Eugenetica
Vaccini e ricerca su tessuti fetali, viaggio in un mondo oscuro
Renovatio 21 pubblica la traduzione di questo articolo su gentile permesso dell’autrice e di Catholic News Report
Prima parte: le prove circostanziali
«I bambini sono ancora vivi nel momento in cui i ricercatori cominciano ad estrarre i tessuti».
Questa scioccante affermazione di Pamela Acker, autrice ed ex ricercatrice nel campo dei vaccini, ha suscitato un’enorme impressione. La sua intervista su LifesiteNews, una discussione sulla ricerca sui tessuti fetali e lo sviluppo dei vaccini, ha rapidamente generato un’ondata di reazioni e di articoli.
Il podcast della conversazione con il direttore di LifesiteNews John-Henry Westen affronta la storia delle linee cellulari fetali HEK 293 e PER.C6, entrambe coinvolte a diverso titolo nello sviluppo di tutti i vaccini anti COVID-19 attualmente disponibili negli Stati Uniti.
Ma con il passare delle settimane, mano a mano che ondate di discussioni successive si richiudevano su di essa, l’intervista è scomparsa nelle acque profonde di internet. Sull’argomento dei vaccini anti-COVID, teologi e bioeticisti hanno continuato ad operare sottili distinzioni tra produzione e test, e a discutere di gradi di cooperazione con il male, senza alcun riferimento alle dichiarazioni della Acker, che sono state in gran parte ignorate, come si farebbe con un’osservazione di pessimo gusto sfuggita in compagnia di gente ben educata.
Credo che sia arrivato il momento di esaminare da vicino la brutale affermazione che ha messo l’uditorio tanto a disagio. Una riflessione si impone: è evidente che non c’è bisogno di chiederci perché una tale affermazione risulti così sconvolgente. Ma allora perché non le è stata data più attenzione?
C’è stato chi ha pensato che concentrarsi sulle piccole vittime della testimonianza della Acker potesse distogliere la discussione dal principio secondo il quale ogni vita umana è sacra. Un bambino è un bambino indipendentemente dallo stadio in cui le sue cellule o i suoi organi possono essere prelevati: in utero o ex utero, viabile o non-viabile, prima o dopo la morte.
Ci possono essere ragioni ancora più profonde dietro al rifiuto di affermazioni che ci parlano di bambini vivisezionati. Perché, se sono vere, possono sconvolgere il delicato equilibrio dei nostri calcoli morali
D’altra parte, molti erano restii a citare le dichiarazioni della Acker senza ulteriori indagini. Affermazioni esagerate possono danneggiare la propria credibilità. E quando si vuol assumere una posizione di superiorità morale, essere credibili è essenziale.
Ma ci possono essere ragioni ancora più profonde dietro al rifiuto di affermazioni che ci parlano di bambini vivisezionati. Perché, se sono vere, possono sconvolgere il delicato equilibrio dei nostri calcoli morali.
Dopo tutto, ormai l’argomento è stato risolto, in un modo perfettamente chiaro, che ci rassicura, e che tranquillizza le nostre coscienze.
Sensazionalista o testimone credibile?
Le linee cellulari sono create coltivando le cellule in modo tale che continuino a crescere e moltiplicarsi in provette da laboratorio, a volte per lunghi periodi di tempo.
Ammetto di essermi sentita molto meglio quando ho letto che anche se alcuni vaccini sono sviluppati utilizzando linee cellulari fetali, esse risalgono a molto tempo fa.
Create negli anni ’70 e ’80, esse hanno ormai una connessione molto remota con i bambini che hanno fornito le cellule da cui provengono. Ci è stato detto che le linee cellulari fetali umane HEK 293 e PER.C6 hanno richiesto solo due aborti. Inoltre, poiché queste due linee cellulari sono immortalizzate, ci viene ripetuto che tale infelice evento non dovrà mai più ripetersi.
È tutto molto ben presentato. Come ci si può agitare tanto per due aborti avvenuti decenni fa, di fronte alla possibilità di salvare milioni di vite?
Così, anche se in linea di principio ero fortemente contraria ai vaccini non etici, tale questione non suscitava in me una forte risposta emotiva. Di certo, non il terremoto interiore che provai quando lessi per la prima volta il titolo: «I bambini non nati usati per lo sviluppo dei vaccini erano vivi al momento dell’estrazione dei tessuti». Il mio primo pensiero fu che un titolo così sensazionalista aveva interesse a basarsi su fonti molto solide. Alla ricerca di tali fonti, lessi la trascrizione del podcast della Acker dell’11 gennaio 2021, così come gli articoli successivi in cui affrontava le critiche e le ulteriori domande generate dall’intervista. In seguito, parlai con lei per discuterne più in dettaglio.
Volevo andare a fondo di quella sola, scioccante, affermazione; premere «pausa» e zoomare, per così dire. E poi porsi la domanda: si tratta di qualcosa che dovremmo ignorare con un’alzata di spalle? Ha un’attinenza morale con il problema in questione? Si tratta solo di retorica sensazionalista? Nell’esaminare questa eventualità, non ci stiamo forse solo infliggendo un inutile disagio su un argomento che è già stato chiarito in modo per noi perfettamente soddisfacente?
Biologa ed ex ricercatrice nel campo dei vaccini, la pacata Pamela Acker è una candidata improbabile al ruolo di sensazionalista. Non è nemmeno un’anti-vax per partito preso. Al contrario, alla base della sua carriera scientifica ci fu il desiderio di creare vaccini di origine etica. A tal fine, ha conseguito una laurea in biologia, è stata coinvolta in ricerche di biologia presso la Washington University di St. Louis, ha brevemente lavorato allo sviluppo di farmaci presso la Pfizer, e ha ottenuto un master in biologia presso la Catholic University of America.
Fu durante il suo dottorato alla Catholic University che la Acker si trovò faccia a faccia con la realtà della ricerca sulle cellule fetali. Con sua grande costernazione, apprese che il progetto di ricerca a cui stava lavorando come parte dei suoi studi di dottorato utilizzava la HEK 293.
La linea cellulare fetale HEK 293 è derivata dalle cellule renali di un bambino abortito nei Paesi Bassi nel 1972. Questa linea cellulare è definita immortalizzata perché le cellule possono dividersi apparentemente indefinitamente. È stata creata dal biologo Frank Graham a partire da cellule coltivate dal suo socio di ricerca, Alex Van der Eb. Al giorno d’oggi HEK 293 è praticamente onnipresente, usata in fase di sviluppo o test di numerosi prodotti farmaceutici e anche di prodotti più banali come additivi alimentari.
Tuttavia, la maggior parte delle persone probabilmente riconosce questa sigla a causa delle controversie etiche che circondano i vaccini COVID-19 prodotti da Pfizer, AstraZeneca e Moderna.
Discutendo l’origine della HEK 293 in una testimonianza del 2001, Van der Eb dichiarò:
«Il rene del feto, la cui storia familiare è sconosciuta, è stato ottenuto probabilmente nel 1972. La data precisa non è più nota. Per quanto posso ricordare il feto era completamente normale. Non aveva niente di anomalo. Le ragioni dell’aborto mi erano sconosciute. Probabilmente all’epoca le conoscevo, ma tutte queste informazioni sono andate perdute». (1)
Dopo aver letto l’articolo del 2006 di Alvin Wong «The Ethics of HEK 293» (2), Acker giunse alla conclusione che la sua coscienza non le avrebbe permesso di partecipare a delle ricerche che facessero uso della linea cellulare fetale HEK 293. Il suo direttore di ricerca non era disposto a venire incontro alle sue convinzioni, e così i suoi studi di dottorato furono interrotti. L’incidente fu all’origine di periodo di riflessione da parte della Catholic University, che emise una moratoria temporanea sugli studi che coinvolgevano linee cellulari fetali, e la Acker divenne persona non grata presso i suoi colleghi del programma di dottorato che furono costretti ad interrompere temporaneamente le loro ricerche.
Oggi la Acker è insegnante e autrice di Vaccination: a Catholic Perspective (Kolbe Center for the Study of Creation, 2020) [a breve in uscita di italiano presso la casa Fede & Cultura, ndr]. Il libro è descritto come una risorsa che «affronta tutti i possibili aspetti controversi sui vaccini, qualcosa che un qualsiasi genitore cattolico potrebbe mettere in mano al proprio medico curante per sapere cosa ne pensa».
Il background della Acker le conferisce un punto di vista prezioso, persino unico, sull’etica dello sviluppo dei vaccini. Conosce il suo argomento dall’interno, aggiungendo la prospettiva di una scienziata a quella di una cattolica fervente.
Nel podcast di un’ora dell’11 gennaio 2021, John-Henry Westen e Pamela Acker hanno discusso una varietà di argomenti legati ai vaccini. Ma è la dichiarazione della Acker che interviene a circa metà dell’intervista che ha eclissato il resto della discussione. Questo, ha detto, è quello che è successo per procurarsi le cellule per le linee cellulari come HEK 293:
«Questi bambini vengono fatti nascere con parto cesareo. I bambini sono ancora vivi quando i ricercatori iniziano ad estrarre i tessuti; al punto che il loro cuore sta ancora battendo, e generalmente non viene somministrato loro alcun anestetico, perché questo altererebbe le cellule che i ricercatori stanno cercando di estrarre. Quindi, prelevano questo tessuto, mentre il bambino è ancora in vita e soffre orribilmente… tutto ciò rende il procedimento ancora più sadico»
«Questi bambini vengono fatti nascere con parto cesareo. I bambini sono ancora vivi quando i ricercatori iniziano ad estrarre i tessuti; al punto che il loro cuore sta ancora battendo, e generalmente non viene somministrato loro alcun anestetico, perché questo altererebbe le cellule che i ricercatori stanno cercando di estrarre. Quindi, prelevano questo tessuto, mentre il bambino è ancora in vita e soffre orribilmente… tutto ciò rende il procedimento ancora più sadico».
