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Storia

Da quanto tempo l’industria controlla la regolamentazione dei vaccini?

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Renovatio 21 traduce e pubblica questo articolo del Brownstone Institute.

 

Tra le tante incredibili rivelazioni degli ultimi cinque anni c’è l’entità del potere delle aziende farmaceutiche. Attraverso la pubblicità, sono state in grado di plasmare i contenuti dei media. Questo a sua volta ha influenzato le aziende di contenuti digitali, che dal 2020 in poi hanno risposto rimuovendo i post che mettevano in dubbio la sicurezza e l’efficacia dei vaccini contro il COVID. 

 

Hanno conquistato università e riviste mediche con donazioni e altre forme di controllo finanziario. Infine, sono molto più decisivi nel guidare l’agenda dei governi di quanto avessimo mai immaginato. Per esempio, nel 2023 abbiamo scoperto che l’NIH[l’istituto di sanità pubblica americano, ndt] ha condiviso migliaia di brevetti con l’industria farmaceutica, per un valore di mercato che si avvicina a 1-2 miliardi di dollari. Tutto ciò è stato reso possibile dal Bayh-Dole Act del 1980, promosso come una forma di privatizzazione ma che ha finito solo per consolidare le peggiori corruzioni corporative. 

 

Il controllo sui governi è stato consolidato con il National Childhood Vaccine Injury Act del 1986, che ha garantito uno scudo di responsabilità ai produttori di prodotti inclusi nella lista dei prodotti per l’infanzia. Ai danneggiati non è semplicemente consentito di ricorrere in tribunale. Nessun altro settore gode di un indennizzo così ampio ai sensi della legge. 

 

Oggi, l’industria farmaceutica compete probabilmente con l’industria delle munizioni militari per il suo potere. Nessun’altra industria nella storia dell’umanità è riuscita a bloccare le economie di 194 Paesi per costringere la maggior parte della popolazione mondiale ad attendere la vaccinazione. Un tale potere fa sembrare la Compagnia delle Indie Orientali, contro cui si ribellarono i fondatori americani, un supermercato all’angolo, al confronto. 

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Si parla ampiamente di quanto l’industria farmaceutica abbia sofferto da quando il suo decantato prodotto è fallito. Ma non siamo ingenui. Il loro potere è ancora onnipresente in ogni settore della società. La lotta a livello statale per le terapie da banco – e per la libertà medica per i cittadini – rivela la portata delle sfide future. I riformatori che ora dirigono le agenzie a Washington combattono quotidianamente attraverso un groviglio di influenze che risale a molti decenni fa. 

 

Quanto indietro nel tempo si estende questo potere? Il primo tentativo federale di promuovere la vaccinazione, per quanto primitivo e pericoloso, fu quello del presidente James Madison. Il «Decreto per incoraggiare la vaccinazione» del 1813 imponeva che i vaccini contro il vaiolo fossero distribuiti gratuitamente e consegnati correttamente a chiunque ne facesse richiesta. Mentre feriti e morti si accumulavano, e tra le grida di speculazione e corruzione, il Congresso agì con decisione nel 1822 per abrogare la legge.

 

Il punto di svolta nell’opinione pubblica fu quello che divenne noto come la tragedia di Tarboro. Il vaccinologo più stimato del Paese e custode ufficiale del vaccino, il dottor James Smith, inviò accidentalmente materiale contenente virus vivo del vaiolo invece del vaccino contro il vaiolo bovino a un medico di Tarboro, nella Carolina del Nord. Ciò causò un’epidemia locale di vaiolo, che infettò circa 60 persone e causò circa 10 decessi. Questo errore danneggiò la fiducia dell’opinione pubblica e del Congresso nella capacità del programma federale di gestire e distribuire in sicurezza il materiale vaccinale.

 

La grande promessa della vaccinazione, che sembrava far presagire la possibilità di eradicare scientificamente una malattia mortale sotto la guida di guaritori d’élite, era caduta in discredito. 

 

Tuttavia, quando scoppiò la Guerra Civile nel 1861, si fece pressione affinché tutti i soldati venissero vaccinati per fermare le epidemie mortali di vaiolo. Ciò portò con sé una serie di feriti e morti. Lo storico Terry Reimer scrive:

 

«Risultati sfavorevoli derivanti da vaccinazioni, o vaccinazioni spurie, erano fin troppo comuni. Anche il vaccino puro, ottenuto dai dispensari ufficiali dell’esercito, a volte causava complicazioni. A volte, una conservazione difettosa delle croste poteva comprometterne l’efficacia. Come accade anche con i vaccini moderni, occasionalmente il vaccino non faceva effetto, non riuscendo a produrre la reazione maggiore nel sito di vaccinazione che ci si aspettava. In altri casi, il sito di vaccinazione diventava eccessivamente dolente e gonfio, e si sviluppavano pustole anomale, portando i chirurghi a dubitare dell’efficacia di tali vaccinazioni».

 

«Le complicazioni derivanti dall’uso di croste di un adulto vaccinato di recente erano ancora più deleterie. Poiché molte vaccinazioni avvenivano in ospedale, croste di uomini affetti da altre patologie venivano occasionalmente utilizzate involontariamente, diffondendo la malattia anziché prevenirla. Spesso, i soldati in ospedale o in prigione non venivano vaccinati finché il vaiolo non era già comparso nella struttura, aumentando i rischi per alcuni che altrimenti non sarebbero stati esposti alla malattia».

