Cina
Pechino condanna a morte 16 gestori dei centri per le truffe online in Birmania
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il tribunale di Wenzhou ha giudicato colpevoli 39 imputati della famiglia Ming, originaria dello Stato Shan nel nord del Myanmar. Le accuse comprendono frode e traffico di droga con proventi stimati in oltre 10 miliardi di yuan. Tra i condannati a morte figurano il figlio e la nipote del patriarca Ming Xuechang, morto in circostanze controverse durante l’arresto. L’operazione si inserisce nella più ampia repressione di Pechino contro i gruppi criminali che operano in Myanmar.
Un tribunale cinese ha condannato a morte 16 membri della famiglia Ming, potente gruppo criminale della regione Kokang, nello Stato Shan del nord del Myanmar, coinvolto nei commerci illeciti legati ai centri per le truffe online, una questione a cui Pechino da tempo sta rispondendo con una dura repressione.
Secondo i media cinesi, il Tribunale intermedio di Wenzhou, nella provincia orientale di Zhejiang, ha riconosciuto colpevoli 39 imputati per 14 reati, tra cui frode, omicidio e lesioni volontarie. Le condanne sono state differenziate: 11 imputati hanno ricevuto la pena capitale immediata, cinque la condanna a morte con sospensione di due anni, 11 l’ergastolo e gli altri pene comprese tra i cinque e i 24 anni di carcere.
Per alcuni sono state inoltre disposte anche multe e la confisca dei beni.
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L’accusa ha ricostruito che, a partire dal 2015, la famiglia Ming ha sfruttato la propria influenza nella regione Kokang per costituire una fazione armata e creare diversi «parchi» composti da edifici dediti alle truffe online. I gruppi armati hanno stretto alleanze con altre bande per fornire protezione alle attività illecite del clan: truffe telefoniche, traffico di droga, prostituzione, gestione di casinò e giochi d’azzardo online. I proventi stimati da frodi e gioco d’azzardo superano i 10 miliardi di yuan, circa 1,4 miliardi di dollari, secondo l’accusa.
Al centro del processo è finita in particolare la «Crouching Tiger Villa», una base utilizzata per le truffe online di proprietà di Ming Xuechang, patriarca della famiglia. Il 20 ottobre 2023 le guardie del complesso aprirono il fuoco contro lavoratori che cercavano di fuggire: fra le vittime vi furono 14 cittadini cinesi, alcuni dei quali – secondo indiscrezioni non verificate – erano agenti di sicurezza sotto copertura inviati da Pechino.
Tra i condannati a morte figurano anche il figlio di Ming Xuechang, Ming Xiaoping (noto anche come Ming Guoping), e la nipote, Ming Zhenzhen. Non compare invece la figlia, Ming Julan, il cui arresto era stato annunciato in un primo momento ma non confermato nella successiva comunicazione ufficiale da parte della giunta birmana.
Il patriarca Ming Xuechang, 69 anni, era stato arrestato nel novembre 2023 insieme ad altri membri della famiglia, nel quadro della pressione esercitata da Pechino sul Myanmar per smantellare i sindacati criminali del Kokang.Secondo le autorità di Naypyidaw, Xuechang si sarebbe sparato durante l’arresto ed è morto in seguito per le ferite riportate. In passato era stato membro della Zona a statuto speciale del Kokang e deputato del parlamento statale dello Shan per l’Union Solidarity and Development Party (USDP), partito legato ai militari birmani.
Il caso della famiglia Ming si inserisce nella vasta campagna lanciata da Pechino contro le truffe telefoniche transnazionali. Il ministero della Pubblica sicurezza ha dichiarato che, solo nel periodo del 14° Piano quinquennale (2021-25), la polizia cinese ha risolto 1,74 milioni di casi di frode, smantellato oltre 2mila centri di truffe all’estero e arrestato più di 80mila sospetti.
In parallelo, anche la milizia legata a Pechino che controlla il Wa State, un’area anch’essa al confine tra Cina e Myanmar, ha di recente intensificato i rimpatri forzati verso la Cina: solo negli ultimi nove mesi sono state deportate 448 persone sospettate di frodi online, in una dozzina di operazioni coordinate con Pechino.
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Immagine da AsiaNews
Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
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Cina
Apple elimina le app di incontri gay dal mercato cinese
Le principali app di incontri gay in Cina, Blued e Finka, sono state eliminate dall’Apple Store locale su ordine dell’autorità di regolamentazione internet di Pechino. Lo riporta Wired. Nel contesto è tuttavia utile ricordare che sino a qualche anno fa la Cina controllava l’app di incontri gay più diffusa al mondo.
Lanciata nel 2012, Blued è la più grande app di incontri gay in Cina, che in passato contava oltre 60 milioni di utenti nel mondo, prima che i controlli statali più rigidi ne riducessero la portata globale. Finka, concorrente più recente e popolare tra i giovani, è diventata una delle piattaforme LGBT in più rapida crescita in Cina grazie alle funzioni di social networking e all’interfaccia in stile gaming.
Secondo Wired, Apple ha rimosso entrambe le app dal suo App Store cinese su disposizione della Cyberspace Administration of China (CAC), che supervisiona i contenuti online e la sicurezza dei dati.
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L’articolo della rivista statunitense non specifica quando o perché sia stato emesso l’ordine, ma utenti dei social cinesi hanno notato la scomparsa delle app dagli store online durante il fine settimana. Le app, secondo quanto riferito, restano funzionanti per gli utenti esistenti, ma non sono più scaricabili per nuovi utenti.
Apple ha confermato la rimozione in una dichiarazione rilasciata lunedì.