Date le credenziali di Acker, sapevo che non potevo semplicemente liquidare tutto ciò come una semplice congettura. Ma volevo esaminare le sue fonti di prima mano. Nulla di ciò che avevo letto fino ad allora sulle implicazioni morali delle linee cellulari fetali e del vaccino COVID faceva menzione di qualcosa del genere riguardo all’origine di queste linee cellulari. In effetti, la maggior parte dei resoconti sembrava deliberatamente distaccata, e tutti concordavano sul fatto che se ne sapeva molto poco, al di là dei semplici fatti.
Qualsiasi aborto è un crimine orribile, non importa quale sia lo stadio di sviluppo del feto, non importa quali siano le circostanze. Tuttavia, c’era qualcosa di particolarmente atroce in quello che veniva descritto questa volta, e il termine «sadico» impiegato dalla Acker sembrava il più adatto a descriverlo.
Vaccini, aborto ed eugenismo
La Acker mi assicurò che, lungi dall’essere semplici illazioni, le sue affermazioni si basavano su una solida conoscenza della scienza, dell’industria dei vaccini e della storia di tale industria. Nel corso di una cupa conversazione telefonica, passammo in rivista le sue fonti. Molte erano citazioni di prima mano provenienti dalla letteratura medica e scientifica. Gran parte delle sue ricerche storiche, la Acker le deve all’associazione Children of God for Life, che dal 1999 raccoglie informazioni sui vaccini che usano linee cellulari fetali.
Insieme, abbiamo esplorato il lato oscuro e disturbante della ricerca sui vaccini, iniziando negli anni ’30 e concentrandoci sul capolavoro della storia della vaccinazione: il vaccino antipolio di Salk e Sabin.
La letteratura medica dall’inizio alla metà del 20° secolo era sorprendentemente schietta e trasparente sui propri metodi. La Acker iniziò con una citazione che proveniva direttamente da un documento di Albert Sabin (1906-93), uno dei pionieri della vaccinazione. Sabin, e con lui tutti gli scienziati impegnati nella ricerca di vaccini virali dovevano affrontare una sfida: a differenza dei batteri, i virus non possono riprodursi da soli e richiedono cellule viventi da infettare. L’uso di soggetti animali come le scimmie comportava il rischio di contaminazione; perciò i ricercatori si orientarono verso il tessuto fetale umano.
Sabin, e con lui tutti gli scienziati impegnati nella ricerca di vaccini virali dovevano affrontare una sfida: a differenza dei batteri, i virus non possono riprodursi da soli e richiedono cellule viventi da infettare. L’uso di soggetti animali come le scimmie comportava il rischio di contaminazione; perciò i ricercatori si orientarono verso il tessuto fetale umano
Sabin descrive così le prime, critiche fasi della sua ricerca sul vaccino antipolio:
«Si tentò un nuovo approccio con l’uso di embrioni umani di 3 o 4 mesi, ottenuti in condizioni sterili via parto cesareo (gli autori sono grati al Dr. Lance Monroe, del Bellevue Hospital, per i 2 embrioni umani usati in questa indagine). Il cervello e il cordone ombelicale, i polmoni, i reni, il fegato e la milza sono stati conservati in frigorifero, e frammenti di questi tessuti sono stati prelevati per la preparazione del mezzo ad intervalli di 3 giorni». (3)
Espressi sorpresa per questa citazione del 1936, ovvero molto prima che l’aborto fosse legale negli Stati Uniti. Acker mi fece notare che il riferimento al Bellevue Hospital, una struttura di New York per «donne pazze e deboli di mente», era significativo. Questo, insieme al riferimento al parto cesareo (pudicamente chiamato anche «isterectomia addominale» nella letteratura medica) rendeva chiaro che «tutto ciò era legato al movimento eugenetico».
Già nel 1931, 38 stati americani avevano adottato il modello di legge sulla sterilizzazione eugenetica, rendendo obbligatoria la sterilizzazione di coloro che erano ritenuti inadatti a procreare. Sebbene all’epoca l’aborto fosse illegale negli Stati Uniti, esisteva un doppio standard legale per coloro che il movimento eugenetico considerava «deboli di mente», e per tali donne spesso gli aborti erano praticati contemporaneamente alla sterilizzazione.
Acker aggiunse poi sommessamente: «Stavolta spero di non mettermi a piangere mentre leggo»”. Da un rapporto del Canadian Journal of Medical Science, questa citazione risale al 1952:
Sabin, 1936: «Si tentò un nuovo approccio con l’uso di embrioni umani di 3 o 4 mesi, ottenuti in condizioni sterili via parto cesareo (gli autori sono grati al Dr. Lance Monroe, del Bellevue Hospital, per i 2 embrioni umani usati in questa indagine). Il cervello e il cordone ombelicale, i polmoni, i reni, il fegato e la milza sono stati conservati in frigorifero, e frammenti di questi tessuti sono stati prelevati per la preparazione del mezzo ad intervalli di 3 giorni»
«Embrioni umani di età compresa tra i due mesi e mezzo a cinque mesi di gestazione sono stati ottenuti dal dipartimento ginecologico del Toronto General Hospital. Sono stati posti in un contenitore sterile e prontamente trasportati al laboratorio di virologia dell’adiacente Hospital for Sick Children. Non sono stati utilizzati campioni macerati e in molti degli embrioni il cuore batteva ancora al momento della consegna al laboratorio». (4)
Anche qui, un legame con l’eugenetica: il reparto maternità del Toronto General Hospital era un tempo diretto dalla rinomata eugenista Dr. Helen MacMurchy (1862-1953), che definì la politica eugenetica canadese che sarebbe continuata per decenni. Era un luogo dove le donne considerate inadatte ad essere madri venivano sterilizzate e i loro bambini abortiti, al fine di prevenire un’altra generazione di «deboli di mente».
Proseguendo il nostro excursus, Acker citò un articolo del 1952 sulla propagazione dei virus della mielite polmonare:
«[I tessuti] sono stati ottenuti in condizioni sterili al momento di un’isterectomia addominale praticata per ragioni terapeutiche. Sono stati utilizzati embrioni di 12-18 settimane di gestazione. Raramente i tessuti sono stati ottenuti da feti nati morti o da neonati prematuri durante l’autopsia… Negli esperimenti sulla propagazione prolungata del virus sono stati utilizzati tre tipi di materiali embrionali: elementi di pelle, tessuto connettivo e muscolare; tessuto intestinale; tessuto cerebrale. I tessuti embrionali sono stati preparati nel modo seguente. Quando possibile, l’embrione è stato rimosso dal sacco amniotico in condizioni sterili, trasferito su un telo sterile e mantenuto a 5° C fino alla dissezione». (5)
La terminologia medica può occultare la cruda realtà. «Sta forse dicendo – chiesi con orrore – che questi bambini tra i 3 e i 4 mesi e mezzo di gestazione sono nati vivi, ed erano ancora vivi quando sono stati mandati al laboratorio, e…?» Acker finì la mia frase: «… e sono stati messi in un contenitore sterile e spediti in un laboratorio. E poi sono stati sezionati».
Poi precisò: «La rimozione dei loro organi è stata probabilmente la causa immediata della morte, anche se probabilmente, data la loro età gestazionale, sarebbero morti comunque». Alla mia domanda: «Come si puo’ parlare di aborto? Questo è infanticidio. O peggio: vivisezione», rispose: «È un eufemismo. Un termine che non deve evocare l’idea della brutalità di quello che sta succedendo».
«Proprio come non si può trapiantare un organo morto in un corpo vivo, non si può creare una linea cellulare a partire da tessuto morto. Questo bambino non era morto quando l’hanno messo nel frigorifero».
La Acker proseguì: «Proprio come non si può trapiantare un organo morto in un corpo vivo, non si può creare una linea cellulare a partire da tessuto morto. Questo bambino non era morto quando l’hanno messo nel frigorifero». Il processo di approvvigionamento di tessuto fetale umano«“deve essere fatto in modo metodico per ottenere il tipo di tessuto –- tessuto vivo – che si rivelerà efficace per questo tipo di ricerca». Non si trattava di casi isolati, ma di «parte integrante della ricerca medica portata avanti negli anni ’50 e ’60».
Generalmente, gli aborti spontanei non sono una buona fonte di tessuto fetale, spiegò la Acker, perché il bambino spesso muore in un momento imprecisato prima del parto. Quindi è altamente improbabile che un aborto spontaneo possa fornire il tessuto fresco necessario per una coltura cellulare di successo, e «se anche le altre condizioni fossero riunite, è assolutamente inconcepibile pensare di ottenere il consenso della madre in un tale frangente». È altresì probabile che un’anomalia genetica, una malattia o una contaminazione batterica rendano inadatto il tessuto fetale proveniente da un aborto spontaneo.