 

«Forse la peggiore, e purtroppo comune, forma di vaccinazione spuria era l’uso di croste di natura sifilitica. Ciò si verificava sia negli ospedali che tra i soldati che si autovaccinavano. Una diagnosi errata di una crosta o il prelievo di croste dal braccio di un soldato affetto da sifilide avrebbe diffuso la malattia a tutti i vaccinati da quella fonte. In un caso degno di nota, due brigate furono colpite da un’infezione da vaccino che si pensava fosse di natura sifilitica. Gli uomini erano così malati che le brigate non erano idonee al servizio militare. L’epidemia fu ricondotta a un singolo soldato che aveva ottenuto materiale vaccinale da una donna probabilmente affetta da sifilide».

 

«Il Dipartimento Medico Confederato tentò di vietare la vaccinazione tra soldati per limitare questi effetti dannosi. Persino i civili furono scoraggiati dall’autovaccinarsi, poiché le conseguenze di un vaccino falso si erano diffuse anche alla popolazione generale, generando sfiducia nel processo vaccinale».

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A questo punto della storia, eravamo già da un secolo e mezzo immersi nell’esperienza vaccinale, e certamente con risultati alterni a causa di metodi non sicuri e prodotti spuri. Ma non c’era modo di arrendersi. Tutt’altro. Le riviste mediche di fine Ottocento erano piene di ottimismo sulla capacità della scienza medica di curare tutte le malattie e persino di garantire la vita eterna, a condizione che le miscele e la somministrazione fossero migliorate. 

 

«A quanto pare non c’è alcuna ragione intrinseca per cui l’uomo debba morire», scrisse in un editoriale l’American Druggist nel 1902, «a parte la nostra ignoranza delle condizioni che governano la reazione che avviene nel suo protoplasma». Questo problema può essere risolto con «la sintesi artificiale della materia vivente», con la vaccinazione in prima linea nel trovare la soluzione alla mortalità stessa. Sì, c’è sempre stata una dimensione religiosa nell’ethos di questa industria. 

 

La svolta arrivò nel 1902 con il Biologics Control Act, il primo vero intervento del governo federale durante l’era progressista, che aprì la strada alla regolamentazione di tutti gli alimenti e i medicinali. In effetti, questa legge precedette di quattro anni il romanzo La giungla di Upton Sinclair, che ispirò l’approvazione del Federal Meat Inspection Act del 1906. 

 

Nella tradizione popolare, il Meat Act fu approvato dal Congresso per tenere sotto controllo un’industria pericolosa e imporre rigorosi standard di sicurezza a tutela della salute pubblica. Ma, come ha dimostrato Murray Rothbard, il vero potere dietro l’approvazione della legge fu il cartello della carne stesso, che non solo favorì la cartellizzazione che annientò i concorrenti più piccoli, ma inferse anche un colpo fatale alla pratica tradizionale degli allevatori di macellare e lavorare la propria carne. Ancora oggi, i macellatori detengono tutto il potere normativo. 

 

Non è stato scritto molto sugli stessi sforzi intrapresi nell’industria dei vaccini e della farmacologia quattro anni prima. Ma è ragionevole supporre che le stesse forze fossero all’opera anche qui. Ci è voluto del tempo e l’Intelligenza Artificiale non è stata di alcun aiuto, ma alla fine abbiamo trovato l’articolo definitivo sull’argomento che si basa sulle risorse primarie per scoprire esattamente cosa stava succedendo. In effetti, il Biologics Control Act del 1902 fu interamente una creazione industriale, promossa dagli attori dominanti del mercato per schiacciare la concorrenza e approvata per alimentare lo scetticismo pubblico. 

 

L’articolo in questione è Early Developments in the Regulation of Biologics di Terry S. Coleman, pubblicato sul Food and Drug Law Journal nel 2016. Questo straordinario articolo dimostra che la mano nascosta dietro la legge era l’industria stessa. La legge non limitava il commercio, ma piuttosto gli conferiva un’indispensabile spinta di credibilità. 

 

L’inizio dell’atto fu una serie di decessi causati da vaccini, ampiamente pubblicizzati, nel 1901. A Camden, nel New Jersey, si verificarono 80 infezioni e 11 decessi per tetano riconducibili a un singolo vaccino avvelenato. Altri incidenti simili si verificarono a Filadelfia, Atlantic City, Cleveland e Bristol, in Pennsylvania. 

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La reputazione del settore era in caduta libera. Bisognava fare qualcosa per rafforzare la quota di mercato. L’industria corse a Washington e fece tutto il possibile per ottenere la regolamentazione, spacciandosi per l’azienda che odiava la regolamentazione ma era disposta ad acconsentire. 

 

«La storia del decreto del 1902 lo descrive generalmente semplicemente come una risposta del Congresso agli incidenti di St. Louis e Camden, come se la legge fosse il risultato di un qualche processo congressuale di routine». In realtà, «il 1902 Act fu un’iniziativa dei grandi produttori di prodotti biologici e fu promulgato con la segreta collaborazione del Servizio Sanitario Pubblico».