«Rispettiamo le leggi dei Paesi in cui operiamo. In base a un ordine del CAC, abbiamo rimosso queste due app solo dallo store cinese», ha dichiarato un portavoce di Apple in un’e-mail alla testata. L’azienda ha aggiunto che entrambe le app erano già state ritirate da altri mercati. Né Blued né Finka hanno risposto alle richieste di commento.
La Cina ha depenalizzato l’omosessualità negli anni ’90, ma continua a vietare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Sotto la presidenza di Xi Jinping, le autorità hanno intensificato gli sforzi per promuovere i valori familiari tradizionali e contrastare quella che definiscono «influenza occidentale». La campagna mira ad aumentare i tassi di natalità, rafforzare i ruoli di genere e scoraggiare stili di vita ritenuti incompatibili con i valori tradizionali. Gli attivisti LGBTQ+ cinesi affermano che la campagna ha alimentato censura e sorveglianza, con la chiusura di molti gruppi gay, il divieto di eventi Pride, la rimozione di contenuti omosessuali dai media e lo scioglimento di associazioni universitarie.
La maggior parte delle app di incontri LGBT è già bloccata in Cina. Grindr, con sede negli Stati Uniti, è stata rimossa dall’App Store cinese di Apple nel 2022 dopo l’inasprimento delle norme sulla sicurezza informatica e sulla privacy dei dati, che impongono l’archiviazione locale dei dati degli utenti. ZANK, un tempo tra le principali app di incontri gay in Cina, è stata chiusa nel 2017 per «diffusione di contenuti pornografici».
Renovatio 21 ha spesse volte parlato di Grindr, l’applicazione usata dalla comunità omosessuale. La possibilità che i suoi dati fossero usati per fini di ricatto verso migliaia (milioni…) di persone con lavori sensibili per il governo spinse Trump, allora presidente, a chiedere ai cinesi, che l’avevano comprata, di averla indietro. I cinesi, incredibilmente, obbedirono, ma non è chiaro se possano essersi sbarazzati dei dati.
Grindr, che ad un certo punto pareva potesse essere comperata dall’apparentemente inarrestabile azienda italiana Bending Spoons, già coinvolta nell’app governativa di tracciamento COVID «Immuni» e partecipata da grandi famiglie del capitalismo nazionale, sarebbe subentrata anche in alcuni scandali che riguardavano la politica e pure il mondo religioso.
Renovatio 21 ha ipotizzato che parte del rapporto tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, sbocciata negli accordi sino-vaticani, potrebbe essere dovuta al kompromat da Grindr che i comunisti cinesi detengono su tanti consacrati segretamente omosessuali.
Su Grindr infatti si dice che siano presenti quantità massive di sacerdoti. Il fatto è tornato alla ribalta di recente con il caso di un sacerdote USA, noto per le posizioni intransigenti verso lo sdoganamento cattolico di Sodoma, beccato sulla piattaforma. Ma anche in Italia sarebbero stati trovati consacrati di un certo spessore. Di uno in particolare, scriveva il Giornale, che raccoglieva il sussurro di Dagospia: «nella sua seconda vita si dava alle droghe (ecstasy, ma anche crack, Ghb e chetamina) e alla conquista di amanti (rigorosamente di sesso maschile) su Grindr». Una storia con parole che sembrano riemergere anche ora.
L’uso intensivo della app di incontri gay da parte perfino dei seminaristi è raccontato da un recente libro del sociologo Marco Marzano, La casta dei casti.
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Nata a Los Angeles nel 2009, Grindr per un periodo finì nelle mani dei cinesi, che acquistarono la società. Nel 2016 la società aveva venduto una quota del 60% nella società per 93 di dollari milioni a un gruppo di sviluppo di videogiochi cinese, Kunlun Tech Co.
L’acquisizione di una tale massa di dati sensibili non passò inosservata. Nel 2019 governo Trump chiese alla Cina di farla tornare in mano americana, perché i servizi USA paventavano che le informazioni contenute in quella app mettessero a rischio la sicurezza nazionale: quante persone, nell’esercito e nella pubblica amministrazione, nel governo e nelle grandi aziende, potevano essere ricattate? Quanti funzionari, generali, ministri, soldati, uomini delle pulizie hanno una doppia vita e quindi possono essere manipolati?
I cinesi, piuttosto incredibilmente, accettarono l’ordine di Trump. Il gruppo Kunlun cercò un compratore per liberarsi dell’applicazione. Nel marzo 2020, Kunlun annunciò che avrebbe venduto la sua quota del 98,59% in Grindr alla San Vicente Acquisition LLC con sede negli Stati Uniti per 608,5 milioni di dollari. Il lead investor, Raymond Zage, viene dall’Illinois ma ha base ora a Singapore – un luogo dove gli interessi della Cina Popolare non sono sconosciuti.
All’altezza del 2018, Grindr indicava perfino se l’utente fosse sieropositivo o meno: la feature venne ritirata, perché i giornali sinceri e democratici rabbrividirono per mancanza di privacy sanitaria (cosa che adesso fa ridere…), senza capire che probabilmente dietro a questa nuova spunta poteva schiudersi il mondo dei bugchasers e dei giftgivers, coloro che volontariamente contagiano o si fanno contagiare con l’HIV.
Da Grindr deriva Tinder, la app di incontri usata dagli eterosessuali: anche quella è sicuramente stata causa di migliaia di disastri famigliari, perché può esporre la doppia vita di «cacciatore» di appuntamenti di un coniuge. Tuttavia Tinder, nonostante la disperazione che produce la promiscuità della hook-up culture («cultura del rimorchio») che ha generato, non è stato in grado di impensierire i servizi di Intelligence USA. Grindr, invece, sì.
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Cina
Test dimostrano che i veicoli elettrici possono essere manipolati a distanza da un produttore cinese
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