Per il loro lavoro pionieristico sul metodo della coltura dei tessuti nella ricerca sui vaccini, questi scienziati ricevettero il premio Nobel nel 1954. Nel suo discorso di accettazione, Thomas Weller ammise di «pescare nel torbido», usando «intestino, fegato, reni, surrene, cervello, cuore, milza e polmoni» fetali per coltivare il virus della polio.
Non c’era bisogno che la Acker continuasse ad elencare altri cruenti dettagli. Decisi di andare a cercarli io stessa, e li trovai senza troppe difficoltà.
Il primo era del 1969, da un rapporto sullo sviluppo del vaccino contro la rosolia di Stanley Plotkin e colleghi:
«Le colture da espianto sono state realizzate a partire dagli organi sezionati di un particolare feto abortito a causa della rosolia, il 27° nella nostra serie di feti abortiti… Il feto è stato abortito chirurgicamente 17 giorni dopo la malattia materna [rosolia] ed immediatamente sezionato». (6)
Lo stesso articolo notava che il vaccino contro la rosolia risultante «fu testato sugli orfani di Philadelphia». Uno sfacciato legame con l’eugenetica è il filo rosso che percorre tutta la ricerca sui vaccini del 20° secolo. Plotkin, noto come il «padrino dei vaccini» per il suo lavoro sul vaccino contro la rosolia, espresse la sua filosofia in una lettera del 1973 al New England Journal of Medicine:
Stanley Plotkin: «La questione è se dobbiamo far eseguire esperimenti su adulti pienamente funzionanti, e su bambini che hanno il potenziale di fornire un vero contributo alla società, o se dobbiamo eseguire studi iniziali su bambini e adulti che sono umani solo nella forma esterna, ma non nel potenziale sociale»
«La questione è se dobbiamo far eseguire esperimenti su adulti pienamente funzionanti, e su bambini che hanno il potenziale di fornire un vero contributo alla società, o se dobbiamo eseguire studi iniziali su bambini e adulti che sono umani solo nella forma esterna, ma non nel potenziale sociale». (7)
In linea con questa filosofia, la domanda di brevetto di Plotkin per il vaccino intranasale contro la rosolia rivela che egli lo testò su bambini handicappati mentali, handicappati “ortopedici”, orfani e sordi, prima di testarlo su bambini in età scolare. (8)
Almeno 99 aborti volontari sono riportati per la ricerca e produzione del vaccino contro la rosolia di Plotkin: 32 da linee di cellule fetali che fallirono, e 67 da tentativi di isolare il virus della rosolia (9). Il ceppo del virus risultante prese il nome dalla serie di tentativi: «RA 27/3» sta per «rubella abortus, ventisettesimo feto, terzo estratto di tessuto». (10)
Se Plotkin dettagliava metodicamente gli aborti coinvolti nel suo lavoro, le fonti successive erano meno esplicite, «piene di opacità», nelle parole della Acker. Dopo la sentenza del 1973 Roe v. Wade [la sentenza della Corte Suprema USA che diede il via libera all’aborto nel Paese, ndr), non c’era motivo di supporre che l’establishment scientifico avrebbe improvvisamente sviluppato un rispetto per la vita umana che era totalmente assente fino a poco prima.
Tuttavia, dopo decenni di ricerca fetale finanziata a livello federale, all’inizio degli anni ’70 alcuni orribili rapporti giunsero all’attenzione del pubblico: ricerche su bambini abortiti vivi in Svezia; bambini che si muovevano ancora messi sotto ghiaccio a Pittsburgh per essere spediti al laboratorio; dissezione di un bambino vivo a fini sperimentali a Yale.
Il clamore suscitato condusse ad una moratoria sulla ricerca sui tessuti fetali per i trapianti che rimase in vigore per oltre quindici anni; tuttavia, altre aree di ricerca sui tessuti fetali continuarono indisturbate. (11)
Nella tana del coniglio
Mi restavano ancora molte domande, e così mi sono infilata nella tana del web-coniglio. E proprio di una tana si trattava, un mondo oscuro che mi lasciava esausta dopo ogni sconvolgente incursione. Un rapporto di ricerca portava ad un altro. Mi divenne chiaro quanto poco sapessi in realtà sull’industria dell’aborto.
Mi trovai a girovagare tra realtà che semplicemente non volevo conoscere, che non volevo vedere e che poi avrei voluto dimenticare. Alcuni corridoi si diramavano nel triste catalogo dei metodi e dei protocolli di aborto e di approvvigionamento di tessuti; parecchi si aprivano sul mondo della donazione di organi e dei trapianti. Spesso, svoltando un angolo scoprivo che qualcuno era passato di là prima di me; infatti era chiaro che altri per molti anni avevano fatto ricerche e scritto con dovizia di particolari sul tema della ricerca sui tessuti fetali e sull’industria dei vaccini.
Ciò che non capivo era la ragione per la quale le loro ricerche (ben documentate, basate sui resoconti dell’industria stessa, non su congetture o vaghe dicerie) non fossero più conosciute, anche tra persone ardentemente pro-vita e per altro ben informate.
La brutale franchezza di certi rapporti di ricerca sui tessuti fetali, anche quando l’establishment scientifico agli inizi degli anni ‘70 si fece più reticente sull’argomento, era spesso surreale. Non tutti i casi che ho trovato riguardavano la ricerca sui vaccini, ma tutti avevano un filo conduttore comune: pratiche mediche estremamente dolorose effettuate su bambini vivi sopravvissuti all’aborto.
In questo universo parallelo, i giornali riportavano in termini espliciti la vivisezione fetale, come in questo articolo del San Francisco Chronicle, del 19 aprile 1973, intitolato «Operazioni su feti vivi»:
«Il dottor Jerald Gaull, durante i suoi periodici viaggi in Finlandia, inietta una sostanza chimica radioattiva nei fragili cordoni ombelicali dei feti appena rimossi dal ventre delle loro madri durante gli aborti. Il feto in ogni caso è troppo prematuro per poter sopravvivere, ma nel breve periodo in cui il suo cuore batte ancora, Gaull, capo della ricerca pediatrica al New York State Institute for Basic Research in Mental Retardation a Staten Island, li opera per rimuovere il cervello, i polmoni, il fegato e i reni per esaminarli»
«Il dottor Jerald Gaull, durante i suoi periodici viaggi in Finlandia, inietta una sostanza chimica radioattiva nei fragili cordoni ombelicali dei feti appena rimossi dal ventre delle loro madri durante gli aborti. Il feto in ogni caso è troppo prematuro per poter sopravvivere, ma nel breve periodo in cui il suo cuore batte ancora, Gaull, capo della ricerca pediatrica al New York State Institute for Basic Research in Mental Retardation a Staten Island, li opera per rimuovere il cervello, i polmoni, il fegato e i reni per esaminarli».
L’articolo proseguiva:
«Il dottor Robert Schwartz, capo del reparto di pediatria al Cleveland Metropolitan General Hospital, si reca in Finlandia per uno scopo simile. Dopo il parto di un feto, mentre è ancora collegato alla madre dal cordone ombelicale, preleva un campione di sangue. Poi, dopo aver tagliato il cordone, “il più rapidamente possibile”, il dottore opera su questo essere abortito per rimuovere altri tessuti e organi».
Così argomentava Gaull: «Più che essere immorale fare quello che cerchiamo di fare, è immorale, ed è una terribile perversione dell’etica, gettare questi feti nell’inceneritore come si fa di solito, invece di trarne qualche informazione utile».
L’articolo, che discuteva le potenziali restrizioni di finanziamento per tali ricerche, era adamantino sulla realtà che descriveva e sulla mancanza di una giustificazione morale.
L’argomento delle potenziali restrizioni sui finanziamenti richiese un viaggio attraverso un altro lungo corridoio, fiancheggiato da articoli, paper accademici e testimonianze al Congresso sulla ricerca sui tessuti fetali e sui problemi etici che ne derivano. Mi parvero rivelatrici le discussioni sulle restrizioni federali proposte.
Un articolo del 1988 sull’Hastings Journal partiva dall’assunto che il prelievo di tessuti da feti vivi e non-viabili fosse già praticato:
«Forse la restrizione federale più pertinente è il divieto di qualsiasi tipo di ricerca su un feto vivo non-viabile ex utero che interromperebbe prematuramente la vita del feto. Questo divieto può essere significativo perché la procedura richiesta per rimuovere il tessuto cerebrale fetale da espiantare accelererebbe la morte di un feto vivo. Quindi, se una simile restrizione fosse imposta agli espianti di tessuto fetale, proibirebbe la rimozione di tessuto cerebrale fetale e, potenzialmente, di altri tipi di tessuto, da feti vivi non-viable». (12)
Un rapporto del 1976 della casa farmaceutica Batelle-Columbus Laboratories riconobbe il ruolo della ricerca su feti vivi in quattro processi medici: amniocentesi, sindrome da stress respiratorio e (ciò che è significativo per questo articolo) i vaccini contro la rosolia e l’Rh: «È evidente da uno studio dello sviluppo dei quattro casi selezionati… che la ricerca su feti umani vivi ha giocato un ruolo significativo in ognuno di essi» (13). Il rapporto raccomandava di non imporre restrizioni a tale ricerca.
A questo punto del mio vagabondaggio nella tana del coniglio, lottavo ancora con uno straniante senso di irrealtà. Forse stavo fraintendendo qualcosa. Ricerca su feti umani viventi? Non ci sono leggi su questo genere di cose?