 

«L’industria biologica cercò di far approvare la legge del 1902 principalmente perché temeva che gli incidenti di contaminazione avrebbero spinto altri dipartimenti sanitari statali e locali a produrre i propri vaccini e antitossine, annientando il settore dei prodotti biologici commerciali (…) Alcune pubblicazioni mediche chiedevano anche ispezioni governative e licenze per i produttori di prodotti biologici. Il Journal of the American Medical Association scrisse in un editoriale che “se necessario, si dovrebbe adottare una legge che vieti la vendita o l’uso di qualsiasi antitossina non… testata e certificata da un’autorità competente”. Il New York Times chiese ispezioni e controlli più approfonditi sui produttori di prodotti biologici commerciali. Nell’ottobre del 1902, la Conferenza degli Enti Sanitari Statali e Provinciali del Nord America raccomandò che i vaccini fossero prodotti dai governi o da produttori privati ​​”sotto la più stretta supervisione di funzionari governativi qualificati».

 

Il principale produttore che ha promosso la legge è stato Parke-Davis. Questa è l’azienda che ha cercato di «ridurre la concorrenza stabilendo rigidi standard governativi che i piccoli produttori avrebbero avuto difficoltà a rispettare». Poco dopo l’entrata in vigore della legge, Parke-Davis ha scritto al Servizio Sanitario Pubblico con suggerimenti per la regolamentazione, affermando: «come forse saprete, le normative non possono essere troppo severe per noi».

 

Coleman commenta: «è impossibile distinguere il desiderio di normative severe per aumentare la fiducia del pubblico nei prodotti biologici dal desiderio che tali normative eliminino i concorrenti, ma è degno di nota il fatto che diversi produttori di prodotti biologici abbiano chiuso i battenti perché non sono stati in grado di superare le ispezioni PHS».

 

L’agenzia a cui fu assegnato il compito di regolamentare i vaccini dopo il 1902 fu l’Hygienic Laboratory all’interno del Public Health and Marine Hospital Service. Nel 1930, questo divenne il National Institutes of Health, oggi guidato da Jay Bhattacharya, con il mandato di svincolare la missione dell’agenzia dalle influenze dell’industria. 

 

Per quanto riguarda Parke-Davis, fu acquisita nel 1970 da Warner-Lambert. Nel 2000, Pfizer acquisì Warner-Lambert con una fusione da 90 miliardi di dollari, la più grande acquisizione farmaceutica della storia fino a quel momento. Questo portò Parke-Davis sotto l’egida di Pfizer, dove l’azienda rimane ancora oggi. 

 

Poi, nel 1905, l’industria ricevette il più grande dono possibile dalla Corte Suprema. Nel caso Jacobson contro Massachusetts, la Corte benedisse la vaccinazione obbligatoria sulla base del fatto che la salute pubblica deve sempre prevalere sulla libertà di coscienza. Eccoci qui, 123 anni dopo, e le implicazioni di questa legge del 1902 si fanno ancora sentire, con l’influenza schiacciante dei cartelli industriali che guidano gli sforzi di regolamentazione federale. 

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Gli eventi del 2020-2023 hanno nuovamente sollevato profondi interrogativi sul potere di questo settore, innescando preoccupazioni circa infortuni e decessi dovuti all’obbligo di vaccinazione. A differenza del 1813, del 1902, del 1905 o del 1986, oggi il pubblico ha accesso a nuove fonti di informazione e libri best-seller che descrivono nel dettaglio tutti i modi in cui l’industria ha giocato a proprio piacimento con la scienza e la salute pubblica per rafforzare la propria posizione finanziaria.

 

L’industria ha tentato con tutte le sue forze di fermare questo flusso di informazioni utilizzando brutali strumenti di censura, etichettando ogni dubbio sui vaccini come disinformazione, cattiva informazione e cattiva informazione. Questi sforzi hanno avuto successo per un po’, finché le contestazioni al Primo Emendamento non hanno costretto le aziende digitali a cedere. Ora la situazione è chiara. 

 

Inoltre, l’opinione pubblica convive con le profonde ferite e il trauma duraturo del periodo COVID, ben consapevole degli interessi industriali che hanno spinto per le politiche scioccanti che hanno soffocato i diritti umani e distrutto il funzionamento sociale, il tutto nell’interesse di promuovere una vaccinazione che non solo ha fallito, ma ha causato sofferenze senza precedenti. Finalmente, e dopo una così lunga lotta per la libertà di scelta, sembra che finalmente stia arrivando un certo grado di responsabilità per un settore che ha fatto affidamento sul sostegno del governo fin dalla sua nascita. 

 

Jeffrey A. Tucker

Jeffrey Tucker è fondatore, autore e presidente del Brownstone Institute. È anche editorialista senior di economia per Epoch Times, autore di 10 libri, tra cui Life After Lockdown, e di migliaia di articoli pubblicati sulla stampa accademica e divulgativa. È relatore abituale di economia, tecnologia, filosofia sociale e cultura.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Intelligence

