alice Zanzottera, Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 5 luglio 2019.

4) «La dottrina Rumsfeld/Cebrowski», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 25 maggio 2021.

5) « Serment national turc», Réseau Voltaire, 28 gennaio 1920.

6) «Il faut envoyer l’ONU pour pacifier la Syrie», intervista di Valéry Giscard d’Estaing con Henri Vernet e Jannick Alimi, Le Parisien, 27 septembre 2015. «Perché la Francia vuole rovesciare la Repubblica araba siriana?», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 12 ottobre 2015.

7) « Résolution 2254 (Plan de paix pour la Syrie)», Réseau Voltaire, 18 décembre 2015.

8) «Strategic Engineered Migration as a Weapon of War», Kelly M. Greenhill, Civil War Journal, Volume 10, Issue 1, July 2008. «Understanding the Coercive Power of Mass Migrations»,  in Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion and Foreign Policy, Kelly M. Greenhill, Ithaca, 2010. «Migration as a Coercive Weapon: New Evidence from the Middle East», in Coercion : The Power to Hurt in International Politics, Kelly M. Greenhill, Oxford University Press, 2018.

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

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Geopolitica

Macron dice che con l’Ucraina sconfitta i missili russi minacceranno la Francia. Crosetto parla di «spiralizzazione del conflitto»

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Una vittoria totale della Russia sull’Ucraina, nella quale l’intero paese venisse sconfitto, sarebbe dannosa per la sicurezza europea e della NATO, poiché potrebbe consentire a Mosca di piazzare missili alle porte dell’UE, ha affermato il presidente francese Emmanuel Macron.

 

Sabato, in un’intervista al quotidiano francese La Tribune, Macron, che notoriamente ha rifiutato di escludere l’invio di truppe occidentali in Ucraina, ha ancora una volta sostenuto una politica di «ambiguità strategica» nei confronti della Russia, sostenendo che l’idea chiave alla base di tale approccio è per proiettare forza «senza fornire troppi dettagli».

 

Descrivendo la Russia come «un avversario», il presidente francese ha sottolineato che stabilire «limiti a priori» sarebbe interpretato come debolezza. «Dobbiamo togliergli ogni visibilità, perché è ciò che crea la capacità di deterrenza», ha sostenuto.

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Macron ha inoltre sottolineato che l’Ucraina è fondamentale per la sicurezza della Francia perché si trova a soli 1.500 chilometri dai suoi confini. «Se la Russia vince, un secondo dopo, non ci sarà più alcuna sicurezza in Romania, Polonia, Lituania e nemmeno nel nostro Paese. La capacità e la portata dei missili balistici russi ci espongono tutti», ha affermato.

 

I commenti del presidente arrivano dopo che, il mese scorso, aveva suggerito che le nazioni occidentali «dovrebbero legittimamente chiedersi» se dovrebbero inviare truppe in Ucraina «se i russi dovessero sfondare la linea del fronte, e se ci fosse una richiesta ucraina».

 

Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha risposto definendo la dichiarazione del Macron «molto importante e molto pericolosa», aggiungendo che è un’ulteriore testimonianza del coinvolgimento diretto di Parigi nel conflitto. Anche la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha avvertito che delle forze NATO «non rimarrà nulla» se verranno inviate in prima linea in Ucraina.

 

Alcune nazioni occidentali si sono espresse contro l’invio di truppe in Ucraina, compreso il Regno Unito, uno dei più convinti sostenitori di Kiev. Il ministro degli Esteri britannico David Cameron ha insistito venerdì sul fatto che, mentre Londra continuerà a sostenere l’Ucraina, i soldati della NATO nel Paese «potrebbero costituire una pericolosa escalation».

 

Il presidente russo Vladimir Putin, tuttavia, ha ripetutamente respinto l’ipotesi secondo cui Mosca potrebbe attaccare la NATO come «una sciocchezza», affermando che il suo Paese non aveva alcun interesse a farlo.

 

Nel frattempo, il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha attaccato Macron per i suoi commenti continui su possibili forze occidentali in Ucraina.

 

Crosetto ha affermato al Corriere della Sera che, se personalmente non può giudicare il presidente di un «Paese amico come la Francia», allo stesso tempo non riesce a comprendere «la finalità e l’utilità di queste dichiarazioni, che oggettivamente innalzano la tensione».

 

Il ministro ha inoltre escluso la possibilità che l’Italia invii le proprie forze per intervenire direttamente nel conflitto ucraino, perché «a differenza di altri, noi abbiamo nel nostro ordinamento il divieto esplicito di interventi militari diretti, al di fuori di quanto previsto dalle leggi e dalla Costituzione». «Possiamo prevedere interventi armati solo su mandato internazionale, ad esempio in attuazione di una risoluzione dell’ONU» ha continuato il capo del Dicastero della Difesa.

 

«Quello ipotizzato in Ucraina non solo non rientrerebbe in questo caso, ma innescherebbe una ulteriore spiralizzazione del conflitto che non gioverebbe soprattutto agli stessi ucraini. Insomma, non esistono le condizioni per un nostro coinvolgimento diretto».

 

Anche il ministro degli Esteri dell’Ungheria – che è Paese NATO – Peter Szijjarto ha condannato le osservazioni del presidente francese, spiegando che se un membro della NATO «impegna truppe di terra, ci sarà uno scontro diretto NATO-Russia e sarà allora la Terza Guerra Mondiale».

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Il primo ministro della Slovacchia – pure nazione NATO – Robert Fico ha anche sottolineato che la NATO non ha alcuna giustificazione per inviare truppe in Ucraina perché il paese non è uno Stato membro e ha promesso che «nessun soldato slovacco metterà piede oltre il confine slovacco-ucraino».