Si fa un gran parlare delle restrizioni sull’uso e la ricerca sui feti negli Stati Uniti. Tuttavia, mentre le restrizioni federali negli Stati Uniti vanno e vengono a seconda di chi occupa la Casa Bianca, è chiaro che la ricerca su feti vivi non-viabili continua, con lo scopo di ottenere campioni di tessuto più freschi possibile, per trapianti o ricerche. Ciò può avvenire senza finanziamenti federali, andando all’estero, o semplicemente facendo calare il silenzio su quei pochi minuti critici tra il parto del bambino e il momento in cui il tessuto viene inviato al laboratorio. Come dice la giornalista Suzanne Rini nel suo libro del 1993 Beyond Abortion: A Chronicle of Fetal Experimentation,
«I ricercatori… che ricevono tessuti dall’isterectomia e dagli aborti al secondo trimestre con metodi noti per far partorire bambini in vita, dichiarano troppo sbrigativamente che i loro tessuti provengono da “feti morti”. Esiste uno stadio intermedio di cui sono pochi a parlare». (14)
La sociologa britannica Julie Kent, discutendo la ricerca sui tessuti fetali nel Regno Unito, dice che una «non-conformità autorizzata caratterizza le pratiche attuali…» (15). Questa sembra essere la situazione anche negli Stati Uniti.
Tale non-conformità autorizzata può arrivare fino ai vertici, come evidenziato da un’indagine sul traffico di feti umani che ha coinvolto la Food and Drug Administration. Tra il 2012 e il 2018 la FDA ha speso migliaia di dollari per ottenere tessuto di fegato e timo per la ricerca sui topi umanizzati. Centinaia di pagine di email, ottenute dal gruppo di responsabilità legale Judicial Watch, documentano accordi per procurarsi tessuto fetale umano, di età gestazionale da 16 a 24 settimane, da consegnare «fresco, spedito sotto ghiaccio». (16)
D’altra parte, esistono indubbiamente degli standard industriali: standard di «buona pratica clinica», «buone pratiche di fabbricazione» (GMP) e simili.
Ma mi sono presto resa conto che queste hanno unicamente lo scopo di proteggere il consumatore e assicurare la purezza del prodotto finale; non hanno nulla a che fare con la protezione del feto. Le parole «immediatamente sezionato» e «fresco» apparivano frequentemente, di solito alla voce «materiali e metodi». Di nuovo, l’intento era quello di rassicurare il consumatore che il prodotto non fosse contaminato.
Il linguaggio del Cappellaio Matto
«Non comprendo che vuoi dire” disse Alice. “Certo che non lo comprendi!” — disse il Cappellaio, scuotendo il capo con aria di disprezzo. (17)
Il vocabolario della ricerca scientifica e medica è a dir poco eufemistico. Come Alice quando tenta di capire il Cappellaio Matto, può succedere che il profano legga i resoconti di ricerca e non si renda conto di ciò che viene veramente descritto. Per esempio, isolare significa tagliare, così come dissociare. Anche quando si tratta di non umani, la letteratura è riluttante ad usare certi termini. Perciò un ratto femmina incinta, dopo aver subito la rimozione dell’utero sotto anestesia, viene sacrificata, non uccisa.
Il vocabolario della ricerca scientifica e medica è a dir poco eufemistico… Per esempio, isolare significa tagliare, così come dissociare. Anche quando si tratta di non umani, la letteratura è riluttante ad usare certi termini. Perciò un ratto femmina incinta, dopo aver subito la rimozione dell’utero sotto anestesia, viene sacrificata, non uccisa.
Così, rimasi perplessa da un rapporto della rivista Liver Transplantation («Trapianto di fegato», ndr) che dettagliava una tecnica per ottenere cellule epatiche fetali. Lo studio in questione «è stato eseguito con tessuti donati da 15 aborti medicalmente selezionati». L’articolo descriveva «l’incannulamento della vena porta fetale con tecniche di microchirurgia e la successiva perfusione vascolare in situ di FF [fegati fetali] umani a 18 settimane di gestazione e oltre» (18). Quindi proseguiva nella descrizione dettagliata della procedura di dissociazione dei tessuti e la successiva rimozione del fegato.
I miei sospetti furono confermati da una voce in un libro di testo, che descriveva più accuratamente la procedura come un «metodo di perfusione in vivo in cinque fasi mediante incannulazione della vena ombelicale per isolare cellule epatiche da feti alla fine del secondo trimestre». (19)
Tradotto: dopo l’aborto, il tessuto epatico è stato rimosso da 15 bambini vivi. La locuzione in vivo («sul vivente») permette di confermare che la microchirurgia e il prelievo di tessuto epatico sono eseguiti su bambini vivi.
Sebbene la procedura sia stata eseguita per ottenere cellule per il trapianto di cellule epatiche, e non per la coltura cellulare, la logica era esattamente la stessa: ottenere il tessuto più fresco possibile.
A questo punto della mia ricerca, l’incredulità prese il sopravvento. Semplicemente, non potevo credere a quello che stavo leggendo online. Pochi click, e possedevo la mia copia di Hepatocyte Transplantation, dove a pagina 283 trovai la descrizione della procedura in vivo, con foto a colori a pagina 288.
Per i non-scienziati, leggere le ricerche su non umani può essere illuminante. Così, leggendo un rapporto di ricerca sulle cellule staminali cardiache in cui cuori fetali umani sono stati collegati a un dispositivo Lagendorff (che può mantenere artificialmente in funzione un cuore al di fuori del corpo) non capii da subito che questi cuori devono provenire da soggetti vivi. Dopo aver letto di cuori estratti da ratti vivi e anestetizzati per una procedura simile, è diventato chiaro che i ratti ricevono l’eutanasia dopo, e non prima, della procedura. (20)
I rapporti sull’estrazione di tessuti da animali da laboratorio generalmente riportano la morte dell’animale, e se questa è avvenuta prima o dopo l’estrazione dell’organo. A volte forniscono i dettagli di come l’animale è stato ucciso. I rapporti sui neonati umani non menzionano i segni di vita nel feto abortito, né descrivono la sua morte. Ci si potrebbe chiedere perché la morte del feto non sia registrata, specialmente dal momento che un aborto è stato organizzato per consegnare un feto intatto.
Eppure gli studi sui neonati al secondo trimestre indicano che la durata mediana della sopravvivenza fuori dall’utero, senza intervento, è di circa un’ora. Uno studio britannico su 1306 nati vivi tra le 20 e le 23 settimane di gestazione riportava che mentre «molti sono morti entro pochi minuti dal parto», a 20 settimane il tempo mediano di sopravvivenza era di 80 minuti; a 23 settimane, era di 6 ore (questo studio ha escluso 437 bambini che sono sopravvissuti all’interruzione della gravidanza). (21)
L’industria dei vaccini intrattiene da lunga data una sconvolgente connessione con l’industria dell’aborto, e a tutt’oggi questa connessione resta profonda
Per riassumere: l’industria dei vaccini intrattiene da lunga data una sconvolgente connessione con l’industria dell’aborto, e a tutt’oggi questa connessione resta profonda.
Al pubblico vengono spesso ammannite confortanti mezze verità, o viene coscientemente indotto a credere a torto che gli aborti che ci hanno dato i nostri vaccini attuali non fossero che un’aberrazione, o un modo per trarre un motivo di speranza a partire da una tragedia inevitabile.
Eppure, alcune voci insistenti si ostinano a ripetere che la realtà è molto più cupa. Si tratta forse di affermazioni esagerate?
Il fatto che dei bambini siano deliberatamente abortiti in modo da produrre un feto intatto e vivo è indiscutibile, e supportato dalla letteratura medica dagli anni ’30 ad oggi.
Il fatto che gli scienziati non abbiano avuto scrupoli a sezionare bambini ancora vivi per scopi di ricerca è anche documentato.
È probabile o addirittura indiscutibile che questa azione brutale abbia portato alla creazione delle linee cellulari usate per gli attuali vaccini? La Acker ed altri esperti sostengono di sì, basandosi sul semplice principio secondo il quale le cellule vive per le linee cellulari non possono essere derivate da un corpo morto.
Posso provarlo? Non senza alcuna ombra di dubbio.
Eppure è chiaro che la ricerca su bambini vivi non desiderati – «non-persone umane» – è andata avanti per molti anni e continua ancora oggi.
Le prove sono lì per chi vuole vederle.
Monica Seeley
Traduzione di Roberto Bonato
NOTE
1) Alex van der Eb, Testimonianza davanti al comitato consultivo sui vaccini e sui prodotti biologici correlati, 16 maggio 2001
2) Alvin Wong, MD, «The Ethics of HEK 293», The National Catholic Bioethics Quarterly, Volume 6, numero 3, autunno 2006
3) Albert B Sabin, Peter K. Olitsky, «Cultivation of Poliomyelitis Virus in vitro in human embryonic tissue» Proceedings of the Society for Experimental Biology and medicine, 1936, 34:357-359)
4) Joan C. Thicke, Darline Duncan, William Wood, A. E. Franklin and A. J. Rhodes; «Cultivation of Poliomyelitis Virus in Tissue Culture; Growth of the Lansing Strain in Human Embryonic Tissue», Canadian Journal of Medical Science, Vol. 30, pp 231-245, 1952
5) Thomas H. Weller, John F. Enders, Frederick C. Robbins and Marguerite B. Stoddard; «Studies on the Cultivation of Poliomyelitis Viruses in Tissue Culture : I. The Propagation of Poliomyelitis Viruses in Suspended Cell Cultures of Various Human Tissue», Journal of Immunology, 1952
6) «G. Sven, S. Plotkin, K. McCarthy, «Gamma Globulin Prophylaxis; Inactivated Rubella Virus; Production and Biological Control of Live Attenuated Rubella Virus Vaccines», American Journal of Diseases of Children Vol. 118, agosto 1969
7) Lettera al direttore, «Ethics of Human Experimentation», Dr. Stanley Plotkin, New England Journal of Medicine, #593,1973
8) U.S. Patent Application, «Intranasal immunization against rubella», 1968
9) «Aborted Fetal Cell Line Vaccines And The Catholic Family,A Moral and Historical Perspective», Children of God for Life
10) S.A. Plotkin et al., «Attenuation of RA 27/3 Rubella Virus in WI-38 Human Diploid Cells», American Journal of Disabilities of Children 110.4 (ottobre 1965): pp 381-382.