Gehlen, la superspia da Hitler alla CIA

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«È legittimo usare Belzebù per scacciare Satana». Con questa semplice frase, veniva riassunto dal giornalista del New Republic in un articolo dell’aprile 1972, il particolare rapporto venutosi a creare tra i servizi statunitensi e l’Intelligence tedesca dalla fine della guerra in avanti. L’uomo che fece da collante tra i due universi prima e dopo la conferenza di Potsdam fu Reinhard Gehlen (1902-1979) o anche conosciuto come la superspia di Hitler.    Iniziò la sua rapida ascesa nell’esercito tedesco sul fronte polacco del 1939. Successivamente prese parte allo staff del generale Franz Halder (1884-1972), comandante in capo del Comando Supremo dell’Esercito Tedesco e ne divenne in breve uno degli assistenti principali. Ebbe un ruolo importante nell’organizzazione delle operazioni in Grecia, Yugoslavia e Unione Sovietica e nella primavera del 1942 venne incaricato di gestire la FHO, Fremde Heere Ost, una nuova entità nata con lo scopo di ottenere informazioni sull’Armata Rossa e sul fronte orientale in generale.   Si ritrovò a lavorare molto vicino alla Abwehr di Willelhm Canaris (1887-1945), l’Intelligence tedesca nata dopo la fine della Grande Guerra e soppressa in seguito alla scoperta di un complotto ordito per assassinare Adolf Hitler (1889-1945). Il lavoro preparatorio svolto dalla Abwehr per l’operazione Barbarossa si rivelò essere approssimativo e concorse al disastro di Stalingrado. La fine dei servizi gestiti da Canaris lasciò la strada spalancata al giovanissimo Gehlen che a soli quarantanni si ritrovo in carico della gestione della nuova Intelligence tedesca. 

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Gehlen rinforzò immediatamente la struttura dei servizi portando professionisti in grado di studiare i nemici sovietici come mai prima era stato fatto. Prima di lui, la hybris della Abwehr sulla convinzione della superiorità ariana sopra quella slava non aveva mai permesso l’approfondimento perché considerato uno sporcarsi le mani ad un livello non consono. Gehlen, tra gli altri, assunse un antropologo, un esperto in slavistica, un geografo, un avvocato, con l’obiettivo di raccogliere più materiale possibile.    Gehlen si ritrovo ben due volte contro il favore di Hitler. La prima quando stilò un prospetto in cui dichiarava perso il fronte orientale e l’armata Rossa militarmente superiore a quella tedesca. La seconda volta quando il suo studio mostrava persa Berlino e proponeva come unico modo di difesa finale l’attivazione dei Werewolf, gruppi paramilitari nazisti che avrebbero dovuto operare in assetto di guerriglia dietro le linee. Con questo documento, nell’aprile 1945, Hitler lo depose con l’accusa di disfattismo.   Da quel momento in avanti, in anticipo sui tempi e sui suoi colleghi, cominciò la sua preparazione personale per il dopo guerra. Radunò, copiò in microfilm e sotterrò in diversi punti delle Alpi bavaresi oltre cinquanta barili stagni, colmi dell’archivio dell’Intelligence tedesca. Si arrese agli americani e portato nel campo di concentramento Camp King, dichiarò che avrebbe potuto fornire informazioni fondamentali sull’Armata Rossa sovietica. Oltre ai documenti avrebbe potuto informare su dove si stesse nascondendo la maggioranza degli ufficiali nazisti in ottica di reclutamento per la causa anti comunista.    Nel mondo post conferenza di Potsdam del 2 agosto 1945, la presenza dell’Intelligence dell’Asse nei paesi al di là della cortina di ferro era stata completamente azzerata. Gli unici ad avere ancora delle informazioni rimanevano i membri degli apparati nazisti. Gehlen stesso la corsa dell’Armata Rossa verso Berlino aveva impiantato una rete di agenti doppi dentro i futuri Paesi a influenza sovietica. In questa situazione di nebbia totale ma anche di grande sopravvalutazione delle forze sovietiche, venne considerato da Allen Dulles (1893.1969), il modo più veloce per recuperare una forma di presenza nell’Europa del dopoguerra. Bedell-Smith (1895-1961) a capo dell’ufficio di Berna in quel momento e futuro direttore della prima CIA, lo reclutò e lo spedì a Washington dove lavorò per formare quella che venne da quel momento chiamata la Gehlen Organization.    Il gruppo di persone, chiamato in seguito dei «realisti» e che comandò la politica estera statunitense per un quarto di secolo, lo portò subito dalla propria parte offrendogli, negli anni e in forma segreta, duecento milioni di dollari. Allen Dulles stesso, quando Gehlen ottenne di tornare in Germania per formare il BND, Bundesnachrichtendienst, i Servizi Segreti Federali, lo incensò con una buonuscita da duecento cinquantamila marchi come ricompensa per tutto ciò che aveva fatto per la CIA. 