 

Come riportato da Renovatio 21, le minacce francesi hanno invece trovato terreno fertile in Finlandia, Paese appena divenuto membro della NATO.

 

Il presidente francese si è spinto fino al punto di immaginare un ritorno della Crimea all’Ucraina. Putin ha sostenuto che truppe di Stati NATO già stanno operando sul fronte ucraino, e che l’Occidente sta flirtando con la guerra nucleare e la distruzione della civiltà.

 

Gli stessi francesi, secondo un sondaggio, sono contrari all’idea di soldati schierati su territorio ucraino proposta da Macron, il quale, bizzarramente, ha poi chiesto un cessate il fuoco per le Olimpiadi di Parigi della prossima estate.

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Mosca inserisce Zelens’kyj nella lista dei ricercati

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Ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj è apparso sulla lista dei ricercati del ministero degli Interni russo. Lo riporta il sito governativo russo RT. Il reato esatto di cui è accusato non è ancora chiaro.   Il sito web del ministero russo afferma che il presidente ucraino è ricercato ai sensi di un articolo del codice penale russo e contiene il suo nome completo e la sua fotografia, nonché la sua data e luogo di nascita. Non sono stati rilasciati dati sui procedimenti penali contro di lui.   Lo sviluppo arriva il giorno dopo che anche il capo del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino, Aleksandr Litvinenko, è stato inserito nella lista dei ricercati della Russia. A marzo ha preso il posto del suo predecessore Oleksyj Danilov. Anche in questo caso non è stato specificato il dettaglio delle accuse.   Ad aprile, Litvinenko affermò che era necessario lanciare attacchi con droni all’interno del territorio russo, per esercitare «pressione» su Mosca, descrivendo questa tattica come un elemento chiave della strategia di Kiev.   Mosca ha ripetutamente accusato Kiev di utilizzare metodi terroristici durante il conflitto in corso tra i due vicini. Il mese scorso, il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha affermato che le minacce dello Zelens’kyj di distruggere le infrastrutture civili russe erano la prova delle intenzioni terroristiche del suo governo.

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Il Peskov ha risposto alle dichiarazioni del presidente riguardo al ponte di Crimea, che è già stato preso di mira da due importanti attentati, ciascuno dei quali ha causato la morte di diversi civili.   Sabato anche l’ex presidente ucraino Petro Poroshenko è stato inserito nella lista dei ricercati. Finora, anche qui, non sono stati resi pubblici i dettagli di un caso contro di lui.   Il Poroshenko è entrato in carica nel giugno 2014, mentre il governo ucraino post-Maidan stava usando la forza militare nel tentativo di reprimere una ribellione nelle regioni di Donetsk e Lugansk. Il presidente, già industriale cioccolataio, firmò gli Accordi di Minsk, volti a riconciliare Kiev con le due repubbliche del Donbass che si erano rifiutate di riconoscere il governo post-colpo di stato.   Nel 2023, Poroshenko ha affermato in un’intervista al Corriere della Sera che gli accordi erano stati utilizzati per guadagnare tempo extra per armare l’Ucraina. L’ex presidente ha affermato di essersi rivolto alla NATO per preparare un conflitto invece di seguire la tabella di marcia di pace degli accordi di Minsk.   Venerdì, pure l’ex ministro delle finanze ucraino, Aleksandr Shlapak, e l’ex capo della banca centrale nazionale, Stepan Kubiv, sono stati inseriti nella lista delle persone ricercate dalla Russia. Anche se i dettagli sui loro casi penali rimangono poco chiari, il comitato investigativo russo aveva già accusato entrambi gli ex funzionari di aver finanziato la repressione militare di Kiev sul Donbass nel 2014, l’operazione ha segnato l’inizio del bombardamento da parte delle forze armate ucraine delle aree popolate delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk.   Come riportato da Renovatio 21, il vice capo dell’Intelligence ucraina un anno fa dichiarò l’esistenza una un elenco di funzionari russi da assassinare, affermando che «Putin è in cima alla lista. Stiamo cercando di ucciderlo».

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Economia

La Turchia sospende ogni commercio con Israele

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Il governo turco ha sospeso tutti gli scambi con Israele in risposta alla guerra di Gaza, ha dichiarato il Ministero del Commercio di Ankara in una dichiarazione pubblicata giovedì sui social media.

 

La Turchia è stato uno dei critici più feroci di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. La sospensione di tutte le operazioni di esportazione e importazione è stata introdotta in risposta all’«aggressione dello Stato ebraico contro la Palestina in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani», si legge nella dichiarazione.

 

Ankara attuerà rigorosamente le nuove misure finché Israele non consentirà un flusso ininterrotto e sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, aggiunge il documento.

 

Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di ostacolare la consegna degli aiuti nell’enclave. I funzionari turchi si coordineranno con l’Autorità Palestinese per garantire che i palestinesi non siano colpiti dalla sospensione del commercio, ha affermato il ministero.

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La sospensione totale fa seguito alle restrizioni imposte il mese scorso da Ankara sulle esportazioni verso Israele di 54 categorie di prodotti tra cui materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia aveva precedentemente smesso di inviare a Israele qualsiasi merce che potesse essere utilizzata per scopi militari.

 

Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti.

 

In risposta alle ultime restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la leadership turca di «ignorare gli accordi commerciali internazionali». Giovedì il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X che «bloccando i porti per le importazioni e le esportazioni israeliane», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si stava comportando come un «dittatore». Israele cercherà di «creare alternative» per il commercio con la Turchia, concentrandosi sulla «produzione locale e sulle importazioni da altri Paesi», ha aggiunto il Katz.

 

 

Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».

 

Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UEa Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».

 

Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.

 

Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza.

 

Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas.

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