11) Dal brief amici curiae a sostegno della causa della National Abortion Federation contro David Daleiden, Center for Medical Progress, Biomax Procurement Services, LLC, e Troy Newman e il Center for Medical Progress, 7 giugno 2016
12) Mark W. Danis, «Fetal Tissue Transplants: Restricting Recipient Designation», Hastings Law Journal, 7-1988
13) Batelle-Columbus Report. Appendice a «Research on the Fetus»
14) Suzanne Rini, Beyond Abortion: A Chronicle of Fetal Experimentation, TAN Books, 1993.
15) «Julie Kent et al, Forgotten Fetuses – A Sociocultural Analysis of the Use of Fetal Stem Cells». https://www.york.ac.uk/res/sci/projects/res340250002kent.htm#abstract
16) Edie Heipel, «Federal Government Caught Buying ‘Fresh’ Flesh Of Aborted Babies Who Could Have Survived As Preemies», The Federalist, 15 aprile 2021
17) Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland, capitolo 7, «A Mad Tea Party»
18) Bruno Gridelli et al., «Efficient Human Fetal Liver Cell Isolation Protocol Based on Vascular Perfusion for Liver Cell-Based Therapy and Case Report on Cell Transplantation», Liver Transplantation, Ottobre 2011.
21) PI McFarlane, S Wood, J Bennett, «Non-viable delivery at 20–23 weeks gestation: observations and signs of life after birth» BMJ Journals, ADC Fetal and Neonatal Edition, Vol. 88, n.3
Eugenetica
In Europa le donne disabili vengono ancora sterilizzate
La sterilizzazione senza consenso sarebbe un fenomeno ancora diffuso – e non parliamo dell’India o della Cina, ma dell’Europa. Ne ha discusso un articolo del New York Times, che ha messo sul tavolo una realtà che può sconvolgere i benpensanti che credono di vivere in una società dove l’eugenetica è morta con Hitler.
«La sterilizzazione forzata, con la sua storia di razzismo ed eugenetica, è vietata da numerosi trattati internazionali» scrive la corrispondente europea del NYT Sarah Hurtes, che ha trascorso più di un mese in Islanda lavorando alle indagini. «Trentasette nazioni europee e l’Unione Europea hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, che dichiara, senza eccezioni, che la sterilizzazione non consensuale è una violazione dei diritti umani».
L’indagine del New York Times «ha rilevato che oltre un terzo di questi Paesi ha fatto delle eccezioni, spesso per persone che il governo ritiene troppo disabili per acconsentire. Alcuni Paesi hanno vietato la pratica ma in realtà non l’hanno criminalizzata», rivela la reporter.
La maggior parte di coloro che vengono sterilizzati senza consenso sono donne, e i medici che hanno parlato con la giornalista hanno affermato di ritenere che la pratica sia rara, ma è difficile determinarlo a causa di dati inaffidabili.
Catalina Devandas Aguilar, ex relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti dei disabili, ha osservato che le famiglie o gli istituti di assistenza spesso trovano conveniente la sterilizzazione e sostengono che sia nel migliore interesse della persona disabile. Il NYT cita l’esempio di una madre che ha firmato un’isterectomia per la sua figlia ventenne con problemi cognitivi a causa di mestruazioni che potevano durare fino a sei settimane; la legge islandese «copre solo la legatura delle tube».
«Tante volte si sente che è nel migliore interesse della donna», afferma la Devandas Aguilar, ex relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti dei disabili. «Ma spesso è perché è più conveniente per la famiglia o l’istituzione che si prende cura di loro».
Vengono citati anche altri esempi, e l’articolo riferisce che ci sono casi di genitori e medici che fanno pressioni sulle donne disabili affinché acconsentano.
In Francia è consentito sterilizzare «persone con gravi disabilità mentali in determinate circostanze», anche se ciò avviene raramente, scrive il NYT. In Belgio è «generalmente illegale», ma avviene comunque «se i genitori lo richiedono e i medici, dopo aver consultato gli psicologi ospedalieri, lo ritengono nell’interesse della donna».
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Katrin Langensiepen, una politica tedesca definita «disabile visiva», sostiene un »rigoroso divieto a livello europeo della sterilizzazione non consensuale» ritenendo che la maggior parte delle pratiche eugenetiche venivano difese sulla base del fatto che erano nel migliore interesse (il famoso best interest con cui uccidono i bambini inglesi come Alfie o Indi Gregoy) delle persone disabili che prendevano di mira. Molti, come Langensiepen, si chiedono – come nella Germania di 90 anni fa – se le persone disabili possano dare il proprio consenso.
«Quando diciamo “sterilizzazione dei disabili”, potremmo sembrare nazisti, ma questo ignora completamente la diversità delle disabilità, la gravità di alcune disabilità e il disagio dei genitori», ha detto al New York Times Ghada Hatem-Gantzer, una ginecologa parigina. Nessuno forse le ha detto che forse le argomentazioni dell’hitlerismo non era lontane. E soprattutto, non sembra rendersi conto che il risultato è ideologicamente il medesimo: la sopravvivenza di chi è ritenuto «sano» e «adatto», la prevaricazione del più forte sul più debole, la selezione della razza.
Il reportage del quotidiano neoeboraceno si chiude con la storia di Kristin Smith, una donna islandese affetta dalla sindrome di Down. Quando aveva vent’anni, sua madre la fece sterilizzarla tramite legatura delle tube. Quando Kristin chiese a sua madre se voleva avere dei figli, le fu detto che «sarebbe stato troppo difficile». La donna ha quindi acconsentito all’intervento. Nel corso del 2020, però, ha incontrato Sigurdur Haukur Vilhjalmsson, anche lui affetto dalla sindrome di Down, e se ne è innamorata. Si sono fidanzati e ora vivono insieme a Husavik in un appartamento con una camera da letto per persone con disabilità.
«La signora Smith e il signor Vilhjalmsson sono gli inquilini più indipendenti dell’edificio e la sua unica coppia. Lava i piatti in un ristorante. Lavora nella cucina di un ospedale. La signora Smith ha incontrato Sigurdur Haukur Vilhjalmsson in un campo estivo per adulti con disabilità» racconta il NYT. «Amano i viaggi su strada, la cucina e la musica. Il signor Vilhjalmsson suona la batteria… Stanno scegliendo la data del matrimonio. La domenica passeggiano mano nella mano per il porto. Parlano del loro futuro. Il signor Vilhjalmsson vuole dei figli. La signora Smith ha passato anni a dire di non averlo mai fatto, che la decisione di sua madre era stata la cosa migliore. Ora la conversazione è meno astratta. Vuole diventare madre? “Lo volevo”, dice. I suoi occhi si riempirono di lacrime. Fa una pausa per ricomporsi. “Lo voglio ancora”».
L’articolo riconosce che decenni dopo che l’eugenetica si è rivelata essere forse il più grande scandalo medico del ventesimo secolo, essa è ancora praticata in altre forme. Lo vediamo nella distruzione di massa dei bambini con sindrome di Down nel grembo materno, che rendono le persone con trisomia quasi estinte in Islanda (il 95% dei bambini come Kristin e Sigurdur vengono abortiti).
Come riportato da Renovatio 21, il fenomeno dell’estinzione per sterminio feticida dei down nei Paesi nordici è una realtà ben conosciuta. L’Islanda è capofila del fenomeno, ma anche gli altri Paesi scandinavi mica scherzano: la Danimarca nel 2017 li ha eliminati tutti a parte 4.
Tuttavia, anche in Italia lo sterminio, nel silenzio più totale di politica e giornali, avanza. Tre anni fa, in Emilia-Romagna si cominciò a spingere sui NIPT (Test Non-Invasivi Prenatali), i test che permettono di capire se un bimbo, quando è ancora nel grembo della madre, sia down o meno. Il lettore capisce immediatamente a cosa servono in realtà tali esami: a uccidere il bambino non nato se portatore della sindrome di Down, cioè «imperfetto», cioè «inadatto» – come da imperativo eugenetico nazista.
La questione dei NIPT diventa chiara se guardiamo ai dati di 26 organizzazioni ospedaliere del Regno Unito tra il 2013 e il 2017, che mostrano il numero dei bimbi Down è diminuito del 30% dall’introduzione dei NIPT. Cioè, un terzo dei Down sono stati ammazzati in partenza.
Chiedetevi: quanti parti di bambini down vi sono stati, nella vostra zona? Quanti bambini down ricordavate in giro quando eravate piccoli? E adesso?