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L’organizzazione di Gehlen ottenne la vecchia dimora di Martin Bormann (1900-1945), ufficiale e primo consigliere di Hitler, a Pullach, nella Baviera meridionale, quale edificio da dove operare. Da questa base nascerà la BND, i servizi segreti della Germania Ovest, dentro la quale inserì tutti quegli ex SS e membri della Wermacht di sua preferenza. Uno dei ruoli principali di Gehlen, soprattutto grazie ai doppi agenti attivati nei Paesi dell’Est, fu quello di strutturare la rete Stay Behind o anche detta operazione Gladio, gruppi paramilitari coperti antisovietici, messa in piedi in tutta Europa    Una situazione simile accadde anche in Italia. James Jesus Angleton (1917-1987), a capo dell’ufficio italiano della OSS, organizzò la fuga di Valerio Junio Borghese (1906-1974) da Salò assieme all’archivio della SIM, il Servizio d’Informazione Militare italiano. In questo modo pose le basi, per incorporare nell’Italia del dopoguerra gli apparati dell’Intelligence fascista in funzione anti sovietica. Assieme a questo, il fratello maggiore di Reinhard, Johannes, fisico nucleare, venne messo a capo dell’ODEUM una sussidiaria della organizzazione del fratello. Roma divenne centro di diversi interessi e luogo per eccellenza di miscellaneo incontro di spie internazionali.   Nonostante l’impegno profuso da Allen Dulles per ottenere le informazioni sui sovietici attraverso Gehlen e il suo esercito di nazisti, le montagne di documenti e le migliaia di informazioni che la CIA ottenne e lavorò in quegli anni si rivelarono però quasi completamente inutili. Sempre secondo l’articolo del New Republic, la parte ancora più inquietante non fu tanto l’inutilità finale delle informazioni portate ma scoprire in seguito come la sua organizzazione fosse stata infiltrata fin dall’inizio dai Sovietici. Proprio Gehlen una volta in auge a Washington, indicò tra i migliori prospetti a disposizione proprio Igor Orlov (1923-1982), l’uomo che due decenni dopo venne scoperto essere la famigerata talpa «Sasha».   Lev Bezymenskij (1920-2007), giornalista e storico russo di base a Bonn, pubblicò una recensione del libro di memorie di Gehlen. Il russo racconta come la versione iniziale del libro non avendo molto brio e novità da raccontare a fronte di un anticipo dato a Gehlen di un milione e mezzo di marchi si decise in fase editoriale di arricchirlo. Venne inviato David Irving, un giornalista inglese esperto in materia di Seconda Guerra Mondiale che su aiuto di Gehlen stesso organizzò una serie di interviste nella casa del tedesco sulle rive del lago di Starnberg in Baviera. Quello che ne venne fuori, venne considerato altamente non pubblicabile. La versione americana venne mondata dagli aggiornamenti di Irving, una copia invece non si sa come finì tra i tipi dello Spiegel di Amburgo che non perse un secondo a pubblicarlo.    Oltre alla parte in cui si raccontava il fatto che l’organizzazione mantenesse il controllo anche sui fatti interni tedeschi, cosa assolutamente contro il suo senso formale di esistenza. Interessante era la parte in cui veniva spiegato come all’inizio degli anni Cinquanta, l’organizzazione tedesca avesse inviato diversi ufficiali in Egitto per tentare di infiltrare la polizia e i servizi egiziani senza riuscirci. Dopo questo tentativo decisero di puntare dunque sull’addestrare il Mossad ad inviare agenti doppi negli Emirati Arabi. Proprio Gehlen raccontò successivamente che Dulles e la CIA spinsero perché si prendessero in mano il Medio Oriente. In seguito alla guerra di Suez però, l’organizzazione, racconta sempre Gehlen, si concentrò solamente nell’addestrare il Mossad, l’appena nato, piccolo ma efficientissimo, servizio segreto israeliano, in modo da aiutare l’infiltrazione di spie nei Paesi arabi.    Marco Dolcetta Capuzzo

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La CIA, il KGB e il mistero di Igor Orlov detto Sasha

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Nonostante il successo nelle fasi finali del conflitto, il dilettantismo statunitense nel mondo dell’Intelligence globale rimase un tratto dominante dall’entrata in guerra fino a tutta la prima parte del dopoguerra. La volontà di volersi avvicinare all’esperienza del MI6 inglese o della struttura messa in piedi ancora da Pietro il grande e utilizzata in seguito dai sovietici, si accompagnò alla enorme quantità di denaro a disposizione durante e soprattutto dopo il conflitto.

 

Nella foga di dimostrare al pianeta che la repubblica del nuovo mondo avesse finalmente raggiunto il tavolo di chi conta entrando dalla porta principale, venne trascurata non poca cautela. Caratteristica di quel periodo fu proprio la fretta e l’esuberanza nel voler arrivare il prima possibile a un risultato saltando livelli necessari di precauzione. Sia il mondo dell’intelligence americano appena nato con l’OSS e soprattutto in seguito con la CIA, per la frenesia di trovare informatori, trascurò le più necessarie pratiche di controspionaggio, con il risultato di riempire l’America di agenti doppi sovietici.

 

Uno dei casi più eclatanti, descritto bene nell’opera di Joseph Trento The Secret History of the CIA, fu quello di Igor Orlov, nome in codice «Sasha», per la vera identità di Aleksander Ivanovich Navratilov (1918-1982). Figlio di un importante famiglia russa, discendente diretta della aristocrazia, divenne fondamentale in un momento in cui Lavrentij Berija (1899-1953) zelante e potentissimo direttore della polizia segreta sotto il georgiano Iosif Stalin (1878-1953) stava percependo di perdere la fiducia del dittatore cosa che avrebbe significato morte certa, non solo politica.

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Fino a quel momento, gli agenti scelti per le missioni speciali venivano per lo più dall’Ucraina o dalla Georgia per la mancanza di fiducia di Stalin verso i Russi. Di questo «vezzo» erano a conoscenza anche i servizi tedeschi, che utilizzavano questo schema per stanarli con maggiore, relativa, facilità. Berija, dunque, mostrò a Stalin un fascicolo con la scheda di tal Aleksander Grigoryevich Kopatzky. Nome fittizio di chiaro stampo non russo bensì polacco, donato a Navratilov per riuscire a passare sotto il controllo del georgiano e accedere al livello successivo.

 

Aleksander spiccò tra tanti altri agenti guadagnandosi la sua occasione attraverso un atto considerato da Berija eccezionale per il ruolo che avrebbe dovuto interpretare. Suo padre, Ivan, aveva scalato le gerarchie ottenendo una posizione di tutto rilievo nella Ceka, la polizia segreta sovietica. La sua famiglia conosceva talmente bene il modus operandi degli ufficiali di Berija durante le purghe che quando due ufficiali bussarono alla porta di casa in piena notte, avevano già capito a cosa sarebbero dovuti andare incontro.

 

La moglie Anna, chiese immediatamente chi l’avesse denunciato. La risposta sconvolse i due genitori in quanto la denuncia era arrivata dal figlio Aleksander che sottolineò subito di averlo sentito chiamare Stalin un traditore. Era esattamente questo tipo di lucida follia di cui aveva bisogno Berija per portare a termine lo spregiudicato progetto in rampa di lancio.

 

Il suo compito, ben oltre il limite del suicidio, sarebbe stato quello di farsi paracadutare oltre le linee per guadagnarsi la fiducia dei nazisti come disertore. L’obiettivo, oltre a creare una nuova rete di spionaggio, avendo Stalin purgato quella eccezionale realtà costruita da Pietro il Grande una volta conosciuta come i migliori servizi segreti del mondo, era quello di avvicinare l’armata disertrice dell’ex generale dell’armata rossa, passato dall’altro lato del fronte, Andreevič Vlasov (1901-1946).

 

Stalin, che avrebbe potuto conoscere in anticipo le volontà d’invasione tedesche se, paradossalmente, non avesse azzerato l’Intelligence con le purghe, temeva l’utilizzo dell’armata di Vlasov composta da oltre cento cinquantamila elementi visceralmente anti sovietici. Riuscire a sapere prima del tempo dove sarebbe stata impiegata avrebbe aiutato enormemente la logistica sovietica durante l’operazione Barbarossa.

 

Aleksander venne mandato in aereo nella regione polacca occupata dai nazisti vicino alla posizione di Vlasov. Nel volo uccise i piloti come prova della sua diserzione. Nel salto con il paracadute dovette sperare di non venir ferito mortalmente e di riuscire ad arrivare in ospedale senza morire dissanguato. La parte da recitare ai tedeschi l’aveva ripetuta un milione di volte e anche se ferito da tre proiettili riuscì a mantenere il ruolo fino ad arrivare ancora vivo anche se in stato d’incoscienza.

 

Una volta dentro la clinica riuscì a convincere gli ufficiali nazisti della sua lealtà denunciando varie talpe russe infiltrate da tempo all’interno degli apparati tedeschi. Questi agenti sovietici facevano comunque parte della lunga lista della purga di Stalin e dunque erano tutte carte che avrebbe dovuto giocarsi a sua discrezione.

 

L’operato di «Sasha» fu talmente eccezionale che si guadagnò completamente la fiducia nazista e divenne l’informatore principale dei tedeschi. Per non farsi scoprire anche dalle altre spie sovietiche in terra tedesca dovette iniziare un terribile doppio gioco volto a creare dei nuovi agenti solamente per poterli sacrificare alla bisogna.

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La sua consegna costante di agenti sovietici presenti nell’armata di Vlasov, contribuì a rendere la stessa armata inutilizzabile. I nazisti per via delle continue denunce di nuove spie da parte di Sasha, non impiegarono mai l’armata nell’Operazione Barbarossa, contribuendo in questo modo alla disfatta nazista.

 

Con la gara verso Berlino dei sovietici in corsa sul tempo contro con gli alleati, Orlov riuscì sempre a restare a galla nel suo prezioso ruolo di informatore. Inizialmente riuscì a ingraziarsi Reinard Gehlen (1902-1979), la super spia nazista, in carico dell’armata di Vlasov prima e in seguito dell’intelligence nazista dalla Repubblica di Weimar alla corte statunitense. Successivamente, sfruttò la ricerca furiosa degli yankee di nuove informazioni sui russi, attraverso l’ingorda, e spesso dozzinale, presa delle risorse tedesche, tra cui buona parte dell’Intelligence nazista di Gehlen. In breve Sasha, divenne uno dei principali e longevi agenti dell’agenzia americana, prima a Monaco di Baviera e in seguito nella fondamentale base operativa di Berlino.

 

L’ufficio di Berlino venne preso in mano da Allen Dulles proprio nel finire della guerra e lo tenne fino al 1945, ritornandosene a New York quando venne a sapere che l’OSS non sarebbe stato portato avanti. L’ufficio passò di mano per qualche anno e venne abbandonato dal governo americano che ne taglio i fondi e ne limitò l’operato. In questa condizione di disuso Orlov potè sguazzare rimanendone appiccicato grazie alla nomea di miglior agente in mano agli americani. Questa nomea rimase indisturbata per i molti anni successivi.

 

La sua mansione principale era quella di gestire i bordelli aperti dalla CIA a Karlshorst, la piccola Mosca di Berlino, il principale centro di tutte le operazioni fuori dall’Unione Sovietica. Secondo la logica americana, Orlov avrebbe potuto, attraverso fotografie compromettenti, ricattare gli agenti dell’Unione e creare nuovi elementi utili per la causa a stelle e strisce. Quello che gli americani non avevano considerato era che quelle foto per gli agenti russi non avrebbero creato nessun fastidio, ma questo chiaramente Sasha, non lo confidò mai. In questo ruolo potè convivere tranquillamente per anni a Berlino, mantenere i contatti con la madre patria e scalare le gerarchie militari dell’intelligence sovietica.