La Necrocultura genocida «abilista» perde ogni pudore: ecco che il famoso intellettuale britannico Richard Dawkins è arrivato ad affermare in tranquillità che sarebbe «immorale» non abortire i bambini con sindrome di Down. Uccidere un down nel grembo materno è una cosa giusta da fare, è un dovere. Figurarsi se non lo è sterilizzare i sopravvissuti.
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La sterilizzazione forzata – che nella democratica, esemplare Svezia ha colpito fino al 1976 almeno 30 mila persone – continua in Paesi come l’India, dove vi sarebbero addirittura «campi di sterilizzazione» e il procedimento è offerto alle braccianti affinché non abbiano l’incomodo delle mestruazioni. Anche il Perù ha dovuto, in anni recenti, affrontare il tema della sterilizzazione forzata. Stesso dicasi per il Giappone, e pure la Danimarca, che ha operato sterilizzazioni eugenetiche presso le donne groenlandesi.
Come riportato da Renovatio 21, la sterilizzazione forzata è legale in oltre 30 Stati USA.
Ma non c’è solo la sterilizzazione.
L’eugenetica procede in Canada, con il fondamentalismo eutanatico che si spinge sempre più in là: dopo i malati, gli anziani, i depressi e i poveri, ecco che lo Stato canadese allunga la siringa assassina verso i drogati. (Il democratico e progressista Canada, ricordiamo, ha una storia di sterilizzazione forzata di donne indigene, che pare rifiutare di affrontare)
L’eugenetica è, di default, una componente della riproduzione artificiale: se fate un figlio in provetta, omologo o eterologo che sia (una distinzione introdotta dall’alto per gabbare il babbeo cattolico), uccidete quantità di suoi fratellini, i cui embrioni visti al microscopio sono considerati «inadatti» dai nuovi Mengele della clinica sotto casa – pagati ora pure dal contribuente, che finanzia così una strage di individui superiore a quella dell’aborto.
Renovatio 21 lo ha scritto, e lo ripeterà sempre: Hitler può aver perso la guerra militare, ma ha vinto quella bioetica. O meglio, l’hanno vinta i suoi padroni, gli oligarchi globali della Necrocultura che di fatto hanno dato danari ad entrambe le parti nel conflitto dell’ultima guerra. I concetti di selezione riproduttiva per migliorare la razza sono ora pienamente promossi dallo Stato moderno, che accelera sempre più verso il designer baby, cioè verso l’ingegneria genetica applicata ai bambini, che sarà a breve un processo equiparabile alla vaccinazione.
Con la bioingegneria CRISPR tutto ciò è già possibile, si tratta solo di creare qualche altro checkpoint – un’emergenza, una legge, un «green pass genetico» – affinché la riproduzione naturale sia per sempre esclusa dal pianeta. La società della discriminazione genetica, basata sul dolore e sulla morte delle persone ritenute «inadatte» dal potere, è già qui con noi.
Di chi mai potrà essere un piano simile?
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Controllo delle nascite
Kissinger lo sterminatore
Un promemoria segreto sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti
«Controlla il petrolio e controllerai le nazioni; controlli il cibo e controlli le persone…»
—Henry Kissinger
Crescita demografica e sicurezza nazionale
Nell’aprile 1974, mentre una siccità mondiale e la trasformazione della politica agricola americana erano in pieno svolgimento, il Segretario di Stato e consigliere per la sicurezza nazionale di Nixon, Henry A. Kissinger, inviò una nota riservata a funzionari di gabinetto selezionati, compreso il Segretario della Difesa, il Segretario dell’Agricoltura, il Vice Segretario di Stato e il Direttore della CIA. Il titolo della nota top secret era: «Implicazioni della crescita della popolazione mondiale per la sicurezza degli Stati Uniti e gli interessi all’estero». La nota trattava di politica alimentare, crescita demografica e materie prime strategiche. Era stato commissionato da Nixon su raccomandazione di John D. Rockefeller III. Il progetto segreto venne chiamato in abbreviazione burocratica di Washington, NSSM 200, o National Security Study Memorandum 200. Si ritenne che, se mai fosse stato reso pubblico o fosse trapelato, il NSSM 200 sarebbe stato così esplosivo, che fu tenuto segreto per quasi 15 anni finché un’azione legale privata da parte di organizzazioni associate alla Chiesa cattolica ne costrinse finalmente la declassificazione nel 1989. Dopo la caduta in disgrazia Nixon dimessosi a causa dello scandalo Watergate nel 1975, il suo successore, Gerald Ford, non perse tempo e firmò l’ordine esecutivo che rendeva NSSM 200 la politica ufficiale del governo statunitense. La decisione degli Stati Uniti di elaborare questa politica arrivò dopo la Conferenza delle Nazioni Unite sulla popolazione del 1974 a Bucarest, in Romania, nella quale le Nazioni Unite non riuscirono ad adottare la posizione degli Stati Uniti. Quella posizione era stata definita dalla Fondazione Rockefeller e, più direttamente, da John D. Rockefeller III, e consisteva nell’adozione di un «piano d’azione per la popolazione mondiale» per drastiche politiche di riduzione della popolazione globale. Una feroce resistenza da parte della Chiesa cattolica, di tutti i Paesi comunisti tranne la Romania, così come delle nazioni dell’America Latina e dell’Asia, convinse i principali circoli politici statunitensi che erano necessari mezzi segreti per attuare il loro progetto. Fu affidato a Henry Kissinger la stesura di quella strategia, NSSM 200. Nella sua nota iniziale originale, Kissinger affermava: Il Presidente ha diretto uno studio sull’impatto della crescita della popolazione mondiale sulla sicurezza degli Stati Uniti e sugli interessi esteri. Lo studio dovrebbe guardare avanti almeno fino al 2000 e utilizzare diverse proiezioni ragionevoli alternative della crescita della popolazione. In termini di ciascuna proiezione, lo studio dovrebbe valutare:- il corrispondente ritmo di sviluppo, soprattutto nei Paesi più poveri;
- la domanda di esportazioni statunitensi, soprattutto alimentari, e i problemi commerciali che gli Stati Uniti potrebbero dover affrontare derivanti dalla competizione per le risorse;
- la probabilità che la crescita o gli squilibri demografici producano politiche estere dirompenti e instabilità internazionale.
- Quali eventuali nuove iniziative sono necessarie da parte degli Stati Uniti per focalizzare l’attenzione internazionale sul problema della popolazione?
- Possono le innovazioni tecnologiche o lo sviluppo ridurre la crescita o migliorarne gli effetti? (1)
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Cibo per Cargill & Co.
Il NSSM 200 portava anche il forte segno di William Pearce e della lobby commerciale agroalimentare di Cargill. In una sezione intitolata «Cibo per la pace e la popolazione», Kissinger scriveva: «uno degli aspetti più fondamentali dell’impatto della crescita della popolazione sul benessere politico ed economico del globo è il suo rapporto con il cibo. Qui il problema dell’interrelazione tra popolazione, risorse nazionali, ambiente, produttività e stabilità politica ed economica si intreccia quando si verifica una carenza di questo bisogno umano fondamentale». «La sfida principale sarà quella di aumentare la produzione alimentare negli stessi Paesi meno sviluppati e di liberalizzare il sistema in cui il grano viene trasferito commercialmente dai Paesi produttori a quelli consumatori» continuava. In effetti, proponeva di diffondere la Rivoluzione Verde della Fondazione Rockefeller e allo stesso tempo di chiedere la rimozione delle difese commerciali nazionali protettive per aprire la strada a un’ondata di importazioni di grano dagli Stati Uniti nei principali mercati in via di sviluppo. Esplicitamente, Kissinger proponeva «l’espansione della produzione degli elementi di input della produzione alimentare (vale a dire, fertilizzanti, disponibilità di acqua e scorte di sementi ad alto rendimento) e maggiori incentivi per una maggiore produttività agricola» – l’essenza della Rivoluzione Verde. Inutile dire che le aziende agricole statunitensi avrebbero fornito i fertilizzanti necessari e le sementi speciali ad alto rendimento. La cosiddetta Rivoluzione Verde negli anni Sessanta in realtà era questo. L’NSSM 200 chiedeva «nuovi accordi commerciali internazionali per i prodotti agricoli, sufficientemente aperti da consentire la massima produzione da parte di produttori efficienti», non a caso, proprio la richiesta di Cargill, ADM, Continental Grain, Bunge e delle gigantesche società dell’agrobusiness che allora emergevano come importanti Società americane strategiche a livello nazionale.Aiuta Renovatio 21
Gli sfortunati Tredici…
India, Nigeria, Messico, Indonesia, Brasile, Turchia, Colombia e gli altri… tredici Paesi in via di sviluppo che comprendono alcune delle aree più ricche di risorse del pianeta. Nei tre decenni successivi furono anche tra i paesi più politicamente instabili. La politica NSSM 200 sosteneva che solo una drastica riduzione della loro popolazione avrebbe consentito agli Stati Uniti lo sfruttamento delle loro materie prime. Naturalmente Kissinger sapeva che se fosse venuto fuori che il governo degli Stati Uniti stava attivamente promuovendo la riduzione della popolazione nei Paesi in via di sviluppo ricchi di materie prime, Washington sarebbe stata accusata di ambizioni imperialiste, di genocidio e peggio. Ha proposto un’abile campagna di propaganda per nascondere questo aspetto del NSSM 200: Gli Stati Uniti possono aiutare a minimizzare le accuse di motivazione imperialista dietro il loro sostegno alle attività demografiche affermando ripetutamente che tale sostegno deriva da una preoccupazione per: (a) il diritto della singola coppia di determinare liberamente e responsabilmente il numero e la periodicità dei figli e di avere informazioni, istruzione e mezzi per farlo; (b) lo sviluppo sociale ed economico fondamentale dei Paesi poveri in cui la rapida crescita della popolazione è sia una concausa che una conseguenza della povertà diffusa. Inoltre, gli Stati Uniti dovrebbero anche adottare misure per trasmettere il messaggio che il controllo della crescita della popolazione mondiale è nell’interesse reciproco sia dei paesi sviluppati che di quelli in via di svilupp. (6) In poche parole, il controllo della popolazione su scala globale doveva ora essere chiamato «libertà di scelta» e «sviluppo sostenibile». George Orwell non avrebbe potuto fare di meglio. Il linguaggio era stato ripreso da un precedente Rapporto al presidente Nixon di John D. Rockefeller III.Sostieni Renovatio 21
CRISPR
Indi Gregory, i mitocondri, l’era umanoide
No, non abbiamo «preso il buco», come si dice in gergo giornalistico.
In questi giorni non abbiamo parlato mai di Indi Gregory non perché non conoscessimo il caso. Se non avete letto articoli a riguardo della tragedia della piccola inglese, non è che perché sdegniamo le cose riportate nella cronaca nazionale, perché concentrati sul quadro più grande, persi tra geopolitica e misticismi preconizzanti.
Lo confesso: ho avuto, per il caso, come un senso di ripulsa. Da un certo punto di vista, si tratta di una cosa personale: avevo seguito i casi di Charlie Gard e di Alfie Evans – e qualcuno dei seguenti: perché, lo avete capito, è un pattern molto finito definito, è un’iniziativa, come si dice nel business delle startup, «scalabile e ripetibile».
Devo dire che ero stato coinvolto, in quei casi di infanticidio inflitto dalla Corona britannica per mezzo dei suoi ospedali e dei suoi giudici parrucconi (letteralmente), fino a starne male. Non ero il solo: ricordo le lacrime di alcune amiche. Ricordo gli atti, mai raccontati da nessuna testata o blog che sia, di gruppi di persone che non si davano per vinte, arrivando ad attaccarsi ai cancelli del Vaticano.
Ricordo tutto quel turbine. Ricordo quando staccarono le macchine ad Alfie – e lui, invece di morire, rimase in vita. Per un po’.
Non scrivo per partecipare alla macchina di indignazione permanente, quella che i movimenti pro-life sperano di montare ogni volta, di modo di spillare da voi (e dalla TV) attenzione e danari. Non ho messo in piedi Renovatio 21 per far parte di quel circo, soprattutto perché ho capito che esso è solo un narcotico per i pochi che ancora conservano l’animo, è uno strumento di controllo, un sistema di sorveglianza che, dopo aver raggruppato le emozioni, le livella via.
Nulla era servito nel caso di Alfie. Non gli appelli, le mosse opportuniste dei politici, le visite dal papa (con volto funereo tipo quello che aveva con Trump). Nulla, soprattutto – come cercherò di dire in questo articolo – era stato imparato.
Quindi, il lettore capisca la mia ritrosia personale. E poi, quando vedo apparire Pillon col papillon e magari il sorrisetto, non è che posso farcela. Né mi potete chiedere di farcela.
Oltra a questioni intime, dicevo, c’è un altro aspetto, più astratto, come dire, epistemologico, biopolitico, di filosofia della storia, forse. Ci sono cose che penso, da anni, ma che non mi va dire, o ripetere. Perché, ci crediate o no, costa molto metterci la testa, tirarle fuori, e poi sentirsi deriso, o molto peggio, sentirsi solo, mentre fuori il mondo lancia coriandoli in un’altra direzione, in un’altra dimensione.
Una di queste cose è, in sintesi, l’idea per cui gli omicidi pubblici perpetrati dallo Stato contro questi bambini serve per avviare l’era in cui i bambini saranno tutti progettati geneticamente in provetta – materia in cui, nessuno ovviamente lo ha ricordato in questi giorni, Albione fu pioniera già 45 anni fa con Louise Browne, il primo test tube baby prodotto dal dottor Robert Edwards, quello che programmaticamente, disse, voleva sostituirsi a Dio nel controllo della vita.
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Nessuno, parimenti, ricorda che il Regno britannico è quello di Crick e Watson, gli scopritori del DNA, e di certi discorsi direttamente eugenetici primo. Francis Crick occasionalmente esprimeva idee come, ad esempio, quella secondo cui in cui i genitori benestanti dovrebbero essere incoraggiati ad avere più figli. «Al momento non è un argomento che possiamo affrontare facilmente perché le persone hanno così tante credenze religiose e finché non avremo una visione più uniforme di noi stessi penso che sarebbe rischioso provare a fare qualsiasi cosa in termini di eugenetica» scrisse il Crick, che disse che sarebbe «rimasto stupito se, nei prossimi 100 o 200 anni, la società non si convincesse che si dovrà cercare di migliorare la prossima generazione in una certa misura o in un modo o nell’altro».
Nessuno ha rammentato il tanto lavoro fatto dalla politica e dalla sanità inglese per stabilire e poi abbattere le regole per la coltivazione sperimentale di embrioni in vitro (come la «legge dei 14 giorni», dopo i quali l’embrione creato in laboratorio va scartato).
Nessuno pare, poi, voler parlare di chi sta sul trono di Londra, di quel re e di quella famiglia reale, che tante volte su Renovatio 21 abbiamo definito «famiglia della morte»: una dinastia di signori della Necrocultura globale, che – come in certi altri casati americani – pare trasmettersi geneticamente l’odio per l’umanità, e la missione della sua contrazione.
La cosa rivelatrice che abbiamo visto è il fatto che, vista la posizione presa dal governo italiano (ci torneremo prima di finire il pezzo), la sinistra italiana si è compattata per la morte della piccola. Sembra incredibile, se lo si pensa, ma è così: non cercano nemmeno di dissimulare, non dicono nemmeno più frasi di circostanza, non cercando di astenersi dal parlarne pubblicamente, visto che magari pure qualche elettore del PD poteva andare in dissonanza cognitiva… uccidere… una bambina?
No, il pudore della Cultura della Morte non esiste più, anzi. Esiste l’attrazione assoluta, del partito di sinistra divenuto «Partito radicale di massa» come profetizzava Del Noce, per gli argomenti di morte, perché vissuti come prove della propria virtù liberale: l’eutanasia è l’esempio più lampante, ma quella riguarda (in teoria, molto in teoria) persone che vogliono morire. Quei c’è una bambina piccolissima…
Su La7, polo televisivo del proprietario del Corriere della Sera a cui è stato lasciato assemblare un simile potentato giornalistico, sono andati in onda istruttivi interventi di Andrea Crisanti, l’unico della risma dei dottori del COVID-catodico a cui è riuscito il salto verso il Parlamento.
Crisanti era la persona giusta a cui chiedere lumi: per la massa bovina – cioè il vero destinatario delle comunicazioni di massa odierne, la massa vaccina – è la scienza incarnata. Nel curriculum ha anni vissuti in Inghilterra, dove all’Imperial College (ente recipiente dei milioni dei Gates, uno di quei casati di cui parlavo poche righe sopra) si ingegnerizzavano zanzare geneticamente modificate per il nobile compito di vincere la malaria – estinguendo la specie dopo averla resa sterile con la bioingegneria CRISPR – un’altra passione non tanto segreta di Gates.
Ascoltiamo cosa dice il senatore in un talk show: «dall’Inghilterra dobbiamo imparare tantissimo», perché «è la patria dell’habeas corpus, del rispetto dell’individuo… c’è stato un processo lungo otto mesi… la famiglia ha perso anche il ricorso al Consiglio di Europa e ha perso anche là… non è che stiamo parlando di uno Stato autoritario, guardi che l’Inghilterra è la patria della libertà… noi dall’Inghilterra dobbiamo imparare tantissime cose sulla libertà individuale».
In un’altra intervista sempre sul canale di Cairo, il Crisanti ha puntualizzato scientificamente la questione, spiegando che la patologia della bimba è «un’insufficienza metabolica dei mitocondri… se queste strutture non funzionano, praticamente tutti i tessuti del corpo si consumano come fosse una candela… di fatto è un progressivo deterioramento sia fisico che neuronale… non esiste cura».
«La bambina nel giro di pochi mesi muore… eh» dice il senatore. «Muore comunque, non ci ha speranza di vita».
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La giornalista quindi chiede se c’è qualcosa che l’Italia dal punto di vista sanitario può fare più dell’Inghilterra. Il Crisanti scuote la testa «assolutamente no, lei consideri che la genetica è nata in Inghilterra. In Inghilterra ci stanno i più grandi specialisti di genetica umana e di terapia genica», assicura, con un certo accento centroitalico («derabbiaggeniga»).
«Quindi faccio fatica a credere che in Italia possa ricevere qualcosa in più che avrebbe potuto avere in Inghilterra» dice lo scienziato apparso a Padova, cioè a Vo’ Euganeo, nel primo focolaio COVID, e mai più toltosi dalla scena.