 

Nei primi anni Sessanta Anatoliy Golitsyn (1926-2008) uno dei più importanti disertori russi in suolo americano confidò a James Jesus Angleton (1917-1987) il potentissimo capo del controspionaggio americano che nelle precedenti decadi aveva sentito parlare di un agente infiltrato ad altissimi livelli a Washington. Le uniche cose che ricordava erano il nome in codice Sasha e il fatto che avesse un cognome polacco che iniziasse con la K e terminasse con ski. Angleton, dal dopo guerra in avanti, tormentato come fu dalle sue paranoie antisovietiche per tutta la sua carriera, si chiuse in stanza con il disertore per oltre tre mesi, controllando l’intero archivio della CIA.

 

Vennero formulate diverse ipotesi su chi potesse essere il fantomatico Sasha. Vennero colpiti in molti e non tutti i sospettati ritornarono a lavorare per la CIA. Infine nel 1964 arrivarono a identificare Orlov come Aleksandr Kopatskyi. Sasha infatti dopo aver ricevuto nel 1958 un addestramento negli Stati Uniti ed essere stato palleggiato un altra volta dalla Germania all’America venne fatto atterrare con tutta la famiglia definitivamente negli States. Gli venne offerto un risarcimento per l’importante cifra per l’epoca di 2500 dollari per ogni anno passato nella CIA.

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Sasha, venendo rimbalzato da ogni richiesta di nuovo incarico nell’intelligence americana, non volle darsi per vinto e rifiutò il premio alla carriera, accettando un lavoro da conducente del camion dei giornali per 60 dollari alla settimana. In qualche anno di grandi sacrifici assieme alla moglie Eleanor, riuscirono ad aprire un negozio di cornici e a crescere i loro due figli in America.

 

Nonostante le pressioni di Angleton, le accuse di Golitsyn, non riuscirono mai a trovare la smoking gun che Orlov/Kopatskyi/Navratilov fosse Sasha. Orlov, durante tutti gli anni del suo incarico, sempre in contatto con la madre patria, chiedeva notizie sulla madre e provava a capire se potesse un giorno arrivare il momento del ritorno a casa. Quel momento, per via anche della sua abilità come spia, non arrivò mai, ma venne sempre rimandato in nome di un bene più grande.

 

Nonostante la sua morte nel 1982 per cancro, l’FBI continuò a mettere pressione alla sua famiglia. Lo si può leggere in un articolo pubblicato nel 1989 dal Washington Post sempre di Joseph Trento con sua moglie Susan.

 

Un altro supposto disertore, Yurchenko, proprio come Golitsyn e Kitty Hawk, ebbe a modo di spendere molte energie su Orlov e tra le varie anche che avesse reclutato i suoi figli perché continuassero la tradizione «Sasha» di famiglia. George Orlov, si vedeva pedinato nelle sue corse pomeridiane a Princeton mentre seguiva i corsi di fisica nucleare. Eleanor dovette sottoporsi a diverse prove della macchina della verità, passandole tutte, e pregando che l’ultima fosse davvero l’ultima.

 

Marco Dolcetta Capuzzo

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Intelligence

Le origini della CIA e la nascita delle operazioni coperte

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Nel suo saggio storico Disciples lo scrittore e giornalista Douglas Waller racconta come Richard Helms (1913-2002), agente segreto e futuro direttore della CIA, spiegasse come la lega dei gentleman – come William J. «Wild Bill» Donovan (1883-1959) amava chiamarla – conteneva vari disadattati sociali e diversi annoiati uomini d’affari di Wall Street in cerca d’azione.   Secondo Helms probabilmente il servizio segreto americano OSS aveva avuto un minimo effetto sulla guerra, si sarebbe potuta vincere anche senza di esso ma nonostante questo Donovan aveva dato prova di essere un leader e un visionario. Il generale aveva avuto il merito di far conoscere il Pentagono e gli americani nel difficile mondo della guerra non convenzionale.   Con la fine della seconda guerra mondiale, il presidente Harry S. Truman (1884-1972) sciolse l’OSS. La battaglia per la gestione dell’Intelligence nel mondo tra Donovan e J. Edgar Hoover (1895-1972) si risolse in un pareggio a reti inviolate. Ne trasse vantaggio Allen W. Dulles (1893-1969) che inizialmente formò la parte più clandestina con l’aiuto di Frank Wisner (1909-1965) ed infine ne prese formale controllo diventandone direttore.

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Allen Dulles, assieme anche a suo fratello John Foster Dulles (1888-1959) che ricoprì parallelamente l’incarico di segretario di Stato con Dwight D. Eisenhower (1890-1966), concorse a determinare quasi due decenni di politica estera americana. La sua esperienza come spia però venne plasmata agli ordini di Donovan a capo dell’ufficio svizzero e come molti altri colleghi ebbe un rapporto difficile con Wild Bill nonostante la stima reciproca.    Un editorialista scrisse che Donovan aveva avuto una vita da cavaliere medievale, o forse quello che più poteva avvicinarsi per il mondo americano a quell’ideale romantico di stampo prettamente europeo. Scappato dalla povertà della comunità irlandese di Buffalo, visse gli anni del college come quarterback della squadra di football, si laureò alla Columbia in classe con Franklin Roosevelt (1882-1945), venne insignito della medaglia al valor militare per eroismo durante la Grande guerra e divenne miliardario come avvocato di Wall Street.   All’alba della seconda guerra mondiale Roosevelt gli diede l’incarico di formare i servizi segreti americani, quello che poi venne chiamato OSS. Sotto il suo comando assemblò una macchina da più di 10 mila spie, organizzazioni paramilitari, propagandisti e analisti che combatterono l’Asse ovunque nel mondo.   Donovan considerava Dulles, nell’immediato dopoguerra, la sua migliore spia. Ma allo stesso modo aveva sempre sospettato che Dulles pensasse di poter gestire meglio l’OSS di quanto non stesse facendo lui, e non a torto. Inoltre Donovan aveva sempre sospettato che Dulles pensasse di volergli prendere il posto prima o poi, e anche qui non a torto.    Allo stesso modo di Donovan, Dulles, era convinto che il fine giustificasse i mezzi ed era necessario violare le rigide strutture etiche della società per una giusta causa. Dulles reclutò le menti più brillanti, più idealiste, più avventurose d’America e le spedì in giro per il mondo a combattere il comunismo come Donovan aveva fatto per il nazismo qualche anno prima. Li accomunava lo stesso trasporto per le spericolate missioni clandestine e la stessa insofferenza per quelle che non reputavano interessanti. Nonostante non l’avrebbe mai ammesso, l’esperienza nell’OSS durante la guerra l’aveva formato per la vita.    Successivamente alla resa tedesca, Donovan mandò Dulles a Wiesbaden con l’ordine di gestire Germania, Svizzera, Austria e Cecoslovacchia. L’americano stabilì la sede centrale nella fabbrica della Henkell Trocken Champagne a Wiesbaden che, nonostante bombardata, oltre a mantenere attiva la produzione, aveva ancora le cantine sufficientemente gremite di spumante.    Dulles in Wiesbaden portò vari agenti dei servizi e organizzò un sistema di raccolta informazioni e di reclutamento di nuovi agenti esteri a tempo pieno. L’idea dell’americano era quella di mantenere l’intelligence in vita sotto al suo comando. Per questo si circondò di analisti come Arthur M. Schlesinger Jr. (1917-2007) all’epoca agente dell’OSS, vari agenti del controspionaggio e in più tutta una serie di ufficiali esperti in medicina, comunicazioni e amministrazione. Helms e Ides Van der Gracht gestivano la sezione spionaggio, dopo il rifiuto al ruolo di capo dell’intelligence di William J. Casey (1913-1987) la posizione venne affidata a Frank Wisner (1909-1965).    La conferenza di Potsdam nell’estate del 1945 sancì l’inizio della guerra fredda. La paranoia di Stalin sulla rinascita della Germania e delle elezioni libere nei Paesi dell’Est Europa andava di pari passo con la sua profonda sfiducia verso le mosse americane. Gli States non avrebbero potuto capire quel momento senza mantenere una presenza fissa in Europa. Berlino divenne il centro di gravità permanente dell’intelligence del dopoguerra e così da Wiesbaden l’ufficio venne traslocato nella capitale tedesca. 

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Spiare i Russi divenne la priorità per tutta l’agenzia di Dulles a Berlino. Ma venne il giorno in cui Truman avvisò che sarebbe stata creata una nuova agenzia e che l’OSS sarebbe stata soppressa. I fondi a Berlino vennero tagliati e il morale allo stesso modo calò in maniera direttamente proporzionale al passare del tempo finché Dulles per primo non rassegnò le dimissioni e ritornò in America.   Allen Dulles ritornato alla sua carriera da avvocato non riuscì ad abbandonare l’entusiasmo per gli affari internazionali. Crebbe la sua vicinanza con Truman che gli offrì un ruolo da ambasciatore ma venne convinto dal fratello Foster a non accettare seguendo in questo modo la sua aspirazione maggiore. In seguito a un rapporto che scrisse per Truman dove delineò i problemi che stava avendo la CIA nella sua breve nuova vita, gli venne richiesto, in risposta, di gestire le operazioni clandestine.   Il passaggio successivo, dopo un breve periodo, divenne quello di ottenere il ruolo di vice direttore della CIA sotto il generale Walter Bedell Smith (1895-1961). La disciplina marziale richiesta ai suoi subordinati non si accostava al giovane Dulles con il quale nacquero diverse incomprensioni. Nel momento in cui Dwight Eisenhower divenne presidente, nominò sottosegretario il generale Bedell Smith sotto John Foster Dulles che divenne il nuovo segretario di stato.   La potenza di fuoco di John Foster consegnò in mano al fratello il ruolo tanto agognato di direttore della CIA. Bedell Smith, si oppose alla nomina di Dulles considerando la sua passione per le operazioni coperte nociva per l’agenzia e l’intera politica estera americana. Donovan, che si era speso moltissimo con «Ike» Eisenhower per ottenere la carica, allo stesso modo predisse che il suo sottoposto al tempo dell’OSS avrebbe mandato tutto all’aria.   Nonostante le gufate dei suoi ex colleghi, Allen assieme al fratello condussero per un’intera decade la politica estera americana fino all’ascesa politica di John Fitzgerald Kennedy alla presidenza e al disastro della Baia dei Porci del 1962.    Marco Dolcetta Capuzzo  

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