Il senatore PD dice di comprendere il dolore della famiglia, per poi dichiarare che «comprendo anche la posizione degli inglesi. Non dimentichiamoci che l’Inghilterra dell’habeas corpus, della libertà individuale. Cioè, stiamo di fronte ad un Paese civilissimo… la famiglia ha avuto tutte le garanzie possibili che la legge poteva offrire… hanno fatto appello anche alla Corte Europea, hanno perso anche alla Corte europea».
Insomma, i talking point sembrano essere sempre gli stessi, con il messaggio forse solo da noi percepito, e un po’ strano considerando che sono parole che vengono dalla bocca un senatore della Repubblica Italiana, di una sorta di superiorità scientifico-morale-legislativa di un Paese straniero. Insomma, per tutte queste ragioni, le macchine vanno staccate, farla venire in Italia è inutile, insomma Indi deve…
Fermi tutti, però qui è saltata fuori però una parola nuova: mitocondri. Ah già, i mitocondri. Déjà vu.
La sindrome da deplezione del DNA mitocondriale (in acronimo anglofono MDS, o MDDS) era esattamente la malattia di cui soffriva Charlie Gard, il bambino la cui storia lacerò il mondo, ucciso con il distacco delle macchine imposto dall’ospedale e dalla Sanità inglese, in combo con i giudici, nel 2017.
Forse, se leggete questo sito, già lo sapete: i britannici sono i primi ad aver permesso e realizzato la cosiddetta «donazione mitocondriale», espressione orwelliana talvolta preferita a «Three parents IVF», ossia «fecondazione in vitro a tre genitori». In pratica, si produce in laboratorio un bambino formato da tre genitori, frutto del materiale genetico di un uomo e due donne: la madre dà l’ovulo, ma una seconda donna, considerata sana, fornisce i mitocondri, sostituendo quelli difettosi della madre-ovocita.
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Ovviamente, non ci possono essere studi a lungo termine – anzi, c’è qualche possibilità che crei malattie inaspettate – ma, come altre terapie geniche che conoscerete, la si fa lo stesso, l’ultimo caso famoso è di sei mesi fa, proprio in terra di Albione. Per produrre un embrione che diventa il bambino a tre genitori, ricordiamo en passant, ne hanno distrutti 316. Ucraina e Singapore, e pure l’Australia, già da un lustro sono sul pezzo.
Abbiamo scritto su questo sito che c’è la grande probabilità che la provetta a tre genitori possa essere stata offerta ai Gard. Ciò vuol dire, che i bambini dopo Charlie potrebbero essere figli della provetta a tre genitori, perché, assicurano gli scienziati, è l’unico modo per non rischiare il ripetersi di quello strazio.
Fai il bambino in provetta, fondendo tre DNA (i mitocondri hanno un codice genetico loro, il DNA mitocondriale) per non avere problemi, anzi, guarda, fallo per il bene del bambino. Tenete a mente quale sarà il mantra per i bambini nati da bioingegnerizzazione: sarà come vaccinarli…
È chiaro che siamo dinanzi ad una delle prime svolte programmate per i designer babies, cioè per l’eugenetica del XXI secolo. È chiaro che ci stanno portando lì.
Per questo, ritengo, che scienziati e giudici del sistema della morte sono così insolitamente negativi rispetto alle cure. È per questo che il Moloch britannico, a costo di dividere l’opinione pubblica e creare qualche dissonanza cognitiva, sta ammazzando tutti questi bambini.
Charlie, Indi e gli altri sono i piccoli sacrifici umani sui quali si sta costruendo un mondo fatto solo di bimbi bioingegnerizzati, magari con il CRISPR, come le zanzare di Gates e Crisanti. Sangue innocente, versato per il sorgere dell’era umanoide.
Ci rendiamo conto che è tanta roba, ma è quello che pensiamo – da anni. Ed è per questo che viene da guardare infastiditi il circo che si è scatenato intorno a Indi. Gli occhi fissi sul dito, mentre la Luna è lì davanti, piena, immensa. E i lupi ululano.
Avevamo promesso due parole sulla Meloni, e il suo beau geste di dare la cittadinanza alla bambina, sperando di portarla in Italia. Rimembrate che accadde la stessa cosa con Alfie Evans, che divenne cittadino italiano, come deliberato il Consiglio dei Ministri nell’aprile 2018 su proposta del ministro degli Interni Macro Minniti e del ministro degli Esteri Alfano.
Alfano era il capo di un partito biodegradabile, ora sparito, chiamato Nuovo Centrodestra, formatosi da una scissione del Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi organizzata, scrisse qualche giornale, con l’appoggio dell’episcopato. Alcuni pezzi di quel network democristiano, il continuum talvolta inspiegabile tra la politica e i vescovi (i Family Day…), sono stati trasferiti direttamente in Fratelli d’Italia: è il caso dell’ex deputata NCD Eugenia Roccella, finita a far il ministro della Famiglia per la Meloni, con il memorabile incipit dell’incarico ministeriale per cui la legge 194/78 non andava toccata).
Non sorprende, dunque, che anche all’attuale governo sia venuta la stessa idea, con pure lo stesso ospedale pediatrico vaticano implicato, il Bambin Gesù, che di mitocondri si occupa da un po’. E, considerando cosa sta accadendo alla Pontificia Accademia della Vita, non sappiamo dove la cosa potrebbe andare a finire.
Sorprende, invece, come i gruppuscoli pro-life e i commentatori cattopolitici o destroidi possano aver tripudiato dopo la scelta spettacolare del premier di dare il passaporto alla bambina. Nel senso: davvero, come si potuto prendere sul serio questa cosa?
Rendere Indi Gregory cittadina italiana non può non configurarsi come un atto di attrito nei confronti di Londra. O meglio: un affronto, un atto ostile vero e proprio.
Eppure, solo pochi giorni fa, come in tante altre occasioni tra G7, G20 e altro, Giorgia era lì con i bacetti sulla guancia del prime minister Rishi Sunak, l’indiano di cui enigmaticamente non conosciamo la casta, ma di cui, come sa il nostro lettore, sappiamo tante altre cose interessanti.
Ora, se uno Stato straniero decide di uccidere un cittadino italiano, si apre – si spera – una crisi diplomatica. Nella fantasia di un Paese funzionale, ci si attende che, alla peggio, si mandi un commando di incursori per l’esfiltrazione. Gli USA fanno così – in realtà, fanno numeri poderosi anche per i loro cittadini che hanno certi problemi con la giustizia, come Amanda Knox o il pilota del Cermis.
Se un altro Paese vuole uccidere una bambina italiana, cosa è lecito aspettarsi, dallo Stato romano? Con evidenza, i lanciatori di coriandoli meloniani non si attendevano nulla. Sapevano che in fondo era solo un teatrino politico, che la bimba era italiana per modo di dire.
Mica vogliamo metterci contro Albione, che è pure partner della NATO, ed è, come diceva il senatore PD che vive in una villa palladiana (stile assai amato oltremanica), «patria della libertà», e pure, ci viene da aggiungere, della massoneria – quella forza occulta che, sì, ha prodotto l’Italia unita.
Mica prendiamo sul serio questa cosa di Indi italiana. In fondo si tratta solo di una bambina, la sovranità di un popolo si misura con le dichiarazioni dei politici sul MES, mica nel difendere una cittadina innocente ed indifesa. No?
È questo pensiero che mi è insopportabile, che mi manda in bestia. È l’impotenza generale davanti alla palese realtà per cui lo Stato moderno altro non è che una macchina di morte, inarrestabile, imbattibile, necessaria, alla quale bisogna arrendersi, e accontentarsi delle farse – fatte sulla pelle dei bambini piccoli. È la sottomissione allo Stato-Moloch. È l’incorporazione della Necrocultura come sistema operativo della politica e della vita quotidiana.
In pratica, lo hanno accettato: anche a destra. Facciamo finta di curarci della questione, poi però lasciamo che ci uccidano la bambina.
Questa, teorizzo dentro di me da un po’, è chiaramente la fine dello Stato-nazione nel XXI secolo, e della barzelletta ancora circolante del «nazionalismo». Perché una Nazione, per essere tale, deve rispettare l’etimologia latina della parola: natio, «nascita». Una nazione che uccide i bambini, prima o dopo che nascano, non è più una Nazione. Una nazione che come sua base ha il contrario – la morte, specie dei più piccoli, degli ultimi, dei cittadini futuri – quale ragione ha di esistere?
Le nazioni moderne avanzano solo perché, come abbiamo già detto, sono in ultima analisi macchine automatiche, macchine di morte. In pilota automatico, a discapito delle loro stesse leggi (lo abbiamo imparato, duramente, nel biennio pandemico) e contro soprattutto i principi più fondamentali come la continuità della popolazione e la protezione dell’individuo, esse possono andare avanti, ancora per qualche tempo almeno.
Svuotata della vita umana, cosa può rimanere alla Nazione? Una risposta l’abbiamo già data nel corso di questo articolo: rimane alla macchina, da gestire, sfoltire, programmare, la vita umanoide.
Attorniati dal circo osceno che abbiamo visto, questi bambini sono stati sacrificati per la mutazione epocale dello Stato, e per l’alba dell’era umanoide.
E adesso, scusate, ma sto guardando le foto della bambina con i suoi genitori, e mi sale la spremuta d’occhi. Vi lascio a ridere, o a meditare, su quanto ho avuto da scrivere.
Vi assicuro, non ne avevo voglia.
Roberto Dal Bosco
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Immagine da Twitter
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